Mexico Maya
Sveglia presto e transfer all’aeroporto in taxi. Qui litigo furiosamente con l’impiegata della compagnia aerea (Air Caribe) che vorrebbe farmi pagare 20 dollari per il trasferimento interno. Io so che si paga solo se sei stato in un dato posto per più di 24 ore, e noi siamo arrivati (come testimonia il visto d’ingresso) da non più di dieci. Mi faccia parlare col suo superiore… anzi no, col capo scalo! Arriva un signore in divisa; breve conciliabolo con la tipa, poi si rivolge a me. Con gentilezza, ma con la massima decisione, gli dico che non intendo cacciare un soldo. E vaiii!!! Mi da l’OK! E’ un trionfo! Raccolgo anche l’approvazione di un gruppo di anziani signori toscani che si sono visti spillare già un bel po’ di soldi nei loro transfer… Si parte. Quest’aereo sembra un autobus dell’AMAT, la società dei trasporti urbani di Palermo. Neanche il tempo di decollare e scendiamo verso Mèrida. Ripartiamo e riscendiamo a Villahermosa. Ripartiamo e, finalmente, atterriamo a Tuxtla Gutiérrez. Il tutto in un’ora e mezza scarsa! Tuxtla è la capitale del Chiapas. 300.000 abitanti a 530 metri sul livello del mare. Ma non la visitiamo perché, a sentire la nostra guida, c’è in corso una manifestazione degli zapatisti. Il Messico comincia a piacermi! Un van ci porta al Canyon del Sumidero. Saliamo su una barca. Subito le sponde del fiume si innalzano fino a diventare pareti verticali alte anche 1.000 metri. Avvoltoi, flamingos, scimmiette sugli alberi e tre bei coccodrilloni con le fauci spalancate per disperdere il calore. Ed in effetti c’è caldo. Il fiume diventa una grande diga per la produzione di energia elettrica. Birretta al bar sulla riva e si fa ritorno. La traversata ha il suo fascino. Dalla sommità di queste pareti gli antichi Maya si buttarono giù a migliaia per sottrarsi alla schiavitù imposta dai simpatici Conquistadores.
Montiamo sul van insieme a due ragazzi di Rimini, Gabriele ed Annalisa, con i quali finiremo per condividere la prima parte del viaggio. La strada comincia ad inerpicarsi su balze lungo le quali incontriamo i primi indigeni coloratissimi. I colori dello scenario diventano sempre più intensi e prevalgono le tonalità del verde.
San Cristobal de las Casas è una bella e tranquilla cittadina di 90.000 abitanti a 2.100 metri s.L.M.
Sorge in una valle di montagna e ci accoglie con le sue case pitturate di verde, rosso, bianco, col suo fascino coloniale. Alcuni anni fa balzò agli onori delle cronache mondiali percè fu invasa dall’esercito zapatista armato guidato dal mitico comandante Marcos.
