Namasté India

Un piccolo tour per un grande Paese...
Scritto da: Tonyofitaly
namasté india
Partenza il: 22/08/2012
Ritorno il: 01/09/2012
Viaggiatori: 4
Spesa: 2000 €
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Namasté è la prima parola hindi che s’impara e vuol dire sia Buongiorno sia Arrivederci. La si sente quasi subito, appena si scende dall’aereo, quando gli stessi addetti al braccio meccanico ti accolgono sulla rampa di sbarco: un sorriso ampio si allarga, si congiungono le mani, il capo s’inchina leggermente e… namasté! Si, namasté India, ti saluto anch’io: anche se sono assonnato e stanco, ti saluto. Namasté a Vijeendra, il nostro autista dall’impeccabile vestito grigio e dai capelli neri: mai una volta che lasci l’auto incustodita; mai una volta che dimentichi di aprirci le portiere appena ci vede arrivare.

Namasté a tutti i lavoratori che incontriamo lungo il nostro viaggio: agli addetti degli hotels, solerti e veloci (la mancia fa sempre bene da queste parti); ai camerieri, cui eternamente ripetiamo i nostri “no spicy” e “no chilly” ma che puntualmente ci servono le pietanze ricoperte di spezie aromatiche; ai commercianti, petulanti e insistenti fino allo sfinimento, che pur di vendere sono disposti a più che dimezzare il prezzo d’acquisto e che hanno sempre un parente o un amico in Italia. Namasté alle fiere donne dai sari colorati intente a lavorare, pulire, accudire ai figli, i parenti o l’unica capra che possiedono, ovunque esse siano: nei campi, nelle ricche case o nelle povere tende situate nei giardini e sui marciapiedi. Namasté ai bambini dai denti bianchi e dagli occhi neri che giocano nelle luride pozzanghere delle strade o si tuffano nelle fontane dei parchi, sempre col sorriso. E a quei bambini che battono le nocche sui vetri dell’auto alla ricerca di qualche rupia da elemosinare. Namasté ai vecchi pellegrini che imperterriti camminano sui bordi delle strade raggiungendo lontani luoghi di pellegrinaggio e sperduti templi alla ricerca di una spiritualità che a noi continua a sfuggire. Namasté al Taj Mahal, alla Humayun’s Tomb, alla Hawa Mahal e a quei meravigliosi monumenti e templi testimonianze di epoche d’oro e di ricchezze infinite: le vostre storie hanno reso l’India un paese affascinante e pieno di mistero. Namasté alle vacche, alle capre, ai bufali, agli uccelli, alle scimmie e a quel variegato mondo di animali che scorrazzano per le città, incuranti del traffico di auto, di tuc tuc, risciò, moto, camion e pedoni. E namasté a loro, gli spericolati guidatori dei mezzi di trasporto indiani: districarsi nel tremendo traffico che loro stessi creano a causa della mancanza di regole e remore, è davvero degno di un campionato di fortuna. Namasté India: mi hai lasciato l’amaro in bocca e non ti ho amato subito, ma mi sono accorto di volerti un gran bene. Per questo ritornerò a trovarti, prima o poi.

I preparativi

E’ da un po’ di tempo che mi girava l’idea di un viaggio in India, sulle corde di alcuni miei amici che l’hanno già visitata anche più di una volta. Quest’anno l’ho proposta a Roby, Francesca e Alberto come meta di viaggio e loro hanno accettato l’idea: riuniti agli inizi di Febbraio, ci siamo accordati per un giro da effettuare nella seconda metà d’Agosto, convenendo per un tour di 10 giorni nel cosiddetto Triangolo d’oro ossia Delhi-Agra-Jaipur con eventuali escursioni a Jaimer, Pushkar e soste durante gli spostamenti. Approvato tutto ciò, prendo contatto l’agenzia al momento tra le più gettonate dei forum mandando una mail descrittiva del tour a Karni Singh di Popular India Vacations con la richiesta di un preventivo e di quali servizi mi offre. Karni Singh mi risponde nel giro di qualche giorno proponendomi due prezzi da valutare: il primo di 420 € con alberghi da 4 e 5 stelle; il secondo di 360 € con alberghi da 3 e 4 stelle. Nel prezzo sono compresi anche una Toyota Innova con autista, le tasse e il carburante. Lo ringrazio e gli scrivo che, appena prenotato il volo, l’avrei ricontattato. A Marzo decidiamo finalmente di mettere in atto il viaggio e consultiamo varie compagnie aeree per scegliere, con approvazione unanime, la Qatar Airways, seppure per questioni logistiche dobbiamo aggiungere un giorno al tour. Prenotiamo così on line il volo Milano-Doha-Delhi a/r al prezzo di 560 € anche se, per nostra scelta, faremo una sosta di ben sei ore all’aeroporto di Doha nell’andata. Ricontatto quindi Karni Singh proponendogli il tour già deciso e gli offro 20 € in più se mi aggiunge una notte e mi cambia l’albergo ad Agra: per lui va benissimo così blocchiamo il prezzo a 380 € a persona per un tour di 11 giorni/9 notti. L’unica richiesta è un bonifico bancario con il 25% della quota come anticipo, cosa che a Maggio faccio tranquillamente assicurandomi così l’organizzazione del tour. Karni, dopo pochi giorni, mi ricontatta e mi conferma che le prenotazioni degli alberghi sono state fatte.

Il nostro viaggio parte da Delhi, dove soggiorneremo due giorni, scende poi ad Agra con soste a Vrindavan e Mathura, prosegue da qui per Jaipur passando per Fatehpur Sikri e Abhaneri e si ferma a Jaipur per tre giorni, dove contiamo di fare un’escursione giornaliera a Ajmeer e Pushkar. Si rientra quindi a Delhi il giorno prima di partire. A Luglio c’è un’altra incombenza da sostenere: il visto. Ci colleghiamo al sito www.indianvisamilan.com e compiliamo ognuno il form presente, che stampiamo e presentiamo insieme ai passaporti all’ufficio di Milano. Qui pago 68 € per passaporto e mi rilasciano la ricevuta con cui poi ritirerò il tutto dopo circa una settimana ma, poiché sarò fuori città, ne chiedo l’invio posticipato a casa, pagando un piccolo supplemento. Ora si può dire che tutto è pronto.

Ecco un assaggio di India nel classico giro di chi vuole conoscere questo meraviglioso paese assaggiandone un pezzo alla volta senza farne indigestione… storia, arte, religione e vita sociale indiana sulle strade affollate di questo affascinante stato.

