Natale tra New York, Florida e Lousiana
Abbiamo speso circa 5700€ in due tutto incluso Venezia, 18 dicembre 2004: ci siamo, un’altra volta a Venezia, un’altra volta in partenza per gli States. E’ passato poco piú di un anno dal nostro ultimo viaggio negli Stati Uniti, ed é la terza volta che ci andiamo: ormai dovremmo essere dei veterani dei viaggi “on the road“, ma l’emozione della partenza c’é ancora.
Lasciamo l’auto al parcheggio Brusutti, (molto più economico di quello dell’aereoporto), e saliamo sul pullmino che ci porterà in qualche minuto al terminal di imbarco. Sbrighiamo le formalità doganali e di sicurezza e alle 11.00 saliamo sull’aereo. Partiamo con un po’ di ritardo ma viaggio fino a New York passa veloce, e alle 16.00 ora locale atterriamo a JFK. Siamo nella Grande Mela! Grossa sorpresa al controllo immigrazione, non ci mettono più di dieci minuti per farci passare, ma in compenso aspettiamo un’ora per ritirare i bagagli! Per entrare immediatamente nell’atmosfera newyorkese vorremmo spostarci dal JFK a Manhattan con l’autobus, ma dopo un paio di giri a vuoto alla ricerca della fermata giusta e dopo aver visto le espressioni fra il sorpreso e l’allarmato dei ragazzi al banco dove abbiamo chiesto delle informazioni in merito, decidiamo di prendere la Metro. Dal terminal 4 arriviamo a Jamaica Station con l’ Air Train (5 dollari), e da lí proseguiamo con la linea E della metropolitana (3 dollari) fino a Times Square. Usciamo dalla stazione del metró, e scopriamo che il nostro albergo – il Milford Plaza – si trova a pochi metri di distanza, e a due passi da Times Square.
Lasciamo le valige in camera, e qui abbiamo la prima sorpresa della vacanza: la stanza é veramente piccola e squallida, siamo esattamente sul lato strada e il letto é un „double“, cioè poco più grande di una piazza e mezza. Siamo impazienti di scendere per le strade, ma ci riserviamo di protestare…
Una volta fuori, veniamo avvolti dal turbine di suoni, odori e colori di Times Square: le insegne luminose, i maxischermi sui quali scorrono continuamente immagini, i tombini fumanti, i taxi rigorosamente gialli, i venditori di hot dog e nocciole caramellate… E soprattutto tanta gente, in continuo movimento. La temperatura é quasi gradevole e noi, che eravamo stati qui nel 2000 sempre in dicembre e avevamo trovato temperature polari, siamo quasi increduli di poter uscire senza berretto… Gironzoliamo un po’, ma il fuso orario e la stanchezza del viaggio iniziano a farsi sentire: cena indiana al Jewel of India, (buono e speziato, ma non troppo piccante) e rientriamo.
19.12.04: New York Ci svegliamo presto, e alle 8.00 siamo già fuori: scendiamo alla fermata del metró e facciamo la Metrocard unlimited: costa 7 $ e permette di viaggiare in autobus e metropolitana senza limitazioni per tutta la giornata – é indispensabile se si vogliono vedere diverse zone di Manhattan senza sottoporsi a marce forzate.
Prendiamo l’autobus fino all’Empire State Building, le strade sono quasi vuote anche se sono quasi le nove, ma in fondo é domenica mattina. Facciamo colazione allo Starbucks proprio sotto l’Empire, e dopo averlo ammirato dal basso (ci siamo saliti la volta scorsa e la coda é già bella lunga), riprendiamo l’autobus e scendiamo a Chelsea: visitiamo il mercatino dell’usato che si svolge qui ogni domenica, in un garage che viene svuotato dalle auto per l’occasione e riempito di decine di bancarelle con quella che a noi sembra per lo più paccottiglia varia, ma interessante.
Chelsea é un quartiere molto bello, fatto di edifici bassi e vecchio stile con portoni d’ingresso massicci in cima a quattro-cinque gradini coi corrimano in ferro battuto; la guida dice che dovrebbero esserci vari locali e negozietti, peccato che sia tutto chiuso. Alle 11.00 ci fermiamo in una tavola calda per il brunch: uova fritte, pancetta e omelette di funghi e formaggio ci sazieranno fino a sera. Prendiamo di nuovo l’autobus, col quale percorriamo Madison Avenue lungo la quale ci sono tante boutiques di lusso, in particolare di stilisti italiani. Scendiamo sulla 89th Street, ammiriamo il Guggenheim Museum (solo l’atrio e l’esterno) e il reservoire di Central Park, che veniva descritto come irrinunciabile dalla nostra guida di New York ma in realtá, forse perché era inverno, é stato abbastanza deludente: si tratta di un laghetto di 1,5 miglia di circonferenza, attorno al quale si ritrovano i joggers – in effetti ce n’erano tanti, di tutte le età. Riprendiamo l’autobus e ci dirigiamo di nuovo verso la 5th Street, con l’idea di fare un giro per negozi: vorremmo entrare da Fao Schwarz, meraviglioso negozio di giocattoli che é stato chiuso per diverso tempo, ma c’é una lunga fila di persone che aspettano di entrare e rinunciamo (abbiamo visto spesso persone in fila davanti ai negozi!). Camminiamo fino a Grand Central Station, il cui interno é stato rinnovato di recente ed é davvero molto bello, ci sono tanti negozi e piccoli bar dove bere un caffé (molto leggero…) e mangiare qualcosa. A cena andiamo nel Greenwich Village, il ristorante si chiama Moustache, cucina libanese cosí cosí e atmosfera informale.