Hotel Casa Mexicana, con tanto di giardino tropicale al centro di un portico coperto da un lucernario; oggetti d’arte e dell’artigianato locale, molto coloniale! Anche le stanze sono belle, il tutto per 47 dollari. La sera, dopo cena, entriamo in un locale con musica dal vivo. Prendiamo un margarita (siamo o no in Messico?) che però somiglia ad una granita di limone. Ne ordiniamo un altro più strong, ma è la stessa cosa. Forse quassù non lo sanno fare. Vedrai giù nel Caribe!!! E’ tardi e la giornata è stata dura. Buonanotte… Il giorno dopo mi alzo presto ed esco mentre Silvia dorme ancora per andare a prendere un caffè. L’aria è a dir poco frizzante. Vengono a prenderci per andare a visitare la comunità indigena di etnia Tzotzil di San Juan Chamula, a pochi chilometri da San Cristobal. E’ in corso la festa più importante dell’anno, San Giovanni. Il grande spiazzo davanti alla chiesa è tutto un mercato dove chiunque vende o baratta qualcosa: frutta, verdura, ortaggi, ali di pollo, mais. Si, il mais; la base dell’alimentazione di questa gente colorata e di bassa statura. Maya significa “popolo del mais”, e questi sono gli orgogliosi discendenti dei Maya, un autentico pezzo di archeologia umana che spero la globalizzazione non riesca a fagocitare. La guida ci chiede di non provare a fotografarli perché si imbufaliscono (a ragione, aggiungo io). Si sparano botti fragorosissimi. Entriamo in chiesa e ciò che vedono i miei occhi è qualcosa che non dimenticheò mai. C’è un fumo denso e profumato; erba falciata ricopre il pavimento, simbolo del legame di questa gente con la natura, con la terra, ancora sostanziale da queste parti. Molti sembrano ubriachi e continuano a bere il “posh” (non sono sicuro che si scriva così), un loro distillato di non so cosa che, a giudicare dai risultati, dev’essere bello tosto… La chiesa è piena di statue dei santi. Due croci, quella cristiana e quella maya, che ha un significato del tutto diverso, si guardano da pareti opposte. C’è anche un crocifisso, che però sembra valere meno rispetto ai santi nella peculiare gerarchia religiosa di questa gente. Mi rendo conto di essere di fronte ad un vero e proprio rito il cui significato non riesco a comprendere in toto. Questa gente ha accolto il cristianesimo, ma solo nei suoi aspetti più esteriori, e di fatto esso convive con l’animismo ancestrale degli antenati. In realtà i santi sono solo l’incarnazione dei fenomeni naturali! Ed il concetto si chiarisce ulteriormente quando entrano tre sciamani che hanno l’aria di essere gli officianti. Portano un pollo vivo. Non voglio chiedermi che fine farà.
Ho ancora queste immagini davanti agli occhi e le rivivo come uno dei momenti più emozionanti della mia vita! Andiamo via non senza aver comprato una bottiglietta (di plastica riciclata) del miracoloso posh. La regalerò a Ciccio. Il simpatico venditore me lo fa assaggiare, due dita in un bicchierino di carta. Non sembra così forte… buono…ERRORE!!! Dopo due minuti mi sento allegro e leggero e la cosa dura un bel po’! Devastanteee!!! Pranziamo. Riposino con scossa di terremoto che dura un bel po’, più di venti secondi sicuramente. Scappiamo di corsa nella hall in mutande ma scopriamo che la cosa lascia del tutto indifferente il tipo alla reception. Tranquillo, senor, è normale! Nel pomeriggio visitiamo il coloratissimo mercato dell’artigianato degli indigeni. Compriamo tovaglie e teli coloratissimi, ed anche delle belle ambre con intrusioni di insetti a buon prezzo. Cena con filetto, fagioli neri e riso, birra Corona e a nanna.
Oggi si parte per Palenque. Passando per le strade avvertiamo una certa malinconia nel lasciare questa meravigliosa e tranquilla cittadina dell’altopiano. Siamo stati poco, solo tre giorni, ma molto bene. Ciao, arrivederci San Cristobal.
La strada si snoda tra saliscendi di montagna disseminati di villagi degli Indios. I loro costumi tradizionali cambiano a secondo l’etnia e servono anche a distinguerli.
Ad un tornante siamo costretti a fermarci per un’ora circa: un grosso camion si è incastrato e non si passa! Dopo una serie di tentativi falliti finalmente il bestione riesce a muoversi ed anche noi possiamo andare. Sosta “tecnica” al ristorante Garibaldi (ma è stato pure qui?) e dopo un po arriaviamo ad Aguazul, le famose cascate dai riflessi azzurri (ovviamente) e di smeraldo. Il posto è bellissimo ma un po affollato. Facciamo anche un bagnetto ma non si può dire che l’acqua sia caldissima… Tutto intorno una foresta rigogliosissima e verdissima.
