Namibia il paese dei contrasti
Ci dobbiamo affrettare, pero’ via Internet abbiamo prenotato il soggiorno ad Okonjima, e ci attendono per il pranzo. Okonjima e’ la famosa farm sede dell’ Africat foundation, che ha come scopo la “rieducazione alla caccia selvatica” dei ghepardi che attaccano animali da e in allevamento. Prendiamo cosi’ la B1, una delle poche strade asfaltate, e ci dirigiamo a nord, e dopo ca. 250 km dobbiamo prendere la D2515, ora privata, e percorrere ca. 30 km in uno sterrato abbastanza “movimentato”, cosi’ abbiamo subito idea di cosa ci aspetterà nei prossimi giorni…E arriviamo in paradiso… Il posto e’ fantastico, la reception ha il tetto spiovente di canne e qui si consumano i desinari, e dopo cena si discute degli avvistamenti a fronte, davanti ad un bel fuoco con una birra fresca. Davanti alla reception un giardino che porta alle camere, ognuna arredata in maniera diversa, con oggetti e suppellettili locali. Tutto ciò costa caro, ovviamente, 200 dollari USA, più di 400 mila lire) a testa, ma tutto compreso. E’ -francamente- eccessivo, visti (in seguito) i costi medi. Ma la fortuna di questo posto e’ di essere su tutte le edizioni della guida Lonely Planet, cosi’ chi viene in Namibia passa “per forza” da Okonjima. Comunque, consumata il pranzo, ed il caffè alle 15 ci prelevano per l’ escursione con una jeep attrezzata. Cercheremo di vedere il leopardo, ma non e’ affatto certo. Fa caldo, ed e’ molto secco, e abbiamo problemi al naso. La nostra guida parla molto, ovviamente dell’ Africat, della sua storia, dei suoi scopi, ma noi vorremmo vedere il leopardo, in verità. Siamo rimasti, infatti 2 ore, assolutamente immobili, senza poter parlare e/o muoverci “rumorosamente” in questo capanno nella vana attesa del suo arrivo, ma il leopardo non si e’ fatto vedere. Dal capanno alla jeep bisogna fare attenzione. La distanza e’ piccola ma si e’ in balia (relativa) delle fiere. Se, infatti vi accorgete che state passando a fianco (che puo’ succedere) di un leopardo o di un ghepardo NON guardateli negli occhi, anzi meglio se non li guardate affatto… Possono attaccarvi. Nel nostro gruppo, oltre ad alcune “cariatidi”, ci sono Cri&Cri (Cristiano e Cristina), simpaticissimi ragazzi di Biella con cui ci facciamo un sacco di risate. Appena rientrati veniamo accolti da un caracul, e da un facocero, disteso la’ dove dovremmo accendere il fuoco… La cena e’ eccellente e il dopo cena elettrizzante: ci porteranno in un altro capanno dove avvisteremo istrici, un altro caracul ed uno sciacallo. Andiamo a letto presto coccolati dal ruggito del leone.
Infatti sono proprio 2 leoni dalla criniera nera che ci fanno compagnia a colazione (22 agosto), consumata su una terrazza con vista infinita sul bush. Sono le 7, ed il safari prosegue alla caccia (fotografica, ovviamente) delle cheetas (ghepardi). Beh, sono li’ che ci aspettano al cancello e con un po’ di preoccupazione (la jeep e’ scoperta) entriamo nel recinto (di alcuni km quadrati). Sono affamate, ma anche molto nervose, e la nostra guida non si fida a farle salire sul cofano della jeep (noi ne siamo contentissimi…), che dovrebbe essere il clou dell’ escursione. Dopo aver cibato i ghepardi faremo un altro tentativo (in un altro capanno) per avvistare il leopardo. E d’ astuzia ci riusciremo. E’ infatti solo dopo aver mandato l’ autista a fare un giro con la jeep che il leopardo (nascosto a pochi metri) salta fuori… Ed eravamo in immobile attesa da ca. 40 minuti! E’ un soggetto splendido, e si fa ammirare abbastanza. Purtroppo non possiamo fotografarlo: il benché minimo rumore (schiarirsi la gola, anche a metri di distanza) lo fa scappare.