Il viaggio: Primo giorno

L’aeroporto di Doha pullula di luci lampeggianti la sera. Appartengono ai tanti mezzi che percorrono le piste e creano anche dall’alto uno strano effetto luminoso. Siamo arrivati qua qualche minuto prima delle 19 con il volo partito da Milano alle 12,10 e ora dobbiamo attendere la coincidenza per Delhi alle 01,35. La Qatar offre ai viaggiatori in transito per almeno sei ore la cena così, dopo un giro per il duty free e per l’ampia hall d’attesa, saliamo al piano rialzato e andiamo al ristorante che ci hanno indicato: mostrando la carta d’imbarco accediamo a un self service, dove ceniamo.

Secondo giorno

Arriviamo a Delhi in perfetto orario e, dopo aver celermente attraversato il controllo passaporti e cambiato qualche moneta al change, usciamo nella hall per incontrare il nostro autista, che troviamo con un cartello recante il mio nome: Vijeendra ci saluta e si presenta. Dopo di ciò, va a ritirare l’auto in parcheggio mentre noi, nel frattempo, iniziamo a godere dell’aria calda mattutina. Partiti quindi dall’aeroporto, ci accorgiamo però che il nostro autista sa dove andare ma non di preciso: arrivare all’albergo è un po’ un’odissea ma alla fine, chiedendo a destra e a manca, intrufolandoci tra i tuc tuc, scansando motorini, risciò e pedoni, giungiamo al Florence Inn Hotel ***, situato a Karol Bagh. Prendiamo possesso delle nostre camere, svuotiamo la valigia di ciò che ci serve per i due giorni di sosta, facciamo una doccia rigenerante e ci concediamo un riposino di un’oretta, in modo da non crollare durante il giorno. Così riposati, alle 13 partiamo per la prima visita della città, esattamente dal Birla Mandir o Laxminarayan Temple, uno dei templi indù più importanti: le sue cupole rosse spiccano tra il verde del parco adiacente e una nenia pervade i dintorni e invita alla preghiera. E’ stato un tempio caro a Gandhi perché lo inaugurò a condizione che le persone di tutte le caste potessero accedervi incondizionatamente. La sosta successiva è alla Gurdwara Bangla Sahib, la più importante casa di culto Sikh a Delhi: dal parcheggio sottostante saliamo fino all’ingresso, dove dovremmo togliere le scarpe, coprire la testa e bagnare i piedi per entrare nell’interno ad ammirare la vasca santa e la struttura. Qui siamo fermati da persone che vogliono essere fotografati con noi: è una curiosa richiesta che ci sarà fatta altre volte. Proseguiamo per Connaugh Place, dove sostiamo un’oretta per un veloce spuntino e per cambiare ancora dei soldi, poi ci facciamo lasciare da Vijeendra all’India Gate, l’alto arco di trionfo situato in mezzo ad una distesa di prati verdi: il memoriale è pieno di visitatori, soprattutto indiani, e offre una bella prospettiva sull’enorme viale che si apre davanti. Dopo le foto di rito, invito Vijeendra a portarci al Secretariat, la sede del Governo indiano. Qui ammiriamo i due blocchi di edifici simmetrici eredità del colonialismo inglese e notiamo la mescolanza architettonica tra lo stile vittoriano e quello indiano, che li rende molto particolari. Alla fine del viale c’è il Rashtrapati Bhavan, sede ufficiale del Presidente dell’India (chiusa al pubblico), mentre dalla parte opposta il Sansad Bhavan o Parlamento è riconoscibile per la sua forma circolare e per la sua veranda aperta sostenuta da una fila di colonne. Sono già le 17 e il sole inizia a scemare ma c’è tempo, però, per andar a vedere la Purana Qila, la vecchia fortezza, solo che quando ci arriviamo… gli altri beatamente dormono sui sedili dell’auto! Rientrati in albergo, dopo un riposino pre-serale andiamo a cena da Tempting Restaurant, nelle vicinanze: buon ristorante, prezzo medio (intorno ai 7 €) e cibo discretamente occidentalizzato.

Terzo giorno

Dopo un bel sonno e una ricca colazione, siamo pronti alle 9 per il nostro giro quotidiano. Vijeendra già ci aspetta e approfittiamo che il mercato di Karol Bagh non è ancora aperto per uscire dal quartiere e andare verso la prima meta prevista che è il Raj Ghat, il memoriale al Mahatma Ghandi costruito lì dove è stato cremato dopo il suo assassinio. Situato in un ampio giardino, per accedere bisogna togliere le scarpe e camminare tassativamente sul nastro verde per non rischiare di cadere sul marmo bagnato: comunque il luogo è silenzioso e i visitatori rispettosi della sua solennità. Usciamo dal parco pieno di scoiattoli e percorriamo un po’ di strada fino ad arrivare alle Rovine di Feroz Shah Kotla e alla Colonna di Ashoka, una delle due presenti a Delhi: la fortezza è ciò che resta di una vecchia città mentre la Colonna, alta 13 m., aveva lo scopo di diffondere i dettami del Buddhismo. Ritorniamo all’auto e da Vijeendra ci facciamo riportare al parcheggio del Red Fort e gli diciamo che per le prossime ore ci muoveremo da soli. Da qui, passando davanti la Suhneri Majid, attraversiamo la trafficatissima strada e andiamo verso la Jama Majid, la principale moschea di Delhi. Preceduta da un affollato bazar, la moschea è antica di quasi quattro secoli ed è tutta costruita in arenaria e marmo: per raggiungere l’ingresso bisogna salire una ripida scalinata fino al portale d’accesso che, purtroppo, è per noi interdetto poiché sono in corso le preghiere del venerdì. Un breve tragitto ci porta di fronte al Red Fort, uno dei tre siti Patrimoni dell’Unesco situati a Delhi, le cui enormi mura rosse e l’aspetto austero sono ingentiliti dalla presenza dei chhattri, piccoli padiglioni, e dalle decorazioni delle porte. Dopo l’acquisto del biglietto (250 Rp + 25 Rp per la videocamera), attraversiamo le porte d’ingresso e poi la lunga Chotta Chowk, la strada coperta sede di un bazar. Sbuchiamo davanti alla Casa del Tamburo ed entriamo nel viale che porta alla Sala delle Udienze Pubbliche e a un’altra serie di sale e palazzi: c’è la Moti Majid, piccola moschea bianca; l’Hammam e l’adiacente Sala delle Udienze Private, riccamente decorata da marmo e pietre con disegni floreali; c’è il bellissimo Khas Mahal o Palazzo delle Camere Imperiale, dai marmi finemente intagliati; e infine c’è il Rangh Mahal, dal bel soffitto decorato. Dopo questa visita decidiamo di concederci una camminata sulla Chandni Chowk, la strada principale sede dell’enorme bazar all’aperto di Delhi. Percorriamo lentamente questa enorme arteria brulicante di vita e piena d’ingorghi e traffico e, tra una bottega e l’altra, notiamo la Sri Digambar Jain Lal Mandir (un tempio giainista sede di un ospedale per uccelli), la Chiesa Battista Centrale (considerata la più antica missione cristiana in India) e la Gurdwara Sis Ganj Sahib, che è un altro luogo sacro alla comunità Sikh. Per ritornare di nuovo al parcheggio, decidiamo di provare l’ebbrezza del tuc tuc e ne fermiamo due che per 50 rp ci porteranno indietro: è la prima di una lunga serie di viaggi su questo mezzo di trasporto tipicamente asiatico. Al nostro arrivo Vijeendra ci chiede qual è la prossima tappa: “Qutb Minar” gli dico e partiamo via di filato per il sud della città. Arriviamo al secondo sito Patrimonio dell’Unesco dopo più di mezz’ora di viaggio frenetico nel traffico ed entriamo subito nel complesso (ingresso di 250 Rp + 25 Rp per la videocamera) dove il minareto in mattoni (il più alto del mondo fatto solo con questo materiale) svetta sulle rovine di quello che era un grande complesso di monumenti islamici, tra cui la moschea di Quwwat-ul-Islam, costruita sui resti di precedenti templi indù, l’Alai Minar (resti di un minareto mai ultimato) e la Colonna di Ashoka, particolarissima poiché fatta di ferro e mai arrugginitasi. Oramai è tardi e in albergo abbiamo giusto il tempo di far una doccia e un breve riposino e poi, per ora di cena, ci concediamo una serata indiana da Suruchi, di fronte il Tempting Restaurant: è stata una delle migliori cene, con i camerieri che ci servivano costantemente di cibo. Il tutto per un costo di scarsi 7 €.