Ripartiamo e, nel tardo pomeriggio, arriviamo finalmente a Palenque. Piove e, dopo un viaggio così lungo, ci fa piacere scoprire che l’hotel Ciudad Real è uno dei migliori della città. In effetti è carino, con stanze ampie, vista sulla piscina circondata da palme, banani e amache. Doccia. Aperitivo. Ennesimo tentativo di margarita. Ennesima granita. Delusione. Ci raggiungono Gabriele ed Annalisa e, sotto la pioggia, andiamo in centro. Troviamo un bel ristorantino dove si cena al primo piano. Il chorizo asado con queso (salame al forno con formaggio) è buonissimooo!!! Ne prendo ancora! Buona notte.
Il giorno dopo il solito Juan (come si può chiamare un messicano?) viene a prenderci col pulmino e ci porta all’area archeologica. Una delle più importanti del mondo. Quando arriviamo l’atmosfera ha qualcosa di irreale; stà ancora piovendo una pioggerellina fina ed intermittente. Tutto il sito, immerso in una bellissima foresta, è avvolto in una nebbia che copre i templi e le colline circostanti (scopriamo dopo che non sono colline, ma piramidi sulle quali la foresta ha messo le radici e che non sono state ancora liberate; immaginate quanto devono essere grandi!). Il primo tempio sul quale ci soffermiamo è la piramide chiamata Tempio delle Iscrizioni. Qui fu scoperta la tomba del mitico re Pakal. E’ raffigurato zoppo, con una gamba più corta dell’altra; a causa delle unioni tra consanguinei, allora molto comuni, la deformità era piuttosto ricorrente ed era considerata desiderabile in quanto segno di distinzione. La madre di Pakal era molto alta ed albina, cose poco comuni presso un popolo mediamente molto basso e di carnagione olivastra. Ai bambini di un certo rango si legavano due tavolette intorno alla testa fasciate piuttosto strette, e cio provocava l’allungamento del cranio che assumeva una forma a zucca. Inoltre si provocava lo strabismo legando ai capelli una cordicella che recava un sassolino di giada all’estremità, costringendo il malcapitato a guardare costantemente quella specie di nodo focale! Ora immaginate Pakal zoppo, con la testa a zucca, strabico e, per giunta, con dei frammenti di giada incastonati tra i denti resi aguzzi dalla lima!!! Un autentico MOSTRO!!! Più in la, un altro edificio; il Palacio, adibito a pratiche rituali ed all’osservazione degli astri. Si, perché, signori, i Maya erano grandi astronomi. I loro templi sono tutti costruiti secondo allineamenti astronomici precisissimi. Il loro calendario è più preciso del nostro. Avevano previsto un cataclisma di proporzioni globali per una data non lontana dai nostri giorni, una data a cui, come si evince dalle iscrizioni, pensavano con terrore: il 23 dicembre del 2012. E data la precisione delle loro osservazioni e del loro calendario, mi chiedo se ci sia da stare tranquilli… E come avranno fatto a trasportare i blocchi megalitici coi quali hanno costruito le piramidi, visto che non conoscevano la ruota? Qualcuno sostiene che la testa a zucca non era un mero fatto estetico, ma serviva a sviluppare alcune aree nobili del cervello. Che riuscissero con la mente a creare e controllare dei campi magnetici sui quali i blocchi potevano scivolare? Non sono io a dirlo, e la cosa non mi convince, ma se siete interessati a tutto il resto leggete “Lo specchio del cielo” di Graham Hancock, e scoprirete cose molto interessanti.