Quando usciamo la temperatura si é drasticamente abbassata, soffia un vento gelido e nevica; rinunciamo quindi al giretto a caccia di localini che volevamo fare e rientriamo in albergo. La stanza che ci hanno assegnato dopo le nostre proteste di stamattina é decisamente migliore! 19.12.04: New York Ci svegliamo presto, e il canale meteo ci informa che a causa di una corrente artica ci sono –7°C con raffiche di vento a -20°C (tramontano le speranze di visitare NY con una temperatura sopportabile…). Ciò nonostante, ci bardiamo per bene e usciamo. In metropolitana raggiungiamo Lower Manhattan e il Financial Center; facciamo un giretto sul Pier 17 che é un molo con una specie di centro commerciale pieno di negozi di sciocchezze piuttosto costose (notevole quello di decorazioni natalizie – chissà che cosa vende nel resto dell’anno, le palline in vetro soffiato erano bellissime…), dal quale si gode una meravigliosa vista sul ponte di Brooklin e sull’Hudson (che era ghiacciato ai bordi…). Dopo un corposa colazione all’americana – uova, bacon e pancakes con sciroppo d’acero e burro – ci rechiamo a visitare il sito dove sorgevano le Twin Towers. Il cratere é davvero impressionante: tutti gli edifici intorno sono in via di ristrutturazione, nonostante siano passati più di tre anni dall’attentato. L’atmosfera però non é macabra come mi aspettavo, anzi si respira un senso di ricostruzione e rinascita. Certo é che rispetto a 4 anni fa l’economia di Manhattan ha subito una forte battuta d’arresto: vediamo perfino dei cartelloni pubblicitari dove il sindaco Bloomberg invita gli investitori ad insediarsi a qui, e in generale non c’é più la sensazione di “stare al centro del mondo“ che mi aveva colpito la prima volta che avevamo visitato New York, quattro anni fa.
Camminiamo verso Little Italy, dove vediamo decine di ristoranti italiani dai nomi pittoreschi, e Chinatown dove ci sono invece moltissime gioiellerie con merce in saldo (?), e poi riprendiamo la metropolitana e torniamo verso Times Square. Fa veramente freddissimo, e ci concediamo una pausa e un caffé a Grand Central Station. Qui vicino c’é il Jewish Market, un supermercato di specialità tutto decorato e ordinato, con la frutta e la verdura impacchettate pezzo per pezzo e un banco di panettoni e pandori di marca italiana (molte peró per noi sconosciute) dai 15$ in su! Cerchiamo di sfuggire al freddo rifugiandoci da Bloomingdale, ma i prezzi sono piuttosto alti e l’affollamento notevole. Rientriamo in albergo e ci prepariamo per la cena. Torniamo al Village, con l’idea di cenare al Jing Fong su Elizabeth St. Come raccomandato dalla nostra guida, che però é chiuso. Andiamo quindi all’Oriental Garden, a pochi metri di distanza, niente di eccezionale ma completamente diverso dal cibo cinese che si mangia in Italia, che in genere ha più o meno sempre lo stesso sapore. Rientriamo in albergo e facciamo i bagagli, domani ci spostiamo verso la Florida.
NOTE: a New York per la colazione abbiamo speso in media sui 10 – 15$, per la cena sui 30$ (in due). Gli alcolici sono molto costosi, minimo 5$ per una birra in bottiglia al ristorante. In compenso l’acqua naturale non si paga e per le bevande analcoliche spesso c’é il free refill – il cameriere passa e riempie il bicchiere quante volte vuoi.