Quarto giorno

Questa mattina si parte per Agra ma, con molta tranquillità, pianifichiamo di far sosta lungo il percorso nelle cittadine di Vrindavan e Mathura, situate lungo la National Highway 2 che porta alla città. Però, prima di lasciare Delhi, ci fermiamo alla Humayun’s Tomb, il terzo sito Patrimonio dell’Unesco in Delhi (anche qui paghiamo 250 Rp + 25 Rp per la videocamera): c’è poca gente al nostro arrivo e possiamo visitare con molta calma questa bellissima tomba-giardino, uno dei migliori esempi di stile Moghul. Il giardino, infatti, è perfettamente curato e la tomba al centro è ispirata all’architettura persiana, fatta di marmo bianco al di fuori mentre il resto dell’edificio è costituito da arenaria rossa, marmo bianco e nero con dettagli in pietra arenaria gialla. Partiamo poi per Vrindavan e lungo il tragitto iniziano a far capolino le consuete vacche (a Delhi è vietato farle circolare), gli asini e i bufali da soma, molti vetusti autobus, i motorini con minimo tre persone a bordo e i più svariati mezzi di locomozione. Ogni tanto un violento acquazzone ci fa ricordare che siamo nel pieno periodo dei monsoni ma la nostra Toyota prosegue imperterrita per la meta finale che raggiungiamo sulla tarda mattinata dopo circa due ore. Lasciamo la NH2 ed entriamo in un lungo viale, sulla cui destra un’enorme statua di Krishna ci indica che siamo nella città santa degli Indù, dove la divinità ha vissuto la sua infanzia e dove pare abbia compiuto prodezze e miracoli. Percorriamo la via trafficata da pellegrini e ci fermiamo poco prima del centro, impossibilitati ad andar avanti: Vijeendra ci aspetterà qui mentre noi ci concediamo un tour della città con uno dei tanti tuc tuc. Scegliamo quello di un taciturno ragazzo che, per 500 Rp, ci scorrazzerà per un’ora alla visita di templi e ghat: preso posto sulla motoretta, partiamo in quarta per le strade di Vrindavan, affrontando dossi, fossi, vacche, capre, pellegrini, auto, motorini e motociclette in un turbinio di suoni, polvere, scossoni, retromarce improvvise e incastramenti veicolari. Le soste sono ad alcuni templi come lo Shri Ranganath Temple, lo Shri Radharaman Temple e il Govinda Dev Temple, tutti infestati da scimmie dispettose che, come ci avvertono i gentili indiani, rubano cappelli e occhiali. In centro troviamo tutto allagato ma il nostro intrepido guidatore non si fa scoraggiare, spinge il tuc tuc nell’acqua a mo’ di mezzo anfibio e ci porta dall’altra parte, giusto per arrivare sulla riva del fiume Yamuna e sul ghat che, a dir del vero, si presenta in condizioni alquanto pietose, sebbene alcune donne lavino tranquillamente il bucato in acqua e imbarcazioni dalla dubbia sicurezza portano turisti sull’impetuoso fiume. Noi, abbastanza scossi dal lungo tragitto, gli diciamo che basta così e che gentilmente ci può riportare al parcheggio, dove giungiamo scombussolati dopo l’interessante e nello stesso tempo divertente tour della città: gli lasciamo 600 Rp perché veramente è stato gentile e ci ha fatto fare un bel giro dal sapore avventuroso. Filiamo quindi dritti verso Agra, in cui giungiamo nel tardo pomeriggio al Clarks Shiraz Hotel*****: prendiamo subito possesso delle nostre camere e ci regaliamo un po’ di riposo. Più tardi ci rechiamo da Riao Restaurant, non lontano, cenando discretamente per circa 8 € e assistendo allo spettacolino di danza del ventre.

