Minsk…iati tra i bielorussi
Il video del Terminal C dell’aeroporto di Fiumicino segna un ritardo di un’ora sul volo Roma-Minsk. L’occasione è propizia per fare conoscenza con alcune persone che saliranno a bordo del nostro aereo. Un ragazzo di Matera che và a Minsk per la quinta volta ci tranquillizza su eventuali rischi e sul livello di criminalità che, a suo dire,...
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Il video del Terminal C dell’aeroporto di Fiumicino segna un ritardo di un’ora sul volo Roma-Minsk. L’occasione è propizia per fare conoscenza con alcune persone che saliranno a bordo del nostro aereo. Un ragazzo di Matera che và a Minsk per la quinta volta ci tranquillizza su eventuali rischi e sul livello di criminalità che, a suo dire, è pari a zero. “ Siamo un popolo generoso, amiamo il nostro paese e nella capitale vi troverete bene anzi, son sicura che ci ritornerete ben volentieri”. Con queste parole una donna bielorussa di mezz’età, residente in Italia da anni, ci descrive il modo di vivere e le abitudini dei suoi connazionali. Appena giunti a Minsk il primo ostacolo è rappresentato dal controllo passaporti. Tra le varie opzioni possibili per accedere nel paese, ho scelto quella più rischiosa; presentarmi al gabbiotto della polizia di frontiera totalmente privo di invito e di visto d’ingresso. Avevo letto che era possibile eseguire questa procedura direttamente sul posto, risparmiando qualcosa a livello di soldi a discapito, però, di una maggior perdita di tempo. Gli agenti ci fanno attraversare dei lunghi corridoi e, dopo aver superato una rampa di scale, ci mettiamo in fila per autenticare il documento. Per fortuna nessuno dispone il nostro rimpatrio anzi, si intascano i soldi e ci augurano una buona permanenza. All’uscita ci aspetta Sergej il padrone di casa nonché tassista d’eccezione. Questo omone dal viso bonario e dagli occhi grandi è un piccolo impresario del luogo che alla fine si dimostrerà poco corretto sul prezzo pattuito via mail. Durante il percorso in macchina riusciamo a intravedere le dacie dei contadini mimetizzate nella ricca vegetazione. Dopo circa mezz’ora di strada dritta e larga, arriviamo alla periferia della città. Qui ci fermiamo in un supermarket dove acquistiamo delle bevande e cambiamo i primi 300 euro, l’equivalente di 1.000.000 di rubli circa. In questo paese non esistono gli spiccioli ma solo bigliettoni di carta, talmente grandi che il mio portafogli fa fatica a contenerli tutti. Carichi di buste della spesa, e di rubli, risaliamo a bordo dell’utilitaria che di gran carriera punta dritta verso casa. La città di Minsk pare che sia stata il miglior esempio di pianificazione sovietica su larga scala con edifici residenziali dalle linee moderne e sinuose. Anche le facciate dei palazzi non sono quelle classiche dell’architettura comunista ma sembrano dipinte e valorizzate da sapienti architetti. La nostra abitazione è ubicata dietro lo stabile di proprietà del KGB che, in questa realtà, ancora sopravvive e al cui fondatore, è stata dedicata una statua in pieno centro cittadino. L’interno dell’appartamento è molto spartano con cucina, bagnetto e due stanze, di cui una adibita a camera da letto ma in realtà un soggiorno con divano ribaltabile. Al prezzo di 50 euro al giorno avremmo potuto trovare molto meglio ma mi son fidato di un amico di Bergamo certamente dotato di maggior spirito di adattamento rispetto a me. Dopo essermi rifocillato con una bella doccia mi accingo a disfare i bagagli. La valigia rigida della Delsey, che orgogliosamente porto con me in viaggio da circa dodici anni non si apre, la combinazione, stranamente, risulta errata. La prima cosa a cui penso è una manomissione da parte degli addetti ai bagagli ma questa mia convinzione lentamente perde consistenza a favore di una realtà diversa, tremendamente amara. Provo ad allargare i bordi e mi accorgo che qualcosa non và. Con un coltellaccio forzo l’apertura ed ecco presentarsi ai miei occhi un campionario di indumenti che non