Dopo un brunch sostanzioso prepariamo i bagagli, e’ tempo di partire. Cosi, alle 10, dopo aver salutato Cri&Cri, ci dirigiamo verso Nord-Ovest. Superiamo Otjiwarongo, Outjo e Khorixas. Lungo la strada principale, piccoli paesi abitati da neri, tutti in case dignitose, come dignitoso e’ il loro comportamento. Da qui finisce la strada asfaltata, ma lo sterrato all’ inizio e’ facilmente percorribile. Dopo aver tentato di prenotare al Vingerklip Lodge (dal nome dell’omonimo “scherzo della natura”), che era pieno, decidiamo di telefonare al Twifelfontein lodge, un nuovo lodge (settembre 2000) che non sappiamo come sia, ma sappiamo che la zona e’ molto interessante per le pitture rupestri. Dopo una 40ina di km di sterrato facile comincia una sofferenza che terminerà dopo oltre 60 km, e due ore di viaggio… Ma dal nulla appare un paradiso. Una struttura completamente mimetizzata nell’ ambiente circostante, con le classiche coperture in canna, si apre alla vista. Claus Otto, uno dei proprietari, di chiarissime origine tedesche, si presenta, e ci invita a gustare qualcosa per toglierci la polvere del viaggio. La camera -poi- e’ splendida. Peccato che sia pieno di italiani, ma almeno sono poco riconoscibili. Dopo aver fatto un giretto nei dintorni (che silenzio!!!!) ci tuffiamo nel buffet, ricco e caratteristico. Sazi e contenti chiudiamo la serata con un altro giretto nel buio (quasi) totale rimirando le stelle.
24 agosto, Twifelfontein > Cape Cross > Hentiesbaai > Walvis Bay (Tour al Sandwich Harbour): ci svegliamo prestissimo (23 agosto), alle 6.30, ma d’altra parte, andando a letto alle 21 e 30…Strana atmosfera, il deserto… Il nulla ti accoglie in silenzio e piano piano ti offre le bellezze che la natura ha creato nel tempo. Cosi’ visitiamo queste pitture rupestri, opera dell’ uomo, in verità, accompagnati da una ragazza, attraverso un percorso che vede solo lei, e spesso si ferma a mostrarci i disegni che hanno centinaia di anni. La visita e’ piuttosto faticosa, non ci sono scale, ringhiere o altro, e si sale e si scende senza la minima protezione. Usciti indenni da questa avventura, ci dirigiamo verso la Burnt Montain, di trascurabile interesse, e, dopo aver consumato la cartina alla ricerca di una strada decente, ci rendiamo conto che ci aspettano centinaia di chilometri di sterrato. Dopo 150 km, dunque, il primo paesino, Uis, dove facciamo rifornimento, e poi ripartiamo, attraverso un paesaggio che, a mano a mano ci avviciniamo al mare, diventa lunare. Passati altri 100 km di sterrato (abbastanza) facile, arriviamo ad un bivio.
E’ una cosa su cui sono impazzito. Tu fai centinaia di chilometri e arrivi ad un bivio a “T” senza trovare nulla. E a sinistra una decina di km prima di arrivare ad un abitato, a destra uguale, se non peggio. Ci capiterà spesso. Comunque giriamo a sinistra, ed arriviamo ad Hentiesbaai, trovando un bell’ albergo, dove soggiorneremo. E poi via, verso la Skeleton coast (costa degli scheletri, per gli innumerevoli naufragi). Ad una 70ina di chilometri la nostra tappa: Cape Cross. L’ obbiettivo e’ vedere le foche, ma mai e poi mai avremmo immaginato uno spettacolo del genere! Migliaia di foche a pochi centimetri, e anche lungo il percorso pedonale… I piccoli vocianti alla ricerca della madre, con una puzza micidiale che al ritorno abbiamo dovuto lavare tutto…Oltre Cape Cross come strutture non c’e’ quasi nulla, a parte qualche capanno di pescatore senza servizi. Meriterebbe certo un paio di giorni (specie Terrace Bay) per chi ama la pesca, soprattutto, e per chi ama l’avventura (vera). Cosi’ torniamo al nostro hotel, e consumiamo la cena