Quinto giorno

E’ quasi l’alba e siamo già in piedi, pronti per recarci al Taj Mahal, uno dei motivi per cui ci troviamo in India. Vijeendra è al suo posto e ci conduce per le strade semideserte della città fino all’ingresso del complesso, dove parcheggerà fin quando non torneremo. La coda alla biglietteria è celere e il biglietto è presto fatto: 750 Rp e l’autobus gratis fino all’ingresso principale. Qui, arrivati dopo cinque minuti, siamo sottoposti ai controlli di rito (metal detector e veloce perquisizione) e poi entriamo nel viale che ci conduce al portale d’ingresso, un’imponente struttura a tre piani in arenaria rossa e marmo, da cui si accede al giardino interno: costruito in modo tale da essere simmetrico (come tutto il resto) al complesso, la sua altezza è esattamente la metà di quella del mausoleo. Entriamo nel portale e già ammiriamo la bellissima mole del Taj Mahal che, per un effetto ottico, sembra allontanarsi mentre ci approssimiamo all’uscita interna e sembra avvicinarsi se torniamo a ritroso. Usciamo sul giardino e rimaniamo estasiati dall’affascinante panorama e neanche il cielo plumbeo può oscurare la bellezza di questo splendido monumento. Il suo costruttore, l’imperatore Shan Jahan, ha davvero regalato alla sua amata moglie Mumtaz Mahal una spettacolare e meravigliosa tomba. Non sono neanche le 7 del mattino e già i visitatori affollano il sito: dalla piattaforma d’ingresso scattiamo le prime foto di rito e qui è il limite cui poter filmare con la videocamera, che va poi consegnata all’interno (pagando 25 Rp, rilasciano la chiave della cassetta in cui si ripone). Siamo emozionati e felici di visitare una delle meraviglie del mondo e camminiamo lungo il giardino in stile Moghul fino alla base del mausoleo, dove vanno lasciate le scarpe o s’infilano apposti copri scarpe da comprar fuori, utili per camminare sul pregiato marmo. Saliamo sulla piattaforma e da qui ammiriamo il giardino con le vasche, il portale d’ingresso, i canali d’acqua, i minareti, lo Jawab e la Moschea, questi ultimi uguali e opposti l’uno all’altro. Apprezziamo il marmo bianco del mausoleo, poiché ne è l’unico edificio interamente rivestito, in quanto gli altri hanno solo alcuni elementi decorativi di questo materiale mentre il resto è quasi totalmente di arenaria rossa locale. Notiamo anche la perfetta simmetria nella distribuzione degli spazi pieni e vuoti e i bellissimi lavori di ornamenti di pietre preziose e semipreziose incastonate nel marmo. Entriamo quindi all’interno, dove è vietato scattar foto, e descriverne la bellezza è davvero difficile: i cenotafi (tombe vuote, le vere giacciono in una camera sottostante non visitabile) sono circondati da un recinto ottagonale in marmo perforato e tutt’intorno si ripete il gioco di figure floreali e versi del Corano intagliati nel marmo bianco con pietre preziose colorate. Dopo esserci persi per le varie stanze limitrofe, usciamo di nuovo dal lato del fiume Yamuna, che lambisce il complesso, e ammiriamo il panorama verso l’altra sponda. Poi, piano piano, scendiamo dal mausoleo e ripercorriamo la via a ritroso, appagati dalla bellissima visione e soddisfatti dalla visita a questa meraviglia architettonica e artistica. Recuperata la videocamera, ritorniamo all’ingresso e alla nostra auto e rientriamo in albergo per la colazione, cui poi fa seguito la visita ad altri luoghi d’interesse di Agra. Infatti, ci facciamo portare da Vijeendra all’Agra Fort, detto anche Red Fort, per visitare la grande fortezza in cui fu imprigionato Shan Jahan e dove vi morì guardando da lontano la meraviglia che aveva costruito. All’ingresso paghiamo il biglietto (250 Rp + 25 Rp per la videocamera) e, tramite la Amar Singh gate, saliamo alla piazza d’armi, su cui si apre alla nostra destra il Jahangir Mahal, in arenaria rossa, dove all’interno vi è un complesso sistema di camere, sale, corridoi, gallerie e verande situate intorno a un cortile quadrato centrale. Da qui passiamo direttamente nel Khaas Mahal, il palazzo costruito per le figlie di Shan Jahan ma poi da lui abitato quando fu imprigionato: dalla guida apprendiamo che l’intonaco delle pareti è costituito da bianco di conchiglia, che si sposa meravigliosamente con i soffitti elegantemente scolpiti e riccamente decorati in fantasie floreali e geometriche. La parte amministrativa, con la Diwan-i-Khas (Sala delle Udienze private) e la Diwan-i-Am (Sala delle udienze pubbliche), è situata più internamente e si presenta con delle sale a portico in arenaria rossa, divise tra loro da due giardini in stile indiano e da una serie di sale più piccole, tra cui quella del trono. Dai bastioni ammiriamo il panorama sul fiume Yamuna e in lontananza, nella foschia mattutina, si vede il Taj Mahal immerso nel verde: nelle giornate limpide lo spettacolo deve essere altrettanto stupendo. Ritornati al parcheggio, ritroviamo Vijeendra tra le tante auto parcheggiate e gli preghiamo di ricondurci in albergo per un attimo di relax e per organizzarci nelle prossime visite: infatti, consultata la guida, decidiamo di visitare la tomba di Itimad-ud-Dausa e i Giardini Mehtab Bagh. Roby resta a riposare in albergo mentre noi altri con Vijeendra raggiungiamo in auto la Tomba situata dall’altra parte del fiume Yamuna, che si presenta bell’impetuoso e anche bello sporco. La tomba (il cui ingresso costa 100 Rp) sorge al centro di un piccolo giardino molto delizioso ed è tutta in marmo bianco del Rajasthan, le cui pareti sono incrostate di preziose decorazioni in pietra. Dai bastioni alcuni ragazzini si tuffano nel fiume mentre sull’altra riva delle donne lavano il bucato e una mandria di bufali beatamente gode della frescura dell’acqua: a far da sfondo a questa visita, una serie di nuvoloni neri che contrastano vivamente con il mausoleo bianco. Appena fuori la tomba c’è un mercato molto carino e ne approfittiamo per una visita veloce, passando tra bancarelle di frutta e verdura, mandrie di vacche in pascolo, rivendite di vasellame, friggitorie di samosa e un negozio di alimentari all’aperto. Poi Vijeendra ci porta su nostra richiesta ai giardini di Mehtab Bagh, quelli situati di fronte al Taj Mahal oltre il fiume: per arrivarci attraversa una parte di Agra fuori dai giri turistici e vediamo le famiglie che vivono nelle baraccopoli, i bambini che giocano in luoghi improbi, il bucato steso sull’asfalto ad asciugare e l’immondizia che si accumula lungo i bordi e nelle fogne a cielo aperto. Arriviamo a quello che è un giardino in stile persiano ma, pur pagando 100 Rp per entrarvi, non si tratta altro che di una spianata acquitrinosa in cui una serie di muretti in rovina offre un bel panorama sul retro del Mausoleo. L’unica cosa carina sono le mandrie di bufali presenti sulla riva che placidamente pascolano con l’erba presente. Lasciamo questo posto e ci facciamo portare da Vijeendra al Sadaar Bazar, alla fine della Taj Road, che la LP descrive di essere piena di negozi: in effetti, sulla Saudagar Line ne troviamo tanti di vario genere, dalle librerie all’abbigliamento e alle oreficerie. Ci intratteniamo qui per il resto del pomeriggio fino a che rientriamo in albergo giusto per fare un breve riposo, una doccia e prepararci per la cena, che è effettuata all’Only Restaurant, un po’ più lontano rispetto a quello di ieri: un buon pasto poco speziato e un po’ di musica indiana di sottofondo ci costano intorno ai 6 € a persona. Vista la poca offerta notturna, ci intratteniamo al bar dell’albergo per commentare i posti visitati e l’andamento della giornata davanti ad una tazza fumante di té e un lassi delizioso.