mi appartengono neanche lontanamente. Capisco subito che non si tratta di una semplice sbadataggine ma di una casualità più unica che rara. Ovviamente stessa marca, modello identico, stessi graffi sui lati e medesimo livello di usura. In poche parole la sorella gemella della mia valigia che nel frattempo se la ride nel deposito bagagli di Fiumicino, come scoprirò poco dopo. Nella sfortuna, però, son stato fortunatissimo. Le magliette, i jeans e perfino le scarpe son della mia stessa taglia e misura. Tutti i vestiti hanno marche di prestigio con firme del calibro di Lacoste, Coveri, Ralph Lauren e Lewis Strauss. Il proprietario della valigia stava rientrando dalle vacanze con abiti estivi. Poco male, la temperatura a Minsk è gradevolissima e per tutto il viaggio non avrò problemi anzi, farò sfoggio di capi nuovi, puliti ed eleganti in maniera disinvolta. Le uniche cose che mi dovrò comprare sono i prodotti per l’igiene intima, le mutande e le calze. Per il resto ho tutto ciò che mi serve per trascorrere cinque giorni senza troppi sbattimenti. Con Uccio, l’intramontabile compagno di viaggi, ci facciamo grosse risate e ironizziamo sulle disavventure in cui sarei potuto incorrere: immaginate un uomo anziano con roba vecchia e una dentiera incollata ad un bicchiere piuttosto che una donna con perizoma, trucchi e assorbenti di vario genere al seguito. Senza contare poi che, nella peggiore delle ipotesi, avrei dovuto perdere un giorno intero a girare per centri commerciali, di dubbia qualità, a cercare di raccattare qualcosa da mettermi addosso.La mattina seguente ricevo una telefonata da Roma dove mi informano del ritrovamento della mia valigia tramite targhetta con i dati personali. Purtroppo in quella in mio possesso non c’è nessuna indicazione sulle generalità del proprietario. Sarebbe stato utile comunicargli la mia intenzione di usare la sua roba con la promessa di restituirgliela, non lavata, al rientro. Abbellito dal nuovo look ho tanta voglia di esplorare la zona divertimenti. Prendiamo il primo taxi che ci capita tra le mani e intorno all’una di notte siamo già al MaxShow, la discoteca “ a buon prezzo” di Minsk. Dentro c’è un sovraffollamento di gente e la parte meno ingolfata sembra essere quella di fronte al bar. Qui notiamo la folta presenza di professioniste che, dall’alto degli sgabelli a tre piedi, godono di una posizione privilegiata, per trafiggere con l’occhiolino ammiccante il turista allupato. La musica è di tipo commerciale intervallata da balli lenti.Andiamo via relativamente in fretta perché il locale pullula di arabi dal piglio non troppo amichevole e dalla sfacciata invadenza. L’indomani sveglia alle 10.00, mangiamo un po’ di frutta e usciamo a fare una passeggiata. La via principale di Minsk è la Praspekt Skaryny, in italiano Corso Indipendenza. In questa strada sono presenti quasi tutti i monumenti della città che, a dir la verità, non son numerosissimi. Passiamo a fianco a Piazza della Repubblica dove ha sede il palazzo presidenziale e il museo della guerra. Poco più avanti il circo fino a raggiungere Piazza della stazione dove svetta l’imponente obelisco. Ci fermiamo a pranzo al ristorante Schif che, contrariamente a quello che lascerebbe supporre il nome, ci propone un menù variegato dal quale estrapoliamo due bei piatti di pollo con patate che colmano il digiuno del giorno precedente. Nella camminata a ritroso abbiamo modo di apprezzare una caratteristica positiva di Minsk, un esempio per molti paesi che si dicono civili ma che nella realtà non lo sono. Mi riferisco al decoro urbano e alla pulizia cittadina. Per 365 giorni all’anno gruppi di spazzini, uomini e donne con pettorina fluorescente, si alternano in ogni angolo di strada, sia durante il giorno che in piena notte, per mantenere alto il livello di lucentezza della città. Le persone che abbiamo incontrato ci hanno tutte confermato che questo maniacale senso del pulito appartiene alla loro cultura. Ogni angolo di marciapiede risulta sgombro da immondizia persino