Mongolia da ridere

Un antico detto mongolo recita: "Se hai paura, non farlo. Se lo fai, non avere paura"
Scritto da: matteo doninelli
mongolia da ridere
Partenza il: 10/09/2014
Ritorno il: 18/09/2014
Viaggiatori: 1
Spesa: 2000 €
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DIARIO DI VIAGGIO

10 Settembre 2014 – Partenza

C’e’ solo azzurro al di la’ della vetrata, il cielo e’ terso. I bar di questa ala dell’aeroporto diffondono un’aroma di caffe’ vigorosamente invadente. Sulla parete campeggia una citazione di Napoleone: “Se il mondo fosse un solo Stato, la capitale sarebbe Istanbul”. Considerando la vocazione discretamente franco-centrica del Nostro, stento a credere che l’abbia realmente pronunciata. Piu’ probabile si tratti di una disinvolta reinterpretazione filo-turca, tramandatasi in maniera sempre piu’ temerariamente estensiva. Vero e’, che questa citta’ rappresenta un ponte fra due mondi. E non poteva esserci transito piu’ consono per questa nuova esplorazione. Al Desk di Turkish Airlines mi imbatto in Semir, assistente di terra della compagnia di bandiera locale. Barba di 3 giorni, cravatta allentata, sguardo da duro. Per intenderci, potrebbe usare del succo di pompelmo al posto del collirio, senza proferire blasfemia alcuna. Ha l’aria di chi non si e’ molto trattenuto la sera prima, quando si e’ trattato di tracannare l’ultimo shot di Tequila. I tempi di reazione alle mie domande sono quelli di una telefonata intercontinentale di 30 anni fa’. Semir scruta, vagamente incuriosito. Riguarda il passaporto e finalmente vince le sue inibizioni: “Perche’ proprio la’?” Ce l’ha con la mia destinazione. Bella domanda. Mi piacerebbe argomentare, ma l’inglese e’ quello che e’, e soprattutto, gli sguardi dei passeggeri in coda dietro di me sono taglienti come la lama di una scimitarra. Ciononostante, decido di giocare a dadi con la morte. Mi volto verso la colonna di belve bramose di completare il check-in, e ricambio lo sguardo intimidatorio del primo della fila, con un’espressione alla quale manca solo la nuvoletta con le parole “c***o fissi?”. Mi rigiro verso Semir e sfodero un foglio dall’inseparabile marsupio militare, allacciato fantozzianamente ad altezza costato. Il foglio che mostro a Semir racchiude il piu’ profumato elisir all’arroganza mai inventato. Si tratta della risposta ad un mia email; lo avevo inviato (con modalita’ copia-incolla) a svariate agenzie in almeno 4 continenti. In sostanza, chiedevo un preventivo rigorosamente low-cost per alcuni itinerari di mio gradimento. La risposta piu’ stimolante e’ certamente stata: “Dear Mr. Doninelli, il nostro non e’ un semplice Tour, e noi non siamo un’agenzia economica che carica semi-vagabondi su sgangherati minivan di fabbricazione russa, abbandonando il loro destino nella mani di un autista, il piu’ delle volte ubriaco” Replico eccitato: “Dear Mrs.Zola, grazie per la Sua risposta. Credo di aver finalmente trovato quello che cercavo. Intendo: random backpackers con cui condividere un pullmino zoppicante, guidato da un autista che beve come un alpino. Grazie per aver ispirato la mia scelta.” Come una caricatura ben fatta e’ piu’ somigliante di un ritratto, cosi’ le paradossali figure del furgone sgangherato e dell’autista ciucco tradito, descrivono la mia idea di avventura zaino in spalla meglio di qualsiasi pullman con aria condizionata e turista capriccioso. Semir solleva un pollice in segno di approvazione, ci salutiamo con reciproco rispetto. Poco dopo, ecco l’annuncio, si parte. Di fronte a me una parete spoglia della sala d’attesa. La riempirei con questa frase: “Non possiamo cambiare la direzione del vento, ma possiamo aggiustare le vele per raggiungere sempre la nostra destinazione.”