21.12.04 da New-york a Miami Alle 8.40 prendiamo il bus che da Porth Authority ci porterá all’aereoporto di Newark. I biglietti si comprano al terminal anche il giorno prima (noi abbiamo fatto cosí) e il tragitto dura circa 40 minuti. A Newark facciamo il check-in da soli ad uno degli schermi che sono sparsi per tutto l’aereoporto, lasciamo i bagagli al controllo sicurezza e ci imbarchiamo. Il volo dura tre ore, fra bambini mocciosi e urlanti e vecchietti incartapecoriti, ma in un modo o nell’altro arriviamo a Miami. Fra atterraggio, ritiro bagagli e noleggio auto (alla Hertz, 1050$ dei quali 300 sono di sovrapprezzo perché lasceremo la macchina a New Orleans) se ne vanno altre due ore, col risultato che riusciamo a metterci sulla strada per Miami Beach solo alle 17.30. La giornata di trasferimento é una giornata persa. Il nostro albergo é il Tropics in Collins Drive, consigliato caldamente dalla guida Routards per Florida e Louisiana ma decisamente squallido. E´ solo la prima di molte altre volte in cui ci pentiremo di aver dato retta alla Routards, che se é abbastanza attendibile per quanto riguarda le cose da fare e da vedere, dal lato dei giudizi su alberghi e ristoranti é davvero da sconsigliare. Alla reception dell’albergo c’é un ragazzo di Milano che vive a Miami da 5 anni: ci racconta che il giorno prima c’erano 0°C (per la corrente artica che ci perseguiterà per tutta la vacanza), che é la temperatura minima storica mai registrata a Miami ed è pure nevicato; adesso ci saranno 18°C, che a noi dopo i –17°C di New York sembrano caldo tropicale. Quando gli chiediamo un po’ di informazioni su cosa fare e dove andare, con aria da gran figo ci informa che non potevamo trovare posizione migliore, perché “la vita sta tutta qui, non vale la pena di spostarsi da Miami Beach“. Insomma di giorno si sta in spiaggia, di sera in discoteca, MB sembra davvero il paradiso del cazzeggio. Siamo perplessi, e per prima cosa decidiamo di andare a cena. Ci fermiamo al Bayside Mall, subito dopo il ponte che collega MB alla terraferma, e ceniamo al Bubba Gump Shrimps, una catena che avevamo già incontrato a New York. La porzione di gamberi in salsa cajun é enorme ma non eccelsa e il prezzo ci sembra altissimo (56$ per una zuppa e due portate principali in tutto); in realtá ci accorgeremo che la East Coast é piuttosto costosa sia per gli alberghi che per i ristoranti. Rientriamo a Miami Beach e facciamo una passeggiata per Ocean Drive, deserta. Chissà dove sono le/i supermodelle/i stile baywatch, forse é ancora troppo presto. In compenso ci sono molti pensionati che sono qui per svernare al caldo. Camminando lungo la strada arriviamo alla villa che fu di Giovanni Versace, che é l’unica casa privata sulla Ocean Drive: per il resto sono alberghi o guesthouse, e piccoli bar semivuoti di fronte ad alcuni dei quali ballano hostess panterate e supertruccate che ti invitano ad entrare.
Nel complesso la prima impressione di Miami, e ancor più di Miami Beach, é deludente: appena ci si allontana dalla spiaggia le case diventano subito trascurate e in generale, forse perché troppo impressionati dalle descrizioni terroristiche sulla pericolosità della zona che abbiamo letto sulla nostra guida Routards, siamo abbastanza tesi e tendiamo a camminare guardandoci un po’ troppo le spalle…
22.12.04: attraverso Miami – Everglades Natl. Park (da Nord a Sud) C’é un pallido sole, ma le temperature sono troppo basse per la spiaggia, cosí decidiamo di visitare una parte del Everglades National Park. La strada attraverso Miami é lunga e piena di semafori, e non c’é proprio niente degno di nota da vedere: conviene decisamente prendere l’autostrada a pedaggio, riconoscibile dal segnale dove é disegnata in verde la mappa della Florida: costa solo 2$ ma permette di risparmiare molto tempo. Alle Everglades, ci fermiamo alla Alligator Farm solo il tempo di raccogliere qualche depliant, ma non ci interessano ne’ lo spettacolo degli alligatori ammaestrati ne’ il giro in airboat – che tra l’altro é vietato all’interno del parco – e andiamo direttamente all’ingresso, il Royal Palm Visitor Center: il biglietto costa 10$ ed é valido per una settimana. Percorriamo in macchina la strada e ci fermiamo per camminare lungo tutti i piccoli trails che si incontrano andando verso Sud: nel Gumbo Limbo Trail riusciamo a vedere diversi alligatori, che sono cosí immobili che all’inizio pensiamo siano imbalsamati e messi lí per la gioia dei turisti creduloni. Riusciamo a percorrere solo una ventina di metri nella foresta delle mangrovie e poi veniamo assaliti da un vero e proprio sciame di zanzare. Non siamo attrezzati con il repellente e perciò battiamo rapidamente in ritirata, anche se ormai abbiamo già abbondantemente nutrito le piccole vampire. A Flamingo, alla fine della strada percorribile in auto, c’é un sito per campeggiare (tra gli alligatori…) e per il noleggio barche.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo al Prime Outlet a Florida City per un primo assaggio di shopping a prezzi ridotti, poi rientriamo a Miami Beach e andiamo a cena nel Decó District, alla fine di Collins Drive: questa zona é molto animata, con tanti ristoranti e tanta gente che passeggia: ceniamo al Sushi & Thai Lincoln, cucina tailandese semplicemente deliziosa a un prezzo abbordabile (32$ in due). Come sempre, una portata a testa é piú che sufficiente… Passeggiamo un po’ per il Decó District, poi torniamo verso l’albergo lungo Ocean Drive.