in albergo, e a dispetto delle apparenze, e’ ottima, a base di pesce, e di poco prezzo. Stamattina (24 agosto) ci svegliamo con calma, alle 7 e 30, perché faremo pochi chilometri. Oltretutto questo tratto e’ asfaltato, quindi veloce. Arriviamo dunque a Swakopmund, una città deliziosa costruita nel deserto e sul mare. Una citta’ pulitissima e piena di fiori e piante, sembra appena costruita, ma comunque piena di gente e dall’aspetto molto “vitale”. Molte case sono in stile bavarese, basse e con il tetto spiovente, che qui non si capisce che uso possa avere (in Germania impediscono alla neve di rimanere sul tetto e di sfondarlo, in sostanza). Posteggiata l’ auto ci aggiriamo per il centro, e ammiriamo i negozi, e un mall con negozi turistici senza pacchianate, ma oggetti molto artigianali e “veri”. Gironzolando rincontriamo i nostri amici di Verona, e ci scambiamo impressioni. Ripartiamo e arriviamo dopo ca. 30 km a Walvisbaai, una baia con una laguna dove i fenicotteri rosa svernano. Dopo aver trovato il B&B (e un altro gatto…) ci dirigiamo all’ ufficio turistico per avere informazioni sui tour a Sandwich Harbour, descritto come l’ ultimo paradiso in terra dalle nostre guide. Ve lo perdereste? Appunto. La fortuna ci assiste, di li’ a minuti partirà un tour di austriaci e ci sono un paio di posti. Dopo un po’ di mercanteggiamento con l’ agenzia riusciamo a puntare un buon prezzo (almeno, rispetto a quello iniziale) e accettiamo. La partenza e’ dal molo con 3 fuori strada, e alla guida della nostra c’e’ una donna, che si dimostrerà molto più abile di tanti fuoristradisti della domenica.La prima parte costeggia il lago dei fenicotteri, ma poi il percorso, affrontato anche da molti inesperti, e’ infido e non tracciato, le dune si spostano per il vento e se oggi si passa da una parte domani non e’ detto che sia possibile. Ed infatti anche una delle nostre jeep si “pianta” nella sabbia. Ma non e’ solo la sabbia il problema. Il “pan”, sabbia livellata ma insidiosissima e’ il pericolo maggiore, spesso infatti, credendo solido il terreno, le auto vi si avventurano, e in pochi secondi affondano nella sabbia “mobile”. La nostra autista ci racconta che le e’ capitato spesso di dover salvare fuoristradisti sprovveduti, e che non fossero li’ da poco, poiché il tour non e’ giornaliero! Comunque dopo aver superato numerose dune dobbiamo rinunciare a ca. 10 km: una duna particolarmente infida, a picco sul mare, ci impedisce totalmente il passaggio. Pazienza, facciamo pic-nic a base di crafen e birre, e, soddisfatti comunque per l’ avventura, ritorniamo indietro. Terminiamo la giornata rimirando uno splendido tramonto. 25 agosto, Walvisbaai > Sesriem: ci svegliamo avvolti nella nebbia, ma possiamo prendercela comoda. E aspettare che diradi, poi ci dirigiamo verso la Duna 7, famosa perché ha dei palmizi alla base. Dopo qualche chilometro, ecco di nuovo la “pista sterrata”, con dei tratti più o meno facili, ma comunque frequentata. Stiamo percorrendo la C14, che entra ed esce dal Namib-Naukluft Park, e te ne accorgi solo perché passi delle strettoie dove ci sono dei cancelli, in genere aperti. Superiamo anche due passi di (quasi) montagna, ma sono difficoltosi per la strada sterrata e dopo 260 chilometri di nulla ecco Solitaire… Due case (di numero) ed una pompa di benzina, un negozio di alimentari e una toilette. Ma -ovviamente- si fermano tutti. Il più e’ fatto, infatti dopo altri 84 chilometri siamo a Sesriem, al Sussusvlei Lodge, moderno lodge costituito da casette basse e verande con tende, perfettamente mimetizzato nel deserto (anche se non a tutte le guide piace).