GIORNO 2 – 11 Settembre 2014

Non ho praticamente chiuso occhio, sono crollato solo nell’ultima ora di volo, e credo di non aver dormito in modo esattamente discreto. Quando sono stanco, piu’ che di riposo, sembra io necessiti di cure mediche. Sono passate da poco le 6 di un promettente mattino, quando recupero lo zaino dal nastro trasportatore ed espleto le formalita’ burocratiche. Muoio dalla voglia di gironzolare in citta’. Appena messo il naso fuori dall’aeroporto, intercetto un taxi per dirigermi il piu’ rapidamente possibile verso l’hotel dove trascorrero’ la prima notte. Mi ci conduce un giunco senza un muscolo, che carica a stento 11kg di borsa nel bagagliaio. Si chiama Tseren, ed il suo nome (dice lui) significa “lunga vita”. Sara’…intatto soffre di frequentissimi tic che gli valgono l’appellativo di Monsieur Ampere. E’ tutto una scossa. Alcune contrazioni sono cosi’ repentine, che potrebbe riuscire a mordersi un orecchio. Ciononostante, raggiungiamo l’albergo senza intoppi, anticipando di poco l’insopportabile traffico che contraddistingue la citta’. Sceso dall’auto, sono pervaso da sensazioni positive; una di queste e’ rappresentata da un velato smarrimento. Non e’ una perversione, amo sentirmi spaesato all’inizio di un viaggio; odio sentirmi a casa quando sono via. Almeno all’inizio. Voglio essere io a costruire un’intimita’ con il luogo, partendo da zero. Dopo una doccia rigenerante, mi concedo mezzo bicchiere di latte di cavalla nella sala delle colazioni. Mi incuriosisce una brochure lacerata, lasciata sul bancone da altri turisti. Fa riferimento ad una ricerca dell’Universita’ di Oxford, secondo la quale lo 0,5% della popolazione mondiale discende da un solo uomo che fra il XII ed il XIII secolo trasmise un cromosoma, poi ribattezzato “Super Y”. Scagionato Rocco Siffredi per evidenti incongruenze temporali, mi domando chi potrebbe mai essere questo infallibile martello pneumatico. Chissa’. Un conquistatore che uccideva i nemici e ne violentava le donne? La risposta si e’ sfortunatamente dissolta assieme al lembo di carta mancante. A due passi dall’hotel, mi imbatto nella piazza principale. Scorgo due enormi statue. Una, raffigura un signore di mezza eta’, placidamente seduto su un trono. A dispetto dell’espressione mansueta, la guida anglofona di un gruppo di turisti a cui mi accodo come un parassita, lo presenta come “il lupo che sottomise il Cielo”. O ancora “l’Imperatore che conquisto’ il mondo senza mai scendere da cavallo”…”Oh la M…!” penso io “stai attento che adesso dice che questo e’ anche il famoso inseminatore ignoto del cromosoma Super Y…”. Gallina beccami se dico il falso, proprio lui: Gengis Khan. A proposito, latte di cavalla, Gengis Khan…stavolta bastano due indizi per fare una prova: benvenuti ad Ulaanbaatar, Mongolia. Proseguo il giro della piazza da imbucato nel gruppetto dei britannici, e ad una certa, mi accorgo che la guida ormai mi tollera come una cicca nei capelli. Faccio in tempo a sottrarre un’ultima informazione: il manipolo di nerds e’ diretto al monastero buddhista di Gandan. Zompo su un taxi: “Gandan Monastery, please.” Un vero e proprio disturbatore “travel edition”. Ovviamente al Tempio ritrovo i miei involontari compagni di viaggio, ed appena lo sguardo si mescola con quello del Tour Leader, simulo uno stupore finto come una banconota da 7 Euro. Si rassegna, concedendomi un ideale diritto di clandestinita’ culturale. Sta iniziando una cerimonia, l’atmosfera e’ decisamente emozionante. I monaci suonano. E cantano. La guida spiega che la Mongolia non e’ un paese per stonati. Qui, gia’ da bambini, si galoppa che e’ un piacere e si gorgheggia da far meraviglia. D’altronde, se sei nomade, come lo passi il tempo? Con la musica allieti il viaggio, scacci il malocchio e ti propizi il Cielo. Per i mongoli, la musica e’ roba seria. Scopro che qui si canta anche per ammorbidire capre e cammelle recalcitranti. Compiaciuti gli istinti spirituali con la visita al monastero, mi trovo a fare i conti con i bisogni primari: una fame pantagruelica. Premessa: se sei vegetariano, o peggio ancora vegano, la Mongolia non e’ il posto che fa per te. Carne e latticini sono alla base di un’alimentazione locale a dir poco iperproteica. Frutta e verdura si possono comprare solo in alcuni mercati di Ulaanbaatar (impossibile trovarli nella steppa, dove gli estremi opposti del clima le rendono incoltivabili). Il pesce e’ molto abbondante soprattutto nei laghi del nord, ma viene considerato poco adatto a un popolo guerriero, e viene quindi clamorosamente snobbato. Ormai in preda ai piu’ torvi isterismi da carenza di cibo, mi infilo in un ristorantino, che qui chiamano “guanz”. Frugale, spartano, ma assolutamente genuino. Ordino carne di pecora in brodo, e insalata di verze. Eccellenti.Sfoglio il menu, curioso come una scimmia. Non mancano spericolati mix italo-mongoli come la pizza al montone. Sara’ per un’altra volta, l’appetito ormai e’ placato. Prima di pagare si avvicina il proprietario della trattoria; mi offre un bicchiere, e in un inglese piu’ primitivo del mio, sussurra senza farsi sentire dalla moglie: “Sto seguendo la dieta della vodka. Ho gia’ perso 3 giorni!” E giu’ a ridere. Come due mongoli.

