Motoviaggio a Medjugorje

IN VIAGGIO PER MEDJUGORJE Tre uomini in moto racconti di viaggio Nel caminetto un ciocco scoppietta e scintilla, lo stereo propone un brano di Santana, Siamo in tavernetta a casa da mio fratello Roberto (Robi), è il 20 di febbraio del’90, oltre a me c’è anche Gilberto, tre amici con la stessa passione, viaggiare in moto. Per...
Scritto da: Giovanni Jack
motoviaggio a medjugorje
IN VIAGGIO PER MEDJUGORJE Tre uomini in moto racconti di viaggio Nel caminetto un ciocco scoppietta e scintilla, lo stereo propone un brano di Santana, Siamo in tavernetta a casa da mio fratello Roberto (Robi), è il 20 di febbraio del’90, oltre a me c’è anche Gilberto, tre amici con la stessa passione, viaggiare in moto.

Per l’occasione ho portato una torta al limone che ha fatto mia moglie e Gegè una bottiglia di prosecco di Valdobiadene. Robi ha preparato il proiettore delle diapositive per rivedere le immagini scattate durante qualche nostro motogiro estivo. Guardiamo immagini del giro del Garda, sempre bello, visita alla cascata di Varone e ritorno per la Gardesana occidentale con tutte le sue gallerie. Riva del Garda offre lo spunto per delle belle immagini, poiché spostandosi sulla zona collinare sovrastante si può fotografare questa punta di lago invasa da decine o forse centinaia di wind-surf che veleggiano come tante di farfalle colorate. La torta, nel buio della proiezione, è arrivata a metà e la bottiglia altrettanto, nel silenzio delle bocche piene si sente solo il ronzio del proiettore, il cd di Santana è finito.

Finisce la proiezione, Robi inserisce nello stereo un cd degli “The Animals”, anni’70.

Ragazzi ! – dico io – Che ne direste di organizzare un motogiro a Medjugorje per la prima settimana di luglio, potrebbe essere piacevole percorrere la costa dalmata? Uhhhmm uhhmm, gnam.. Gnam, qualche muguno per inghiottire un residuo di fetta di torta, un sorso di prosecco per pulire la bocca.

L’idea mi piace – dice Gegè – però questa volta prendiamo il traghetto Ancona > Spalato così evitiamo tutto il giro vizioso per andare su a Trieste e tornare giù, anche perché è un tratto che abbiamo già visto.

Si si, facciamo così – dice Robi – mostrando perplessità sul come fermare le moto in caso di mare mosso. Gilberto specifica che forniscono corde ed altro per fissare le moto alla fiancata ed a terra .

Fugato ogni dubbio la mozione è approvata all’unamimità.

Un giovedì, della prima settimana di luglio del ’90, alle ore 17 ritrovo e partenza davanti a casa di Robi. Il traghetto parte da Ancona per Spalato alle ore 23.

Arriviamo ad Ancona porto, verso le 20,30 e ci guardiamo un attimo attorno per capire il da farsi, cerchiamo la biglietteria,… Vista! Parcheggiamo i mezzi vicino ad un lampione che si è appena acceso, io rimango di guardia e gli altri due vanno a fare i biglietti. Tre posti a ponte in poltrona, così durante la traversata possiamo fare un riposino! Nel porto, tutto attorno, si sono accese le luci di servizio, non c’è più il via vai di camioncini o muletti, qualche auto incolonnata pronta per l’imbarco, un paio di traghetti a bocca spalancata e con le luci interne accese che si perdono nella profondità delle loro gole, attendono i clienti.

Ci sono due traghetti in partenza, uno per la Jugoslavia ed uno per la Grecia.

Chiediamo per non sbagliare, saliamo e posizioniamo le moto adiacenti alla fiancata interna e qui troviamo delle corde e tiranti per bloccare i mezzi al suolo e alla parete.

Saliamo a ponte, c’è gente, tanti appoggiati alla ringhiera di protezione, chi osserva il panorama notturno di Ancona, chi, rivolti verso il mare, cerca di individuare le luci di qualche nave che si allontana verso il punto in cui acqua e cielo si confondono.

Ci aggreghiamo e passeggiamo, curiosando notiamo due belle file di scialuppe di salvataggio che ci hanno fatto sperare di non averne mai bisogno.

