Mexico on the road
L’ aereo della Iberia atterra a Mexico City (2200 mt.) che e’ ormai sera tardi, le luci di una immensa città ci accolgono, decidiamo per un pernottamento per poi ripartire rapidamente per Oxaca. Il Messico non ha una rete ferroviaria efficiente ma ha buone strade e ottimi Bus, gli autisti sono molto bravi, sembrano piloti di aerei di linea, possiamo dire che le condizioni di viaggio non sono dissimili da quelle europee.
CITTA’ DEL MESSICO -OAXACA (264 pesos) Ci accingiamo a percorrere circa 500 Km da farsi senza soste, poiché passata Puebla, non vi sono più città fino ad Oaxaca. Subito la strada comincia a salire; il passaggio è piuttosto brullo e desertico, appaiono le prime piante grasse tra queste le agave da dove distillano il famoso Mezcal di Oaxaca. La corriera sale e scende lungo i fianchi della Sierra Madre del Sur, le immagini scorrono sul finestrino. Ho il tempo di leggere sulla guida “Routard ” qualcosa sulla fiorente civiltà zapotecha che sorse e si sviluppò sul Monte Alban. Superata la informe periferia raggiungiamo la città di Oaxaca. Troviamo alloggio in un alberghetto, il ” Villa Clara ” in zona centrale non lontano dal Zocalo.
Oaxaca è la classica città coloniale spagnola, le sue costruzioni sono basse, le strade lastricate, una quantità infinita di ristorantini dove si mangia a qualsiasi ora; tortillas, tacos, frutas. La piazza principale (il zocalo) non e’ dissimile dalle piazze di altre città sudamericane; la cattedrale, il palazzo del governatore troneggiano sulla piazza, il chiosco per l’ orchestra è circondato da un giardino pieno di alberi ad alto fusto, ambulanti vendono coloratissimi palloni, lustrascarpe molto professionali aspettano pazientemente la loro clientela, famiglie chiassose passeggiano, una orchestra tiene un fragoroso e seguitissimo concerto. L’ insieme è molto piacevole, ritrovo il clima di un mondo lontano nello spazio e nel tempo, direi uno spazio dove e’ rappresentata una società antica, con le sue regole, i suoi valori e le sue tradizioni. Una vera e propria istituzione è il mercato coperto, c’è da perdersi fra i banchi; donne sedute a terra vendono qualsiasi merce, le loro trecce lunghissime sono adornate da nastri colorati, decine di tipi di spezie e chili essiccati si perdono sui banchi, una prelibatezza sono i “chalpulines” ovvero grilli fritti coperti da peperoncino, si possono degustare con un sorso di Mezcal con il baco (gusano), con pochi pesos si può comprare del cibo e farlo cucinare. Il giorno successivo raggiungiamo Mte Alban, un sito archeologico della civiltà Zapotecha, si trova su un altopiano che domina la Valle di OAXACA, e’ sufficiente uno sguardo su questo complesso di piramidi per intuire lo spessore delle civiltà centroamericane, il sito si colloca in cima ad un altopiano che domina la valle di Oaxaca. Guardando queste poderose costruzioni mi domando che cosa è rimasto di questa civiltà, poco direi, oltre alla timidezza e la dignità degli indios..
A sera ci ritroviamo sullo Zocalo, alle 18,00 arriva Max con la sua morosa, una giovane tedesca di nome Diane, proviene da Puerto Escondido, Max è un affezionatos del Mexico, in questa terra ha ritrovato forti accelerazioni di vita, lo si legge negli occhi, il tempo di cenare insieme di scambiarci qualche informazione ed un arrivederci a Puerto.