GIORNO 3 – 12 Settembre 2014

Bill Bryson, effervescente scrittore di viaggio, afferma che “ogni pregiudizio culturale che si rispetti, ti dice che quando viaggi tanto lontano, dovresti trovare, come minimo, la gente sui cammelli. Ci dovrebbero essere lettere indecifrabili sui cartelli e uomini di carnagione scura in vestaglia, intenti a bere te’ da tazze grandi come ditali, e sbuffare dai loro narghile’. E autobus scassati. E buche nella strada. E una reale possibilita’ di malattia in tutto cio’ che tocchi. E invece – continua Bryson – queste persone sono proprio come voi e me…” Lungi da me, sconfessare il Maestro, ma ammetto di aver pensato esattamente l’opposto questa mattina, al cospetto di Bayan e Merghen. Chi sono? Li manda Semy. Quest’ultima e’ la validissima responsabile di “Khongor Expeditions”, agenzia locale con la quale ho concordato tappe ed attivita’ dell’avventura. Mi attende una settimana di puro vagabondaggio nella steppa mongola, un inesauribile manto di Natura selvaggia racchiuso fra la Siberia (a nord) ed il deserto del Gobi (a sud). La sua ultima rassicurazione della sera precedente suona cosi’: “Ore 08:00 davanti all’hotel. Troverai furgone, guida ed autista. Per te ho scelto i migliori, sei in ottime mani!” Piccolo particolare, la comunicazione termina con la nota faccina che strizza sinistramente l’occhio, e che mena una sfiga olimpica. Al risveglio, sigillata la scaramanzia in una tasca dello zaino, mi reco al rendez-vous con rara curiosita’. La prima sorpresa riguarda il mezzo di trasporto. Attendevo un relitto di stampo sovietico, ed invece scopro una piu’ che dignitosa jeep giapponese. Al volante, Merghen; ed al suo fianco, Bayan. Sono rispettivamente l’autista, e la guida (e cuoco) della spedizione. Bayan (dal mongolo “il ricco”) e’ massiccio, collo taurino, in apparenza aggressivo ma a suo modo cortese. Ha studiato negli Stati Uniti, e parla un inglese maledettamente perfetto, che profuma di Giorno del Ringraziamento. Ha basi culturali solide e doti da incantatore di serpenti. Non fatica a guadagnarsi la mia fiducia, tanto che potrebbe seminarmi nella steppa, dicendomi “Sono andato di là'”. Merghen (“l’infallibile”) invece, e’ un autista scaltro, esperto, che si orienta nel nulla scrutando il cielo, come solo chi ha del nomadismo nel proprio passato e’ in grado di fare. Ricorda un Capitano di Lungo Corso, di quelli che ti inondano una mattinata di aneddoti sempre al confine fra leggenda e realta’. Uno cosi, potrebbe raccontare a un testimone di Geova, che Geova ha fatto da testimone alle sue nozze. Un cazzaro, insomma. Ma tutto, qui, e’ dannatamente borderline. Sembra di assistere ad un capolavoro in 3D, che in ogni momento puo’ proiettare un nuovo personaggio a plasmarti il Destino. Oggi la mia Terra Promessa si chiama Terelj National Park, magnifica riserva naturale che dista 70km da Ulaanbaatar. Prima di lasciare la citta’, Bayan mi indica con concitazione una vetrina, all’interno della quale scorgo giovanissime ragazze intente ad allenarsi. E’ una scuola di Contorsionismo, arte circense di cui la Mongolia puo’ essere legittimamente considerata la patria. Bayan mi erudisce sull’origine religiosa di queste evoluzioni. I primi esercizi si svilupparono infatti nei cortili dei monasteri, perche’ superare i limiti del corpo era considerato un modo per entrare in contatto con una dimensione spirituale superiore. “Sai cosa diciamo noi? – prosegue Bayan – Tra due punti, l’unica linea che non vale la pena seguire, e’ la linea retta. Perche’ e’ banale, e’ uguale per tutti” Altra lucidissima perla da tramandare ai posteri. Mancano pochi chilometri alla meta. L’idea e’ quella di conoscere la famiglia nomade che ci ospitera’, esplorare la riserva e poi rientrare alla Gher per cena e pernottamento. Nella tenda ci accoglie il capo-famiglia, Batu, ieratico Lupo della Steppa. Ha una presenza fisica importante, nonostante un occhio smandrappato, che assomiglia a quello di un gatto che ha perso qualche battaglia ma mai una guerra. Ci presenta la moglie, Tuya, che ci fa accomodare e preannuncia una merenda corroborante. Dopo pochi minuti, riappare con una tazza del tipico te’ salato, a cui aggiungo del latte di yak. Ci sono anche dei biscotti imburrati e fritti nell’olio, i boortsog. A rincarare la meraviglia, e’ pero’ la ritualita’ di ogni piccolo gesto. Nella Gher, chi offre lo fa con la mano destra, mentre la mano sinistra sorregge il gomito del braccio che porge. Chi riceve, lo fa congiungendo le mani, come se dovesse raccogliere dell’acqua per lavarsi la faccia. L’ospitalita’ di questa gente e’ talmente straordinaria che avrei voglia di restare incagliato nella loro gentilezza, eliminando l’escursione. Tratto con Bayan, patteggiando un ritorno ad orario “happy hour”, che a queste latitudini si celebra con formaggio secco ed Airag (latte di cavalla fermentato, asprigno, frizzantino, leggermente alcolico e decisamente proteico). Visitiamo un monastero buddhista in cima ad una collina, e delle stravaganti formazioni rocciose (definite per il loro aspetto “the Turtle Rock” e “the old man reading a book”). Al rientro niente “happy hour”. Apprendo che ceneremo con gli ospiti di un’altra Gher. Sono tre francesi: una coppia, piu’ una signora sulla cinquantina, Delphine. Tuya appoggia sul tavolo un marmittone colmo di brodo con carne di montone, tagliolini di pasta fatta in casa, qualche patata e legumi; accompagnato da un temporale di vodka. Appare subito evidente che la Coscienza dell’essere umano (o almeno dei presenti) e’ altamente solubile nell’alcool. Merghen e Delphine si punzecchiano; giurerei su un certo interesse reciproco. Almeno sino a quando la donna sentenzia acidula: “Merghen, se fossi mio marito, ti avvelenerei il drink!”. “Delphine, se tu fossi mia moglie – borbotta l’autista – lo berrei d’un fiato…”