dalle foglie che cadono copiosamente dagli alberi. Tutto appare brillante e candido con un risalto nettamente superiore a città come Budapest o Mosca dove, al contrario, è evidente una certa trascuratezza. Spesso le idee negative che uno si fa prima di partire su una località sconosciuta risultano poi prive di fondamento. Anche le descrizioni fatte da alcuni sul carattere grigio e cupo di Minsk sono delle autentiche invenzioni giustificabili solo se ci si arriva in pieno inverno e con temperature sotto lo zero. Noi siamo capitati ad agosto e nel periodo estivo la città assume i connotati di una moderna capitale europea con ampie zone di verde e salutari passeggiate lungo il fiume. Questo almeno per quel che riguarda l’aspetto esteriore. Le note negative riguardano il governo e il suo capo. Alexandr Lukashenko è, infatti, un uomo autoritario, nostalgico della vecchia Urss, completamente assoggettato a Putin e al governo russo. Un dittatore inviso all’Europa occidentale non tanto per ragioni caratteriali quanto per il mancato rispetto dei diritti umani. Pena di morte, tortura, confino forzato per gli oppositori, bavaglio alla stampa libera, chiusura delle facoltà umanistiche. Questi metodi, che il dittatore utilizza per perpetuare se stesso e il regime, sono tesi a soffocare sul nascere eventuali movimenti di intellettuali liberi e democratici. Gli abitanti comunque non sembrano risentirne più di tanto e in giro si respira un’aria di assoluta normalità. Quel che è certo è che l’argomento politico è meglio non toccarlo perché poco gradito alla popolazione e perché facilmente intercettabile dagli uomini dei servizi interni, segretamente mischiati, tra la gente, in abiti borghesi. Prima di partire mi ero messo in contatto con due giovani donne del posto, conosciute tramite internet, ed ero rimasto d’accordo di chiamare una di esse il giorno dopo il mio arrivo. La prima cosa da fare è acquistare una scheda bielorussa negli uffici della telecom locale. La Sim è subito attiva e ha l’equivalente di tre euro pre caricato. L’appuntamento con Elena è sulla Nemiga uliza un’arteria trafficatissima dove insistono varie attività commerciali. L’amica si presenta intorno alle otto di sera insieme ad un’altra ragazza, la quale dovrà fare compagnia ad Uccio, terrorizzato dall’idea di rappresentare il terzo incomodo. Entrambe parlano un buon italiano e lo capiscono perfettamente. Elena perché lo sta studiando e ha un’ottima predisposizione all’apprendimento delle lingue, e Galia perché ha soggiornato per un lungo periodo di tempo in Italia, in conseguenza dei drammatici fatti di Chernobyl. Dimostrano subito di avere le idee chiare su dove portarci a mangiare. Il ristorante si chiama Perfetto ed è la soluzione “perfetta” per un intimo tet-a-tet. Il menu propone delle abbondanti insalate e degli ottimi secondi di carne. Le ragazze bielorusse sono delle creature meravigliose, tra le più belle al mondo, per la maggior parte alte, magre e con fisici da modelle. I cibi grassi li evitano accuratamente per non compromettere la linea. Durante la chiacchierata, le giovani amiche ci svelano alcune nostre curiosità. Ad esempio lo stipendio medio di un operaio è di 200 dollari, un medico ne guadagna solo 100. Questo fa si che i più bravi dottori siano costretti ad emigrare altrove facendo decadere miseramente il livello di assistenza sanitaria. Il vantaggio, se così lo si può definire, è che la disoccupazione sfiora il 2% e i salari sono pagati regolarmente ogni mese. Terminata la cena proseguiamo la serata in una sala da the in stile inglese. Il nome non lascia dubbi, My english granny, il luogo ideale dove gustare un ottimo caffè espresso prima di affrontare la nottata. Loro sono molto gasate dall’idea di assistere allo spettacolo serale presso la discoteca dell’hotel Belarus. Al WestWorld club andrà in scena una sfilata di moda, super pubblicizzata nei giorni precedenti. Troviamo un tavolo libero proprio di fronte al palco e ordiniamo delle bevande. Prima dell’inizio del