La mattina successiva partenza per S. Cristobal de la Casas, non abbiamo la corriera diretta quindi prendiamo la coincidenza per Tehuantepec, si trova sull’ estimo, in pratica il punto in cui gli oceani Atlantico e Pacifico sono più vicini. I panorami mutano, si comincia a vedere la foresta tropicale, la temperatura sale abbondantemente, d’ altra parte scendiamo dai 2200 mt di OXACA. Arrivati a Tehuantepec dobbiamo aspettare otto ore la corriera per Tuxla., Approfittiamo per assaggiare le specialità gastronomiche locali, tra le quali spicca la “caveza de res”, ovvero la testa del toro, che viene servita con tortillas e cerveza. Spendiamo ancora un po’ di tempo e raggiungiamo Salina Cruz, un borgo marino affacciato sul pacifico. Verso sera, dopo qualche disagio, riprendiamo il bus per Tuxla dove arriviamo alla prime ore dell’ alba, un caffè e di nuovo in viaggio verso San Cristobal. Il bus torna ed arrampicarsi verso l’ umida selva, lungo la strada si scorgono i primi villaggi, mi fa effetto vedere gli indios lungo la strada, probabilmente sono diretti verso i loro campi, stringe il cuore vederli con i loro caratteristici e poveri abiti, si intuisce lo stato di bisogno in cui vivono.
Arriviamo a S. Cristobal, la città è la capitale dello stato del Chiapas, uno dei più selvaggi del paese, si trova a 2110 mt. Di altitudine, le costruzioni sono di epoca coloniale, i colori vivaci degli intonaci riprendono quelli splendenti del paesaggio di montagna che circonda la città. Troviamo alloggio alla pensione “Adriana”, si tratta di una costruzione coloniale ottimamente adattata ad ospitare i viaggiatori, mi colpisce l’ ardore dell’ arredo ed i forti abbinamenti dei colori giallo ocra e blu cobalto. La città da forti sensazioni, l’ atmosfera è discreta e vivace, il centro raccolto intorno allo Zocalo è pieno di ristorantini, ad ogni angolo donne indios offrono la loro merce, braccialetti intrecciati, cinture.., Giovani coppie passeggiano tenendosi per mano. Mi piace questa città, sarà la presenza impalpabile del comandante Marcos che sembra conferirle una straordinaria dignità. Marcos un intellettuale che partendo dallo stato della condizione delle popolazioni indios costituisce un cardine della critica al mondo globalizzato. Abbiamo occasione di visitare il museo dell’ ambra, è ospitato all’ interno dell’ antico convento di S.Mercedes, in una ala c’e’ un laboratorio dove alcuni giovani lavorano l’ ambra, sono molto orgogliosi del loro lavoro, gentilmente ci spiegano la lavorazione di questo straordinario materiale, Il giorno successivo con un taxi “collettivo” andiamo in visita a San Juan Chamula, si tratta di un “pueblos” (villaggio indios) poco fuori S.C. Abitato da indios, la chiesa e’ sintesi della storia di questo paese, sembra che alla fine dell’ ottocento sia stato cacciato l’ ultimo prete cattolico, quindi il luogo e’ stato adattato alle cerimonie religiose. L’ atmosfera che si respira all’ interno della chiesa e’ particolare; prodotti agricoli della terra sono disseminati sul pavimento della chiesa, l’ illuminazione è data da centinaia di candele accese, indios inginocchiati sul pavimento pregano con molta partecipazione. In questo villaggio dove mancano le cose più elementari non manca mai la Pepsi Cola, i segni dell’ aggressione della inciviltà del consumo che offende e sradica quel poco di identità che gli indios difendono a denti stretti.
Dopo aver fatto il pieno di sensazioni lasciamo questa affascinante città, questa volta prendiamo una super corriera “MAYA DE ORO” diretta a Palenque, il più noto sito Maya .