Il borbottio cupo dei motori cambia ritmo una specie di scossone percorre tutto lo scafo, si muove! Seguiamo con curiosità tutta l’operazione di uscita dal porto e vediamo le luci della città allontanarsi e rimpicciolire sempre più fino a diventare un’alone luminoso informe che viene inghiottito dall’orizzonte, il suo spazio è riempito da una miriade di stelle che sembrano volersi tuffare in mare in questa notte di luglio.

E’ il momento di andare a riposare, sul ponte non c’è quasi più nessuno, conquistiamo le nostre tre poltrone. Prendo posizione, mi accomodo, non riesco a stendere le gambe, sono troppo vicino a alla poltrona davanti. In sottofondo… Vuumm..Vuhumm…Vuhumm…Vuhumm il pulsare del cuore del battello. Non riesco a prendere sonno, cambio continuamente posizione, mi innervosisco, mi alzo.

Esco sul ponte, fumo una sigaretta, rientro, vedo il locale bar con alcune panche rivestite in finta pelle imbottita, – forse riesco a stendermi – penso – provo la maniglia, la porta si apre. Non c’è nessuno, il bancone è protetto da una serranda a maglie romboidali, con grande goduria mi stendo sulla panca con il giubbino sotto la testa. Chiudo gli occhi. Tin..Tin..Tin…Tin..Tin..Tin..Tin..Tin..Tin.., un tintinnio subdolo ed incredibile, mi ritrovo seduto, cosa c’è ora? Sopra la macchina del caffè un doppio strato di tazzine che ballano e si toccano fra loro al ritmo del pulsare del motore.

Sono di nuovo sul ponte, fumo una sigaretta, guardo il buio del mare e le stelle del cielo, fa freddo rientro, riconquisto la panca, mi tolgo le tennis e le posiziono sotto la testa, il giubbino me lo incappuccio per attutire il ballo delle tazzine. Per stanchezza mi addormento, credo di aver dormito un paio di ore, nel mentre è arrivata l’alba, mi infilo le scarpe, mi stiro, ho l’impressione di essere stato preso a bastonate tanto sono indolenzito, le tazzine sono ancora lì che ballano instancabili… Tin..Tin..Tin..Tin..Tin..Tin..Tin..

Raggiugo la poltrona e cerco di riposarmi. Ai miei compagni non è andata meglio, sono tutti indolenziti. Il sole si alza piano piano da un’orizzonte un po’ nebbioso, sono le 7,30 manca poco all’attracco a Spalato. Una rinfrescata per sgonfiare gli occhi, scendiamo nella stiva a preparare le moto.

Finalmente il portellone si apre, terra!! Split! Subito nel primo bar che troviamo, consumiamo cappuccino e pasta. Si è alzato del vento, anzi molto vento, partiamo direzione Makarska.

La guida è difficoltosa, il vento è laterale e bisogna prestare molta attenzione alle sbandate. Siamo sulla strada costiera dalmata, il vento si è calmato, il sole prende il sopravvento e comincia a dire la sua.

Alla nostra destra si affacciano sul mare dirupi ed insenature da cartolina.

In prossimità di Pisak ci fermiamo in una piazzola a lato strada per un riposino strategico, la nottata in bianco sul traghetto si fa sentire e ci siamo accorti che rischiamo il “colpo di sonno”. Stendiamo i giubini a terra e ci corichiamo un attimo, passa un’ora e mezza, ci alziamo un po’ ammaccati, ma ci sentiamo meglio.

Siamo a cavalcioni sulle moto pronti per ripartire quando ci accorgiamo che manca a tutti qualcosa: un orologino digitale che ognuno di noi aveva fissato con del nastro di velcro sul manubrio, non c’è più, durante il riposino abbiamo ricevuto visite e si sono presi un ricordino. Peccato era una comodità! La strada per Makarska si allontana dalla costa e si insimua tra la montagna rocciosa e macchia mediterranea, scorre alta, in prossimita della città si avvicina al centro abitato e dall’alto, tra uno spuntone di roccia e una macchia di pini, si intravede l’azzurro di una insenatura con barchette ormeggiate in ordine sparso, la fine di un pontile.

In un’area pianeggiante al centro dell’arco di una grande insenatura, quasi una baia, sorge Makarska.

