Nell’India del Sud alla scoperta della città perduta di Hampi
Procediamo con la visita ammirando dall’alto la gigantesca e candida gopuram (torre di ingresso) del tempio di Virupaska, preesistente all’impero Vijiajanagar. Visitiamo il santuario, tutt’ora aperto al culto e prendiamo la benedizione dalla proboscide dell’elefantessa sacra che vive al suo interno. Uscendo, imbocchiamo una lunga strada lastricata e fiancheggiata da quelli, che dovevano essere i negozi ricolmi di stoffe pregiate e pietre preziose descritti da Domingo Paes, un mercante portoghese che visitò Vijayanagar nella prima metà del 1500, periodo del suo massimo splendore.
Il Paes, nelle sue cronache, la descrive entusiasticamente come una città cosmopolita, grandiosa, estesa quanto l’antica Roma e dotata di acquedotti, giardini, palazzi e templi.
In effetti le dimensioni della via commerciale, una della tante della città, sono imponenti ma dei negozi rimangono solo le strutture in pietra, alcune a due piani, trasformate in botteghe, ristoranti di strada ed abitazioni dai venditori di souvenir, situazione che perdura da anni ormai, nonostante i ripetuti tentativi di sgombero da parte Archelogical Indian Survey.
Nemmeno l’Unesco, che dal 1986 ha nominato patrimonio mondiale dell’umanità i principali monumenti di Hampi, è riuscita ad impedire la costruzione di ecomostri all’interno del perimetro delle rovine.
L’area archeologica è molto vasta e si compone di un centro sacro e di un centro pubblico.
La prima zona è caratterizzata dalla presenza di due importanti templi: Virupaska, appena citato, e Vittala, bellissimo edificio incompiuto, ornato di colonnine in marmo che un tempo, se percosse, emettevano note musicali, ora questa pratica è stata vietata per non recare danni al monumento. La costruzione è fronteggiata da un un imponente carro tempio con le ruote, un tempo mobili, ricavato da un blocco monolitico
La Royal Enclousure, l’area pubblica, raggiungibile con un servizio di pulmini elettrici, ospita le residenze reali tra le quali spicccano alcuni palazzi in stile indo-saraceno, come il Lothus Mahal, il Bagno delle Regine e le stalle degli elefanti, che propongono un’armoniosa fusione della migliore espressione dell’arte hindu con quella mussulmana.
Queste costruzioni risalgono agli ultimi anni dell’impero, prima che esso subisse l’attacco di una coalizione di sultani del Deccan che lo sconfissero e misero a ferro ed a fuoco la città che fu abbandonata e cadde nell’oblio. Un colonnello inglese la “riscoprì” alla fine dell’800 e rimase talmente affascinato dalla grandiosità delle rovine da farsi promotore del suo recupero presso le autorità britanniche.
Proseguendo la visita rimaniamo fortemente impressionati dalla grande piscina sacra a gradoni di pietra scura, che per secoli è rimasta sepolta dalla sabbia ed è stata riportata recentemente alla luce in perfetto stato di conservazione, accanto ad essa sorge l’imponente piattaforma dai lati finemente istoriati a bassorilievo, che veniva utilizzata dai sovrani per comunicare con la popolazione e per assistere alle parate militari.
Una visita accurata di Hampi, richiederebbe diversi giorni, avendo meno tempo a disposizione, è possibile farsi un’idea complessiva della città, spostandosi con vetture private oppure percorrendo in bicicletta gli appositi sentieri , utilizzando il servizio di pulmini elettrici e sperimentando i “basket boats”, una sorta di piccole barche rotonde di giunco, che trasportano al massimo due passeggeri, oltre al rematore, che si destreggia abilmente con un’unica pagaia sul fiume Thungabadra, che attraversa la città.
La nostra esplorazione è durata solo un giorno ed è stata piuttosto impegnativa anche per le temperature che superano i 30° alle 9 del mattino, già all’inizio di febbraio. Fortunatamente nelle ore più calde è possibile ripararsi nella veranda ombreggiata e ben ventilata di un ristorante- bar che offre oltre ad un self-service di cibi indiani, la possibilità di dissetarsi e di usufruire di servizi accettabilmante puliti.
Ce ne andiamo malvolentieri e rivolgiamo una preghiera ad Hanuman, il dio scimmia sovrano di questa regione chiamata un tempo il “Kishkinda”, affinchè accolga la nostra richiesta di tornare a rivedere la città.