S. CRISTOBAL – PALENQUE Lasciamo alla spalle questa piacevole città, ci aspettano sei ore di strada tutta nella verde e impenetrabile selva. Lo sbalzo dovuto alle “topas” (avvallamento sul fondo stradale, realizzato per far diminuire la velocità dei veicoli) ci segnala che siamo vicini a qualche insediamento indio, sbircio nelle loro misere case, non c’e’ molta differenza con quelle dei contadini delle valli nepalesi o di altri terzi mondi. In serata raggiungiamo Palenque, troviamo alloggio in un alberghetto vicino alla stazione delle corriere, si chiama il S. Elena. Palenque è un villaggio senza storia, vive di riflesso dal passaggio dei turisti diretti alla visita delle “ruinas”, la via centrale è piena di botteghe ad uso e consumo dei viaggiatori. La mattina successiva con un ‘collettivos’ raggiungiamo il sito archeologico Maya più famoso. E’ uno spettacolo, si tratta di un complesso monumentale che manifesta con la sua presenza un pezzo di storia importante, è difficile capire ed immaginare la sostanza della storia, si ripetono le sensazioni di Mte. Alban, mi rendo conto che la nostra cultura non è assolutamente attrezzata per capire, questo è il motivo della nostra lontananza intellettuale dagli indios, rimane la sensazione di aver perso una ennesima occasione di capire. Nella camera dell’ albergo abbiamo anche un televisore, mi sorprende la quantità di canali in lingua spagnola, si tratta per la quasi totalità di trasmissioni commerciali, diciamo “mediaset” al cubo, l’ utilizzo dei media è selvaggio, tra l’ altro nella quasi totalità degli luoghi pubblici, chioschi compresi c’è sempre un televisore acceso…
Il giorno successivo raggiungiamo le cascate di Misol e Agua Azul, la bellezza della natura è semplicemente strabiliante; una enorme quantità di acqua fluviale attraverso una serie di alture si riversa in questo angolo di giungla tropicale. In un’ ansa delimitata da alcune corde approfittiamo per fare un bagno, non e’ una buona idea, Diego nel tuffarsi butta fuori una spalla, è un problema, un senso di impotenza mi pervade, non so’ che cosa fare, Palenque e’ ad un paio di ore di auto, alcuni viaggiatori tra i quali Susanna una ragazza olandese e Cristian il suo compagno ci danno una mano, recuperiamo una vettura e ci dirigiamo verso Palenque, ora mi accorgo di quanto è tortuosa la strada, ogni sbalzo è una sofferenza per Diego; il suo braccio comincia a perdere la sensibilità, lo copriamo con tutto quello che abbiamo di asciutto, gli centelliniamo quella poca acqua che abbiamo con noi, non è un bel momento, comincio a pensare al peggio. Finalmente raggiungiamo l’ ospedale; il medico del pronto soccorso si rende subito conto del problema, gentilmente ci fa uscire dall’ ambulatorio, passano pochi minuti e arriva Susanna che con un sorriso mi fa’ capire che e’ tutto ok. Sembra un miracolo , posso di nuovo pensare al proseguo del viaggio. Preferiamo fermarci un giorno per permettere a Diego di recuperare.
La via principale di Palenque è piena di ristorantini, negozi, spazi internet ad uso esclusivo per i turisti di passaggio, la sera la gioventù del luogo si raccoglie sulla piazza principale ad ascoltare le esibizioni della immancabile banda musicale, si ripetono queste sensazione dei tempi andati quando la piazza era vissuta come uno spazio di socialità. Il giorno successivo ci troviamo su un fuori strada diretti verso il confine guatemalteco, raggiungiamo il rio Usamacinta, un fiume enorme che scorre all’ interno di un ambiente tropicale, prendiamo una lancia e lo risaliamo, forti vortici d’ acqua trascinano sotto anche grossi arbusti, lo spettacolo della natura e’ eccezionale, sui bordi del fiume si intravede qualche capanna abitata da famiglie indios, dopo un’ ora sbarchiamo alla frontiera guatemalteca di Bethel, qui furbi doganieri ci spillano 100 pesos, non si capisce bene a quale titolo… Con un collettivo ci facciamo quattro o cinque ore di strada in terra battuta, fino a raggiungere l’ isola di Flores. Troviamo alloggio in un alberghetto sul lago, le camere sono modeste (70 quetzal 10 euro) , ma hanno il vantaggio di stare su un pontile che da direttamente sulle calde acque del lago, praticamente e’ più facile tuffarsi nel lago che entrare nella doccia. Questa isola e’ un piccolo angolo di paradiso, nei volti della popolazione si intravedono incroci caraibici, la sera ceniamo in un bel ristorantino sul lago, la musica e’ buona, a tavola ci fanno compagnia tre ragazze italiane della Val di fassa, anche loro vengono da Mexico City, sono dirette nel Belize, tra il fumo e la birra ci raccontiamo i nostri viaggi, e’ un piacere sentire le loro storie, si riconosce a colpo il gusto del girovagare liberamente, curiosità ed avventura sono gli elementi cardine di questo piacere della libera “navigazione”. Il soggiorno a Flores prosegue tra tuffi nel lago, buona musica e visita al sito maya di Tikal. Letteralmente immerso nella foresta, il sito e’ composto di ciclopiche e geometriche piramidi, ormai ogni commento e’ superfluo.