GIORNO 4 – 13 Settembre 2014

DIARIO DI VIAGGIO – giorno 4

Lavarsi i denti sotto le stelle e’ sicuramente suggestivo. Ma e’ quando devi isolarti nella steppa per espletare un bisogno fisiologico in piena notte, che comprendi la reale essenza della “roulette mongola”. Per quanto si possa mappare la produzione escrementizia di animali e persone con le ultime luci del giorno, sfido chiunque a deambulare nelle tenebre, appena sveglio, senza calpestare le soffici deiezioni disseminate sul sentiero che conduce alla sospirata purificazione intestinale. Non avendo nessuno li’ vicino a smentirmi, immaginavo di essermela cavata piuttosto bene la notte precedente. All’alba pero’, risalendo sul furgone, la sicumera inizia a vacillare, sino a che e’ evidente che le mille farfalle che sento nello stomaco per la felicita’, sono scortate in volo da uno sciame di mosche che corteggia la suola di una mia scarpa. Ho inesorabilmente schiacciato una merda. Bayan percepisce il mio nauseato sconforto, ma con un cenno mi esorta alla tolleranza. Nella steppa, la Natura si rispetta. Dopo 3h30 di marcia, raggiungiamo il secondo obiettivo di questa singolare consacrazione nomade: il parco nazionale dell’Hustaii. Anche qui soggiorneremo in una gher (o yurt). Si tratta della tipica tenda mongola, circolare, con pareti di feltro e pelli impermeabili, e con il soffitto sostenuto da tanti raggi, come di parasole giapponese. Bayan mi spiega che la porta guarda sempre a sud, per accogliere simbolicamente il calore proveniente dal deserto del Gobi. La struttura interna e’ universale: una stufa al centro, con un tubo di ghisa che sale, fino a sbuffarne i fumi verso il cielo; i letti degli uomini e degli ospiti a sinistra; il letto coniugale e quelli delle donne a destra; qualche cassapanca e, ovviamente, tavolo e sgabelli. I colori sono caldi, ospitali (arancio, rosso, oro); il profumo dominante e’ quello del cuoio, con lievissime venature alcoliche, probabilmente determinate dall’onnipresente vodka. Percepisco immediatamente che la soglia separa due dimensioni: alle mie spalle, l’indomabile regno della Natura; di fronte, l’universo modellato dal nomade. Sono le 11 in punto, quando un padrone di casa (Baltan) dal sorriso scintillante apre la porta della sua gher. Mi accingo ad entrare. Urto inavvertitamente la soglia. Ora, gli orientali, per quanto li occidentalizzi, rimangono abbastanza inintelleggibili per noi. Ma Baltan, giuro, pareva davvero incazzato. Gia’, perche’ secondo la tradizione, inciampare nel gradino d’ingresso e’ un pessimo auspicio. Messo in bisaccia questo carico di karma negativo, cerco ruffianamente di rifarmi con un regalino. Estraggo dallo zaino una piccola pentola per sua moglie. La strada e’ sempre piu’ in salita, se e’ vero, come e’ vero, che nulla piu’ di una pentola senza coperchio puo’ far sospettare al padrone di casa che siete venuti per catturare e rapire la felicita’ della sua famiglia. A questo punto solo un imbecille complicherebbe la