defilé, gli organizzatori pensano bene di intrattenere il pubblico con delle scenette da cabaret. La passerella non si rivelerà un successone e da lì a poco andiamo via, anche perché comincia ad essere molto tardi. Prima di rientrare ci assale una fame feroce. In taxi raggiungiamo il macdrive, servizio notturno di Mac Donald’s, dove, senza scendere dalla macchina, paghi il conto e ritiri il pacco. Un bel sistema per chi vuole sgranocchiare qualcosa in piena notte, soprattutto in un grande centro come Minsk che conta quasi 2.000.000 di abitanti. Al risveglio decidiamo di fare un giro a piedi per la città vecchia. Le case hanno dei colori pastello, sono basse e circondate da splendidi giardini. Siamo di venerdì ed è giornata di matrimoni. Seguiamo il corteo che termina nella c.D. Isola delle lacrime. Questo luogo viene scelto appositamente dagli sposi per immortalare il giorno più bello della loro vita. Verso l’ora di pranzo raggiungiamo lo snack-bar Grip di proprietà di un italiano. Giuseppe è un signore di mezza età di Civitanova Marche che vive a Minsk da 19 anni. In tutto questo periodo ha sviluppato il suo business creando dal niente tre locali tra cui il ristorante Voglia Matta che funge anche da discoteca. Insomma un vero punto di riferimento per le orde di connazionali che in ogni periodo dell’anno bussano alla sua porta per ricevere notizie utili sul fronte gnocca. Minsk non fa eccezione a questa regola! Ad uno ad uno vediamo presentarsi il prototipo del vero maschio latino quelli che hanno l’aria di sentirsi imperatori a Minsk mentre in realtà sono umili lavoratori, “condannati” ad una vita di sacrifici, in patria. Sembra di assistere alla parodia dei film di Totò; un torinese alto 1.40, di 60 anni, completamente calvo con addosso un paio di jeans scorpion bay a zampa, uguali a quelli che ho regalato a mio nipote una settimana fa. Il beneventano con l’abito beige, ultracinquantenne, con il ventre sformato dalla lasagna ma con un buon numero di rubli al seguito per potersi sedere a tavola con delle belle stangone, certamente più intelligenti, colte ed economiche delle donne che lasciano in paese. Simpatici anche i due ragazzi catanesi, coetanei, vestiti uguali con la stessa voce e dai gusti similari, due veri e propri gemellini siamesi. Un altro personaggio caratteristico era il playboy siracusano che con la scusa di conoscere un po’ di russo, imparato a fatica sui banchi di scuola, si sentiva l’unico abilitato all’arte dell’approccio. Alla fine scopriamo che conosce in tutto 50 vocaboli ma questo fatto gli da una marcia in più per rappresentare una sorta di primus inter pares tra gli amici che pendono letteralmente dalle sue labbra. Abbastanza patetico il siciliano attempato con i capelli tinti, armato di valigetta ventiquattrore sistematicamente vuota. Non era importante il contenuto ma il modo di portarla con se. Apparire un manager impegnato, mischiato tra la classe operaia, gli dava quella marcia in più per volare alto e sentirsi il berlusca dei poveri. Bruttissimo un ragazzo di Trapani con i camperos a punta, la pelata al centro della nuca e i capelli sui lati che gli scendevano talmente dritti da sembrare un salice piangente. Mi ha ricordato il film Bianco, Rosso e Verdone quando, arrivato alla dogana, l’emigrante porge la patente al poliziotto il quale amichevolmente gli dice: Ametrano rifatti la foto, che sei peggiorato!. Il massimo della comicità lo ha rappresentato un muratore di Messina che ci ha confidato la balla colossale che ha dovuto raccontare alla fidanzata Carmela per convincerla a farlo partire. “ Amore mio vado a Boston da mio fratello ed essendoci un fuso orario strano le telefonate le faccio io. Tu mi raccomando non uscire mai di casa così ti trovo quand’è giorno in Sicilia e mattina in America. La notte dormi tranquilla d’accordo?”