Mi cuba

E’ proprio vero, “Niente vi potrà preparare al popolo cubano” (lonely planet). Cosa mi è rimasto di più? Loro, di sicuro. Il sorriso a volte gratuito a volte no di una persona ferma all’angolo di una strada; le vecchiette agghindate, vestite di bianco e con il sigaro in bocca, solo per farsi fotografare (e poter chiedere $1); i...
Scritto da: logoberta
mi cuba
Partenza il: 28/12/2004
Ritorno il: 05/01/2005
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 1000 €
E’ proprio vero, “Niente vi potrà preparare al popolo cubano” (lonely planet).

Cosa mi è rimasto di più? Loro, di sicuro. Il sorriso a volte gratuito a volte no di una persona ferma all’angolo di una strada; le vecchiette agghindate, vestite di bianco e con il sigaro in bocca, solo per farsi fotografare (e poter chiedere $1); i suonatori nei bar e il ritmo shakerato della rumba che continua a ronzarmi nelle orecchie (cha-cha-cha-cha-cha).

E poi… Le aragoste e i gamberi che i cubani non potrebbero mangiare ( e Mara che dice “El barbudo està loco, yo las como, a mi me encantan”); “Los cubanos somos millionarios” (detto dal marito di Mara, Ariel); “Ese hombre de mierda” (detto, riferendosi a Fidel Castro, dalla donna a cui ho comprato un po’ di latte); la sensazione di sconforto e impotenza assoluta di fronte all’ennesima richiesta di “aiuto” in $; l’immagine in acciaio del Che sulla facciata di un palazzo a Plaza del la Revoluciòn e il tassista che dice “Ese es Che Guevara”, come fosse stato il Colosseo; Nicholas, il ragazzo americano dalla straordinaria somiglianza con Hemingway che si finge per un po’ italiano la notte di capodanno per non dire ai cubani la sua nazionalità; tutti i cubani che hanno più o meno elegantemente glissato l’argomento comunismo/Fidel Castro; tutti quelli che non l’hanno fatto (pochi); la tribuna antifascista sul Malecòn con le immagini delle torture nel carcere iracheno; il cantante nel ristorante “La Mami” laureato in medicina, che facendo il medico guadagnerebbe $20/mese; David e il suo sguardo rassegnato, sua nonna che parla con il cordless, tenendo un sigaro in bocca e dondolando sulla poltrona; la guardia dell’Hotel Inglaterra che ci sconsiglia Trinidad perché “E’ molto vecchia e ci sono le pietre per terra”; la signora con il bambino che all’ Habana vieja mi ha chiesto una penna o un burro di cacao; la puzza del tubo di scappamento delle vecchie e dignitose carrette cubane; la “cadillac” con scritto “Borracho a bordo” in c/ San Miguel; i jineteros insistenti e falsamente amichevoli; la coppia giovanissima che ci ha invitati alla sua festa di capodanno; la guida (Veronica) della casa di Hemingway e le sue descrizioni recitate a memoria, come un disco, che in fondo, credo, fosse molto affascinata da Hemingway; lo studio di H. Nella dependance da dove si vede il mare e dove dava lezioni alla ragazza italiana; i cani dell’Habana: piccoli e dolcissimi; il “salotto” del centro Habana; l’odore dell’Habana: penetrante, urticante e unico; i ragazzini che guidano la bici-taxi portando tre persone come niente fosse e che ci chiedono interessati se ci è piaciuta la città; Tania di Cubatur all’Hotel Plaza che dice a bassa voce e guardandosi attorno che “loro” (i cubani”) non possono dormire negli hotel; il travestito sul muretto del Malecòn che ci invita provocatoriamente a fargli una foto; i cartelli inneggianti al comunismo sull’autostrada (unidos lucharemos..Unidos venceremos..); il cartello sulle porte di alcuni bar “Soy cubano, Soy popular”; Ariel che ci porta 4 banane dalla cucina dell’hotel; il toro intestardito che non voleva tornare nella mandria o sull’asfalto e il ragazzo che cerca di riportarlo sulla strada gridando invariabilmente “Carao”; gli occhi del ballerino nella danza afro-cubana a Trinidad, come se stesse ballando a una 1° della Scala; il signore che mi ha chiesto di dire alla guardia all’ingresso del Cafe de Paris che era con me per entrare la sera del 31; David che dormiva in casa sua sul divano nell’ingresso e che mi è sembrato l’unico cubano a provare (ingiustamente) un po’ di “vergogna” per la propria condizione; il signore della casa particular la prima sera, che ci ha prestato 70c per l’acqua e il pesce rosso nell’acquario del suo patio; il ragazzetto che voleva per forza farci mangiare l’aragosta a Playa Ancòn; il signore con il bambino neonato che sull’aereo dell’andata ha detto “L’Habana es Cuba”; i bambini nelle uniformi colorate della scuola; il cavallo libero sull’autostrada; l’assoluta, totalitaria, assenza di pubblicità commerciale;la fila davanti al negozio per ritirare la razione mensile; il gruppo di cubani che ballava nel negozio di strumento musicali durante la chiusura pomeridiana; il ragazzo strabico a guardia dei bagni nell’”Autogrill” sull’autostrada che mi dice “usted es muy linda”; lo stronzo che dopo averci detto che il ristorante Estela era chiuso e che gli abbiamo risposto che, nel caso, avremmo trovato un altro posto da soli, essendo dotati di gambe (il ristorante era aperto), ci ha risposto “Allora morite di fame”; il ritratto di Compay Segundo fra le tele del mercato; la radio perennemente al massimo su tutti i taxi ché bisognava urlare per sentire l’importo; il ragazzo che si fa il segno della croce prima di tuffarsi dai frangiflutti del Malecòn; io (noi) che sono (siamo) stata (stati) lì e ho (abbiamo) visto tutto questo e ancora non ci posso credere.



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