cosa. Datemi pure dell’imbecille. Baltan offre della vodka, ma temendo il naufragio alcolico dell’ormai gia’ misera dignita’, rifiuto categorico. Prima regola della gher: accettare tutto. E’ un tracollo senza precedenti. Con tutti quegli occhi a mandorla che fissano innervositi, mi sento un americano a Pearl Harbour. Ciononostante, continuo a ripetermi che Dio adopera sempre le vie piu’ tortuose per esprimersi, e mi convinco che dopo tanto annaspare, mi regalera’ un pomeriggio di gloria. L’occasione, ci sarebbe anche. Un’escursione a cavallo per dimostrare ai mongoli che Frankie Dettori, al netto della ferocia, non ha nulla da invidiare a Gengis Khan. Finche’ si trotterella, incedo fiero come Napoleone al rientro da Austerlitz. Appena il passo aumenta, noto che il bambino di 7 anni che mi sta scortando, osserva il mio stile dapprima con divertimento, poi con attenzione, ed infine con qualcosa di non molto diverso dalla compassione. La situazione e’ a dir poco compromessa; sono un pugile in netto svantaggio ai punti, costretto a sferrare il colpo del KO all’ultima ripresa. Al rientro, Baltan mi provoca. Borbotta qualcosa nella sua lingua, capisco solo “Italia” e vedo agitare una bottiglia di vodka. Cado nel tranello. Recito un mantra automotivazionale: “Bevo raramente. Ma quando bevo, bevo” e mi avvicino al bicchiere come Fabio Grosso al dischetto in quel sogno di una notte di mezza estate del 2006. Non sto a dilungarmi, dopo il quarto shot comincio a parlare agli animali. Dopo il quinto mi ritrovo in ginocchio nella steppa a vomitare quello che resta dell’anima. Ma non demordo, il mio momento arrivera’. In fin dei conti, anche un orologio rotto segna due volte al giorno l’ora esatta.

GIORNO 5 – 14 Settembre 2014: trasferimento quasi interamente su strada sterrata verso la Orkhon Valley; visita alla cascata; escursione a cavallo; cena; pernottamento in gher presso famiglia nomade;

GIORNO 6 – 15 Settembre 2014: trasferimento verso la vecchia capitale Karakorum; visita del museo della città e del magnifico monastero di Erdene Zuu; cena; pernottamento in gher presso famiglia nomade;

GIORNO 7 – 16 Settembre 2014: trasferimento verso le cosidette “mongol sand dunes”, zona pre-desertica che dista circa 280km da Ulaanbaatar; escursione su cammello; cena; pernottamento in gher presso famiglia nomade;

GIORNO 8 – 17 Settembre 2014: ritorno ad Ulaanbaatar; pranzo; congedo da guida e driver; pomeriggio di shopping e svago; doccia; massaggio relax presso New World Hotel; cena e pernottamento in camera singola;

GIORNO 9 – 18 Settembre 2014: transfer verso aeroporto; volo di rientro operato da Turkish Airlines, Ulaanbaatar-Bishkek-Istanbul-Milano;

Per qualsiasi ulteriore domanda specifica o informazione di carattere generale, contattatemi pure via email ( matteodoninelli@hotmail.com ) oppure attraverso la mia pagina facebook: https://www.facebook.com/#!/matteo.doninelli

Buon Viaggio a tutti!

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