Sesto giorno

Partiamo da Agra in direzione Jaipur, con l’intenzione di sostare a Fatehpur Sikri e al pozzo di Abhaneri. Infatti, dopo una mezz’ora d’auto, Vijeendra ci lascia alla biglietteria della città abbandonata, il cui ingresso si raggiunge utilizzando gli autobus che partono poco dopo il bazar sito nel parcheggio e che costa le solite 250 Rp + 25 Rp per la videocamera. Saliamo dunque sulla collina nella cui parte più alta svetta l’ampia mole della Jama Majid, una delle più grandi moschee del mondo islamico riconoscibile per l’ampio arco d’ingresso, e accediamo alla città tramite il Palazzo di Jodh Bai, il cui bell’ingresso introduce a un cortile rettangolare dove si possono ammirare eleganti nicchie, balconi ornati di graziosi intagli e colonne finemente lavorate. Tramite una serie di corridoi sbuchiamo nella parte più interna per ritrovarci davanti al Panch Mahal (un padiglione di cinque piani di pilastri decorato nella parte superiore da un bel chhatri quadrato con una cupola) e alla Diwan-i-Khas, o Sala delle Udienze private, uno dei più bei palazzi in stile indù che visitiamo. Nel girovagare sotto il caldo sole però Alberto ci avverte di non sentirsi troppo in forma causa il lassi gelato della sera precedente e del succo di mango freddo della colazione, che gli han probabilmente bloccato la digestione. Con un po’ di riposo riesce a ristabilirsi e riprendiamo la visita passando per la Miriam’s House, che contiene all’interno ancora i dipinti di scene di caccia e di natura, e per il Caravanserraglio, in cui erano accuditi gli animali dell’imperatore e quelli di passaggio per la città. Effettuata la visita, riprendiamo la National Highway 11 per Jaipur ma durante il tragitto le condizioni di Alberto peggiorano e il mal di stomaco, accompagnato da una terribile emicrania, si rifà sentire: neppure la sosta liberatoria lo aiuta a rilassarsi e a sentirsi meglio e così, con la necessità di raggiungere quanto prima Jaipur, saltiamo la visita al Pozzo di Abhaneri, situato a 30 km di deviazione dalla nazionale. Effettuiamo quindi un’unica sosta a metà strada giusto per rifocillarci e poi andiamo di filato a Jaipur, attraversando campi verdi, cittadine chiassose e brulle colline: assistiamo anche al passaggio di un treno sul cui tetto c’è una folla di persone (passeggeri senza biglietto, sottolinea Vijeendra) e la stessa scena si presenta anche per alcuni autobus. L’ingresso a Jaipur avviene tramite una strada trafficatissima e piena di cantieri che porta dritti al Royal Central Orchid Hotel ****, l’albergo che sarà la nostra residenza per i prossimi giorni. Dopo la sistemazione, una rapida doccia e un riposino, usciamo per la cena, anche se siamo in tre poiché Alberto è in condizioni pietose e non cenerà. Fermiamo un tuc tuc e ci facciamo portare da Niro’s, un ristorante molto quotato sulla LP: l’interno è interessante e il cibo buono ma è caro per gli standard indiani (quasi 10 € la cena) e soprattutto si cena al gelo, in quanto l’aria condizionata è tenuta al massimo. Facciamo anche un breve giro per le strade adiacenti ma di sera i negozi sono chiusi e non c’è molta vita quindi riprendiamo un tuc tuc e rientriamo in albergo.

Settimo giorno

Tutta l’organizzazione del viaggio salta in quanto sia Roberto e sia Alberto si sono sentiti male e han trascorso la notte con frequentissime visite alla toilette: ora sono in uno stato di prostrazione e di stanchezza. Per fortuna la farmacia in nostro possesso viene in aiuto e, con i medicamenti adatti, la situazione torna pian piano alla calma. Rimandiamo così la visita della città all’indomani e, congedato Vijeendra nella mattinata, ci dedichiamo a piccole incombenze come il cambio dei soldi e un giro nei dintorni dell’albergo. Verso mezzogiorno però Francesca ed io decidiamo di andar in centro e, all’ultimo minuto, si unisce anche Alberto, il quale asserisce di sentirsi meglio e di essere stufo di star in camera: prendiamo così un tuc tuc e ci facciamo lasciare al Sanganeri Gate, che attraversiamo per percorrere la Johari Bazar Road fino a Badi Chaupar, la piazza principale trafficatissima. Passiamo davanti la Hawa Mahal, dall’esterno esclusivo di cinque piani simile a un alveare con le sue 953 piccole finestre chiamate Jharokhas (decorate con reticoli intricati in modo da permettere alle donne dell’harem reale di osservare la vita quotidiana in strada senza essere viste) e percorriamo la Tripolia Bazar Road guardando i vari negozi e la vita in strada, fino all’incrocio con Chaura Rasta Road, dove svoltiamo a destra infilandoci nella porta decorata: qui la via continua fino ad una piazza interna in cui trovano parcheggio alcuni tuc tuc e dove, proseguendo ancora sulla destra, si trovano gli ingressi dello Jantar Mantar e del City Palace. Ne programmiamo la visita per domani, quando saremo al completo, e proseguiamo sempre per la stessa direzione fino a entrare nel Jalebi Chowk, un grande spiazzo circondato da portici sotto i quali vivono parecchie persone e utilizzato anche come parcheggio: andiam via poiché c’è nulla di attrattivo se non le due colorate porte che conducono alla Johari Bazar Road, dalle quali si esce poco dopo la Hawa Mahal. Ritorniamo quindi verso Badi Chaupar e siamo costantemente tartassati dai commercianti di varie botteghe presenti: promettiamo loro un giro dopo pranzo ma è una scusa per evitarli. Vera è invece l’idea di uno spuntino e andiamo dritti da LMB, a metà strada della Johari Bazar: un baffuto maharaja ci apre la porta che introduce in una ricca pasticceria cui una successiva porta permette l’accesso alla sala ristorante. Qui ambiente è carino, il cibo buono e il prezzo basso (sui 3 € per un bel piatto di riso e pollo e un’acqua a persona) e ne usciamo soddisfatti e pronti per altre visite. Camminando lungo la Johari Bazar, ci intrufoliamo in uno dei tanti vicoletti laterali e scopriamo un mondo totalmente diverso: tanti negozi di vario genere vendono le loro mercanzie senza il frastuono del traffico e senza il continuo passaggio di motorini e tuc tuc. Nei vicoletti interni, sede della vita commerciale della città, i negozi espongono sete e sari colorati e negli interni, sedute su comodi sofà o tappeti usurati, donne interessate mercanteggiano e comprano ciò che desiderano. Ci perdiamo quindi in questa parte della Old City fino al pomeriggio inoltrato, quando decidiamo di rientrare. Qui troviamo Roby in condizioni migliori mentre Alberto, stanco e ancora provato, decide di non cenare con noi: per non allontanarci, passiamo la serata nel ristorante dell’albergo.