L’ atmosfera e’ idilliaca, ma a ricordarti che siamo in un ambiente selvaggio, insetti di dimensioni “inconsuete”, topolini del deserto fra i tavolini e uccelli di tutte le razze che ti seguono anche in sala da pranzo (aperta, con vista sul deserto). Commettiamo l’ errore di rilassarci, e ci avventuriamo nel parco dopo le 15 e 30, anche perché il cancello chiuderà alle 17 e 30 (al tramonto, chi e’ dentro e’ dentro, chi e’ fuori e’ fuori) e le attrazioni sono distanti (60 km). Le attrazioni sono essenzialmente due: le dune rosse e il canyon/pan. Famosissima, poi, la Duna 45 (figura su tutti le brochure dei viaggi in Namibia), scalabile (faticosamente). Altre sono scenari per sciatori e snowborders, ovviamente in costume, data la temperatura. Comincia ad essere tardi, e quando arriviamo al parcheggio per le “due ruote”, ci limitiamo ad una breve passeggiata, ammirando il paesaggio. Chi ha un 4×4 può proseguire, e dopo 5 km troverà il pan. Al ritorno vedremo struzzi selvatici, impala ed anche uno sciacallo. Al riparo della tenda sorseggiamo una birra, aspettando il tramonto. Il buffet della cena merita un particolare cenno, poiché e’ veramente il migliore sia in quantità (da scoppiare!) sia in qualità. Imperdibile. Memori di altre avventure simili, la nostra fida torcia ci riporta al bungalow, schivando scarafoni enormi comparsi a decine, col calare delle tenebre. 26 agosto, Sesriem > Helmeringhausen > Aus > Luderitz: non poteva mancare la giornata storta. Oggi e’ domenica, e dopo aver a lungo pensato di rimanere un altro giorno (rinunciamo per il costo spropositato, oltre 200 mila lire a testa, pur con colazione e cena comprese) Comunque satolli (anche la colazione e’ da oscar!), partiamo e siamo cosi assorti che ci dimentichiamo una delle cose fondamentali: fare rifornimento di carburante. Quando ce ne accorgiamo, ci tranquillizziamo: infatti, nonostante i 510 chilometri da percorrere oggi abbiamo sulla strada ben 3 punti di rifornimento. Per leggerezza (dovremmo fare una deviazione di ca. 20 km) saltiamo il primo, che sarebbe poi una città, Malathahoe, e quando arriviamo, -quasi in riserva- al secondo, Helmeringhausen, una casa, una albergo ed un distributore, questi ultimi chiusi, un po’ di panico comincia a fare capolino… Debbo sottolineare la maleducazione delle signore della casa a fianco dell’ hotel (ho il sospetto che fossero le proprietarie del “complesso”) che alla mia domanda “Fuel?” (benzina?) la risposta, telegrafica e con tono di fastidio e’ stata “It’s closed!” (E’ chiuso!), come a dire “Non leggi il cartello?”.
Evitate, perciò di fermarvi qui. Anche perché il vero hotel, quello citato dalle guide, non e’ questo. L’ unica cosa che rimane da fare, e’, dunque, raggiungere Aus, sperando di avere abbastanza “fuel”, per gli oltre 120 chilometri che ci separano. E quindi via, a condizionatore spento, al minimo di gas e con la preoccupazione di rimanere in mezzo al nulla, che non sarà drammatico (prima o poi qualcuno passera’, no?) ma fastidioso si’. Naturalmente la strada si fa orrenda, e Aus non compare mai. All’ incrocio con al B4 (la cartina la indica proprio sull’ incrocio) Aus non c’e’, e neanche un cartello a indicarci la strada. Decido per la destra, e finalmente dopo 5 chilometri la strada a sinistra per Aus. Trovato il benzinaio, non ha la “unleaded”, ma non posso fare altrimenti, a Luderitz, altri 130 chilometri non ci arrivo. Ed in piu’ la ciliegina: abbiamo forato. Niente di male, se non fosse per il contraccolpo psicologico: da qui in poi sarò terrorizzato dagli sterrati e dal fatto di poter bucare ancora…Finita? Macché… Facciamo 100 dollari namibiani di super e ci avviamo verso Luderitz. Subito ci accorgiamo che l’ indicatore della benzina “corre” troppo… Che ci abbia fregato? Oppure abbiamo forato il serbatoio?…No, non sembra perdere…Non riusciamo a capire, e comunque la’ davanti sembra nebbia, quella che ci si para davanti… No, e’ sabbia: le dune adiacenti alla strada (barcane, stavolta), trasportate dal vento, “attraversano” la strada, e la coprono parzialmente (ci diranno poi che altre volte la sommergono in maniera ben peggiore). Ma alla fine arriviamo a Luderitz, che sembra una città del nord Europa, in tutto e per tutto, case, negozi, porto, barche… Salvo le dune di sabbia all’ orizzonte. Un vento impetuoso ci accoglie, ma riusciamo a trovare uno splendido albergo a picco sul mare, e dopo una buona cena a base di pesce, ci godiamo il meritato riposo. 