Il panorama è da cartolina, vogliamo farne parte, entriamo, la strada panoramica ci porta giù verso un’incrocio in cui alcuni cartelli indicano il centro, il turist biro, e i nomi di vari alberghi e campeggi, seguiamo le indicazioni mentre la strada panoramica risale e continua il suo viaggio.

Makarska Cerchiamo il turist-biro, parcheggiamo nei pressi e ci guardiamo attorno, l’impressione è quella di una cittadina con una buona impostazione turistica, pulita ed ordinata con una fascia di pineta verde che separa la zona di fine traffico dal lungomare e spiaggia di ghiaia.

Ci scambiamo le nostre impressioni, fumando e grattandoci la testa ( il casco fa prurito in particolare con il caldo), all’ufficio turistico c’è sempre qualcuno che parla italiano, chiediamo un alloggio per un paio di notti, dopo qualche telefonata ci consegnano un biglietto con un’indirizzo, la piantina stradale ed il nome dell’albergo.

L’albergo si presenta bene, bel piazzale con aiuole e parcheggio auto e moto, grande vetrata in ingresso, grande salone, grande banco accettazione, tutto in grande! Ci piace, chiediamo dormire e prima colazione, ci assegnano una camera tre letti all’undicesimo piano, è in posizione d’angolo per cui dal lato terrazzino si vede il mare e dal lato finestra il paese, bello! Nel prezzo c’è compreso l’uso di piscina con tutti i suoi accessori. Non avendo voglia di girare ulteriormente, alla sera ceniamo nel ristorante dell’albergo.

Una passeggiata nella galleria dell’albergo, ci sono negozi per turisti e salone di bellezza. Ci ritiriamo con la voglia di stenderci su un vero letto. Una favolosa doccia e tutti in branda! Una luce esagerata entra, alle 6, dalla vetrata del terrazzino, ci siamo dimenticati di tirare le tende oscuranti, a nulla vale coprirsi la testa con il lenzuolo, tale è la luminosità.

Con molta calma e mugugnando, a turno andiamo in bagno, esco sul terrazzino per vedere com’è il tempo, che spettacolo!!! Dall’alto dell’undicesimo piano si vede tutto il perimetro della baia, il sole si sta alzando da dietro le montagne, il mare è immobile come uno specchio e le barchette sembrano disegnate, chiamo i miei compagni e godiamo assieme di questa visione Pantaloncini corti, asciugamano in spalla, zainetto con varie utility, ciabatte, occhiali da sole, ci avviamo verso il mare. Attraversiamo la pineta, passaggio ciclo-pedonale lungomare, spiaggia. La spiaggia è di sassi e ghiaia che si va gradatamente ripicciolendo fino ad entrare in acqua e diventare ghiaino, non ci sono ombrelloni, come siamo abituati a vedere sulle spiagge dei nostri lidi, chi vuole dell’ombra è sufficiente che si ritiri sotto la pineta adiacente, talmente vicina che certi pini proiettano la loro ombra sulla piaggia.

Non passano “marocchini” a vendere orologi o collanine bensì qualche vecchietta o ragazzino che offre un unguento solare, fatto in casa, a base di olio di oliva limone e altre spezie profumate.

Il bagno è obbligatorio, il colore e la limpidezza dell’acqua lo richiede, al primo impatto è decisamente fredda poi si sta bene. Sembriamo delle anatre starnazzanti, usciamo quando la pelle delle dita incomincia a raggrinzirsi.

Ci corichiamo al sole per asciugarci, la ghiaia sotto l’asciugamano è un po’ scomoda si andrebbe meglio con un materassino gonfiabile però c’è il vantaggio di non avere sabbia adosso o nel costume o che qualcuno sventoli l’accappatoio insabbiato sottovento.

Passa una mezzora e Robi propone di andare a prendere un caffè ed esplorare la spiaggia, si accetta.

Camminiamo sullo stradello che costeggia la spiaggia perché sulla ghiaia è faticoso, il sole è alto e l’ombra dei pini comincia a ritirarsi per girarsi dall’altra parte, non prendiamo il caffè, ad un certo punto lo stradello punta verso l’alto dirigendosi su uno spuntone di roccia dove, in una piazzola, è posizionata una panchina, ci sediamo ed osserviamo.