Ottavo giorno

La compagnia è di nuovo riunita e, dopo la colazione, si prepara alla visita della città. Vijeendra, ben contento di rivederci tutti insieme, guida per le già trafficate strade fino alla Old City e a Jalebi Chowk, dove parcheggia l’auto e dove resta in attesa che noi visitiamo i monumenti. Ci incamminiamo così per il City Palace ma apre alle 09,30 quindi andiamo al dirimpettaio Jantar Mantar, il complesso di architetture con funzione di strumenti astronomici costruito tra 1727 e 1734 e riconosciuto come Patrimonio dell’Unesco: il biglietto di 100 Rp ci permette di ammirare all’interno, tra i vari strumenti, la Laghu Samrat Yantra, l’alta meridiana, e la Jai Prakash Yantra, due emisferi interrati che tracciano la mappa del cielo. Dopo l’infarinatura astronomica, andiamo al City Palace, residenza tuttora della famiglia del Maharaja di Jaipur. Qui il biglietto costa 300 Rp + 20 Rp per la videocamera ma già dall’ingresso si vede che sono soldi spesi bene: la porta dove entriamo è la Virendra Pol, riccamente decorata, e ci conduce ad un cortile dove sorge il Mubarak Mahal o Palazzo degli Auspici, che ospita il centro d’accoglienza e un museo dedicato ad alcuni maharaja. Sul lato destro un’altra porta, adorna di due piccoli elefanti sotto una facciata in stile Rajput e con finti “maharaja” pronti per una “foto ricordo” pagabile poche rupie, conduce al cortile dove sorge la bellissima Diwai-i-Khas o Sala delle Udienze Private, che ha il pavimento di marmo, una serie di lampadari di cristallo pendenti dal soffitto e due enormi vasi in argento alti 1,6 m, ognuno con la singola capacità di 4000 l e 340 kg di peso: sono i più grandi vasi del mondo e sono chiamati Gangajelies. Sul lato sinistro di questo cortile entriamo in un’altra porta che ci conduce a un altro cortile interno, il Pitam Niwas Chowk, in cui ci sono quattro piccole porte (Ridhi Sidhi Pol) adornate con temi rappresentanti le stagioni e gli déi Hindu: a nord-est il cancello del Pavone (autunno) con Vishnu; a sud-est il cancello del Loto (estate) con Shiva-Parvati; a nord-ovest il cancello Verde o delle Onde (Primavera) con Ganesh e l’ultimo, a sud-ovest, è il Cancello delle Rose (inverno) con la dea Devi. Tutte sono bellissime e si prestano da sfondo alle tante foto che scattiamo. Su di noi svetta alto il Chandra Mahal, il più imponente dei palazzi con i suoi sette piani, di cui però solo il piano terra è visitabile. Usciamo soddisfattissimi da questa visita e ci perdiamo un po’ per le strade della Old City, ammirando i palazzi dal rosa sbiadito, la vita che si svolge per strada e occhieggiando un po’ di negozi per vedere le mercanzie che offrono. Dopo questo giro, rientriamo in albergo per riorganizzare l’uscita pomeridiana e decidiamo di andare da Rajasthali, un emporio regionale che vende a prezzi fissi e la cui qualità è controllata: è quello che cerchiamo perché lo shopping è garantito senza troppe discussioni e senza l’insistenza dei commercianti e qui troviamo di tutto, dalle pashmine coloratissime ai piccoli oggetti di legno o ferro lavorato nonché il cuoio, il pellame e l’abbigliamento classico indiano. I prezzi sono molto contenuti e, anche se non si possono contrattare, c’è la possibilità di trovare lo sconto: compriamo così buona parte dei souvenirs da portare agli amici. Dopo l’euforia dello shopping, chiediamo a Vijeendra di condurci di nuovo da LMB per uno spuntino pomeridiano e qui lo lasciamo libero così ci godiamo nel pomeriggio di un bel giro per l’affollato centro. Rientriamo poi in albergo con un tuc tuc e, dopo il riposino ed una doccia, decidiamo di andar a cena da Copper Chimney, non tanto lontano. La scelta del ristorante si rivela azzeccata: sebbene un po’ demodé, qui abbiamo mangiato in maniera divina e senza spendere ovviamente una fortuna (sui 6 € a persona). Trascorriamo poi il resto della serata sul tetto dell’albergo, ammirando il panorama di luci di Jaipur.