Intanto la nebbia si solleva, rivelando ai nostri occhi una miriade di altri templi. L’atmosfera è incredibile. Salgo su una piramide; è dura, ma a scendere è peggio. Rimango azzoppato per tutto il giorno. Che sia la maledizione di Pakal? Purtroppo dobbiamo andare, perché tra due ore parte l’aereo per Cancun. Ma questo posto ci è rimasto nel cuore in modo indelebile. Quando ci penso ancora mi attraversa un brivido misterioso e piacevolmente freddo… Pakal… ciao caro… alla prossima… Lasciamo Palenque nel tardo pomeriggio alla volta di Cancun. L’aereo fa i soliti scali a Villahermosa e Mèrida. Quando arriviamo comincia a fare buio. All’aeroporto affittiamo un maggiolino rosso per circa 100.000 lire. Partiamo per Playa del Carmen. Il maggiolino è divertente; da una sensazione di robustezza incredibile ma sembra di guidare un carro armato! E i freni a tamburo… La strada è larghissima; mi superano macchine stile americano, lunghissime, con lucette che le fanno sembrare alberi di natale. Dopo un’ora circa di viaggio arriviamo a Playa. Parcheggiamo e comincia la ricerca dell’albergo. Ci informiamo presso due guesthouses che non ci convincono del tutto. Infine optiamo per l’hotel La Tortuga. Ci offrono una stanza con vista sulla piscina e (wow!) vasca idromassaggio sul terrazzino per 90.000 lire. Saliamo in camera, ci sistemiamo, facciamo una doccia ed usciamo per cena. Intanto telefoniamo ad Annalisa e Gabriele e ci accordiamo per vederci il giorno dopo. Playa somiglia un po’ a San Vito Lo Capo ad agosto. Un fiume di persone gironzola per le strade illuminatissime tipo fiera paesana. Ovunque locali promettono happy hours e cocktails da delirio. A proposito, prendiamo un margarita? Vedrai che qui è tutta un’altra cosa… Macchè, la solita granita di limone! Da questo punto di vista il Messico si sta rivelando deludente. E’ più facile bere un buon margarita a Palermo che ai caraibi! Andiamo a cena da “Limones”. Il posto è carino, tranquillo nonostante si trovi nel cuore dello struscio. Ed è anche caro, ma dobbiamo festeggiare la prima settimana di matrimonio! Carpaccio di “mero”, un pesce che somiglia alla cernia, aragosta e frutti di mare, chardonnay chileno, tutto buonissimo!!! Ma la vera opera d’arte è la crepe; il cameriere comincia un lavoro interminabile con salse, liquori, frutta e gelato che dura circa un quarto d’ora. Il risultato è eccezionale, la crepe più buona che io abbia mai mangiato! A nanna dopo un buon bicchiere di tequila reposado in uno degli infiniti baretti che si aprono sulla strada principale. Il giorno dopo lo dedichiamo al relax. Giriamo per le strade a caccia di regalini da portare in Italia. Ma all’improvviso ci rendiamo conto che non abbiamo ancora visto il mare; ed è così, il mare a Playa non lo vedi se non vai a cercarlo! La vista è occlusa da una schiera infinita di palazzine e hotels cresciute praticamente sulla spiaggia. Facciamo un po di giri per riuscire a trovare un accesso e finalmente eccolo, il Caribe. La spiaggia deve essere stata molto bella, ma ormai è ridotta ad una striscia sulla quale turisti americani, australiani ed italiani stanno tutti insieme appassionatamente incuranti del caos e dello spazio limitato che, se non è poco come quello di San Vito ad agosto, poco ci manca! Passeggiamo sulla spiaggia. Ci guardiamo in faccia: te lo immaginavi così? Certo non è male, ma pensavamo a qualcosa di diverso… La sera ci fermiamo in un locale davvero rimarchevole: la “Tequileria”. Hanno tutti i liquori messicani che si possano immaginare! Io prendo un mescal invecchiato e Silvia un tequila reposado. Abbiamo ormai rinunciato al margarita. I liquori sono buonissimi, entrambi hanno un certo sentore di fumo, dovuto all’invecchiamento in legni tostati a dovere. Compriamo delle bottiglie da portare in Italia. Ed è la cosa più buona che si possa acquistare in Messico insieme al chili che abbiamo anche piantato a casa! Domani andiamo via, a Tulum.