. Gli italiani continuano a venire numerosi da queste parti perché come tutti i paesi filo-russi le ragazze amano ancora i salamelecchi e rimangono ancorate alle vecchie tradizioni. Le donne adorano farsi le foto circondate da campi di fiori e sono sensibili al richiamo della galanteria e del bon ton di un tempo. Il bacia mano, per esempio, ha ancora un fascino particolare in questi luoghi, cosi come le smancerie del tipo, “sei bellissima, come te non c’è nessuno”. E’ qui che l’italiano ha buon gioco; d’altronde i loro uomini sono brutti, alcolizzati e trascurati. Come dicevo pocanzi le ragazze, al contrario, sono di una bellezza astrale non capricciose come le russe o spregiudicate come le ucraine, ma educate, fiere, rispettose delle leggi e molto vanitose. A differenza di quello che erroneamente si può pensare stanno bene in patria e non tutte rincorrono il mito della terra promessa o si buttano nelle braccia del primo arrivato. Ormai anche qui si vedono sfrecciare automobili di grosso calibro con a bordo persone cariche di denari. Un posto di preminenza nella società spetta a coloro i quali ruotano intorno all’orbita del presidente. Essi sono dei privilegiati che sviluppano i loro interessi economici solo in virtù di un legame stretto con gli uomini del governo. Ad agosto la città si svuota di circa 300.000 studentesse. La maggior parte tornano nei loro paesi d’origine per poi rientrare nella capitale con la ripresa delle scuole. Uscire dalla nazione per le ragazze sotto i 25 anni è estremamente problematico. Questo è ciò che sostiene Natalia con la quale ho appuntamento di fronte alla biblioteca nazionale. Con lei visitiamo una chiesa ortodossa nel quartiere di Vostok, incredibilmente somigliante da fuori ad un tempio thailandese. Purtroppo siamo costretti a salutare frettolosamente l’amica perché sia noi che lei dobbiamo assolvere a delle piccole incombenze. Per quanto ci riguarda urge raggiungere in tempi brevi la nostra dimora per rifocillarci ed essere pronti ad aggredire di petto il fine settimana. Al Voglia Matta conosciamo due bellissime fanciulle: Ina ed Ania con le quali parliamo tranquillamente in inglese. Le invitiamo a trascorrere la serata con noi e loro accettano di buon grado. Appena mettiamo piede in discoteca Uccio scompare tra i divanetti del Max Show. Senza dire niente si imbosca con una tipa che poi non gli darà neanche la soddisfazione di un innocente bacino sulla guancia. Anzi lo prende in giro lasciandogli sia un numero falso sia l’illusione di rivedersi l’indomani in privato. Io nel frattempo rimango solo con le ragazze che ovviamente vorrebbero chiudere il cerchio. Alla fine perderemo capra e cavoli e ci lasceranno soli a meditare su quanto siamo stati c…I. Un venerdì che poteva essere indimenticabile diventa un flop totale. Il cammino verso casa è mesto e rassegnato e un po’ immusoniti ci confidiamo l’intenzione, neanche troppo sentita, di un immediato riscatto già dal giorno successivo. La mattina ci svegliamo tardi, giusto il tempo di una pizza al Grip dove gli italiani curiosi ci interrogano sull’andamento della serata. Noi, da veri signori, glissiamo l’argomento lasciando un alone di mistero sulle nostre doti da don Giovanni. Intorno alle tre del pomeriggio rincontriamo Elena che questa volta porta con se una nuova amica di nome Valeria, studentessa di medicina. Siamo al centro di Minsk, vicinissimi ai due maggiori parchi. Il primo è dedicato allo scrittore russo Gorky ed è il punto di riferimento per le mamme che ogni giorno portano i loro bambini a scorrazzare e a giocare in questo enorme spazio verde. Il secondo, più suggestivo, è dedicato a Janky Kupali, un poeta locale, del quale i bielorussi vanno orgogliosissimi. Il giro continua nelle vie delle Chiese passando attraverso i camminamenti che fiancheggiano il fiume Svisloch. Entriamo prima nella cattedrale ortodossa e subito dopo nella Chiesa cattolica polacca di San Simone. E’ incredibile come a distanza di pochi metri i fedeli venerino il Cristo in maniera diversa. I russi baciano fragorosamente, a turno, le sacre icone in un continuo turbinio che scaturisce dall’intreccio dei corpi. I polacchi, invece, dediti alla preghiera, in rispettoso