Navigando nell’Egeo
Il debole vento, sempre da ovest, trasporta nubi sfioccate che nel corso delle ore lasciano il posto ad ampi spazi di azzurro. Siamo partiti con comodo dopo le altre barche che si sono sparse in direzioni diverse. Così sono i fugaci incontri di mare. A sera i velieri si concentrano nelle baie, negli approdi, nei porti. Provengono da altre baie, altri approdi e porti percorrendo rotte convergenti. Gli occupanti si scambiano qualche gesto di saluto nel passare accanto a chi già è ancorato. Più tardi, all’immancabile taverna, ci si incontra e si familiarizza un po’; ci si scambia qualche informazione sulle rotte e sulle isole visitate e ci si lascia per rientrare in barca a dormire. Al mattino seguente si ripetono i gesti con qualche sorriso in più per via della conoscenza fatta ed ognuno riprende la sua rotta, senza vincoli. Liberi, ciascuno, di inoltrarsi nel proprio azzurro. Le vele si allontanano le une dalle altre finchè si è nuovamente soli per ore o giorni. E questa solitudine che solo i grandi spazi possono dare, siano essi di acqua, o di sabbia o di rocce è la ragione per cui si parte. E’ una solitudine vera e preziosa cui aneliamo nella frenesia della vita di tutti i giorni, ma in fondo all’anima, nonostante tutto, ci rende vagamente inquieti. Per questo ogni incontro è gradito e salutato, tanto più se è fugace. Navighiamo a vela e motore perché il vento resta debole per tutto il giorno. Lasciando sulla nostra destra l’isola di Kinos si profila già la sagoma di Amorgos. La costa a nord-est dell’isola è alta e accoglie profonde insenature nelle quali entriamo per goderne la solitaria bellezza. L’acqua profonda è carica di blu. Non una casa, ma solo il lontano scampanellio delle capre che vagano sulla costiera. Secoli di invano lavoro di braccia hanno tentato di spietrare aridi e scoscesi campi allineando innumerevoli di sassi lungo i confini. Non c’è nulla che possa meglio testimoniare la povertà della vita di quei contadini di questo immenso reticolo di confini che racchiudono la misera e faticata terra che oggi nessuno più ama e lavora. Dietro un promontorio, finalmente, appare la baia sul fondo della quale c’è l’approdo, Katapola. Il paesino non ha una vero porto dal momento che la stessa conformazione dell’insenatura è sufficiente a proteggere le barche le quali attraccano alla banchina distesa lungo le case e i negozi e le taverne.
Ci sono una diecina di sloop. Amorgos non è frequentata da molti turisti, non vi arrivano navi di linea, non ha molto da offrire a chi vi cerca ciò che è abituato ad avere a casa. Pochi negozi di generi essenziali, niente souvenirs, niente locali da divertimento. Solo alcune taverne, un caffè alcune modeste pensioni. Il luogo è genuino, con le sue piazzette ombreggiate da qualche albero, i tavolini semplici, le sedie dipinte in attesa dei clienti. Prima di cenare passeggiamo per vicoli solitari alla scoperta di angoli suggestivi. Il bianco gessoso delle case serve da sfondo ai colori accesi delle porte e delle finestre. I greci hanno un senso profondo del colore e riescono a dare ad oggetti modesti il dono della bellezza semplice e pura. Un vaso, una seggiola vivacemente dipinti di blu davanti ad una parte a calce trascendono dalla loro consistenza fisica per sublimarsi al livello di un’opera d’arte.
La bandiera greca ha rubato ai colori di questa terra e di questo mare il bianco ed l’azzurro per farne i propri colori. Guardandola sventolare nel vento vediamo in lei le Cicladi e l’Egeo, il mare biancheggiante di spuma, la croce delle sue piccole chiese sparse dovunque.
Ceniamo, Gino ed io, in una modesta taverna sul molo assieme ad altri equipaggi, facendo il programma per domani. Andremo con i motorini sull’altra sponda dell’isola a visitare il famoso monastero . Io già ci sono stato con Marzia, ma ho piacere di tornarci per godere nuovamente della bellezza del panorama che si apre ad ogni curva della strada e per lasciarmi nuovamente meravigliare da questa insolita costruzione..