27 agosto, Luderitz > Kolmanskop > Keetmanshoop: ci svegliamo con un bel sole e senza vento, e ne approfittiamo per vedere questa città, che ieri sembrava uscita da un incubo, ed oggi appare deliziosa. All’ ufficio informazioni (dentro un tourist shop, dove si acquista il permesso di entrata) ci informano che ci sarà una sola visita a Kolmanskop, e quindi ci dirigiamo la’. E’ una ghost town, abbandonata definitivamente nel 1956 “cosi’ com’era”, ed ora quasi completamente ricoperta dal deserto. Sorge ai limiti della zona proibita (e ad uno degli accessi), in cui e’ bene non avventurarsi, le guardie armate non scherzano affatto… La città fantasma, un tempo molto fiorente, era dedicata i sovrintendenti alle miniere di diamanti, e quindi aveva molti lussi, come il più avanzato (per l’ epoca) ospedale d’ Africa, una sala multifunzionale, e case di lusso. Quando si ritenne che il costo estrattivo fosse diventato eccessivo, la si abbandono’, spostando tutto altrove (ma i diamanti ci sono ancora…). E’ comunque tutto molto misterioso: d’altra parte si tratta di diamanti, e qui ci sono dei giacimenti ricchissimi! A me ha fatto una grande impressione, a Carla, che non stava bene, un po’ meno, ma l’atmosfera e’ magica, veramente. Se siete appassionati di fumetti leggetevi i numeri 6 e 7 di Dampyr, personaggio della Sergio Bonelli Siamo in viaggio verso Kolmanskop, e avvistiamo (dintorni di Aus) i cavalli selvaggi del deserto (unici al mondo) che hanno qui il loro habitat. Nessuno sa come siano arrivati, qui, fatto sta che sono cavalli molto resistenti e possono non bere per giorni. E’ quasi sera quando arriviamo a Keetmanshoop, e subito ci dirigiamo da un gommista. Ma dobbiamo aspettare domattina per il montaggio. Trovato cosi’ un B&B, e in compagnia di un gattone rosso aspettiamo l’ orario di cena, che consumeremo in uno dei due “ristoranti” (Lara’s) disponibili (per i più coraggiosi ci sono alcuni take away…) 28 agosto, Keetmanshoop > Fish River Canyon: cambiamo la gomma, che comunque dobbiamo pagare noi, e ripartiamo verso il Canyon Lodge, nei pressi del Fish River Canyon, la nostra prossima meta. Come dicevo adesso sono più impaurito a percorrere degli sterrati, ma alla fine questo lodge e’ veramente fantastico, sembra uscito dalla favola di Hansel e Grethel… Almeno, l’ edifico adibito a reception…Dietro questa reception, fra massi enormi in bilico (?) da millenni, casette perfettamente mimetizzate. Nella reception, attrezzi dell’ epoca coloniale (tedesca) originali, e tavoloni in legno in puro stile Baviera. Qui si possono fare passeggiate a cavallo, a piedi, o rilassarsi: c’e’ il nulla a perdita d’ occhio. E’ presto, e decidiamo di andare a vedere il canyon vero e proprio, e le attese non sono certo deluse…Molto spettacolare, e selvaggio. Qui c’e’ solo un parcheggio e degli ombrelloni “in costruzione” (si, li stavano costruendo mentre eravamo li’). Torniamo al lodge a scolarci boccali di birra (ah, e’ eccezionale, la birra, qui. E’ fatta secondo i crismi dei birrai tedeschi del 1512: non troverete una birra migliore). La magica atmosfera non si interrompe per cena, spesa a lume di candela e a buffet: eccezionale, niente da dire. Cosi satolli ci avviamo alla camera, anche perché alle 22 toglieranno la luce, “perché non serve”. A disposizione, comunque un lume ad olio, come nei migliori film western.
29 agosto, Canyon Lodge > Ai-Ais > Marienthal: dopo una colazione all’ altezza (ed anche sopra della cena) ripartiamo. Seguendo (per quanto la strada lo consenta) il canyon, arriviamo alle fonti termali di Ai-Ais, dove ci prendiamo un bel bagno ristoratore (a 60°). Poi ripartiamo. Oggi e’ una tappa noiosissima, dobbiamo arrivare “in vista” di Windhoek, e decidiamo di tirare fino a Marienthal, e di soggiornare al’ omonimo hotel, di categoria inferiore. Decisamente.