Volgendo lo sguardo oltre la cresta di roccia che ci ospita vediamo una piccola insenatura contornata da una fitta pineta, ci sembra di vedere una costruzione tipo baracchino-bar-risorante in prossimità della relativa spiaggia, andiamo a vedere. Sulla spiaggia notiamo un uomo ed una donna stesi che prendono il sole al naturale, non ci facciamo molto caso poiché in queste zone capita, ci avviciniamo al presunto bar, escono due uomini nudi e ciondolanti, poi due donne anch’esse nude e sballottanti, ci affaciamo alla porta del bar e vediamo una fila di chiappe la cui faccia è girata verso il bancone. Oramai è chiaro, siamo entrati in un villaggio-campeggio di nudisti o naturisti, ci sentiamo inbarazzati, siamo in costume con l’asciugamano in spalla, loro sono in maglietta senza costume, non è la stessa cosa! Sinceramente non è un gran bel vedere, anche perché non è robina tanto fresca. Ostentiamo indifferenza, non è vero siamo curiosi, ci diciamo battute di tutti i tipi, sghignazziamo cercando di non farci notare, passiamo oltre ed imbocchiamo un sentiero segnalato con un cartello con su disegnato un pesce, un coltello e forchetta, ci sembra di buon auspicio. Percorriamo una cinquantina di metri e ci troviamo davanti ad una specie di capanna con annessa una tettoia di paglia e sotto 4-5 tavoli e tutt’intorno odore di pesce fritto.

L’orario è quello giusto, 13,30! Grigliata mista e patatine fritte.

Abbiamo mangiato bene e speso poco.

Lasciamo trascorrere un po’ di tempo lì seduti, si sta bene, non ci sono naturisti in giro, chiacchieriamo. Ad un certo momento Gegè restringe gli occhi, come per vedere meglio un soggetto lontano, e ci avvisa che gli sembra di vedere due figure avvicinarsi tra i cespugli ed i rami dello stradello, ci giriamo incuriositi e con indifferenza da quella parte.

Se le fate esistono devono essere così, non capiamo bene se è una visione effetto grappino o se è realtà!!. Capelli biondi, lunghi sulle spalle una e legati a treccia l’altra, seni a coppa, fianchi da vespa e ciuffo biondo, carnagione leggermente ambrata, sulla ventina o giù di lì, così si presentano le due figure femminili alla fine dello stradello a pochi metri dalla baracca.

Si fermano un attimo, si guardano attorno poi decidono di tornare indietro, il panorama posteriore non è da meno del precedente, due mandolini che si pavoneggiano in maniera dispettosa, e sembrano sorridere. Spariscono fra i cepugli dello stradello da dove sono venute.

Forse abbiamo sognato! Siamo ammutoliti. Ci vuole un caffè corretto al prugnino.

Raggiungiamo lo stradello e ci incamminiamo, chissà! Si vedono due figure fra le sterpaglie sulla nostra direzione, allunghiamo il passo, con finta indifferenza le raggiungiamo, non ci sembrano proprio simili alle precedenti, due ciondoloni di cui uno con i baffi ci guardano ed accennano ad un saluto, un cenno con il capo e proseguiamo. Forse è stata davvero un’apparizione! Forse erano delle ninfe del bosco! Non abbiamo più visto altro di simile! Robi si è dimenticato di avere la macchina fotografica con se e che poteva documentare quel momento, peccato! Torniamo alla spiaggia dell’albergo, ci stendiamo ed ognuno rimane in silenzio con i propri pensieri e fantasie.

La giornata si conclude senza altre emozioni, cena, passeggiata, a letto e preparazione itinerario per l’indomani mattina. Destinazione Medjugorje passando da Mostar.

Sveglia alle 7, prepariamo le borse e scendiamo a fare colazione, di tutto un po’ ed anche di più.

Paghiamo il conto saliamo a prendere i bagagli, apro lo sportello superiore dell’armadio per prendere il casco, una cerniera si stacca, lo sportello si mette a penzoloni e mi striscia la testa, lancio un urlo, mi tocco la zona interessata e la mano si sporca un po’ di sangue. I miei compagni che erano in corridoio ritornano, guardano la scena stupiti ed increduli. Mi siedo sul letto, Robi mi prepara un fagotto di carta igienica bagnata e me lo applica in testa, in cinque minuti mi riprendo e siamo giù sui nostri cavalli d’acciaio, il casco mi da fastidio, per cui indosso una bandana.