Il giorno dopo lasciamo il maggiolino all’agenzia locale e saliamo su un autobus della Mayan Bus. Dopo un’ora e mezza circa arriviamo. Il “poble” di tulum è abbastanza anonimo. Prendiamo un taxi e ci facciamo portare alla zona hotelera. Lonely Planets suggerisce una serie di piccoli “resorts” che sembrano avere come comune denominatore un ecologismo ed un rispetto dell’ambiente che ci piace come idea. Speriamo che non sia una bufala… Optiamo per “Las piedras escondidas”, uno dei più cari ma anche tra i più belli. Ci informano che il generatore viene spento alle dieci di sera e che da quel momento si va avanti con le candele! Dopo esserci sistemati in una camera sulla spiaggia e con tanto di amaca sul terrazzino, usciamo ad esplorare il posto. La spiaggia è fantastica! Gli scogli (piedras) interrompono di tanto in tanto una lunga ed ampia lingua di sabbia bianchissima fatta di coralli polverizzati accecanti… a ridosso, palme, banani ed altre piante che non conosco conferiscono alla scena un sapore caraibico che è quello che speravo di trovare. Ci sono pure tantissimi pellicani che volano radente sul mare e di tanto in tanto si tuffano in picchiata per procurarsi un bel pescione! E’ davvero uno spettacolo! Ma vogliamo fare o no un bel bagno? L’acqua è caldissima e meno salata che dalle mie parti. Ora che guardo il minuscolo resort da qui, mi rendo conto che è stupendo. E’ il posto ideale per rilassarsi. Il silenzio è totale; ecco come me lo immaginavo il Caribe! Non ci stresseremo cercando di capire cosa faremo domani; semplicemente staremo qui a goderci quest’angolo di paradiso. Ed invece non va esattamente così; dal giorno successivo il tempo cambia! Il sole comincia a fare delle apparizioni saltuarie tra fronti di nuvole che rovinano i nostri progetti balneari e di relax. Può darsi che domani migliori… Ed invece sembra che la cosa durerà per tutta la settimana! Stare in un posto così senza potersi godere il mare può portarti alla follia, perché oltre al mare non c’è proprio niente di niente! Ed è cosi che al terzo giorno affittiamo una macchina per andare a Chichen Itza. Per strada ci fermiamo a Cobal. Il posto è molto bello, in riva ad un laghetto molto pittoresco. La gente continua a svolgere le proprie attività senza curarsi troppo dello straniero, e questo mi mette molto a mio agio. Non mi sento un potenziale scontrino fiscale come a Playa… Ma non abbiamo molto tempo a disposizione e, con grande rammarico, non possiamo fermarci a visitare i templi che pure sono descritti come molto interessanti, e dunque ripartiamo dopo mezz’ora. Chichen Itza è uno dei siti Maya più importanti. Subito ci fronteggia la piramide di Cuculkan, enorme, resa famosa anche dallo spot pubblicitario di una bevanda gasata che qualche anno fa è passato spesso sulle nostre reti tv. Al suo interno contiene un’altra piramide più antica che a sua volta contiene un tempietto che ospita la statua lignea di un giaguaro, il dio giaguaro, il cui corpo è cosparso di rubini, 72 per l’esattezza (sarà casuale o non si tratta piuttosto del solito numero precessionale che da queste parti riccorre molto di frequente?). Il posto, ancorché strapieno di turisti è bellissimo. La piramide, nel giorno dell’equinozio di primavera, grazie al suo allineamento astronomico, crea un gioco di ombre che ricorda le spire di un serpente, il dio serpente Quezalcoatl. Questo dimostra che qui gli architetti lavoravano gomito a gomito con gli astronomi.
Continuiamo la visita e ci imbattiamo nella fossa dei teschi. Qui venivano raccolti i teschi di coloro i quali venivano sacrificati, ma il sacrificio umano era tipico degli Aztechi più che dei Maya. E poi il campo dove si giocava a palla; il capitano della squadra vincente veniva sacrificato e ciò era considerato un grande onore! La piazza del mercato, l’osservatorio astronomico… Il sito archeologico di Chichen Itzà non possiede l’atmosfera magica di Palenque, ma ha comunque un grande fascino.