1 settembre, Marienthal > Windhoek > Otavi > Namutomi: (30 agosto) la colazione abbatte gli ultimi spiccioli di fiducia che riponevamo in questo hotel: evitatelo assolutamente. Arrivati a Windhoek dopo l’ immancabile foto al cartello del Tropico del Capricorno, indugiamo nella scelta del soggiorno, il B&B che avevamo scelto e’ chiuso (?) fino al lunedì seguente (capiremo poi il perché), e gli altri B&B o sono lontani dal centro o non ci ispirano (dall’ esterno, comunque). Cosi’ decidiamo di provare il Furstenhof, perché a piedi si raggiunge il centro. Questo e’ il secondo hotel della Namibia, come qualità, dicono. L’ impressione e’ negativa -o meglio- e’ il classico hotel per business men, che noi evitiamo diligentemente in vacanza, ma stavolta abbiamo fatto un’ eccezione. Cosi il pomeriggio lo trascorriamo nello shopping, lungo la Independence Avenue, e abbiamo modo di appurare che non c’e’ povertà, ed anzi i negozi sfoggiano prodotti eleganti e alla moda, ovviamente ben assortiti con i negozi di articoli di artigianato. La cena e’ eccellente (e’ anche il secondo miglior ristorante della Namibia…), e -a testimonianza che il mondo e’ piccolo, ma piccolo veramente- incontriamo uno dei nostri vicini di casa, Marco, e la sua compagna, Annalisa, che era alle elementari con me, nella stessa classe. Dopo esserci scambiati informazioni, consigli e saluti, ci ritiriamo a dormire. (31 agosto) Rivediamo a colazione Marco e Annalisa, che ripartiranno stamattina per l’ Italia, mentre noi abbiamo ancora 10 giorni e mezza Namibia da scoprire. Cosi’, dopo aver fatto una sosta al mercatino artigianale (meglio quello dell’ ingresso sud, dicono le guide) di Okahandja, arriviamo ad Otavi, piccolissimo centro “di passaggio” per l’ Etosha, ma dove dobbiamo fermarci perché siamo in anticipo. Cosi’ soggiorniamo al Khorab, ottimo lodge anche questo, con bungalows indipendenti attorno ad uno splendido giardino, e qui troviamo due bellissimi gatti, un siamese ed uno nero-nero, ma molto timido. Dietro ai bungalows c’e’ un recinto con alcuni kudu, impala ed altri innocui ruminati, ed un sentiero per seguirne le orme. Anche qui il rito della torta e’ immancabile, e la cena sarà eccellente, spesa nel patio con il fuoco ardente, perché, comunque, la sera rinfresca molto. Stamattina (1 settembre) siamo proprio comodi, poco meno di 200 km di strada asfaltata ci dividono da Namutomi, uno dei 3 camps dell’ Etosha, dove tenteremo di cambiare la nostra prenotazione. Dieci chilometri ci dividono dal gate al camp vero e proprio, e vediamo subito i primi animali, giraffe, zebre e orici e al campo anche manguste che pasteggiano tranquille. Riusciamo a cambiare la prenotazione, cosi’ spenderemo una notte qui, una ad Halali ed una ad Okaukuejo e siamo molto contenti, ma ancora di più nello scoprire che questi camps sono dotati di “pozze” in cui vengono a dissetarsi moltissimi animali, fra cui gli elefanti (5 in totale), e ad un certo punto uno arriva a mangiare le foglie di un albero posto proprio davanti al muretto che ci separa, provocando un po’ di paura, perché non siamo al circo, e questi elefanti sono tutto fuorché mansueti. Oltre a ciò aggiungiamo ai nostri avvistamenti (si puo’ compilare un modulo) un kudu, una giraffa, cinque zebre, e, dopo cena (a buffet, di buona qualità) anche uno sciacallo. Purtroppo le zanzare abbondano e con il buio e’ dura rimanere. 