Nono giorno

E’ una splendida giornata di sole che ci accompagna nella visita all’Amber Fort: dopo colazione, infatti, siamo partiti per la periferia di Jaipur, intenzionati a visitare il grande forte che sorge alle porte della città. Durante il tragitto, Vijeendra ci comunica che Karni Singh ci aspetta per cena a casa sua, invito che rivolge a tutti coloro che han prenotato presso la sua agenzia e sostano a Jaipur: ringraziamo e ci accordiamo per il tardo pomeriggio. Procediamo quindi per Amber e, dopo aver superato una collina e disceso alcuni tornanti, il Forte appare sulla cresta delle montagne con le sue possenti mura. Il lago situato ai suoi piedi permette al forte di specchiarsi in esso e di avere nello stesso tempo non solo un’immagine di solidità e forza ma anche di eleganza. Vijeendra ci lascia ai piedi del monte chiedendoci di attendere lì e, dopo aver parcheggiato, ci conduce sul bastione da cui parte la salita in elefante, offertaci da Karni Singh. Francamente abbiamo accettato l’esperienza più che altro perché ci siamo informati a riguardo: gli elefanti sono obbligati a fare un certo numero di viaggi, a turni di riposo e devono essere ben trattati e accuditi dai loro guardiani. Comunque, montiamo a coppia in groppa e saliamo col lento incedere del pachiderma e, dopo 15 minuti, entriamo maestosamente nel primo cortile del palazzo, noto come Jalabi Chowk, attraverso la Suraj Pole o porta del Sole: siamo nell’ampio spazio usato per le parate e ora ingresso ai palazzi interni. La biglietteria si nasconde sotto i portici e c’è poca fila allo sportello per gli stranieri e dopo l’acquisto del biglietto (300 Rp + 25 Rp per la videocamera) subito saliamo per le rampe di scale che portano alla Singh Pole o porta dei Leoni che introduce alla corte superiore del palazzo: entrando, vi troviamo l’enorme Diwan-i-am ossia la Sala delle udienze pubbliche, sollevata su un podio e sostenuta da una serie di quaranta colonne di marmo marrone chiaro, sebbene a colpirci sono le mensole splendidamente scolpite e le staffe coperte con figurine di elefanti. Di fronte, la Ganesh Pole è decorata con affreschi bellissimi e al centro della facciata c’è il dipinto che raffigura Ganesh, la divinità con la faccia di elefante. Tramite questa porta entriamo nel Bagh Aram o Giardino dei Piaceri, composto da tre palazzi costruiti intorno ad un giardino in stile Moghul: sulla destra c’è il Suhk Mandir o Tempio del Piacere (una sala rettangolare con camere su un lato e una veranda con una cascata di marmo sull’altro ); sulla sinistra c’è il Seesh Mahal o Sala degli Specchi, due sale con sculture in legno e disegni floreali eseguiti con lavorazione “a specchio” (la guida ci dice che una candela può illuminare tutta la sala). Salendo invece per alcune scale, possiamo visitare il Jas Mandir, una sala aperta con finestre traforate in pietra e il soffitto intarsiato con lavoro a specchio, che si sposa magnificamente con tutto il resto. Proseguiamo ancora verso l’interno, attraversando le camere e i corridoi che compongono il corpo del forte, fino a giungere al Man Singh, la parte più antica, nel cui cortile sorge il Baradari, un padiglione colonnato con dodici arcate dove il re si mescolava alle dame di corte. Qui c’è la porta d’ingresso al palazzo Zenana, che contiene gli appartamenti delle dame di corte: siamo nell’harem e le adesso spoglie stanze non danno proprio l’idea del lusso e dello splendore in cui le odalische vivevano. Usciamo dal forte e raggiungiamo Vijeendra al parcheggio, chiedendogli di ritornare di nuovo da Rajasthali e fermandoci qualche minuto, lungo il percorso, ad ammirare il Jal Mahal, un palazzo situato nel centro di un lago che però non è visitabile. Da Rajasthali congediamo Vijeendra e facciamo le ultime compere, poi raggiungiamo di nuovo il centro, dove percorriamo i bazar e ci godiamo la frenetica vita locale fino a rientrare in albergo, giusto per prepararci all’invito. Vijeendra, infatti, è puntuale e ci porta a casa di Karni Singh, il quale ci accoglie con molte cerimonie: ci costruisce accomodare in casa e ci chiede com’è andato il viaggio e se abbiamo avuto problemi. Ospiti ci sono anche altre tre persone e scambiamo durante la serata con loro le impressioni sul soggiorno in India. L’ospitalità di Karni Singh, spontanea e genuina, è anche rivolta a saldare il pagamento del viaggio, cosa possibile in Euro o moneta locale: eseguita questa incombenza poco prima della cena, ci lasciamo coccolare con del cibo indiano deliziosissimo cucinato da sua moglie. Ci congediamo a un orario consono e, rientrando in albergo, vediamo un supermercato indiano ancora aperto: ci fiondiamo dentro per vedere cosa si vende di buono e ne usciamo con buste di tè e spezie di vario genere, pacchi di cibo (masala, noodles, chapati e riso), aromi ed essenze. Ora il problema sarà far entrare tutto nelle nostre già stipate valige.

Decimo giorno

Jaipur dista da Delhi poco più di 270 km, che da noi vuol dire circa tre ore di viaggio, ma qui ne impieghiamo quasi sette ore, trascorse a scansare gli animali, gli incidenti, i cantieri d’interminabili lavori, le buche, i dossi e l’immancabile traffico di Delhi. Soggiorniamo per la nostra ultima notte indiana di nuovo al Florence Inn Hotel e approfittiamo delle ultime ore pomeridiane a nostra disposizione per farci un giro nel mercato sempre affollato di Karol Bagh. Ceniamo da Spicy by Nature, nei pressi dell’albergo, ma il cibo è troppo speziato per i nostri gusti e non è di gradimento: dopo aver speso inutilmente quasi 8 € di conto, non ci resta che andare a letto prima per affrontare poi l’alzataccia che ci aspetta.

Undicesimo giorno

Alle 05.30 siamo già in piedi per una frugale colazione con il tè e il caffè offerto dall’hotel e alle 6 in punto il check-out è già effettuato: Vijeendra carica le nostre valige sull’auto e, per l’ultima volta, viaggiamo sulla comoda Toyota Innova alla volta dell’aeroporto. Vijeendra ci lascia così davanti all’ingresso dei voli internazionali e lo ringraziamo tantissimo per la disponibilità e il lavoro che ha svolto per noi: poche parole; richieste esaudite e tanta pazienza nel dover sentire ogni giorno quattro italiani che parlavano costantemente! Al banco Qatar c’è già la fila ma per fortuna è abbastanza celere come celeri sono i controlli prima dei passaporti e poi del bagaglio a mano che effettuiamo prima di accedere all’area partenze. Qui, mentre attendiamo l’imbarco, spendiamo le ultime rupie comprando qualche altro souvenir e dei dolcetti indiani. Il volo per Doha decolla puntuale e l’ultimo scampolo di India lo troviamo nel pasto offertoci a bordo, poiché grossi nuvoloni ci precludono la vista al di sotto. A Doha invece splende un caldissimo sole e il fresco dell’area sosta è benefico: anche qui facciamo incetta di souvenirs e soprattutto di dolci arabi come il baklava. Il volo di rientro è pieno d’italiani e le immagini dei trascorsi giorni indiani iniziano a scorrere davanti ai nostri occhi: il viaggio si pone così al termine. Namasté.