La panoramica costiera che abbiamo lasciato due giorni fa è lì che ci aspetta, ci accoglie, restiamo in sua compagnia solo per pochi chilometri perché alla deviazione per Mostar imbocchiamo la strada che si dirige verso un paesaggio roccioso e brullo all’interno della Bosnia-Erzegovina.

Il fondo stradale è discreto, un po’ ondulato, qualche crepa disegna l’asfalto, ai lati il paesaggio scorre mostrando campi di terra rossastra semilavorata o rocciosa, nei pressi di qualche macchia verde si vedono delle file di casette multicolore per le api (arnie), non si vede gente, una “zastava” bianca ci sorpassa. Ho prurito in testa ed a cenni lo comunico ai compagni, alla prima piazzola utile fermata strategica, controllo della testa, tutto bene, scherziamo un po’, indosso il casco sopra la bandana e ripartiamo.

Il Ponte di Mostar Una tirata e siamo a Mostar, dov’è il famoso ponte? Per trovare un ponte basta trovare un torrente e prima o poi salta fuori il ponte!.

Troviamo il torrente, la strada lo costeggia per un tratto poi si allontana e si dirige verso delle strutture industriali. Ci fermiamo in un grande piazzale dove c’è un’edificio abbastanza anonimo con un’ingresso e delle scritte che ci ricordano un bar o una trattoria, alle sue spalle una costruzione con cortile che ricorda una fabbrica per lavorazioni metalmeccaniche.

Dalla gente che incomincia ad entrare ci sembra di capire che siamo davanti ad un locale tipo dopolavoro o mensa aziendale della fabbrica adiacente. Beviamo una birra, quattro passi e ci avviciniamo al torrente, dalla riva si vede in distanza un ponte di pietra, sarà quello famoso? Facciamo finta di si. Non lo sapremo mai! Saliamo a cavallo dei mezzi e puntiamo in direzione Medjugorje.

Il panorama che ci accompagna è simile al precedente, qualche piccolo nucleo di case coloniche si perde tra una macchia verde ed un campo di terra rossastra, non si capisce bene che cosa possano coltivare, ci sembra un’agricoltura piuttosto povera.

Medjugorje Ecco il paese delle apparizioni! Una segnaletica ci guida verso il santuario.

E’ situato in una piana sopra una collina, ai lati della strada d’accesso ci sono alcune bancarelle per i classici souvenir – ricordini, ma solamente un paio sono attive, le altre sono vuote.

Nel piazzale antistante la chiesa ci sono aiuole guarnite con un pò di fiorellini colorati, in una di esse è inserita, in posizione centrale , una statua, ad altezza naturale, raffigurante la “Madonna” ed attorno alcune panche in legno e ferro senza schienale.

Oltre a noi abbiamo contato una quindicina di persone sparse per tutta l’area, in prevalenza vecchi e bambini, entriamo nella chiesa, un gruppetto di persone occupa tre file di banchi e segue in silenzio il rito che un religioso compie nei pressi dell’altare. Usciamo, all’esterno vi è una specie di palco dove, ci sembra di capire, avviene la cerimonia delle Visioni Mistiche. Rientriamo, accendiamo un cero, usciamo, ci facciamo scattare un paio di foto, con la nostra fotocamera, da un tale che abbiamo scoperto essere di Bergamo, pure lui in gita. Abbiamo visto quello che c’era da vedere, ripartiamo in direzione della costa verso Dubrovnik.

La panoramica della strada costiera è un’altra cosa, insenature, porticcioli, pinete, mare blu, isolotti sfilacciati.

Dopo la parentesi mistica ora ci lasciamo andare allegramente penellando una curva dopo l’altra, in testa mi prude il punto sfiorato dallo sportello e muovo il casco per alleviare il fastidio.

Come al solito la buona intenzione di mangiare poco per viaggiare meglio crolla davanti all’insegna di una trattoria in cui è rappresentato un piatto di cozze e canocchie. Entriamo in un parcheggio ombreggiato dai pini, un terrazzino con tettoia di bouganville ed alcuni tavoli apparecchiati, sembra ci aspettino.