4 settembre, Namutomi > Halali > Okaukuejo > Kamanjab: (2 settembre) stanotte e’ cambiato l’ orario (un ora avanti) ma siccome viviamo in altro mondo, senza tv, radio o informazione, chiediamo conferma più volte di questo, anche perché l’ orario di chiusura dei cancelli dei vari camp e’ tassativo. Comunque dopo un’ abbondante colazione, andiamo alla scoperta del parco. La differenza con il Kruger, in Sudafrica sono eclatanti. La vegetazione e’ minima (del resto l’ Etosha e’ un lago inaridito) e il percorso e’ abbastanza obbligato, una strada principale (la C38) da cui si dipanano sentieri che ritornano sulla strada principale. E tante, tantissime pozze d’ acqua, alcune naturali, altre artificiali. Ma tutte frequentatissime. Infine tutte le strade sono sterrate (anche la principale), cosi’ io, che guido, non riesco a vedere molto, perché guardo più la strada che altro. Cosi’ fra numerosi incontri di giraffe, elefanti, gnu, impala, orici ed anche una iena (ancora nessun felino, pero’), sterrati più o meno impegnativi, arriviamo ad Halali, che deve il suo nome al suono del corno tedesco che sanciva la fine del periodo di caccia. Questo camp e’ il più nuovo (ha una decina di anni) e si vede, ed e’ anche il più interessante, poiché e’ in mezzo al parco. Ha anche una bella piscina, dove mi sono avventurato a fare due bracciate, nonostante la temperatura dell’ acqua fosse improponibile, e la “pozza”, la cui vista sopraelevata e’ molto suggestiva. Riusciamo a scorgere elefanti, ed il gorgoglio della proboscide che beve, nel silenzio totale della savana. L’ attesa non sarà vana, infatti arriva anche un rinoceronte, ed anche una iena. Il rinoceronte e’ praticamente una novità, per noi, poiché neanche l’ anno scorso riuscimmo a scorgerlo cosi’ bene (e cosi’ vicino). Ci svegliamo all’ alba (3 settembre) ma nessun animale sembra avere sete. Cosi’, un po’ delusi, facciamo colazione e ci avviamo verso Okaukuejo, sempre lungo la C38, sterrata, ed anche in pessime condizioni. Ciò mi sconforta molto, e il mio nervoso aumenta. Ma, per fortuna, in una delle prime pozze (Salvadora), sotto un albero, una coppia di leoni riposa e si fa rimirare. Era ora, in effetti. Comunque dopo altri 70 chilometri di “gravel road” (penso di averne abbastanza per un bel po’) giungiamo al terzo ed ultimo camp, il più bello, decisamente, ed anche qui la pozza e’ un brulicare di animali. Un elefante prende decisamente l’ iniziativa, e si avvicina forse un po’ troppo alla recinzione, ma (per fortuna) non succede nulla. Un via vai incredibile, insomma, che prosegue (anzi, aumenta) dopo cena, con ben tre rinoceronti a fare capolino! Usciamo dall’ Andersson Gate in tre, infatti al cancello ci chiedo no di portare un ragazzino nero a scuola a Outjo, cosa che facciamo volentieri. Lasciato lo studente, mi dirigo a naso verso questo lodge, dal nome assolutamente impronunciabile (Otjitotongue, che significa “la casa dei ghepardi”), dove sembra ci siano le “cheetas”, i ghepardi, insomma. Dopo l’ immancabile sterrato arriviamo a questa che sembra una fattoria in disuso, con un trattore che carica una dinamo davanti al cancello… Ed invece, come sempre, le apparenze ingannano: infatti ci portano a 2 chilometri dove troviamo i bungalows e il campeggio. I bungalows sono senza corrente, ci sono solo le lampade ad olio, molto retro’, ma sono (comunque) deliziosi. Alle 16.00 inizia il tour delle cheetas, dove avremo anche la possibilità di accarezzarne alcune…Non pensate a pullman gran turismo con aria condizionata, siamo sul pianale di un pick-up guidato dalla figlia dei gestori il lodge, con un gruppo di ragazze neozelandesi che stanno girando l’ Africa da 2 mesi. Arriviamo alla casa di Mario (sic!), l’altro figlio che ci fa conoscere 4 cheetas (quelle che tengono nel giardino di casa), ce le fa toccare, accarezzare… Insomma come se fossero dei veri gatti. Come unica precauzione ci chiede di non guardarle negli occhi, perché si sentono sfidate, e, pur cresciute con gli umani, sono “wild inside”, selvagge dentro.
Mario e’ uno zuzzurellone, oppure i tagli (graffi e zampate) che ha in testa a ricordo che le cheetas sono -comunque- selvagge, lo hanno reso pazzo. Infatti impossessatosi di un cappellino lo lancia verso di noi,per la gioia di una cheetas che ci corre addosso, ed ogni volta temiamo il peggio… Per fortuna si limita solo a leccare selvaggiamente la mia gamba (mi spella, letteralmente, con questa lingua che sembra una raspa) o a morsicare dolcemente -ma a sangue- una ragazza del gruppo. Ma si sta facendo tardi, e dobbiamo andare a sfamare le altre 21 (sic!) che questa simpatica famiglia ha raccolto fra gli allevatori, che stavano per ucciderle. Queste sono veramente selvagge, infatti anche Mario ha un atteggiamento più rispettoso, nei loro confronti, e mantiene sempre una certa distanza, ed un bel bastone in una mano. E’ buio quando ci servono la cena, in questa atmosfera assolutamente “africana”, accompagnata da un ottimo vino… Sara’ dura ripartire domattina! 6 settembre, Kamanjab > Omaruru > Gross Barmen: e infatti e’ dura, venire via (5 settembre), dopo l’ ennesimo brivido: una cheeta osservava Carla, tranquilla e placida…Ma soprattutto libera! Scopriamo, infatti, che molto vicino ai bungalows c’e’ uno dei recinti dove ci sono le cheetas, e che spesso scavalcano questa recinzione…Niente paura (si fa per dire)! Era una cresciuta in famiglia che accompagnava Mario in giro… Tutto poi si stempera in grasse (loro…) risate per il fatto che non accettano la carta di credito e per pagare si accontentano di una mano (da parte nostra) nello sfamare i ghepardi, giusto qualche giorno, ci spiega Mario…Ma alla fine la accettano e possiamo pagare con la carta… Siamo tremendamente in anticipo, e abbiamo già visto tutto ciò che ci eravamo ripromessi. Mancherebbe il territorio degli Himba, ma ci vogliono 4/5 giorni: la’ le strade sono molto “abbozzate” e gli imprevisti dietro ogni angolo. Cosi’ decidiamo di avvicinarci a Windhoek con molta calma, e di vedere la zona di Omaruru e Karibib, infine scegliamo una guest farm (Onduruquea), per stanotte, e sarà una scelta infelice, poiché si rivelerà una hunting farm (fattoria di caccia), con i proprietari che parlano soprattutto il tedesco e poco l’ inglese, e gli ospiti, oltre a noi, sono una famiglia di tedeschi, che evidentemente conoscono da tempo, poiché sembra che noi siamo li’ a rompere le uova nel paniere a loro… Anche la cena sarà un imbarazzo completo, per cui, se non siete tedeschi e cacciatori evitate questo posto. Infine, in camera, abbiamo un ospite, un geko, che sarà innocuo, ma non aumenta la stima per questo posto, anzi… E arriviamo (6 settembre) in questa località termale. E come tutte le località termali è di una noia mortale. Oltre a bagni in questa grande piscina ad alta temperatura, non si può fare nient’altro… Infatti sono un po’ pentito, ma oramai siamo agli sgoccioli di questa vacanza… Siamo gli unici che rimaniamo la notte, ed in effetti l’atmosfera mi inquieta un po’, ma tutto fila liscio. 9 settembre Gross Barmen > Windhoek: oggi e’ il 7 settembre, ed eccoci di nuovo nella capitale, questa cittadina di trecentomila anime e con un traffico scarsissimo. Siamo ritornati al lodge che avevamo trovato chiuso, ed ora capiamo il perchè! La signora ha partorito. Lo avevamo scelto perche’ si gode una vista ottima sulla città (siamo sull’ Olimpia Hill) e il tramonto e’ splendido. Anche questa casa e’ in perfetto stile bavarese, e il marito e’ un gigante buono, con manoni enormi e callose, mentre la moglie e’ una signora che sembra provenire da poco dalla Germania. Le stanze sono piccole ma curatissime, ed anche il giardino e’ perfetto. C’e’ anche la piscina, tutto in formato bonsai, ma l’ insieme risulta incantevole. Trascorriamo il resto della giornata in citta’ a rifornirci di souvenir, e a visitare le poche risorse storiche, fra cui una chiesa battista, e ceniamo in un dei pochi ristoranti esistenti, non particolarmente degno di nota.
(8 settembre) La colazione e’, come tutto il resto, perfetta, qui all’ Ambiente Guest House, ma abbiamo giocato il jolly, ieri, e stasera soggiorneremo all’ Hotel Heinitzburg, il numero uno, sia come albergo sia come ristorante. Per intenderci, qui soggiornano e mangiano i capi di stato stranieri in visita. Ci stimiamo molto, quindi, stesi sui lettini della piscina (sempre di misura bonsai) dell’ albergo, nonostante la ragazza della reception abbia sbagliato a prenotarci la camera, cosa che mi ha fatto molto imbufalire, e devono anche averlo capito, perche’ -comunque- una camera ce l’ hanno data. Fama meritata, in effetti. Questo castello riadattato ad albergo e’ un gioiello, e se pensate a chissa’ quali cifre si possano spendere, tranquillizzatevi: 215 mila lire, cena (menu’ degustazione con vino) e colazione comprese, per persona. Ad altissimo livello.