Torniamo a Tulum per l’ora di cena. Ceniamo in uno dei piccoli resorts della zona hotelera con spaghetti ai frutti di mare (buoni) e a nanna.
Il giorno dopo visitiamo i templi di Tulum. Grande ressa anche qui. Questo sito non ha la grandiosità di Palenque e Chichen Itzà; rappresenta una civiltà ormai al declino. Di rilievo è però il “Castillo” per la sua dislocazione sull’alta falesia a strapiombo su una meravigliosa spiaggetta e sul mare dei caraibi; da quassù riusciamo a vedere un piccolo branco di delfini che saltano fuori dall’acqua poco al largo. Il pomeriggio sarebbe dedicato al relax, se all’improvviso non ci accorgessimo che manca il passaporto di Silvia. Panico. Forse l’abbiamo lasciato all’hotel di Playa. Telefono e ne ho la conferma. Torniamo a Playa in autobus e recuperiamo il documento. Serata tranquilla, ma in tutto questo abbiamo dimenticato cosa sia il sole… Non è che ci sia freddo, ma le nuvole si alternano a momenti soleggiati nei quali approfittiamo per scendere in spiaggia per risalire poco dopo con le pive nel sacco.
Il giorno successivo decidiamo di fare un’immersione per vedere questo famoso reef. Contattiamo un tipo alle cabanas Don Armando ed andiamo in barca. Ancora una volta non abbiamo fortuna col tempo.
Ci immergiamo e stiamo in acqua per circa trenta minuti. E’ uno spettacolo di coralli e pescioni dai mille colori che quasi ti vengono addosso tranquilli; ad un certo punto vedo anche una piccola aragosta. Ma è tanto piccola che sarebbe un vero peccato tirarla su. E gli squali? Il tipo mi dice che ci sono, ma sono inoffensivi… sarà, ma non mi piacerebbe incontrarli, anche perché per quanto mi riguarda non sono certo un intenditore e quindi l’uno vale l’altro… Quando risalgo in barca e ripartiamo per un altro posto poco più in la, comincio a tremare per il freddo dato che non c’è il sole e dunque sono costretto a rinunciare alla successiva immersione.
Nel pomeriggio ci godiamo la pace del resort leggendo un buon libro e sorseggiando una birra in spiaggia. E’ l’ultimo giorno (il quarto) a Tulum.
Il giorno dopo partiamo in autobus per Cancun dove staremo un giorno. Arriviamo e ci sistemiamo in un hotel della catena Best Western proprio di fronte alla stazione.
Nel pomeriggio usciamo per le strade di questa città che si conferma molto “americana”. Hotels enormi nascondono la vista del mare (come a Playa). Enormi department stores, neon coloratissimi ed abbaglianti… è una vera e propria industria del divertimento. Ceniamo in uno dei mille ristoranti del centro e torniamo in hotel a preparare i bagagli. Sono già passati 13 giorni, volati… Ci rimangono ormai ricordi di San Cristobal, San Juan Chamula, Palenque… Tutto è qui, nella mia testa, ma già comincia a sbiadire… Il giorno dopo voliamo a casa, ma abbiamo un paio di scali; il primo è a Newark. Tra l’arrivo e la coincidenza per Milano ci sono sei ore; che, vogliamo trascorrerle in aeroporto? Nemmeno per sogno. Prendiamo un autobus ed andiamo a Manhattan!!! Passiamo in venti minuti dai 27 gradi di Cancun che ci sentiamo ancora piacevolmente addosso ai –4 di New York, ed è dura anche perché io ho solo un maglioncino leggero ed il giubotto di jeans… La 24°, la 5°, Broadway, Rockefeller Center… non ci posso credere, sto pure visitando Manhattan, anche se in un tour iperconcentrato di quattro ore!!! Mangiamo un hot dog per strada… e facciamo a tempo a vedere anche le twin towers che ora non ci sono più…