23.12.04: da Miami a Key west Partiamo per Key West dopo aver fatto colazione in Ocean Drive: il tempo non é bellissimo ma per lo meno non piove, e siamo pur sempre in maglietta. L’umidità però é altissima. La strada é molto più lunga del previsto (ci vogliono circa 5 ore da Florida City), e la nebbia ci impedisce di godere il panorama mentre percorriamo i ponti che collegano le Keys: siamo abbastanza depressi, facciamo solo una piccolissima sosta per fotografare un cannone col quale gli indiani che abitavano la zona hanno cannoneggiato i bianchi invasori che l’avevano abbandonato lí (un reperto archeologico con tanto di lapide commemorativa, scatoletta di legno piena di depliant e cartello dove viene descritta tutta la storia – se si può dire una cosa degli Americani, é che sono capaci di valorizzare l’aspetto turistico di qualunque cosa), e poi proseguiamo dritti fino a Key West. Qui alloggiamo alla Caribbean House, appena dopo l’ingresso nel caratteristico Bahama Village: la casa é carina e in stile caraibico, la stanza coloratissima, sembra una camera per bambini, ma molto piccola e con il condizionatore che fa un chiasso notevole, tanto che sarà impossibile tenerlo acceso durante la notte. Per fortuna sul soffitto c’é un ventilatore a pale, fa molto stile coloniale e fa girare l’aria, anche se non riesce ad abbattere il tasso di umidità che é intorno al 95%. Usciamo sulla strada, sembra di “respirare acqua“ da tanto é umido. Key West però é bellissima, casette in stile coloniale curatissime e giardini con vegetazione lussureggiante sono ovunque. Il centro é più che altro una grossa trappola per turisti: Key West é meta obbligata delle crociere nei Caraibi, e infatti in porto ci sono due navi che stanno caricando i turisti: una coppia con lei visibilmente ubriaca ci fa ridere mentre scattiamo qualche foto. L’etá media dei passanti é piuttosto alta. Passeggiamo fino a Mallory Square, dove ogni sera si celebra il tramonto, purtroppo é nuvoloso e pioviggina. Ceniamo da Crabby Joe, scelto perché si trova su un balcone che permette di avere una bella visione della strada sottostante, piena di localini e bar. La cena non é niente di eccezionale, ma proprio di fronte al balcone dove siamo c’é un cabaret con uno spettacolo di drag Queen che fa il tutto esaurito, e si riesce a sbirciare un po’. In generale c’é una grande tolleranza dell’omosessualità, anzi sarebbe meglio dire che il problema proprio non si pone.
La vita, qui come in tutta la Florida vista fin’ora, é molto “vita da spiaggia“: gente che pesca dai ponti e dai moli, sabbia e ciabatte, visi cotti dal sole (peccato che noi non l’abbiamo ancora visto…) e in generale un atteggiamento molto rilassato; la differenza tra il pigro scorrere delle giornate nel Sud, e la caotica New York si avverte molto, ma non é sgradevole. Dopo cena facciamo una passeggiata fino al “punto più a Sud degli States“, a sole 80 miglia da Cuba, di fronte al quale troviamo persone che fanno la fila per farsi fotografare. 24.12.04 da Key West a Fort Lauderdale Alle 9.30 lasciamo l’albergo; facciamo un giro in auto per ammirare la casa di Hemingway, dove però non riusciamo a vedere i famosi gatti a sei dita (pioviggina, sarà per questo…), e le altre case in stile coloniale, poi ci muoviamo verso Nord: é spuntato un timido sole e decidiamo di approfittarne, cosí ci fermiamo a Bahia Onda per la nostra prima (e unica) giornata di mare. La spiaggia é veramente deludente: ne avevamo letto su guide e resoconti di viaggio e ci aspettavamo un paradiso, in realtà si tratta di una lunga striscia di sabbia (bianca, questo si) di neanche tre metri di larghezza invasa dalle alghe e dagli arbusti dove riusciamo a fatica a trovare uno spazio grande abbastanza per i nostri due teli. Però l’acqua é trasparente e fresca, facciamo il bagno e vediamo qualche pesce, poi restiamo a poltrire in spiaggia per alcune ore: il risultato é una bella scottatura solare, la crema protettiva é necessaria anche in dicembre e con il cielo velato.
Arriviamo a Fort Lauderdale alle 19.00, e troviamo una stanza da By-Eddie, un motel sulla IS1 gestito da una coppia di canadesi francofoni che vengono in Florida a passare l’inverno. Una notte costa 50$, in media con gli altri motel dove abbiamo soggiornato in Florida Per la verità si tratta di un miniappartamento, i rumori della statale si sentono ma ormai ci abbiamo fatto l’abitudine. Su consiglio del proprietario, andiamo a cena da Alexander, sulla IS1: bisteccona ottima accompagnata da una montagna di puré di patate e da una insalata condita con crema di formaggio (la blue cheese seasoning, ottima) pezzetti di formaggio e crostini di pane fritti, che da sola bastava abbondantemente per il pasto. Non riusciamo a smettere di stupirci di fronte alla quantità di cibo che le persone riescono ad ingurgitare: al tavolo di fronte al nostro c’é un gruppetto di anziani che si mangiano antipasto, primo, secondo con contorno e insalata, e dolce, mentre noi dopo la bistecca (da 400 gr almeno, ed é la porzione piccola) non riusciamo assolutamente a finire né l’insalata né il puré. Sazi da scoppiare ma soddisfatti facciamo un giro in macchina per Fort Lauderdale, dove vediamo bellissime villette ad un solo piano con decorazioni natalizie spettacolari. Fa caldo però, e tutte queste renne e pupazzi di neve gonfiabili sembrano un po’ fuori posto! Torniamo in albergo. La mattina dopo facciamo colazione (inclusa) con caffè e croissant caldi in una specie di giardino con piscina – quasi tutti i motel hanno la piscina anche se non sempre é attraente, visto che di solito si trova a pochi metri dalle trafficatissime Interstate.
