Nella terra dagli spazi infiniti

Non so esattamente come ci sia venuta l'idea di andare in Mongolia: il risultato, comunque, è stato entusiasmante. Siamo partiti da Milano con un aereo Aeroflot molto scomodo e poco rassicurante. Dopo lo scalo d’obbligo a Mosca siamo finalmente atterrati a Ulaan Baatar, capitale della Mongolia. La prima cosa che si nota della città sono le...
Scritto da: Alessandra Rivolta
nella terra dagli spazi infiniti
Partenza il: 27/09/2002
Ritorno il: 16/09/2002
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 1000 €
Non so esattamente come ci sia venuta l’idea di andare in Mongolia: il risultato, comunque, è stato entusiasmante.

Siamo partiti da Milano con un aereo Aeroflot molto scomodo e poco rassicurante. Dopo lo scalo d’obbligo a Mosca siamo finalmente atterrati a Ulaan Baatar, capitale della Mongolia. La prima cosa che si nota della città sono le enormi centrali termoelettriche che, oltre a riscaldare ed illuminare l’intera città, riempiono l’aria di un pungente odore di gasolio bruciato male. Ulaan Baatar non è una bella città: i palazzi del centro sono in stile sovietico (squadrati casermoni di cemento) e abbastanza fatiscenti, le strade sono tenute male e i marciapiedi sono senza tombini: c’è però un’aria vivace e si percepisce una forte volontà di cambiamento e di modernizzazione. I cantieri sono numerosi (e aperti anche di notte), il traffico è caotico (il numero di vetture non è elevatissimo ma guidano tutti come pazzi) e le mode occidentali prendono piede sempre più rapidamente. Tutto sommato l’aspetto è un po’ triste: come di una ragazzina che voglia crescere troppo in fretta.

Fuori dalla città, però, l’aria che si respira è completamente diversa. E’ come immergersi in un altro tempo: un po’ selvaggio west e un po’ conquiste di Gengis Khan. Lo spazio subito si dilata in larghissimi panorami: le praterie sono dorate (a ottobre l’erba è già secca) e si estendono a vista d’occhio interrotte solo da qualche rada pineta. Ovunque si vedono animali al pascolo e solo di tanto in tanto qualche isolata gheer (le tende bianche e rotonde dove vive la maggior parte della popolazione locale) o qualche pastore a cavallo. Le strade presto spariscono sostituite da piste che si intravedono nell’erba. La sensazione è strana: trovarsi in un paese dove le strade asfaltate si contano sulle punte delle dita e dove incontrare yak, cammelli o cavalli è molto più facile che non avvistare un uomo… Ci si trova costretti a mettere tutto in una diversa prospettiva. Gran parte della bellezza della Mongolia sta in questi grandi spazi sovrastati da un cielo indescrivibile. La notte poi le stelle si moltiplicano e diventano vicinissime: è incredibile come è bello il cielo quando da un capo all’altro dell’orizzonte non c’è alcuna luce artificiale. L’incalzare dell’inverno ci ha costretti a tralasciare la visita di parte del nord del paese per dirigerci verso il più tiepido sud, nel deserto del Gobi.

Il fascino che può avere un deserto non è facile da spiegare. La terra è nuda e mostra interamente la sua austera bellezza. Le montagne emergono dalla piatta tavola del deserto disegnando forme fantasiose. Nascoste tra queste montagne si incontrano piccole valli verdeggianti bagnate da qualche timido ruscello. A volte queste valli si stringono a formare strettissimi passaggi nella roccia o nella sabbia compressa. La mancanza di vegetazione non impedisce a numerosi cammelli, capre, pecore e cavalli di starsene al pascolo (chissà che cosa mangeranno?!). I colori della terra cambiano spesso: si incontrano falesie di un rosso acceso o colline in cui si alternano larghe fasce bianchissime e altre di un verde intenso. Nel cielo volano falchi, aquile e avvoltoi. Le gazzelle corrono tenendosi a debita distanza e le volpi di corsa ci tagliano la strada. Lupi e leopardi preferiscono la notte e fortunatamente non amano la compagnia umana per cui si tengono a debita distanza: una mattina, però, un pastore si è avvicinato alla nostra tenda, era in cammino per cercare i leopardi che gli avevano preso alcuni capi di bestiame (il tutto a qualche centinaia di metri da noi!!!). Abbiamo anche attraversato le dune di sabbia (pare siano le più alte del mondo): strano come il vento abbia deciso di ammucchiare tutta la sabbia in quella sottile fascia in mezzo ad una pianura rocciosa! In mezzo a questi splendidi paesaggi è sempre piacevole incontrale qualche pastore. Dire che sono gentili è dire poco: sempre disponibili a farvi entrare nelle loro gheer, ad offrirvi del the (salato), magari ad ospitarvi per la notte se le condizioni meteorologiche non vi consentono di campeggiare con la vostra tenda. E’ questa gente che rende ancora più speciale questo paese: nomadi per scelta, amano i loro cavalli in un ora possono smontare la loro casa, caricarla e trasferirsi altrove (anche questo è così lontano dal nostro pensiero). Li si incontra per le piste a bordo di moto russe (loro ci vanno anche in 4) o della mitica Uaz (che abbiamo utilizzato anche noi per muoverci).

Un viaggio in Mongolia è un’esperienza che lascia il segno, non solo per quello che si vede ma anche per un qualche cosa che si sente e che ti fa affezionare a questa terra (che oltre al mal d’Africa esista il mal di Mongolia?).

Consiglio a tutti un viaggio da quelle parti con un unico avvertimento: non è un viaggio comodo, scordatevi i villaggi all-inclusive e l’animazione serale. Noi siamo partiti con tenda e sacco a pelo, e abbiamo dormito un po’ dove capitava cucinando su un forellino da campo. Abbiamo trovato una guida eccezionale (indispensabile per girare in un paese senza strade e la cui lingua e assolutamente incomprensibile), ed un autista affidabile (nonché proprietario della Uaz che ci ha permesso di fare 2600 km in 15gg). Pensate che guida e autista siano un lusso eccessivo? Anche noi lo credevamo prima di aver visitato la Mongolia. Ora penso che siano indispensabili per apprezzare in pieno questo paese: se volete organizzare un viaggio vi metto in contatto con loro.



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