Ordiniamo una portata unica di cozze e frutti di mare accompagnata dalla oramai classica insalata mista, arriva un piattone ovale grande come un quarto di tavolo e colmo che sembra il Gran Sasso, impressionante, riusciremo ad onorare la scalata a tale montagna? Le cozze sono come le ciliege, una tira l’altra e dopo un pò la montagna precedente si è trasformata in tre colline di gusci vuoti ed un piattone ovale con una canocchia ed un gambero rosso che sono rimasti lì.

Caffè, quasi buono, e grappino alla prugna concludono la situazione.

Abituale e salutare passeggiata per digerire e curiosare nei dintorni, alla fine della macchia di pini che ombreggia il parcheggio si può vedere il mare ed una lingua di terra, parallela alla costa, di cui vediamo la fine e non il principio, che isola sarà? Consultiamo la cartina, non è un’isola, nella sua parte più meridionale, quella che a noi sembrava una lingua di terra sul mare, in realtà si congiunge al continente con una sagoma che assomiglia ad un piede e diventa così una penisola.

Il nostro punto di arrivo è Dubrovnik e da quì imbarcarci per Ancona.

Le cozze sono andate giù per cui salutiamo l’oste e ripartiamo, conveniamo di prestare attenzione per riuscire a trovare il punto in cui dalla strada principale si deriva la via per la penisola che avevamo visto. Una decina di kilometri e troviamo la derivazione, alla nostra destra la strada ci conduce giù verso la costa ed il mare.

Arriviamo, praticamente, a livello zero, la strada scorre a 1 mt. Dal livello del mare e siamo sul piede di collegamento della penisola, passato questo tratto, alla nostra destra, si erge una collina verdeggiante sulla cui cima si possono vedere i resti di un’antica fortezza da cui parte una muraglia che si estende sepeggiante fino al piano.

Altro bivio Ston km 7- Broce km 2, sul secondo c’è l’indicazione di un campeggio, è località turistica, decidiamo per Broce.

Il paese si sviluppa sulla riva di una lunga e stretta insenatura poco profonda, sassosa, si vede il fondale per parecchi metri dalla riva.

Le case sono basse e antiche, su alcuni muri o a lato strada semisepolti dai rovi si possono individuare tracce di un’antico dominio della repubblica marinara di Venezia. .

Un’aspetto che ci colpisce è la grande quantità di fioriture che si vedono tutto attorno, roseti selvatici che si arrampicano sui muri delle case, quasi a volerli nascondere, campanelle colorate che si attorcigliano su qualuque palo, recinzione od oggetto le possa sostenere.

Tanti alberi di fichi selvatici dal caratteristico odore, e che ospitano tantissime vespe.

Sembra un villaggio disegnato da un pittore per le cartoline degli auguri pasquali! Procediamo lentamente verso quella che sembra essere la piazzetta di arrivo ed anche la fine del villaggio, costeggiamo una spiaggetta sassosa, ma con un’acqua talmente limpida che sembrerebbe non esserci, due bambini muniti di braccioli galleggianti giocano a spruzzarsi Siamo fermi, spegnamo i motori che sembrano fare un rumore fuori luogo, inusuale, togliamo i caschi, una grattatina in testa e la nostra attenzione e attirata da una nuvola di fumo che giunge da dietro le nostre spalle.

Sotto un porticato, con una parete in lamiera ed i pali di sostegno avvolti dalle bouganville, c’è una griglia su cui gira, infilato tra due forcelle, un capretto, un signore di un’età incomprensibile, ma che capisce bene l’italiano, con un pennello in mano sembra dipingere mentre olia l’arrosto per mantenere morbida la carne.

Poichè è un’osteria chiediamo indicazioni per l’alloggio di una notte, ci offre un monolocale seminascosto da un’enorme cespuglio di fico selvatico, va bene, le moto sono posizionate a vista sotto l’unica finestra all’ombra del fico.

Che bello, che bello!! Siamo dei romantici, come tutti i motociclisti viaggiatori, ed apprezziamo questa nuova situazione.

Ci mettiamo a nostro agio, una bella rinfrescata, un riposino, Gegè si accende una sigaretta appoggiato alla finestra e ci parla guardando fuori, io e Robi ci assopiamo lentamente, 10 o 15 minuti e ci svegliamo presi a cuscinate.