Flores – Città del Guatemala E’ sera tardi quando con dispiacere lasciamo Flores, i pneumatici del bus non ci mettono in buon umore, la corriera, una seconda classe, parte con il solito equipaggio pieno di buon umore, solo Gianpiero si addormenta beatamente, Durante la notte, come spesso accade c’e’ un controllo di polizia, la sensazione è sempre spiacevole, vedo negli occhi dei viaggiatori locali il timore della polizia, alcuni cani ispezionano il vano bagagli; guardo con preoccupazione le scarpe di Gianpiero… E’ l’ alba quando sopraggiungiamo alla periferia di Guatemala City, lungo la strada scorrono camion della Pepsicola, sopra il carico, uomini armati di mitra difendono la preziosa bibita… Evitiamo accuratamente la città e prendiamo subito una vecchia corriera diretta a Chichicastenango. Indios silenziosi e rassegnati si accalcano uno stretto all’ altro, sembra di stare letteralmente in una scatola di sardine, con fatica ci sistemiamo dentro questa calda umanità, Gianpi si trova subito con un paio di “ninos” in braccio, come suo solito riesce anche a dormire. Poco fuori Guatemala city sale in corriera un meticcio con tanto di camicia e cravatta, con un sorriso simile al nostro “premier “, con l’ aria da imbonitore inizia un lungo monologo, all’ inizio lo scambio per un predicatore, ma poco dopo tira fuori da una borsa un vasetto con un inguento “miracoloso”, a suo dire cura quasi tutti i malanni, con dispiacere mi accorgo che alla fine quasi tutti gli indios tirano fuori il denaro per comprarlo. Furbizia e miseria viaggiano sullo stesso binario..
“Chichi” è un villaggio indios, qui c’è uno dei più caratteristici mercati del centro america; prodotti in pelle, tessuti, maschere in legno, prodotti ortofrutticoli, qui si riversa tutta la produzione degli indios dell’altopiano. Inoltre il mercato è una splendida occasione per osservare questa umanità nella loro lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ineluttabilità, rassegnazione e dignità si concentrano davanti ai miei occhi. La stanchezza comincia a farsi sentire, è tempo di rientrare in Mexico, questa volta dobbiamo raggiungere il confine a “La Mesilla”, ancora una volta ci accalchiamo in queste povere e formidabili corriere, con un paio si scambi volanti raggiungiamo “rapidamente” il confine, questa volta non c’è nessun balzello da pagare e con lo zaino sulla spalla rientriamo in Mexico.
Superata Comitan cambiamo macchina e raggiungiamo S. Cristobal, siamo fortunati perché la corriera per Puerto Escondido parte verso le 21.00, abbiamo il tempo di cenare comodamente: i soliti tacos, tortillas, fagioli e naturalmente birra. Adesso abbiamo circa diciotto ore di tempo per raggiungere Puerto, quindi tutto il tempo per riposare.
Il sole e’ alto quando vedo l’oceano pacifico, la temperatura si è alzata abbondantemente, la corriera corre verso Puerto Escondido, quando una manifestazione di ” campesinios ” blocca la strada, risultato dobbiamo abbandonare la corriera e con lo zaino superiamo il blocco stradale, non senza aver solidarizzato con i manifestanti, ci mettiamo in cerca di un mezzo per raggiungere Puerto. Siamo in Messico, quindi un collettivo è dietro il blocco, rapidamente raggiungiamo la meta.
L’ hotel Myflower e’ un buon albergo dallo stile mediterraneo, una splendida bucanville lo avvolge in tutta la sua altezza, il portiere ci raccomanda di chiudere bene la finestra perché non si sa’ mai.. Abbiamo deciso di passarci quattro giorni e goderci le spiagge di Puerto. Rapidamente raggiungiamo la ” playa central ” dove bivacca normalmente il nostro amico max. Puerto e’ sostanzialmente un villaggio di pescatori, solo recentemente ha avuto un piccolo boom turistico, dopo l’ uscita dell’ omonimo film di Salvatores. C’è anche una vivace comunità di italiani (un centinaio di persone ) che si sono trasferiti qui per impiantare piccole attività commerciali (ristoranti, pizzerie, gelaterie). Il mare è semplicemente uno spettacolo; nel pomeriggio appassionati della tavola passano ore a cercare di montare queste poderose onde. La spiaggia è incorniciata da una fitta riga di palme intramezzata da capanne affittate per pochi pesos. Un chiosco serve birra fresca e diffonde ottima musica. Mi sembra un buon posto… Abbiamo fame, non c’è problema, il pesce è ancora sulla barca dei pescatori, un salto sulla padella, un po’ di insalata, ci viene servito con un servizio di poche pretese. Credo che questo posto mi piace, relax allo stato puro.