silenzio, ricurvi negli inginocchiatoi. Dopo questa breve parentesi religiosa e dopo aver camminato per più di tre ore, iniziamo a programmarci una piccola pausa. Il cielo, però, inizia ad annuvolarsi e nel giro di pochi minuti si scatena il diluvio universale. Le amiche fuggono via in autobus e noi meditiamo sul da farsi. Siamo privi di ombrello, nei paraggi non c’è un terrazzino sotto il quale ripararci e i tassisti non si fermano neanche implorandoli in russo. Iniziamo una corsa sfrenata, a piedi, verso casa e completamente fradici arriviamo di fronte al portone intorno alle otto di sera. La temperatura è improvvisamente scesa di dieci gradi passando da 24 a 14 cioè dalle mezze maniche al giubbottino. Una doccia calda è il modo migliore per riacclimatarci! La stanchezza è talmente tanta che sprofondiamo in un letargo atavico. Questo fatto ci farà saltare la cena ma non la nottata. Oggi è la volta del Madison, il locale di tendenza della città. Mentre facciamo i biglietti sentiamo alcuni italiani che fanno dei commenti sul numero di presenze e sull’opportunità di entrare o meno. Finalmente abbiamo a che fare con nostri connazionali veramente a modo, ben educati, distinti e desiderosi di coinvolgerci nella movida del week-end. Questa discoteca abbonda di presenza femminile e il sottoscritto entra letteralmente in crisi. Mai vista cotanta bellezza tutta insieme in pochi metri quadrati che balla e si diverte a più non posso. Anche qui Uccio scompare tra la nebbia artificiale e l’occhio di bue. Lo ritroverò nascosto in un angolo che slinguazza con una bielorussa talmente ubriaca che l’amica, per difenderla, dovrà chiamare rinforzi maschili. Io nel frattempo giro inebetito per la pista confuso tra mille sguardi e tenere carezze. La tecnica di puntarne una e non mollare la presa fino all’ultimo, in questo caso, viene difficile attuarla perché come giri le spalle il cervello viene rapito da altri occhi, da nuovi profumi e da splendide silhouette. Alle quattro del mattino inizia l’esodo verso l’uscita con destinazione Max Show. L’ambiente qui è molto meno raffinato ma riusciamo comunque a conoscere due ragazze con le quali percorreremo insieme la strada di casa. L’ultimo giorno a Minsk riparte dal caffè news in karla Marx uliza dove ritroviamo i ragazzi di ieri. Pare che la domenica il locale più in voga sia l’Overtime. L’unico inconveniente è che ultimamente gli italiani non sono ben graditi e non si capisce il motivo. Anche oggi ci giocheremo la carta Madison + MaxShow che ormai conosciamo bene. Per non smentirci, in linea con le nostre abitudini di sempre, faremo tutta una tirata dalla discoteca all’aeroporto senza soluzione di continuità. Sergej viene a prenderci alle sei del mattino e, per la paura di arrivare in ritardo, inizia a dare gas alla sua macchinetta. Neanche a farlo apposta veniamo fermati con il tele laser dalla polizia, i cui agenti, invece di compilare un regolare verbale si intascano i soldi con tanto di stretta di mano. Sulla pista ci attende il fiore all’occhiello dell’aviazione civile russa un vecchio Tupolev 154 della compagnia Belavia. Le hostess, gentilmente, ci fanno accomodare nei posti a noi assegnati. I sedili sono sfondati, davanti a noi il polistirolo degli schienali sembra mangiato dai topi. Il ripiano degli snack è sbalestrato, gli interstizi della porta di sicurezza sono circondati da chili di silicone e in alcuni posti mancano le cinture di sicurezza. Il momento più brutto è stata la partenza quando le cappelliere si sono aperte improvvisamente, un pezzo di alluminio mi è finito in mezzo agli zebedei e la parte superiore dell’aeromobile ha iniziato a gocciolare per la condensa. Grazie alle preghiere del giorno prima arriviamo a Roma sani e salvi. Nel lost and found dei voli nazionali di Fiumicino ritiro la mia valigia, perfettamente integra, e restituisco l’altra dopo aver sottoscritto un’autodichiarazione. Che bello questa volta non avrò il pensiero di dover pianificare le solite due lavatrici di roba sporca…