25.12.04 Everglades Natl. Park (da Est verso Ovest) – Naples Incredibilmente il sole splende! Arriviamo alle Everglades da Fort Lauderdale seguendo la IS41 in direzione Naples: prendiamo al volo il bus per l’escursione guidata, che vale assolutamente la pena di fare perché si vedono un sacco di cose interessanti e soprattutto alligatori in gran quantità. Durante la sosta a metà percorso ci fermiamo per salire su una torre panoramica alla base della quale c’é quello che a detta del ranger che ci accompagna é l’alligatore più grande del parco: sarà lungo 3 metri e fa abbastanza impressione. Decidiamo di avventurarci in un sentierino nella boscaglia e abbiamo un incontro ravvicinato con uno di questi bestioni che riposa in mezzo al viottolo, e non sembra particolarmente felice di vederci. Facciamo una foto veloce e filiamo via. Per la maggior parte però questi animali se ne stanno fermi al sole e non sembrano particolarmente minacciosi, o forse ce ne sono cosí tanti che ci si abitua presto…
Dal Shark Valley Visitor Center riprendiamo la strada verso Naples, percorrendo la Scenic Drive, che non é particolarmente “scenografica“, un po’ come tutto il paesaggio in Florida – siamo pur sempre in una palude…Lungo la strada comunque vediamo ancora diversi alligatori e tanti procioni investiti dalle auto (una costante sulle Interstate).
Arriviamo a Naples sotto una pioggia torrenziale, e troviamo una stanza allo Spinnaker Inn (trovato con i coupon di sconto), bello e finalmente lontano dalla strada, ma lontanissimo dal centro. Appena spiove un po’ andiamo in macchina fino al centro di Naples. E´ il giorno di Natale ed é quasi tutto chiuso: beviamo qualcosa in un pub in stile irlandese e poi rientriamo. 26.12.04: Naples – Marco Island – Sanibel Ancora brutto tempo, la perturbazione non ci dà un attimo di tregua, ascoltiamo ogni mattina il canale meteo che descrive in toni sempre più apocalittici la situazione – neve dove non nevicava da cent’anni, record negativi di precipitazioni e temperature – ma non ci scoraggiamo e ci dirigiamo verso Marco Island. L’isola é una vera delusione: é praticamente impossibile accedere alla celebrata spiaggia di conchiglie sminuzzate perché praticamente ogni centimetro di costa é di proprietà di hotel o condomini. Da Marco Island però si raggiunge goodland: un pittoresco villaggio di pescatori, forse il posto più “autentico“ e meno patinato che abbiamo visto in tutta la vacanza: pranziamo da Stan’s, uno dei 4 ristoranti / chioschi disponibili a Goodland: cibo scarsino ma atmosfera da telefilm anni ´70, prima di iniziare il pomeriggio danzante suonano l’inno nazionale americano (con chitarre elettriche alla Jimi Hendrix, e cantante) e tutti si alzano e cantano con mano sul cuore ed espressione rapita; noi siamo increduli ma ci alziamo per mimetizzarci alla folla.
Lasciamo Goodland per dirigerci verso Sanibel Island; il tempo é brutto e fa anche molto freddo, ma andiamo lo stesso in spiaggia a raccogliere conchiglie. Passeggiando sul bagnasciuga vediamo un paguro e vari molluschi di un vivido color arancione, tutti più grandi di una mano. A Sanibel c’é anche un parco naturale ma non entriamo perché all’ufficio informazioni ci dicono che non si vedono molti animali. In serata rientriamo a Naples, facciamo il bucato alla lavanderia a gettone e andiamo a cena al Red Lobster dove mangiamo naturalmente aragosta. Anche stanotte dormiamo allo Spinnaker Inn. Wheater channel ci informa che con domani il tempo dovrebbe migliorare, speriamo bene.
27.12.04: da Naples – Sarasota – Tampa Wheater Channel aveva ragione, il sole splende! Partiamo tardi e andiamo verso Sarasota: pranziamo in un tipico diner con pesce fritto e patatine, poi andiamo a visitare il MOTE institute che é un acquario al quale é collegato un centro di ricerca; qui vediamo uno dei tre calamari giganti ritrovati al mondo. E’ in una soluzione idroalcolica per evitare la decomposizione, è lungo 18 metri e fa veramente impressione. C’erano anche squali, testuggini e altri pesci, ma il vero motivo per cui siamo venuti qui, sono i lamantini, grassi e pacifici mammiferi marini vegetariani: al MOTE ce ne sono due, che sono stati trovati feriti dall’elica di qualche motoscafo, curati e accuditi. Ci dicono che in acquario li nutrono con un centinaio di piante di lattuga al giorno.