Usciamo, quattro passi per visitare il paese che si dimostra essere essenzialmente una borgata con qualche vecchia casa mantenuta per uso caratteristico e turistico, qualche piccolo recinto per capretti, tanti arbusti con infiorescenze selvatiche e spesso spinose, tante vespe che girano in aria, attenzione a non disturbarle! Vediamo l’indicazione di un campeggio immerso nella macchia, ma non capiamo bene dove sia, non ci interesa.

L’arrosto di capretto è pronto, il sole volge al tramonto, ci accomodiamo sulla panca di un tavolone di legno massiccio, sotto il portico dell’ osteria.

Onore all’artista della pennellata al capretto, cottura a puntino, asciutto, morbido e profumato, una goduria per il palato! Il vino rosso locale è buono, assomiglia al sangiovese.

Il caffè è alla turca, dopo una boccata di fondi, rimane sul tavolo, ci salviamo con il solito grappino alla prugna; evviva la prugna! Restiamo lì seduti a chiacchierare e scambiarci le impressioni della giornata, non c’è altro da fare! Ci ritiriamo.

Nel buio della notte le piante, non potendo pavoneggiarsi nei loro colori,si fanno riconoscere dai loro profumi; mentre camminiamo ci vengono alla mente le ninfe di Makarska, erano vere? Ai posteri l’ardua sentenza! Io sono concentrato su una cartina geografica, Robi guarda il cielo e fuma alla finestra, Gegè è in bagno, si ode uno strimpellare di chitarra ed un coro che tenta di cantare una canzone di Battisti “10 ragazze…”, sicuramente il suono viene dal campeggio, sembra vicino.

Il linguaggio è slavo, cantano in italiano, sbagliano le parole, Robi ad alta voce suggerisce quelle giuste, un attimo di silenzio, una risata, il canto riprende con la giusta correzione, si va avanti così per 10 o 15 minuti con un’altro paio di correzioni. A mezzanotte e 10 minuti il silenzio cala sovrano, il canto dei grilli ed il verso di qualche sconosciuto animale notturno rimpiazza il coro dei ragazzi del campeggio. Tutti in branda! Il mattino è splendido, tutti pronti si parte! Destinazione Dobrovnik, 100 km. Circa.

La strada costiera E 65 gira in alto ed offre il classico panorama di strapiombi, insenature ed isolotti.

Il porto di Dubrovnik è situato in un’ insenatura naturale, la città mostra una parte antica dotata di una grande fortezza che guarda verso il mare.

Andiamo a cercare la biglietteria per il traghetto, troviamo posto solamente su un traghetto greco che viene da Patrasso e parte per Ancona alle 21, esclusivamente a ponte aperto, non c’è altro fino a domani, prenotiamo.

E’ presto, diamo un’occhiata in giro, non ci fidiamo di lasciare le moto incustodite con i bagagli, ci vestiamo leggeri e risaliamo in moto.

Usciamo dalla città in direzione sud, senza una meta precisa, nel cielo sopra le nostre teste passano bassi e con grande fragore dei grossi aerei di linea ( dc8 o dc9 ?), l’aeroporto deve essere vicino! Andiamo a verificare! Una ventina di km. E siamo nel parcheggio dell’aeroporto, c’è un’ampio terrazzo, raggiungibile dall’interno, da cui si può osservare atteraggio e decollo degli aerei. Da sopra si può controllare anche il parcheggio moto.

Il rumore delle turbine dei reattori ci ha sufficientemente frastornato per cui togliamo le ancore e ci avviamo verso il porto e lì ci fermiamo definitivamente in attesa dell’imbarco.

Arriva una grossa nave, batte bandiera greca, è il nostro traghetto! Grande manovra e mette la poppa contro la banchina, un’emorme bocca si spalanca, esce di tutto: pedoni, macchine, autotreni, moto, camper.

Il molo si riempie di automezzi e gente che cerca di conquistare l’uscita o un posto di ristoro. In una mezzora il piazzale si svuota come se nulla fosse accaduto, a testimonianza rimane solamente un’enorme antro oscuro e silenzioso dietro il portellone abbassato del traghetto.

La luna ha preso il posto del sole, la pancia del traghetto è totalmente illuminata, come un lampione che attira le falene, gli automezzi in attesa entrano e spariscono in questo enorme ventre, sembra impossibile quanti ce ne stanno! Entriamo anche noi, blocchiamo le moto negli appositi spazi, risaliamo a ponte.