In serata ci raggiunge Max con Diane, vivono in una di queste ” habane” sulla spiaggia, e’ felice, mi spiega che a Puerto si può vivere in un modo minimale, per farmi capire il concetto guardando i suoi piedi scalzi mi dice – Non c’è neanche bisogno delle scarpe! – Ho capito! Gli voglio proprio bene..
Passiamo il tempo tra una sigaretta una birra, sole e musica, penso che il tempo si sia fermato, potrei vivere qui una vita… La sera si passeggia per la via più importante, sarà lunga duecento metri; spazi internet, negozi di prodotti balnea ri, ristorantini, ecc.’ venditori di tacos alle verdure ecc.. Mi dicono che nonostante il clima caldo e asciutto qui è bassa stagione, in effetti ho l’ impressione che non ci siano molti turisti. La sera si va’ in una gelateria gestita da una giovane coppia italiana, lei e’ carina, il suo nome e’ Sabrina, ci racconta la vita di Puerto, vedo un po’ di nostalgia nei suoi occhi, ne ammiro il coraggio, Per rompere la dolce quiete di Puerto decidiamo fare un giro con l’ unica vela esistente, lo skipper si chiama Vinicio, sembra un personaggio di Heminguay, ha circa la nostra età, ha il volto abbronzato dei marinai, il sorriso stampato in bocca, una birra sempre in mano e una sigaretta in bocca. Il piccolo catamarano nonostante il nostro peso viene spinto dal vento subito a largo, e’ un piacere, il vento e’ una vera potenza, la riva diventa rapidamente una sottile striscia al nostro orizzonte, dopo un bel bagno quando decidiamo di rientrare una bonaccia ci inchioda al largo, accidenti, la sensazione non è piacevole, in giro non si veda neanche un peschereccio, dopo un paio d’ ore passate a scrutare l’ aria, vedo Vinicio guardare con preoccupazione le chiglie, ci dice che non ci sono problemi ma e’ meglio che qualcuno entri in acqua per scaricare il peso, Gianpi il più giovane capisce che tocca a lui, mi rendo conto che la chiglia si sta riempiendo d’ acqua, Diego tiene d’ occhio l’ unico salvagente, credo che oggi come minimo si salta il pasto, e’ così va’ via un’ altra ora. Una leggera brezza comincia a tendere la vela, do’ il cambio a Giampiero in acqua, rischio di perdermi la cima, ora l’ aria ha decisamente ripreso a soffiare, puntiamo a Puerto Angelito, dentro l’ acqua adesso mi sembra di stare in una “iacuzzi”. Tirato il catamarano sulla spiaggia mi rendo conto che la chiglia ha imbarcato decine litri d’ acqua. Davanti ad un bel trancio di pescespada circondato da insalate varie e un buon boccale di birra termina la nostra avventura marina, più tardi Diego mi confesserà di essersi raccomandato a non so’ quale santo, .. Le risorse sono infinite.. E’ tempo di lasciare Puerto, è una calda sera di novembre quando salutiamo Massimo, le solite raccomandazioni e la corriera comincia a correre verso Mexico City, ci aspetta la notte e dodici ore di freddo dell’ aria condizionata.
Che dire di Mexico City, sicuramente latina, sudamericana, cattolica, immensa, caotica, si intuisce un favoloso passato coloniale, e uno sviluppo bloccato, quindi povera, bisognosa del lavoro, in ogni angolo, in ogni vagone della metropolitana c’è qualche ambulante che cerca di sopravvivere. Messico grande contraddizione, l’ aggressione economica/culturale nordamericana, la difficile sopravvivenza della popolazione indigena, i conflitti sociali; ne fanno un punto di osservazione privilegiato, quindi un viaggio che merita, e perche’ no, un dolce rifugio…