Dal centro di Sarasota é facile arrivare alle isole che si trovano davanti alla costa, Key Largo, Longboat Key e Annamaria Island. In quest’ultima ci fermiamo a vedere il tramonto da un pontile, ci sono tante altre persone compresi un paio di pescatori, il tramonto é molto bello ma la cosa più bella é la spiaggia, sembra una enorme distesa di sale grezzo. Peccato che faccia di nuovo freddissimo. Facendo un giro per l’isola incontriamo spesso zone che portano evidenti segni della furia degli uragani che si sono abbattuti su quest’area in autunno. Proviamo a cercare un motel ma sono tutti troppo costosi, cosí torniamo sulla terraferma e ci dirigiamo verso Tampa. Una volta arrivati, impazziamo per un’ora nel tentativo di districarci nella viabilitá e altrettanto per trovare un posto dove cenare. Alla ricerca di un ristorante facciamo un giro per Ibor City ma é tutto chiuso e non c’é nessuno in giro, se non qualche raro turista spaesato quanto noi. Alla fine, stanchi e delusi, ripieghiamo su un KFC sulla Interstate.
28.12.04: Tampa – Lakeland – Crystal River Visitiamo Ibor City in mattinata, ma é tutto deserto – la maggior parte dei negozi aprono alle 13.00. E´ un peccato che sia cosí desolata, perché gli edifici sono bellissimi e tutto sembra molto ben curato. Le strade intorno al piccolo centro però sono piuttosto squallide e danno l’impressione di una periferia degradata. Acquistiamo una confezione di sigari in un negozio locale, vengono dal Nicaragua e il proprietario ci dice che ormai pochissimi vengono prodotti nelle manifatture di Tampa. Lasciamo Ibor City e ci dirigiamo verso Lakeland, una cittadina nell’interno in una zona ricca di piccoli laghetti: siamo qui per visitare il College locale, famoso perché tutti gli edifici sono stati disegnati da Frank Lloyd Wright o dai suoi studenti; trascorriamo qualche ora girando per il college, ammirando le costruzioni che sono davvero innovative anche per noi che non siamo particolarmente esperti di architettura.
Raggiungiamo Crystal River in serata, e con qualche difficoltà troviamo una stanza all’EconoLodge Motel (54$, il più economico!), e andiamo a cena al Charlie Grill and Seafood, con una porzione gigante di pesce cotto a vapore e poi grigliato, con ottime capesante.
Concludiamo la serata dando qualche tiro a uno dei sigari nicaraguensi che abbiamo comprato a Tampa, sono solo le 21.00 ma non c’é in giro nessuno né alcun locale aperto oltre ai ristoranti, perciò rientriamo in albergo.
29.12.04: verso la Louisiana: trasferimento da Crystal River a Ponchatoula Al mattino raggiungiamo il Manatee Marine State Park, per vedere dei lamantini in libertà, ma la ranger all’ingresso ci dice che non ce ne sono al momento, in cambio vediamo una lontra e le facciamo qualche foto. Rinunciamo alla visita del parco e ci dirigiamo verso New Orleans. Arriviamo a Ponchatoula, sperduto paesotto sulla Interstate, e troviamo una stanza al Day’s Inn, motel molto rumoroso.
30.12.04: Arrivo a New Orleans Viaggiamo da Ponchatoula a New Orleans seguendo una statale che ci porta dritti nel Bayou, la zona paludosa nella quale si insediarono i canadesi francofoni in fuga dalla persecuzione inglese a metà del 1700. La nostra idea era di immergerci totalmente nell’America rurale, ma non troviamo nessun posto aperto per fare colazione, la strada sarebbe un buon set per un film sul genere di “Un tranquillo week-end di paura“ e le case sono costruite a bordo palude, talvolta persino su palafitte. Sono quasi tutte di legno e nel complesso piuttosto misere, anche qui comunque non mancano le ville in muratura con colonne di marmo e con laghetto (spesso artificiale) di fronte – deve essere molto chic avere il laghetto di fronte a casa, naturale o artificiale che sia: ce l’hanno tutti.
Lungo la strada riusciamo a vedere e fotografare un armadillo, che bruca pacificamente qualcosa a bordo strada. Ci fermiamo al Tangere Outlet di New Orleans, deludente sia per le dimensioni che per la qualitá della merce esposta (caldamente raccomandata una sosta al Saw Grass Outlet a Fort Lauderdale, che noi abbiamo saltato…), però scopriamo la catena Cracker Barrel per la colazione, ottima e abbondante. Arriviamo a New Orleans verso le 15.00; il nostro albergo é il Ramada Inn & Suite (prenotato via Internet dall’Italia) si trova in Gravier Street, poco lontano dal French Quarter: siamo un po’ preoccupati perché ci é stato sconsigliato da più parti di avventurarci a piedi fuori dal FQ, ma appena lo raggiungiamo, ci ricrediamo subito: i 5 minuti di cammino valgono assolutamente la pena, perché nella zona attorno a Bourbon Street c’é il delirio già nel pomeriggio, e di sera é ancora peggio. Quasi tutte le case lungo Bourbon St. Ospitano dei ristoranti o bar, e hanno dei bellissimi balconi con balaustre in ferro battuto dai quali si vede bene tutto quello che succede nella via sottostante. Dopo una piccola attesa (10-15 minuti) riusciamo ad avere un tavolo su un balcone e ceniamo fuori con Gumbo e Jambalaja: al tavolo accanto al nostro c’é un gruppetto di ragazzi evidentemente alticci, che chiamano e fischiano alle ragazze (di tutte le etá…) che passano di sotto: questa é una tradizione della notte di New Orleans, stare sui balconi e lanciare collanine di plastica comprate per l’occasione a fanciulle che in cambio, rese compiacenti da qualche drink di troppo oppure dall’atmosfera goliardica, si tirano sù la maglia e mostrano le tette senza problemi. Dopo cena scendiamo in strada e camminiamo un po’, la folla é notevole ma é tutto molto allegro: la musica esce da ogni buco, ad ogni angolo ci sono persone che suonano (e come suonano!), ed è pieno di locali dove c’é musica dal vivo che si può ascoltare stando discretamente davanti agli ingressi.
Il tasso alcolico della gente é piuttosto alto; vanno di moda dei drinks chiamati „Hand granade“ serviti in bicchieri di plastica verdi a forma di bomba a mano. Tutti ne hanno uno, e ci sono tanti bicchieri abbandonati in giro. Anche qui però gli alcolici sono molto costosi, quasi tutti i locali fanno happy hour (due per uno, o anche tre per uno) dalle 16.00 alle 19.00, e di conseguenza tutti sono assolutamente ubriachi già nel tardo pomeriggio. Dopo una cert’ora diventano noiosi. Passeggiando vediamo uno dei nostri vicini di tavolo che letteralmente sviene in preda ai fumi dell’alcool tra le braccia di un amico. 31.12.04 New Orleans Dedichiamo la mattinata a gironzolare per il French Quarter: l’odore prevalente é quello dei resti della sbornia del giorno prima, però é tutto abbastanza pulito. Arriviamo fino a Jackson Square, dove ci sono diversi banchetti di persone che leggono la mano, la sfera di cristallo, i fondi del caffè e tutto quello che é possibile leggere per prevedere il futuro, sono molto pittoreschi.
Raggiungiamo infine il French Market, tante bancarelle con paccottiglia assortita, dalle borsette di marca taroccate ai quadri ai gioielli d’argento, e ovviamente cibo in tutte le forme. Pranziamo al French Market Restaurant, proprio di fronte al mercato, con un enorme vassoio di gamberi di fiume (crawfish) super speziati. Passeggiamo ancora un po’ ammirando gli edifici e il lungofiume, poi rientriamo a prepararci per stasera. Quando usciamo, pioviggina! La perturbazione non ci dá tregua, ma non ci facciamo di sicuro intimidire da un po’ di pioggia. Raggiungiamo il ristorante (lo stesso del pranzo, diventeremo dei veri aficionados di quel posto) e facciamo una ottima cena di S. Silvestro con granchio fritto (non eccezionale) ostriche, aragosta e gamberi al vapore, deliziosi. Verso le 22.30 raggiungiamo Bourbon Street, dove c’é un caos totale e non si riesce quasi a muoversi dalla folla. Riceviamo ancora qualche collanina e poi torniamo lungo il Mississippi: lo spettacolo di fuochi artificiali é saltato a causa della pioggia e della nebbia, ma i festeggiamenti sono comunque in pieno svolgimento: solo che per festeggiare gli Americani strillano come pazzi e qualsiasi bar é pieno da scoppiare. Quasi tutti sono molto ubriachi e tendono a prendersi un po’ troppa confidenza. Facciamo ancora un paio di “vasche“ e poi rientriamo.
1.01.05: New Orleans Oggi avremmo voluto visitare le Plantations, ma é tutto chiuso! Passiamo in auto davanti alle tre più vicine a New Orleans, poi decidiamo di tornare in città e di fare ancora un giretto. Mangiamo il tanto decantato Po-boy ma ne restiamo veramente delusi, e non è colpa del ristorante crediamo, perché lo abbiamo provato anche qualche giorno dopo con il medesimo risultato. Ciondoliamo ancora per Bourbon Street (già in preda al delirio e sono solo le 4 di pomeriggio), poi ripartiamo in direzione Gulfport. Con i Coupon troviamo un motel (Regency Inn), sulla strada come quasi tutti quelli dove abbiamo soggiornato (benedetti tappi per le orecchie…) e ceniamo in una steak house a pochi km di distanza (ottima bisteccona e come al solito porzoni formato gigante).
2.01.05: New Orleans In mattinata facciamo una piccola passeggiata sulla spiaggia di Gulfport, magnifica, di sabbia bianca e molto grande. Poi ci rechiamo all’outlet di Gulfport, dove facciamo ancora spese e alla fine ci rassegnamo a comprare una nuova valigia. Scopriamo che l’outlet era aperto anche il 1 gennaio, peccato non averne approfittato ieri, che in fondo é stata una giornata praticamente persa.
Fatte le ultime spese, torniamo a New Orleans e troviamo una stanza al Best Western Landmark, fuori dal centro ma la zona é tranquilla.
Torniamo nel French Quarter, ma visto che domani c’é la finale del Sugarbowl, un torneo di football dei college, c’é una folla di tifosi di tutte le eta che inneggiano agli Auburn Tigers (quasi tutti) o ai Virginia Tech. E´ davvero strano vedere tutte queste persone – anche adulti! – esaltarsi tanto per un torneo studentesco; le tifoserie avversarie però sono assolutamente civili e amichevoli l’una con l’altra, e colpisce che una cosa del genere é del tutto estranea al modo di vivere lo sport da noi, penso soprattutto al calcio: posso solo immaginare cosa succederebbe in Italia se ad incontrarsi fossero due squadre di calcio di una serie qualsiasi…
3.01.05: Le plantations – New Orleans In mattinata arriviamo alla Laura’s Plantation: l’edificio principale é andato quasi distrutto da un incendio pochi mesi fa (la sfiga ci perseguita) ma possiamo lo stesso vedere il resto della piantagione. Si tratta di una piantagione creola, cioè francese, che differisce da quelle americane perché i tenutari (la famiglia Locul) non vi abitavano; la residenza principale era a New Orleans, e questo era il loro ufficio, perciò non avremmo potuto comunque vedere tende di broccato e candelabri d’argento – almeno cosí ci dice la signora all’ingresso. La visita guidata costa 10$ a testa ed é obbligatoria se si vuole entrare: dura circa un’ora, e prevede un giro nei quartieri degli schiavi, sulle cui misere condizioni di vita però non viene spesa neanche una parola, e un lungo racconto sulla genealogia della famiglia di Laura Locul. A tre miglia verso Ovest rispetto a Laura’s vediamo da fuori la piantagione di Oak Alley; non era citata sulla guida Routards, ma tutto sommato avremmo fatto meglio a venire a visitare questa: l’edificio é perfetto e sbirciando da lontano vediamo che qui ci sono veramente tende e candelabri degni di Via col vento! (di nuovo, grazie Routards…). Non abbiamo voglia di un’altra ora di visita guidata, perciò torniamo a New Orleans. Bourbon Street e tutto il French Quarter sono stranamente tranquilli, tutti sono a prepararsi per vedere la partita o già allo stadio, cosí ci concediamo una passeggiata finalmente tranquilla prima di cena. Lungo la Decatur troviamo una manifattura di sigari, dove compriamo un sigaro alla vaniglia decisamente più buono di quelli che abbiamo preso a Ibor City! Lungo la strada del ritorno, veniamo fermati e multati da una zelante pattuglia della Stradale locale, che dopo aver impiegato 20 minuti a decifrare la patente italiana ci scrive il verbale senza però specificare a quanto ammonta la multa. Era molto salata, ma questo lo avremmo scoperto solo una volta a casa. Rientrati in albergo, impieghiamo più di un’ora a sistemare i bagagli, e nel frattempo riusciamo anche a vedere gli ultimi minuti della finale del Sugarbowl, vinta dagli Auburn Tigers che le hanno suonate ai Virginia Tech fino a pochi minuti dalla fine. Domani si torna a casa! NOTE: Prima che partissimo un caro amico ci aveva detto: cosa andate a fare in Florida se non siete ricchissimi e vecchi? Un tantino esagerato, ma forse non del tutto lontano dalla verità, la Florida e anche la Louisiana nel periodo natalizio sono piuttosto costose: difficilmente si trovano motel a meno di 50$ a stanza e per mangiare nei ristoranti si spendono sempre dai 20 ai 35$ in due, mancia compresa. Nei diners a pranzo costa un po’ meno.
La colazione conviene farla al sacco, anche per non perdere tempo: noi spesso compravamo latte al cioccolato e biscotti nelle Pharmacy, che sono aperte sempre, 24 ore su 24 e dove si trovano medicine, cosmetici, giornali, bibite e cibo confezionato. Sono assolutamente da vedere, anche perché molti farmaci hanno un prezzo ridicolo rispetto all’Italia (ad esempio 500 compresse di aspirina costavano 5$ a Miami) e si trovano anche prodotti che da noi non ci sono.
Nei giorni festivi, nel nostro caso 25/12 e 1/1, al di fuori dei grandi centri (e alle volte anche lí) é tutto assolutamente chiuso, non solo i negozi ma anche bar e ristoranti. I vari MacDonald, BurgerKing, KFC eccetera, e ovviamente i motel, invece sono sempre aperti.
Solo una parola sulle guide: non ci siamo trovati per niente bene con la guida Routards per Florida e Louisiana (se non si era ancora capito…); invece per New York abbiamo trovato un ottimo resoconto in rete, “7 giorni a New York con Penelope“, aggiornato e pieno di indirizzi e curiosità ) Ciao a tutti