Notizie varie e consigli

Moneta La Rupia è la moneta locale e la si può cambiare in banca e nei changes disseminati nelle principali città: a Karol Bagh ce ne sono molti, soprattutto in prossimità degli alberghi. Il cambio è 1 € = 75 Rp quindi orientativamente 100 Rp sono circa 1,5 €. Sono disponibili anche tanti ATM e c’è la possibilità di pagare con la Carta di Credito in molti esercizi commerciali.

Comunicazioni Partendo dai cellulari, la connessione è possibile dappertutto ma ovviamente chiamare e ricevere sono un salasso, pure per gli sms: meglio usare una scheda indiana oppure i telefoni pubblici. Noi abbiamo chiamato in Italia anche dagli alberghi e per una conversazione di un paio di minuti abbiamo pagato neanche 1 €. Per l’uso del Wii-Fii si paga a ore in alcuni alberghi sulle 100 Rp per 30 minuti.

Spostamenti In India ci si muove in tuc tuc o risciò, che portano quasi dappertutto, soprattutto i primi e, per il prezzo, contrattare sempre. Da tener presente che molti dei conducenti non parlano inglese quindi procurarsi il biglietto da visita dell’albergo nonché un punto di riferimento stradale più vicino a esso: a Jaipur uno di loro non conosceva l’hotel e per fargli capire qual era e dov’era ce n’è voluto! A Delhi c’è anche la metropolitana e a Jaipur un servizio autobus molto colorito.

Acquisti In India si può acquistare praticamente tutto, dall’abbigliamento ai prodotti tecnologici, e il prezzo lo si stabilisce con la contrattazione, spesso anche nei negozi. Nei bazar conviene calare la cifra quanto più si può e, se non si è soddisfatti, meglio andarsene: quasi sempre cedono e vi rincorrono per far ritornare indietro e chiudere la vendita. Buona la tattica dei due acquirenti uno buono e l’altro cattivo o anche quella della moglie che dice di no fino al prezzo voluto: quest’ultima è ottima soprattutto per l’acquisto di abbigliamento e oreficeria. A Delhi, il mercato di Karol Bagh offre moltissime scelte, soprattutto d’abbigliamento: sari colorati anche per matrimoni, pashmine di varia qualità nonché camice e pantaloni che sono acquistabili a prezzi davvero bassi (per una camicia di buona qualità si pagano anche 5 €). A Jaipur invece molto carina l’oreficeria (di fronte all’Hawa Mahal ci sono alcuni negozi interessanti) e le stoffe, da comprare nei negozi all’interno del bazar. Molto belli sono anche quaderni e album in pergamena dal prezzo irrisorio di pochi euro. Se non si vuol contrattare e non ci si fida della qualità, come già detto c’è l’emporio regionale Rajasthali di fronte la Ajmeri Gate, che offre prezzi fissi ma qualità garantita.

Salute Con i problemi avuti, mi sento in dovere di dar qualche dritta a riguardo per affrontare le emergenze sanitarie che possono accadere. Le profilassi sono consigliate ma non obbligatorie quindi è una scelta se farle o no. In borsa meglio avere antispastici come Buscopan e Dissenten nonché antibiotici intestinali come il Bimixin, che s’è rivelato un toccasana. Un analgesico e un antipiretico completano la farmacia, accompagnati da salviettine umidificate detergenti e da un gel disinfettante. E’ bene iniziare una cura di fermenti lattici almeno una settimana prima e continuarla durante tutto il soggiorno, anche in caso di problemi. Ovviamente bere solo da bottiglie servite col tappo chiuso e mangiare cibo caldo ma tener presente che, col traffico e le pessime condizioni igieniche anche nelle grandi città, spesso non è il cibo a provocare problemi intestinali ma è proprio l’aria stessa che contiene microbi d’ogni genere.

Cibo Infine il cibo, un’esperienza gustativa a tutto tondo in India. Notoriamente il cibo indiano è piccantissimo, per due motivi: il primo è che il peperoncino aiuta la traspirazione e in paesi come l’India dove l’umidità arriva anche all’ 80% è un elemento fondamentale; il secondo è che nei tempi passati, soprattutto tra i poveri, il cibo era cucinato utilizzando pietanze varie e diverse (per non dire anche andate a male) quindi speziarlo era il miglior modo per non sentire il cattivo gusto e l’odore. Questo capitava molti e molti anni fa ma oggi, che la cucina s’è raffinata, è comunque rimasta l’usanza di speziarlo parecchio. Suggerire cosa mangiare è difficile, vista la varietà e la differenza tra le cucine regionali, ma nei ristoranti fondamentalmente due sono le pietanze da chiedere sempre: il chapati e il riso. Il chapati è il buonissimo pane indiano, da mangiar semplice oppure condito: personalmente preferisco quello con la frutta secca ma c’è anche all’aglio o spalmato di burro. E’ ottimo accompagnato con le verdure ma anche da solo può essere sbocconcellato. E poi costa pochissimo e si può comprare anche in strada. Il riso invece è di qualità basmati, con i chicchi che non s’attaccano tra loro: una ciotola a tavola fa sempre bene e, in caso di problemi intestinali, può rappresentare un ottimo pasto. Le verdure sono gustose, soprattutto se in zuppa, e la carne che si può trovare è di pollo, di tacchino, di agnello o di pecora (mutton nei menù): in alcuni ristoranti, se non ve la servono speziatissima, è davvero squisita. Un consiglio: dire “no chilly” o “no spice” spesso serve poco o a nulla perché alcune volte il cibo è già cotto e condito, come le salse, e quindi si rischia di avere un piatto che poi, per essere troppo piccante o speziato, non si mangia. La cosa migliore per far intendere che si gradisce del cibo non piccante è imparare a dirlo in Hindi o almeno scriverlo su un foglio. Altrimenti è meglio mangiare cinese o riso bianco. Un ultimo suggerimento: per apprezzare la cucina indiana così com’è, conviene assaggiarla un po’ alla volta, in modo da abituare il corpo al gusto delle spezie e del piccante e nello stesso tempo tutelarlo da fastidiosi contraccolpi intestinali.

Link Una serie di link da consultare per un viaggio in India: India – www.guidaindia.com www.indiatourismmilan.com www.indianvisamilan.com: Karni Singh – www.viaggioindia.it www.indiakarni.it; Delhi – www.delhitourism.nic.in; Agra – (inglese); www.agraindia.org.uk (inglese); www.tajmahal.com (inglese) Jaipur – (inglese)



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