Si parte! Lentamente ci lasciamo alle spalle Dubrovnik, ci sentiamo addosso l’atmosfera del ritorno, siamo silenziosi, appoggiati al parapetto guardiamo le luci della città che si allontanano mentre uno spicchio di luna sembra giocare a nascondino con le nuvole.

Siamo a ponte, ognuno cerca una posizione riparata per coricarsi e provare a dormire, è una tribolata! Di notte in mare aperto c’è freddo, non trovo un posto giusto, chiudo completamente il giubbino da moto, mi lego la bandana in testa, provo a coricarmi nella zona della ciminiera, il rumore è insopportabile.

Cammino per il ponte, incontro Robi che ha lo stesso problema, Gegè ha trovato un angolino buono e si è appisolato, ci facciamo compagnia, andiamo a prua nel punto più avanzato e fissiamo il mare. La luna si è liberata delle nubi e traccia sull’acqua un pista argentata, la punta dalla nave la segue e vi si immerge separandola in due grandi baffi spumeggianti che si allontanano e si perdono nel blu-notte del mare.

Per qualche minuto ci dimentichiamo del nostro problema in ammirazione di ciò che vediamo, un’alitata di vento e goccioline d’acqua ci ricorda che siamo sul ponte.

Andiamo a vedere nel salone delle poltrone se c’è ne sono un paio libere (ci avevano detto che erano tutte prenotate!); almeno una decina sono vuote! Concludiamo un giro all’interno del salone ostentando indifferenza, ma, al contrario, osserviamo bene il movimento della gente e la posizione dei posti.

Due belle poltrone con tanto di poggiapiedi e schienale reclinabile sono nel mezzo della decima fila e nessuno le ha prese in considerazione, a quest’ora tutti si sono posizionati, decidiamo che sono le nostre.

Haaaaahhh! Che meraviglia, potersi accomodare su qualcosa di morbido! Ci togliamo anche le scarpe! Gli occhi si chiudono, ci lasciamo andare.

Dormiamo quattro ore, circa, sono le 7,30 ed il sole entra dalle vetrate ad illuminare uno spettacolo da campo profughi, ci ricomponiamo, usciamo sul ponte stiracchiandoci e cercando con lo sguardo Gegè, chissà dov’è! Lo vediamo apparire da una scaletta da sotto coperta, ha trovato rifugio su una panca in sala giochi.

L’arrivo ad Ancona è previsto per le 12,30.

Il bar è aperto, c’è confusione di gente, cappuccini e paste riempiono bancone e tavolini, ci uniamo al mucchio. Ci serviamo di cappuccino e pasta pronti sul banco, vediamo qualcuno discutere con il cameriere, ma non si capisce niente, terminiamo il rituale ed usciamo sul ponte.

Il mare dal blu intenso della notte è passato al grigio giallastro della mucillagine che galleggia a grandi chiazze.

Si avvicina la costa, si vede offuscata dalla foschia la sagoma del promontorio del Conero, ancora poco e calpesteremo la terra di casa nostra.

Il portellone si apre lentamente fino ad appogiarsi sulla banchina cigolando al contatto con il cemento.

Un’addetto in divisa da marinaio coordina il traffico in uscita, tocca a noi, andiamo, siamo in Italia! Ci fermiamo in un angolo tranquillo del piazzale per sistemarci al meglio vestiti e bagagli, guardiamo verso il mare, il traghetto è ancora lì con la sua profonda bocca spalancata buia e silenziosa, il sole di luglio è alto e cocente. Dove saranno le ninfe di Makarska? La ss 16 Adriatica “ La ss 16 Adriatica è stata innaugurata nel 1928, inizia a Padova e termina ad Otranto per una lunghezza di km. 1000,670” Partenza, il viaggio sulla statale adriatica non ha storia, il solito traffico di camion tra Ancona e Ravenna, tanti semafori. In quanto a panorami eravamo abituati ad altro! Alle 17 siamo davanti a casa di Robi, ci ritroveremo per guardarci le diapositive, saluti… Saluti…Saluti, bel giro, grazie della compagnia. Alle 17,30 sono sotto la doccia a casa, mia moglie mi urla qualche cosa che non capisco, nelle orecchie ho ancora il rumore del vento che scivola sul casco.

Alla Prossima!! Giovanni



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche