Mexico e Guatemala tra Maya e realtà
28 Dicembre 2004 Dopo quasi nove noiosissime ore di volo sul Milano – New York e altre quattro e trenta, dormite quasi per intero, ecco Mexico City! La città si stende sotto di noi con tutta la sua grandezza, un brulicare di luci a tratti ordinate e a tratti disordinate come un enorme tappeto ci attende immobile ma vivo e pulsante.
Il nostro primo impatto con questa città lascia a bocca aperta, e forse ancor di più perché qui inizia il nostro sogno messicano!! Dopo aver ritirato i bagagli e sbrigato le pratiche per l’immigrazione, seguendo il consiglio delle guide, soprattutto se si giunge qui di notte, prendiamo un taxi autorizzato, questo non senza incappare subito nella prima gaffe con il portaborse alcolizzato che ci carica la valigia sull’auto, e che io avevo scambiato per l’autista! Mentre ci dirigiamo verso l’Hotel Metropol, con un misto di gioia e timore nel cuore, i finestrini del taxi ci offrono un primo fugace assaggio della città, che per quanto se ne dica, di notte non ha poi un aria così sporca e caotica come ci si potrebbe aspettare. Dopo una quindicina di minuti arriviamo davanti all’ingresso del Metropol e nell’aria fresca della sera ci infiliamo in hotel per recuperare le forze psico-fisiche perse nel lungo viaggio di trasferimento dall’Italia.
29 Dicembre 2004 Un po’ il fuso orario, un po’ la voglia di scoprire questo nuovo mondo, ma alle sette e trenta del mattino siamo già in piedi e pronti a vivere il nostro primo giorno messicano. L’aria del mattino è ancora parecchio frizzante, prendiamo subito un taxi e ci dirigiamo verso il terminal TAPO, dove prenotiamo 2 posti per Oaxaca sul bus di prima classe delle ore 17.00.
Facciamo una breve colazione a base di caffè nero americano e qualche dolcetto da panetteria, da qui al volo sul metrò che in poche fermate e soprattutto in pochi minuti ci porta al Terminal Norte, arriviamo giusto in tempo per salire su di un bus in partenza per il sito archeologico di Teotihuacan. Solo in seguito scopriremo che tutto questo correre e fare indigestione di luoghi, suoni e colori, sarà la caratteristica principale del nostro viaggio, forse anche per questo le emozioni nel ripensarlo e scriverlo sono quasi più forti che nell’istante stesso in cui sono state vissute. In circa cinquanta minuti ci troviamo davanti all’ingresso di questo magnifico luogo che a lungo abbiamo sognato e immaginato, il sole comincia a fare sul serio e dopo una fugace occhiata al tempio di Quetzalcoatl ci incamminiamo sulla “Calzada de los muertos” che ci porterà ai piedi della piramide del Sole prima e di quella della Luna poi.
Giunti ai piedi della prima alziamo lo sguardo; il colpo d’occhio è impressionante, quest’ opera persa nel tempo che si staglia contro il cielo terso lascia a bocca aperta. Ai suoi piedi venditori di souvenir messicani si mescolano con i turisti e con persone in meditazione, trasportati da questo brulicare di gente iniziamo a salire. Fortunatamente il calore del sole è mitigato dall’aria, che qui a quasi 2500 metri di altitudine è ancora fresca, a dire la verità il fatto di essere in quota si fa sentire e il nostro respiro si fa sempre più affannoso a mano a mano che saliamo i gradini. La salita è talmente colma di persone che sembra di vedere un unico grande serpente colorato fatto di donne, uomini, bambini, e che pulsa da terra fino alla vetta. Dopo qualche sosta per ammirare il paesaggio e per riprendere fiato arriviamo finalmente in vetta, ci sediamo per riposare e per meditare sulla grandezza di questa opera, sugli eventi accaduti in un lontano passato e che ormai solo le pietre di questi monumenti con il loro eterno silenzio possono raccontarci stimolando la nostra immaginazione e rendendo tangibile la sensazione di essere solo un granello di sabbia nella infinita linea del tempo e della storia! La discesa risulta molto più rapida della salita e non sembra eccessivamente pericolosa così in pochi minuti siamo pronti per riprendere il cammino sulla Calzada e dirigerci verso la piramide della Luna. Il cammino è pieno di venditori ambulanti e scopriamo ben preso che se non vengono evitati subito, con cortesia ma anche fermezza, è poi molto difficile scrollarseli di dosso! I prezzi di partenza sono sull’ordine dei 300-350 Pesos per le cose più semplici, anche se poi scendono in fretta quando vedono che non mostriamo molto interesse per la loro merce. Arrivati ai piedi del monumento iniziamo subito la salita, a differenza dell’altra è più breve ma molto più ripida. La vista dalla vetta è veramente spettacolare, essendo posizionati perpendicolarmente alla Calzada da qui la si può ammirare in tutta la sua lunghezza.
Ancora non mi sembra vero di poter ammirare tutto questo e di poterlo toccare con mano; cerco di viaggiare a ritroso con la mente, immaginare cosa potesse rappresentare questo luogo e cosa potesse accadere in queste terre quando le civiltà precolombiane ne erano padrone, ma mi risulta molto difficile. Forse la mente dell’uomo moderno è troppo chiusa per capire fino in fondo la sacralità e la grandezza di questi grandi luoghi del passato.
Ci portiamo verso l’uscita nella zona della “Puerta 2”,con una piccola pausa per acquistare un souvenir. Sulla strada principale di fronte a questa uscita si trovano alcuni comedores, dopo una breve consultazione ci lasciamo convincere da quello che sembra più pulito…Dico sembra perché in realtà non so quanto la scelta sia stata azzeccata! Ci sediamo al tavolo del “5 Estrellas”, nome che evoca tutt’altro servizio, studiamo con cura il menù per il nostro primo pranzo messicano e decidiamo per 2 Enchilladas de pollo, una verde e una roja. Il primo impatto con il cibo messicano è di quelli che mettono i brividi, queste specie di tortillas arrotolate sono quanto di più piccante abbia mai sentito in vita mia e affermare che la panna acida che vi hanno scrupolosamente spalmato sopra è disgustosa, credetemi, è quasi un complimento! Dopo l’esperienza d’urto del pranzo prendiamo il primo bus per Messico Central, in circa un’ora siamo di nuovo al Terminal Norte, prendiamo il metrò direzione Hotel per recuperare i nostri zaini e solamente qui ci rendiamo conto del grave errore commesso, l’uscita che noi ritenevamo vicina all’hotel in realtà si rivela a quasi venti minuti fatti di corsa per le strade di Città del Messico, che nel frattempo si è trasformata in una città caotica e piena di vita, odori, suoni e colori di ogni tipo che ci avvolgono in questa nostra corsa contro il tempo. Passiamo anche davanti ai Mariachi di Plaza Garibaldi che sembrano appena usciti dal cast di un film, ma è solo una fugace immagine rapita con la coda dell’occhio che rimane nella nostra mente. Nel frattempo riusciamo ad arrivare al Metropol e mentre Linda corre dentro a prendere i bagagli io tento invano di fermare un taxi, ma più che altro rischio un paio di volte di farmi investire!! Così demoralizzati ma speranzosi ci facciamo chiamare un radio taxi alla reception del hotel; il tempo stringe sempre di più e il taxi dopo soli cinquecento metri si imbottiglia nel traffico! Ormai mancano meno di venticinque minuti alla partenza del nostro bus, arriviamo al Terminal TAPO alle 17.05 e mentre Linda paga il taxi, io mi lancio in una folle corsa verso la zona delle partenze attraversando il sottopasso con il cuore in gola. Corsa vana, visto che arrivato al check-in l’addetto mi dà la terribile notizia che comunque mi aspettavo: “l’autobus es fuito”. Anche se generalmente puntuali credo che da qui alla fine del viaggio avremmo potuto arrivare con 5 minuti di ritardo ad ogni bus senza tuttavia perderne alcuno! Incassato lo shock ci dirigiamo allo sportello dove troviamo posto sul bus delle 22.00, scopriamo anche che, acquistando il biglietto entro un ora, abbiamo diritto ad uno sconto del 50%, almeno non dobbiamo pagare un’altra volta per intero! Dopo quasi 5.00 ore di attesa finalmente partiamo, vista la stanchezza non tardo a cadere in un sonno che verrà però disturbato parecchie volte dalle buche e dai dossi presi dall’autobus.
30 Dicembre 2004 Arrivare a Oaxaca alle 4.00 del mattino del 30 dicembre e cercare un hotel libero è un po’ come farlo in una qualsiasi località di mare italiana a ferragosto, cioè un impresa quasi impossibile! Dopo aver tentato in una quindicina di luoghi troviamo posto in una piccola posada, di cui tra l’altro non sapremo mai il nome. Arrivati alla nostra camera lo spettacolo è quasi raccapricciante ma a quest’ora del mattino non abbiamo scelta, così dopo esserci isolati tramite una coperta, che ho preventivamente portato da casa, ci gettiamo sul letto esausti e vestiti in attesa del mattino. Purtroppo dopo pochi minuti il freddo ci attanaglia e ci tiene compagnia fino alle 7.30 circa quando decidiamo di mettere fine all’incubo. Ci dirigiamo così verso i bagni per lavarci, ma come ogni film dell’orrore, immancabile, appare il gran finale sotto le sembianze di un raccapricciante angolo doccia! Desistiamo all’idea senza troppi rimpianti e ripieghiamo con una rinfrescata al lavandino dove, a causa del fatto che facciamo uso di sapone, ci sentiamo osservati con insistenza e curiosità! Ripresi i bagagli ci incamminiamo verso il centro e fermato il primo taxi, memori dell’errore fatto il giorno prima, andiamo a lasciare i bagagli al terminal, anche se Oaxaca, non è certo Mexico City e avendo avuto un hotel decente non sarebbe stato certo un problema recuperare i bagagli prima di ripartire. Ritornati in centro ci fermiamo al Caffè Alex per la colazione che si rivelerà ottima e a buon mercato in un ambiente ospitale, colorato e dai forti tratti coloniali.
Fatto il pieno di energie ci dirigiamo in Calle Mina dove presso l’hotel “Riviera dell’Angel” si può prendere il bus per il sito archeologico di Monte Alban. In circa 20 minuti arriviamo al sito che si trova su di un altura dalla quale si possono dominare le valli sottostanti. Oltre alla posizione il sito stesso è di notevole bellezza, anche se è strutturato più come città e di conseguenza molto meno mistico di Teotihuacan. Facciamo una visita scrupolosa anche se purtroppo in molti edifici non è permesso salire, la mattinata scorre via velocemente e alle 12.30 ripartiamo in direzione Oaxaca.
Al nostro arrivo ci dirigiamo subito verso lo Zòcalo, che in Messico è il nome di ogni piazza principale e facciamo una sosta al ristorante Primavera, che si trova sotto i freschi portici, per il nostro secondo pranzo messicano, Linda decide per uova saltate al prosciutto, mentre io mi lancio nell’assaggio delle uova rancheros, cioè con tortillas e uno strano sugo verde. Per secondo ci dividiamo una bistecca con salsa di fagioli e udite udite panna!? Dopo aver ammutolito i brontolii dello stomaco ci mettiamo in cerca di un combi, o qualcosa del genere, che ci porti a vedere “El Tule”, un albero situato in un paese poco distante e che si dice abbia più di 2000 anni. Purtroppo a parte un viaggio organizzato, caro, e che prosegue per il sito archeologico di Mitla non troviamo nulla, decidiamo così di andare all’esplorazione del mercato coperto. In questo mercato le merci esposte sono le più disparate e non è raro vedere carne appesa o polli morti gettati sul bancone con tutti i relativi odori! Inoltre i banchi sono così vicini che è addirittura difficoltoso passarvi in mezzo; facciamo un giro completo, ma veloce, ed è impossibile non notare come i messicani non abbiano assolutamente orari per mangiare, mangiano a tutte le ore, cose strane e dall’aspetto per niente rassicurante. Usciamo da questo tuffo nella cultura indio con un amaca matrimoniale in puro cotone e molte offerte per assaggiare le Chapulinas, letteralmente e praticamente cavallette fritte, rifiutate gentilmente e senza rammarico.
A questo punto è d’obbligo un’oretta di relax all’interno di un internet caffè, dal quale mandiamo notizie a casa e ci informiamo sulle ultime news dal mondo. Rientrati da questo tuffo nella lontana Italia ritorniamo allo Zòcalo dove, seduti su di una panchina, ci sediamo ad ammirare tutta la vita che si sprigiona intorno a noi. Per le strade piene di gente, con intere famiglie, musicisti, venditori, gente che chiacchiera ,ride o più semplicemente passeggia; immagini insolite per le nostre grigie città dove ognuno sembra non avere e non pensare altro che a sé stesso senza spesso accorgersi di chi o cosa ci sta passando accanto.
Alle 19.30 entriamo in un bar per uno spuntino, la fame non è molta ma attendendoci una lunga notte in bus è meglio mettere qualcosa sotto i denti così optiamo per il classico panino. Verso le 20.15 prendiamo un taxi per il terminal dove, ritirati i bagagli (scopriremo in seguito che questo è in assoluto il deposito più caro di tutto il Messico), ci mettiamo in attesa del nostro autobus in quello che sembra un ritrovo di sfollati. La gente è talmente numerosa che aspetta fuori per la strada e quando viene chiamato il proprio bus si fa strada a fatica tra la folla! Inutile dire che l’attesa sarà lunga e snervante.
31 Dicembre 2004 Il viaggio come al solito è massacrante a causa delle numerose buche e curve, ma anche questa volta la stanchezza la fà da padrona e le 8.00 ore a bordo del bus volano via lasciando solo un lieve dolore al collo. Alle 7.00 del mattino siamo a Pochutla, dove prima di lasciare la piccola stazione dei bus, acquistiamo i biglietti che il 2 gennaio ci porteranno a Tuxtla Gutierrez. Attendiamo circa 15-20 minuti che passi un collettivo per Mazunte e dopo essere saliti sul cassone di un vecchio furgone pick-up ci lanciamo in una folle corsa giù per la montagna, interrotta di frequente dalle soste per caricare altri passeggeri; tanto che dopo pochi km sono quasi più le persone appese fuori che quelle all’interno! Il nostro primo incontro con Mazunte non è dei migliori, non conoscendo il posto ed essendo stipati nel combi non ci rendiamo conto di essere arrivati così dopo qualche minuto ci ritroviamo a Zipolite. Fortunatamente riusciamo a trovare un altro combi che fa il tragitto inverso e ritorniamo a Mazunte, purtroppo anche il nostro secondo incontro non è dei migliori, di cabanas libere nemmeno a parlarne, stanze con bagno neppure, inoltre il sole qui sul Pacifico comincia a scaldare sul serio e la tensione dopo una notte insonne a Oaxaca e l’altra in autobus sale un po’. Liberatomi dei bagagli mi avventuro da solo alla ricerca di una sistemazione, trovo una specie di cabanas in pietra all’interno di un campeggio, che inizialmente sembra abitabile ma ad un’attenta analisi si rivelerà poi una pessima scelta. Ne approfittiamo comunque per una doccia veloce e per cambiarci prima di rimetterci in cerca di una sistemazione decorosa.
Quando le speranze sembrano ormai perse troviamo una stanza con bagno, che ha l’unico difetto di non avere acqua calda, ma qui sembra che, vista la temperatura, sia un problema facilmente superabile.
Prima di recuperare i bagagli facciamo una prima visita alla spiaggia e di conseguenza anche il nostro primo incontro con l’Oceano Pacifico. Visto l’orario ci concediamo uno spuntino sul mare e per l’occasione ci lasciamo attrarre dal ristorante Ziga, il quale ha una terrazza con splendida vista sull’oceano, dove l’intenso blu del mare contrasta con le rocce e con la spiaggia. L’aria caldissima riscaldata dal sole di mezzogiorno ci accarezza, mentre nell’attesa ammiriamo questo clima di pace e serenità surreale. Purtroppo non possiamo dire altrettanto del pranzo visto che il mio cocktail di gamberi è per la maggior parte formato da uno strano brodo acquoso aromatizzato alle erbe, mentre la zuppa di gamberi della Linda si rivela essere un insalatiera enorme piena di caldo brodo rossastro con qualche verdura e una decina di gamberi in tutto! Torniamo così a recuperare le nostre cose e a saldare il conto con il proprietario dell’altra abitazione, il quale sembra un po’ scocciato dal fatto che la nostra permanenza sia stata di così breve durata, ma non indaga troppo quando vede che lasciamo una cospicua mancia per il disturbo, in fondo lui era stato molto gentile con noi.
Sistemati nella nuova abitazione ci rendiamo conto di avere un altro grosso problema che grava su di noi, infatti dopo la scoperta di questo piccolo angolo di mondo quasi selvaggio, ci rendiamo anche conto che qui non esistono né banche né tanto meno bancomat e che i nostri contanti sono agli sgoccioli.
Così siamo obbligati a tornare con un taxi a Pochutla, la corsa andata e ritorno ci costa 5-6 volte il collettivo e dopo aver fatto il pieno di Pesos ripartiamo alla volta di Mazunte. Il nostro autista, che tra l’altro non dimostra più di 18 anni, ci chiede se può fermarsi un attimo per fare un acquisto e noi non vedendoci niente di male acconsentiamo; ci rendiamo però conto a metà del tragitto, quando facciamo una breve sosta presso due loschi figuri che ci attendono ad un chiosco, che la scusa dell’acquisto è servita in realtà per fare il corriere di alcune dosi di droga, ci siamo così trovati tutto d’un tratto a fare i narcotrafficanti e con il terribile presentimento di poter essere rapinati dei soldi appena prelevati!! Fortunatamente dopo questo brivido lungo la schiena siamo rientrati a Mazunte sani e salvi; sistemate le nostre cose, ed i soldi in un luogo sicuro, finalmente ci attende un ora sulla spiaggia ed il primo tuffo nell’Oceano Pacifico. L’acqua che ad un primo impatto sembra fredda in realtà non lo è per niente e la sensazione di questo tramonto, che in realtà è anche il tramonto del anno in corso visto che oggi è il 31 dicembre, è molto particolare; il caldo, la spiaggia, il mare e tutti questi colori sono elementi che l’abitudine non collega certo ad una fine dell’anno e forse anche per questo le sensazioni sono tutte molto uniche e forti.
Nel ritornare notiamo che nella pizzeria “La Termita”, stanno saltando chili di mezze penne al pomodoro, anche se quando siamo all’estero ci piace immergerci nella cucina locale e stentiamo a capire chi si ostina a mangiare italiano, devo dire che l’acquolina in bocca ci viene comunque! Presi dalle penne, che ci girano in testa, tentiamo di andare a cena al ristorante pizzeria la dolce vita, di chiara matrice italiana, ma purtroppo giunti sul posto ci rendiamo conto che la fila è proibitiva, così abbandoniamo l’idea e la nostalgia, ci dirigiamo verso la spiaggia dove il colpo d’occhio è unico e stupendo, i tanti tavolini sulla sabbia, illuminati dalle candele sono un immagine forte che si imprime nella mente e ancora di più la musica delle onde, che con il loro flusso e riflusso ci cullano in lontananza. Mangiamo gamberetti fritti e pesce al cartoccio il tutto innaffiato da un litro di birra, visto che qui il vino è caro e di scarsa qualità. Probabilmente è il miglior cibo messicano che abbiamo mangiato fino ad ora, quello che ancora non sappiamo è che lo sarà anche per il resto del viaggio! Sono ormai le 23 e l’aria, soprattutto sulla spiaggia, è fresca. Torniamo verso casa per prendere le giacche e qualcosa su cui sederci; al nostro ritorno prendiamo un Cuba Libre e una Pinacolada con i quali faremo il nostro brindisi di fine anno. Non sarà come con lo champagne ma in compenso il cielo da qui sembra veramente vicino e disegnato da qualche grande artista senza tempo. Rimaniamo così ad ammirare questa splendida cornice che ci porta nel nuovo anno, senza i fasti e gli eccessi di qualche festa ma con qualcosa in più, che ci riempie il cuore e che conserveremo per la vita.
1 Gennaio 2005 Qui la mattina il risveglio è musicale, infatti assieme ai galli cantano ogni sorta di uccelli; inoltre dal nostro arrivo dopo aver visto un iguana di notevoli dimensioni è anche venuto a trovarci un Geco, molto carino e discreto, direttamente in camera. Dopo aver mandato notizie a casa tramite e-mail facciamo colazione, e devo dire che, se non fosse per le mosce che mi vengono a morire nel piatto, la mia crepes frutta e miele sarebbe veramente da antologia.
Dopo colazione ci dirigiamo verso la spiaggia ma il caldo del mezzogiorno è terribile e Linda per poco quasi non sviene; ci rifugiamo così in camera in attesa che il sole scenda un po’ sull’orizzonte e verso le 16 torniamo in spiaggia. Ora il sole è più clemente anche se il tramonto arriva presto e la nostra giornata di mare finisce subito. Dopo una doccia e un riposino usciamo per la cena e avendo ancora in mente quelle famose mezze penne ci dirigiamo verso le pizzerie. Trovandole però tutte e due chiuse ripieghiamo ancora sulla spiaggia e ci dirigiamo al famoso ristorante “El Pescador”. Purtroppo per noi di famoso resterà soltanto il servizio; un’ora per avere due piatti di spaghetti che tra l’altro sono arrivati diversi da come li avevo ordinati! Decisamente meglio il ristorante Palapa El Mazunte di ieri sera, anche se la cornice è sempre da favola visto che si trovano uno a fianco dell’altro. Questa sera dopo 5 giorni di Messico abbiamo anche fatto il nostro primo incontro con una cucaracha, non so come si comporterebbe il vostro gatto, ma sono certo che il mio davanti ad una cosa del genere se la darebbe a gambe levate!! Probabilmente il fuso orario si fa ancora sentire visto che siamo appena a mezzanotte e già gli occhi non ne vogliono sapere di restare aperti.
2 Gennaio 2005 Anche questa mattina il risveglio è accompagnato dal canto dei più svariati uccelli e dal rumore del mare, che visto il silenzio giunge fino alla nostra camera. La colazione di oggi si può definire spettacolare, frutta fresca con miele e pane con burro e marmellata. Lascio i miei jeans, per il lavaggio, in mano ad una signora che in Italia potremmo definire anziana, ma che probabilmente non avrà nemmeno 50 anni; e ci dirigiamo a Playa Rinconcito dove passiamo la mattinata prendendo il sole tra un tuffo e l’altro, mentre sulla nostra testa volteggiano uccelli di ogni tipo, avvoltoi compresi! Compriamo anche un sacchetto di caffè della comunità di Pochutla, da un venditore ambulante, e dall’odore sembra veramente ottimo.
Verso le 12.30 ci mettiamo alla ricerca di un ristorante ma purtroppo quelli in cui avevamo deciso di andare si rivelano tutti chiusi, così ad occhi altrettanto chiusi ci sediamo nel primo che capita. Per andare sul sicuro io prendo un uovo strapazzato e Linda spaghetti ai gamberi. Dopo una breve sosta in camera e dopo aver sistemato i bagagli verso le 15 usciamo di nuovo e ci incamminiamo verso playa Ventanilla, contrattiamo con un taxi che per pochi pesos ci porta all’incrocio e colmiamo i restanti 700 metri a piedi. Appena arrivati veniamo colpiti dalla forza delle onde e ci rendiamo conto che il cartello di pericolo, con su scritto mare aperto, incontrato una cinquantina di metri prima non è affatto lì solo per scolorirsi al sole! La forza che le onde, di un mare che sembra apparentemente calmo, mettono nell’infrangersi sull’bagnasciuga è impressionante e ci guardiamo bene dall’immergerci più del ginocchio. La spiaggia verso sud termina in una costa rocciosa che è appunto detta Ventanilla, tradotto significa letteralmente finestrino o finestrella, mentre verso nord lo sguardo si perde in un orizzonte di mare e sabbia che sembra non avere fine.
Nella nostra breve sosta un piccolissimo paguro ci passa accanto e lentamente si allontana; penso che sarebbe stupendo stare qui ad attendere il tramonto ma questa sera ci attende il pullman per Tuxtla Gutierrez. Alle 5 ci incamminiamo verso la strada dove un collettivo ci riporta in paese; anche se mi devo fare i 3 km di strada appeso fuori come un vero messicano o come uno straccetto se preferite.
Recupero i miei jeans, e dopo una bella doccia gelata, tanto quella calda non c’è, ci dirigiamo verso la pizzeria “La Dolce Vita” dove finalmente riusciamo a trovare posto e mangiare una pizza, che probabilmente è più buona di quella che potreste mangiare in parecchie pizzerie del Bel-paese; a dire il vero, anche se contro i miei principi di viaggiatore, dopo 6 giorni di cibo relativamente pessimo ci voleva proprio! Purtroppo non possiamo gustarci l’atmosfera più di tanto visto che alle 20.30 il taxi per Pochutla passa a prenderci; dopo circa un’ora di attesa ci attendono le 10 ore di viaggio che ci separano da Tuxtla e dall’inizio del nostro viaggio in Chiapas all’interno di quella realtà indios che è forse la più suggestiva ed affascinante di tutto il Messico.
3 Gennaio 2005 Il Viaggio in autobus è terribile, l’aria condizionata sparata a tutta è qualcosa di terrificante, soprattutto per me che mi sono beccato un bel raffreddore facendo su e giù per questi frigoriferi travestiti da bus!! Dopo 3-4 ore di viaggio l’autista finalmente decide di spegnere il condizionatore e così con indosso maglietta, maglione, giacca di jeans e piumino smanicato, riesco finalmente a prendere sonno!! La mattina il risveglio è salutato da una tosse che potrei definire senza esagerazione da bronchite, ma visto che l’avventura Messicana non può attendere e come si dice “The Show Must Go On” lasciamo le valige alla stazione dei bus e ci dirgiamo verso Chapa de Corzo, dove ci imbarcheremo su di una lancha alla scoperta del Canyon del Sumidero, che è anche il vero motivo della nostra sosta a Tuxtla.
Il tragitto su di un vecchio autobus scassato ci offre uno scorcio della città che ci appare molto più evoluta di Oaxaca e ad un primo impatto sembra anche ordinata e pulita. Appena arrivati a destinazione ci dirigiamo subito all’imbarcadero e dopo una breve attesa, per raggiungere il numero adeguato di persone, verso le 9.40 partiamo. L’imbarcazione si lancia sul fiume a tutta velocità e in poco tempo ci lasciamo alle spalle la civiltà per infilarci nella bocca del Canyon; non senza prima ammirare gli avvoltoi che si asciugano al sole, una scimmia ragno che su di un ramo lontano si dondola fuggendo poi via velocemente, e persino un’enorme iguana che prende il sole su di un folto cespuglio. Inutile dire che le fotografie si sprecano, da segnalare anche che l’immagine dell’ingresso nel Canyon è raffigurata sullo stemma del Chiapas come emblema e orgoglio della nazione e dal vivo è veramente da togliere il fiato! La guida ci dà scrupolosi dettagli di tutto quello che ci circonda; veniamo così a conoscenza del fatto che la profondità delle acque varia dai 60 metri iniziali ai 240 metri che troviamo in fondo al Canyon, quando, arrivati alla diga per la produzione di energia elettrica, il canyon con una cascata, che con i suoi 265 metri è la più alta di tutto il continente Centro-Nord americano, si tuffa nel vuoto. L’altezza delle pareti di roccia che ci circondano invece arriva nei punti più alti intorno ai 960 metri.
Durante il ritorno abbiamo la fortuna di vedere un paio di coccodrilli, dalle dimensioni inquietanti, che si crogiolano al sole e anche un paio talmente piccoli da infondere tenerezza. Arrivati all’imbarcadero si è fatto molto caldo e sono trascorse ben 2 ore e 25; nel frattempo la città e le bancarelle si sono animate e io mi lascio convincere nell’acquistare un ciondolo di Ambra. In Chiapas e da queste parti in particolare si trovano giacimenti di questo fossile tra i più antichi e grandi del mondo. Non essendo un esperto ne cerco una con qualche minuscolo insetto all’interno che dovrebbe aumentare il valore e darne prova di autenticità, comunque il prezzo è talmente basso che anche se non fosse autentica non dovrò certo strapparmi le unghie dalla disperazione. Inoltre il venditore in extremis tenta di cambiarla allo stesso prezzo con una di dimensioni più grosse ma al cui interno è presente di tutto fuorché insetti! Facciamo un breve giro per i portici del paese e riprendiamo il bus per Tuxtla, arrivati ci accorgiamo che la città, lasciata di primo mattino con un aria così tranquilla, si è trasformata in un caotico aglomerato di gente e confusione. Mentre a piedi tentiamo di raggiungere il terminal OCC, ne vediamo di tutti i colori: si vende qualunque cosa e dai negozi esce musica a volume indicibile, si possono vedere interi polli in vendita appoggiati lì al sole senza le più elementari norme igieniche e magari a fianco di qualcuno che vende le più disparate cianfrusaglie! Arrivati al terminal riusciamo ad anticipare di 45 minuti la partenza per San Cristobal. Impieghiamo circa 30 min ad uscire dal traffico di Tuxtla poi l’autobus inizia ad inerpicarsi sulle montagne e curva dopo curva saliamo vertiginosamente. La vegetazione si fa sempre più lussureggiante e si alterna con coltivazioni di mais, il paesaggio intorno a noi è totalmente diverso da quello visto fino ad ora; montagne dai dolci pendii si estendono fino a perdita d’occhio ricoperte di verdi boschi, le case dai tetti leggermente spioventi e dalle fumarole dei camini accesi sono un colpo d’occhio tutto da gustare per chi arriva dall’arido e caldo altopiano. A guardare tutto questo e la popolazione prevalentemente indios, dagli abiti di mille colori, sembra quasi di essere tornati indietro nel tempo.
Dopo un paio d’ore che mettono lo stomaco a dura prova, vi consiglio inoltre di andare in bagno prima perché sul bus in questo tratto di strada può risultare parecchio difficoltoso, arriviamo finalmente a San Cristobal. Appena usciti dal terminal veniamo assaliti da quelli che potremo definire i PR degli hotel. Ci lasciamo convincere da una donna che ci mostra le foto della posada per la quale lavora, e dalle quali sembra molto carina; inoltre è compreso nel prezzo anche il taxi che ci porterà sul luogo. Arrivati alla “Posada Media Luna”, e visionate le camere, non ci pentiamo affatto della nostra scelta.
Dopo esserci sistemati velocemente, usciamo subito per fare bancomat e cercare un po’di miele nella speranza che allevi la mia tosse e il mio raffreddore. Qui il cielo è grigio e la temperatura seppur piacevole è tutt’altro che estiva, e dopo aver comprato il miele e qualche dolcetto, riusciamo ad uscire dal mercato coperto dell’artigianato quasi per miracolo senza spendere tutti i soldi vista la bellezza e la varietà degli articoli esposti. Ci dirigiamo quindi verso lo Zòcalo in cerca di bancomat, e solo ora ci rendiamo veramente conto che San Cristobal non ha niente a che vedere con il Messico visto fino ad ora: San Critobal è bella, ordinata, pulita, al posto delle palme ci sono pini e paradossalmente questa comunità di indios emarginata dalla società messicana sembra molto più avanzata e serena di tutto il resto del paese. Per la prima volta dopo 7 giorni di viaggio le mie aspettative non vengono deluse, ma sono anzi superate e sento che qualcosa ha veramente arricchito la mia anima.
Dopo una bella doccia calda usciamo per la cena, l’aria della sera è frizzante e un po’ fastidiosa, così ci infiliamo dentro il ristorante Capri sull’avenida Insurgentes per una bella grigliata Messicana. Dopo cena non abbiamo che le forze per andare a letto e ricaricare le batterie per la giornata di domani, gustando ancora una volta con il pensiero la valanga di emozioni che anche oggi ci è piovuta addosso! 04 Gennaio 2005 La mattina, per colazione, decidiamo di entrare in una panetteria, “La Hojaldra”, che espone ogni tipo di delizia, e andiamo a gustarci un paio di paste seduti su di una panchina nello Zòcalo, mentre, dall’altra parte della strada, i militari scrutano una lunga fila di persone in fila davanti alla banca. Finito lo spuntino ci immergiamo subito nel grande mercato che si trova dall’altra parta della città, qui facciamo un indigestione di profumi e colori, questo è infatti il mercato dove gli indios vendono frutta, verdura, e ogni altro tipo di cosa possa servire alla vita di tutti i giorni. Faccio qualche foto con la fotocamera digitale senza dare troppo nell’occhio, visto che come molte popolazioni indios anche questa non ama molto farsi fotografare, Acquistiamo semi di peperone da piantare questa primavera a casa, così da poter gustare ancora una volta il sapore del Messico, quando la nostalgia sarà così forte da far venire gli occhi lucidi, qualche bananita e qualche mandarino per la merenda del pomeriggio; poi ci dirigiamo verso la vera grande attrazione turistica di San Cristobal, il mercato dell’artigianato all’aperto,che si trova vicino alla chiesa di Santo Domingo. Inutile dire che la giornata, a parte una breve pausa pranzo, trascorre tra un acquisto e l’altro, tra i mille bellissimi colori che compongono i loro tessuti e le loro lavorazioni in pelle, tra gli sguardi e i visi di chi vive, grazie al lavoro delle proprie mani, in questo angolo di mondo, orgoglio del popolo indios. Durante il tragitto di ritorno verso la posada trovo anche il tempo per fermarmi in un negozio e comprare un paio di stivali da gringo, made in Mexico e che in Italia sarebbero costato 5-6 volte di più! Facciamo scorta di dolcetti per la colazione di domani mattina, visto che il nostro bus per la frontiera Guatemalteca parte alle 6.45, e infine l’ultimo giretto per il mercato coperto prima di andare in camera a tentare di infilare tutti gli acquisti nelle valigie! La sera, dopo una cena veloce a base di pizza, andiamo alla scoperta delle vie del centro che, a causa del poco tempo e della nostra attrazione fatale per il mercato non abbiamo avuto il tempo di vedere. Purtroppo l’aria della sera fredda e fastidiosa ci costringe a ritornare velocemente in camera.
San Cristobal è uno di quei posti che ti arricchiscono l’anima e ti infondono calore al primo incontro, uno di quei posti di cui senti la mancanza ancor prima di essertene andato, qui si respira ancora l’aria di una storia viva, e la si può leggere senza fatica negli occhi di una popolazione indios, che non ha nessuna voglia di lasciare le proprie tradizioni e la propria cultura in balia del progresso e dal capitalismo.
5 Gennaio 2005 Sveglia all’alba e di corsa al terminal dove, nell’attesa, scambiamo 4 chiacchiere con un italiano che è in giro da un paio di mesi per il Sud America; dopo essere stato in Venezuela e Perù ora sta concludendo il suo viaggio in Messico. Il bus è puntuale e, anche se dicono che questa tratta sia molto richiesta, a bordo siamo solo 4 persone. Appena usciti dal centro abitato lo spettacolo è meraviglioso, un sottile strato di brina ricopre tutto in modo talmente uniforme che sembra sia nevicato! Lentamente ci lasciamo alle spalle le foreste e i dolci pendii di San Cristobal, in circa 3 ore siamo alla frontiera dove, per pochi pesos, saliamo su di un taxi che ci traghetta qualche curva più in là, alla frontiera con il Guatemala. Da segnalare che sul taxi eravamo in 6! La Mesilla, il nostro punto d’ingresso in Guatemala con destinazione Lago Atitlan, è un gran casino di gente e di sporcizia. Riusciamo confusamente a capire dove si fa il visto, e contrariamente a quello che dicono le guide, in poco tempo sbrighiamo la pratica. Forse non è la migliore idea che mi sia venuta in questo viaggio ma, visto che abbiamo bisogno di denaro, scambio un centinaio di dollari da un losco cambiavalute in nero, e che in cambio ci dà 700 quetzales, dopodiché, come in un turbine di eventi, veniamo adescati dal conducente di un chickenbus che sembra abbia molta fretta di partire, ma sembra solo, infatti impieghiamo ancora più di mezz’ora prima di partire, durante la quale carichiamo di tutto e di più! Finalmente partiamo, e riprendiamo la nostra corsa sulla Carrettera Panamericana, la strada che taglia in due le americhe da nord a sud. I dolci pendii messicani lasciano il posto alle più irte montagne Guatemalteche; il paesaggio è piacevole, ma ben presto il viaggio si trasforma in un calvario, infatti sul bus, che effettua continue fermate, continuano a salire persone e non c’è più posto nè seduti nè in piedi. Impieghiamo circa un paio d’ore per arrivare a “Huehueatenango”, dove ci fanno scendere e salire al volo su di un altro bus; questa volta però come ultimi arrivati tocca a noi stare in piedi, o almeno a me, trascorro le 2 ore e 30 peggiori della mia vita, tra gente stipata come bestiame, curve a gomito e aria sempre più gelida a mano a mano che l’altitudine aumenta. Ovviamente non avendo controllo sui finestrini mi si è brinata la testa, per la gran felicità del mio raffreddore che mi perseguita ormai da 4-5 giorni! Arrivati a “Los Encuentros” scendiamo di nuovo, questa volta con piacere, e di nuovo saliamo al volo sul bus per “Panajachel” che ora dista solo 14 km. Sempre stipati come bestiame ci infiliamo sulla strada per Pana; iniziamo subito a scendere rapidissimi e lo spettacolo è sempre più meraviglioso. La luce del sole, che sta cominciando a tramontare, dà un atmosfera particolare alle acque del lago e ai vulcani che, semi nascosti dalla foschia, scendono a picco sul lago con le sue sfumature che vanno dall’ azzurro al blu intenso.
In circa 30-40 minuti siamo a destinazione e ci dirigiamo subito verso la “Posada Monte Rosa”. Le camere sono spaziose e pulite, anche se non sono certo all’altezza di quella dove abbiamo soggiornato a San Cristobal. Appena sistemati facciamo un giro per il paese dove, dopo aver contrattato con varie agenzie, prenotiamo la navetta che domani mattina ci passerà a prendere in hotel e ci porterà a “Chichicastenago”, dove visiteremo il famosissimo mercato che si svolge il giovedì e la domenica.
La sera a Panajachel fa un freddo cane, dopo un pizza, che possiamo definire buona, non possiamo fare altro che andare a letto per smaltire la stanchezza del lungo viaggio che ci ha portato in questo angolo di mondo, e a fissare nella memoria tutte le emozioni che anche oggi ci hanno travolto come un fiume in piena.
6 Gennaio 2005 Finalmente il giorno del mercato indio di Chichi è arrivato; alle 8.00 in punto siamo già in strada ad attendere il minibus, che ovviamente si presenta alle 8.25, quando ormai avevamo perso la speranza e credevamo di essere stati truffati. Mentre risaliamo la montagna verso “Solola” lo spettacolo è notevole, l’aria pulita e frizzante del mattino ha spazzato la foschia, i vulcani ora appaiono veramente molto vicini. La strada dopo il bivio di Los Encuentros scende in picchiata per poi risalire vertiginosamente tra i boschi, peccato per i fumi neri di scarico dei numerosi mezzi che arrancano su queste salite, infatti rovinano un po’ l’ immagine di purezza che infonde il paesaggio tutt’intorno.
In circa 45 minuti arriviamo a Chichi e ci lanciamo nel mercato. Il primo approccio è decisamente caotico, passiamo davanti alla famosa chiesa di S.Tomas, dove l’odore di incenso è forte e punge nelle narici e le scalinate sono gremite di indios e di turisti. Già da un primo approccio notiamo subito che, a parte le gonnelline a righe made in Guatemala, borsette, portafogli e sciarpine sottili, l’artigianato Guatemalteco è profondamente diverso da quello messicano, soprattutto nei colori, che qui appaiono più scuri e meno luminosi. Nonostante tutto riusciamo ad acquistare un sacco di roba, ma sacco nel vero senso letterale del termine!! In realtà quello che riempie il sacco sono due copriletto matrimoniali dai mille colori. In un primo momento non ci sembra vero ma, tra le bancarelle intento negli acquisti, intravediamo anche Claudio Bisio, il famoso presentatore di Zelig, con moglie e figli!! Sinceramente, dopo aver visto l’artigianato del Chiapas, rimaniamo un po’ delusi dal mercato di Chichi, probabilmente questo mercato negli anni ha perso un po’ della sua funzione di scambio tra indios, adattandosi ai numerosi turisti che lo popolano in ogni periodo dell’anno. Comunque, per chi ha buon naso e stomaco, superando la cintura esterna di bancarelle e infilandosi all’interno, si può ancora vedere l’anima indios del mercato che commercia e cucina a tutte le ore.
Il colpo d’occhio sulla scalinata d’ingresso e sulla chiesa che, visto il suo colore bianco staglia contro il cielo azzurro, sono veramente pittoreschi e da non perdere, riti tra il sacro e il profano si svolgono sulla scalinata, dove si trovano anche numerose donne e bambini che chiedono l’elemosina, purtroppo a volte con troppa e fastidiosa insistenza.
Verso le 14.00 ripartiamo alla volta di Pana. All’arrivo facciamo una passeggiata sul lungolago, molto bello e dell’atmosfera affascinante anche se in questo periodo dell’anno il vento, che al pomeriggio è sempre presente, è un po’ troppo fastidioso. Arrivati all’imbarcadero ci informiamo sul tour del lago che abbiamo intenzione di fare l’indomani; le partenze sono alle 8.30 e alle 9.30 con ritorno, in tutti e due i casi, verso le 15.30, l’unica differenza è che partendo alle 8.30 si sosta un ora in più nel villaggio di San Pedro.
Ritornati verso l’interno del paese, quindi al riparo dal vento, la temperatura è ancora piacevole anche in maniche corte. C’è da dire che Panajachel è un paese atipico, forse perchè negli anni ‘70 è stato un importante villaggio Hippy e ora il contrasto tra la cultura indios e alberghi di lusso, con tanto di piscina, salta subito all’occhio. Qui a differenza del Messico che abbiamo visto fino a questo momento, vi è un alto numero di turisti americani, che probabilmente aumenta in maniera esponenziale nella stagione estiva; questo giustifica anche i numerosi negozi a misura di turista che però in questo periodo sono praticamente deserti! La sera decidiamo di andare a cena in un ristorante che di giorno ci è sembrato molto carino, “il Bistrò”. La scelta sembra azzeccata infatti la sera è ancora meglio che di giorno, le luci e i tavolini a lume di candela creano un atmosfera davvero notevole, e la cena e il servizio non sono affatto male. Dopo esserci riempiti la pancia ci dirigiamo al Pana-Rock Cafè, ovviamente copia locale del più blasonato Hard-Rock Cafè. Il locale non è male peccato che, dopo aver ordinato uno “Zapaca 23” il famoso Rum orgoglio del Guatemala, ovviamente senza ghiaccio, mi ritrovo con un bicchiere di ghiaccio e poche gocce di Rum!! Il cameriere capito l’errore, ancora prima di appoggiare il bicchiere, lo riporta via e dopo pochi secondi ritorna con il prezioso nettare, che tra l’altro costa quasi come in Italia. Peccato che invece di sostituirlo si sia limitato a togliere il ghiaccio, mi ritrovo così con un bicchiere di Rum annacquato e non certo all’altezza del nome che porta.
Dopo pochi minuti ci rendiamo anche conto che, con l’arrivo di un gruppo di gringos, la serata sta per prendere decisamente una piega che possiamo definire live, visto che mettono mano agli strumenti e iniziano a suonare vecchi successi rock a tutto volume!
07 Gennaio 2005
La mattina, come ormai da routine, facciamo colazione con le squisite brioches acquistate in panetteria e ci dirigiamo verso l’imbarcadero dove saliamo sulla barca. Il lago la mattina è uno specchio d’acqua limpido e liscio come un biliardo, con il suo colore blu cobalto infonde un grande senso di tranquillità e pace. In circa un ora arriviamo alla prima destinazione; San Pedro è un paesino tranquillo che trova sostentamento ancora dalla coltivazione del caffè e nella pesca. Il fatto che gli ultimi hippy lo abbiano scelto come luogo in cui vivere si fa però sentire, visto che appena sbarcati tentano di venderci ogni tipo di droga! Facciamo un giro sulla camminata, dove acquistiamo un pacco di caffè e ne vediamo anche la lavorazione; i 50 minuti a disposizione passano in fretta e ripartiamo allora alla volta di Santiago. Durante il tragitto fotografo da lontano un pescatore, che visti i gesti con le braccia, non sembra però apprezzare molto. Lungo le sponde del lago tra la vegetazione cominciano anche ad apparire splendide ville, probabilmente di qualche ricco americano, che di tanto in tanto sbucano dalla vegetazione, integrandosi tuttavia molto bene nel paesaggio. L’imponenza del vulcano S.Pedro visto così da vicino è notevole; guardandolo bene si possono notare anche i segni di antiche eruzioni e colate laviche. Vista sotto questo punto di vista questa grande montagna che dorme è ancora più affascinante e misteriosa. In circa 1 ora siamo a Santiago e il paese appare subito molto più caotico e sporco dei villaggi visti fino ad ora. Appena scesi veniamo assaliti dai bambini che fanno a gara per accaparrarsi i turisti e portarli a vedere “Maximon”, la statua del Dio locale che la popolazione continua a venerare insieme a Gesù, e che viene spostata in continuazione di casa in casa. Inizialmente decliniamo l’invito e facciamo un giro verso la chiesa, ai piedi della quale ogni giorno si svolge il mercato e gli indios si scambiano cibo, vestiti e ogni altro genere di cosa. Durante il ritorno verso il porto mi fermo ad acquistare una maglietta tutta colorata per sostituire la mia, visto che a S.Pedro un uccellino mi ha scambiato per il gabinetto, e dopo un breve spuntino a base di Hamburger chiediamo ad una bambina di portarci da Maximon, ma purtroppo dopo una decina di minuti di cammino ci rendiamo conto che è molto più lontano di quanto ci sia stato detto e per non perdere la barca dobbiamo così rinunciare alla vista della statua dal bicchiere facile, nelle mani del pupazzo si trova infatti una bottiglia di superalcolici! Ripartiamo alla volta di “San Antonio Palopò”, l’ultimo paese del nostro tour, il quale si trova sulla stessa sponda di Pana. Appena partiti lungo la costa di Santiago possiamo ancora ammirare le splendide ville poste sulle rive, ma il viaggio risulta più lungo e difficile del previsto; il forte vento pomeridiano infatti increspa molto la superficie del lago e la barca ondeggia a tal punto da dover ridurre sensibilmente l’andatura. Il paese di S.Antonio è aggrappato alla montagna e sopra a tutto risalta la chiesa anche qui di un bianco lucentissimo. Durante la risalita per le scalinate si possono notare alcuni tessitori intenti al lavoro, arrivati nel piccolo piazzale antistante la chiesa lo spettacolo è notevole. Da segnalare anche che S.Antonio è l’unico paese da cui si possono distinguere perfettamente tutti e tre i vulcani, il S.Pedro, il Toliman e l’Atitlan che è il più lontano ma allo stesso tempo il più alto. Il breve giro per il paese termina parlando con un uomo che ci racconta di avere un amica italiana e di quanto gli italiani hanno fatto per aiutare gli indios nella loro causa e durante i duri anni della guerra civile.
Il ritorno a Pana dura un’altra mezz’oretta abbondante, tra gli sbuffi delle onde e il paesaggio che ormai è offuscato dalla foschia pomeridiana sono trascorse già 6 ore, molte delle quali passate in barca. Prima di andare in hotel a preparare le valigie facciamo una passeggiata sulla Avenida Santander e prenotiamo il viaggio di ritorno alla Mesilla in agenzia, dove ci garantiscono posto a sedere e 4,30h di viaggio. Durante la passeggiata, per pochi spiccioli, acquisto anche una tela dipinta ad olio che raffigura il lago al tramonto, con i vulcani sullo sfondo e un pescatore intento al ritorno dalla compagna che lo attende sulla riva.
La sera per cena andiamo nella Steak House, sulla strada principale, dove mangiamo carne alla griglia che potremmo definire tranquillamente divina!! Purtroppo il ricordo che avremo del lago sarà un po’ offuscato dal vento, che in questo periodo dell’anno è un po’ fastidioso, ma sicuramente di questo luogo ricorderemo la cordialità della gente e i loro colori, ricorderemo le splendide acque del lago di una tonalità affascinante, con i suoi colori scuri che riflettono le cime circostanti e danno un senso di estrema profondità e di pace, ricorderemo i pescatori di S.Pedro che con le loro barchette popolavano le acque intenti nella pesca, ricorderemo le tessitrici di S.Antonio Palopò e infine la splendida vista di questi 3 vulcani addormentati e incappucciati da una verde e fitta vegetazione.
8 Gennaio 2005 Il lungo giorno che ci riporterà in Messico, con destinazione Palenque, inizia alle 6 del mattino quando la Monovolume 8 posti dell’agenzia viene a prenderci per portarci alla Mesilla. La luce dell’alba è splendida e rende ancora più magica la vista dall’alto di questo splendido lago e dei suoi vulcani. Lentamente ci lasciamo alle spalle i pendii del Guatemala e le sue verdi foreste, tra curve, nubi e Chicken-bus che arrancano facciamo anche un breve passaggio a 3200m di quota! Anche se il tempo è grigio e nuvoloso, mi posso gustare molto del paesaggio che mi ero perso durante l’andata, posso dire che è valsa proprio la pena spendere qualche soldo in più! A saperlo prima avremmo cercato un passaggio del genere anche all’andata, spesso infatti, le navette delle agenzie una volta arrivate alla Mesilla, non hanno nessuno da riportare indietro. È certo anche che l’esperienza del chickenbus sarà indimenticabile per tutta la vita, però bisogna anche considerare che il rischio di rimanere a piedi è veramente molto elevato e che non è difficile perdere una preziosa giornata di viaggio.
Dopo un piacevole viaggio, in cui nel nostro spagnolo approssimato conversiamo con l’autista, arriviamo alla Mesilla. Qui scopriamo che il Sabato è giorno di mercato, infatti c’è una confusione terribile, gente su gente e ancora gente! La cosa buffa è che non sono i Guatemaltechi che vengono a prendere le primizie in arrivo dal più ricco ed evoluto Messico ma i Messicani che vengono a fare acquisti di merce del Guatemala perché costa molto meno.
Sperando di riuscire ancora ad usufruire della nostra prenotazione Comitan-Palenque ci accordiamo con l’autista per prolungare il viaggio fino alla stazione di Comitan. Sbrigate le formalità di frontiera velocemente e senza intoppi facciamo il cambio auto e ripartiamo. Pochi chilometri dopo Ciudad de Cuauhtemoc veniamo fermati ad un posto di blocco militare, ci frugano tra i bagagli in cerca di droga o armi, poi fortunatamente ci lasciano andare abbastanza in fretta. Alle 12.15 siamo già alla stazione bus di Comitan, dove però ci dicono che non c’è posto sul bus per Palenque delle 13.35, e nemmeno c’è traccia della nostra prenotazione fatta via internet che sarebbe scaduta meno di un’ora fa. Decidiamo così di attendere per controllare se il bus è veramente pieno, o se il ragazzo che non sembra molto sveglio è veramente un po’ stordito, alle 13.35 il bus risulta veramente pieno, ma anche il ragazzo dei biglietti risulta veramente stordito, ci ha infatti detto che il primo bus per San Cristobal parte alle 16, mentre per fortuna veniamo a conoscenza del fatto che ne parte uno dell’ADOGL alle 13.45! Saliamo al volo, e possiamo notare che i bus gran lusso dell’ADO non sono molto diversi dagli altri, se non per il fatto che quando saliamo ci offrono una bibita e che a bordo c’è la macchina del caffè. Dopo esserci visti un bel film di sparamenti in spagnolo eccoci di nuovo a San Cristobal; nel frattempo il clima grigio ed afoso si è trasformato in pioggia vera e propria. Troviamo posto sul bus delle 17.00 sempre dell’ADOGL e nell’attesa andiamo a mangiare un paio di panini al bar che si trova di fronte alla stazione dei bus.
Alle 17.20 dopo quasi un intera giornata di viaggio finalmente partiamo con destinazione Palenque; oggi, da quando è iniziato il nostro viaggio in Centro America, abbiamo anche fatto il nostro primo vero incontro con la pioggia. La strada che scende verso Palenque non sembra molto più terribile di altre affrontate fino ad ora, peccato che la fitta nebbia e la pioggia non permettano di vedere ad un palmo dal naso, sembra proprio una tranquilla giornata di novembre in ValPadana!! La stanchezza inizia farsi sentire e anche se non sarà il massimo per il mio collo mi addormento come un sasso. Alle 23.20 finalmente arriviamo a Palenque, ci facciamo portare da un taxi alla posada “NàChan-Ka’An”; la prima bella notizia è che troviamo posto e la seconda è che pur non essendo il Grand Hotel le camere sono pulite e spaziose ad un prezzo più che onesto.
09 Gennaio 2005 La giornata inizia alle 7.30 e avendo deciso di visitare il Sito Archeologico, le cascate di Misol-Ha e Agua-Azul in un solo giorno ci affidiamo all’agenzia affiliata all’Hotel. Dopo pochi minuti siamo alle rovine di Palenque; nonostante l’alto numero di turisti l’atmosfera e la sensazioni trasmesse da questo luogo sono molto forti, il sito è stupendo, immerso in una fitta e verdissima giungla. Nella parte nord dove sono ancora in corso scavi per portare alla luce antiche costruzioni facciamo anche un piacevole incontro con alcuna scimmie che saltando da un albero all’altro si cibano di foglie. Il clima pur essendo pieno inverno è a dir poco allucinante, non tanto per la temperatura ma per l’umidità che è al 100%, non voglio immaginare quanto insopportabile possa essere il clima qui in piena estate! La visita si conclude con la camminata sul percorso naturale che porta dritti all’ingresso del museo. Il giro si può compiere tranquillamente in mattinata, infatti alle 12.10 siamo già in partenza per Misol-Ha dove arriviamo una mezz’oretta più tardi. Il colpo d’occhio che si ha quando si arriva è notevole, seguiamo il percorso che passa dietro all’acqua e arriva fino all’ingresso di una grotta, che avendo la torcia elettrica è possibile visitare. Tuttavia 30-40 minuti sono più che sufficienti per la visita, cosi verso le 13.20 partiamo alla volta di Agua-Azul che dista circa 1 ora di auto da qui.
Agua-Azul è un insieme di cascate che creano pozze d’acqua ideali per fare il bagno e refrigerarsi; soprattutto in questa stagione, che è secca, le acque sono veramente limpide e azzurre come il cielo, e lo spettacolo offerto è veramente straordinario. Purtroppo anche oggi la giornata non è delle migliori e il timido sole si va trasformando in cielo grigio. Rinunciamo così ad immergerci nelle acque limpide, anche perché, verso le 16, arriva un acquazzone che fortunatamente dura pochi secondi. Durante l’attesa per il rientro a Palenque una graziosa bambina tenta di venderci delle banane fritte e si ferma incuriosita ad osservarmi mentre prendo appunti sulle sensazioni del giorno, così le offriamo qualche pesos in cambio di una foto ricordo per la quale si presta più che volentieri.
Arrivati a Palenque, con 30 minuti di ritardo, ci precipitiamo al terminal dei bus dove proviamo a spostare i biglietti per Chetumal sulla partenza delle alle 22.45. Ma purtroppo non essendoci posto dobbiamo tenerci i nostri, con partenza alle 21.00, affrettarci nell’andare a prendere i bagagli e mangiare un paio di hot-dog, che anche oggi sostituiranno la cena.
10 Gennaio 2005
Arrivati a Chetumal alle 4.40 del mattino, chiediamo informazioni ad una guardia che, oltre a rivelarsi molto gentile, scopriamo molto interessata alla conversazione in Italiano.
Approfittando della compagnia piuttosto rassicurante facciamo un prelievo bancomat e salutato il nostro interlocutore andiamo alla biglietteria di 2° classe per i biglietti, ci mettiamo poi in attesa del “Bus del Caribe” che alle 6.00 ci porterà a Mahahual.
Dopo la partenza ci rendiamo conto che il viaggio pronosticato inizialmente in un paio d’ore si rivelerà un’altra tragedia: l’autista comincia fare una sosta dietro l’altra e, quando il numero di persone arriva a superare di gran lunga quello dei posti a sedere, ci sembra di essere ripiombati nell’incubo del Chicken-bus, con l’unica differenza che, nell’altro caso c’era un freddo cane, mentre questa volta il calore sprigionato dal motore, e che entra da sotto i sedili, si aggiunge a quello che viene da fuori, creando una temperatura da girone dantesco!! Il viaggio, se così si può definire, dura 4 ore circa e verso le 10.00 riusciti a scendere abbiamo il primo impatto con Mahahual. A dire il vero non so cosa mi aspettassi in realtà, ma devo dire che le prime sensazioni sono strane: Mahahual non è altro che un villaggio di pescatori in evoluzione intorno al turismo delle crociere, formato da una via centrale polverosa e dalla spiaggia che qui non è molto lunga. La barriera corallina, a circa 200 metri da riva, crea una zona di acque calme e basse dove un fitto ecosistema naturale di alghe prolifera in modo indisturbato e a prima vista il mare appare così uno strano mosaico di acque limpide, tipicamente caraibiche, e zone scure di alghe. Ci mettiamo in cerca di alloggio sotto il sole cocente e alla fine del pellegrinaggio decidiamo per il “Luna de Plata”, soprattutto per il fatto che ha luce e acqua calda tutto il giorno. È un Hotel formato da 4 camere con il ristorante a pochi metri dal mare e gestito da italiani emigrati qui 4 anni fa. Ci ispiravano molto anche le “Cabanas del Doctor” che sono più spaziose e spartane, ma con solo acqua fredda e luce fino alle 10 di sera.
Al pomeriggio, dopo aver fatto un pranzo leggero a base di pesce, finalmente ci stendiamo sulla spiaggia. Purtroppo nel frattempo si è alzato un vento fastidiosissimo, a cui dobbiamo aggiungere l’orda di gringos inferociti scesi dalla nave da crociera, che nel frattempo è approdata sul lungo molo, costruito appositamente negli ultimi anni a pochi chilometri dal villaggio. Per la cena, vista la stanchezza, ci affidiamo al ristorante del hotel e la scelta si rivela molto azzeccata, anche se non proprio caratteristica; la cosa a cui facciamo caso e fino ad ora vista di rado è la presenza di messicani al ristorante.
Dopo la cena veniamo vinti dalla stanchezza, per colpa della notte scorsa passata quasi insonne, e dal vento che non invoglia molto a stare fuori per ammirare le stelle.
11 Gennaio 2005 La mattina il vento purtroppo non si è ancora calmato e inoltre ha fatto la sua comparsa qualche nuvola che gioca a nascondino con il sole. Facciamo colazione nel bar sulla spiaggia con frutta fresca, cereali e caffè nero; vento a parte l’atmosfera è stupenda, mare, sole e ritmi caraibici! Ci dirigiamo poi verso il centro del paese dove cerchiamo un internet caffè per inviare notizie a casa, l’unico presente, e funzionante, è talmente lento che per inviare una mail impieghiamo più di 30 minuti! Nel frattempo il vento sembra essersi quietato, inoltre nella zona antistante il paese le alghe sono state dragate, rendendo quindi le acque molto più invitanti. Ci fermiamo per fare un bagno di sole e di mare; durante una nuotata, stando ben attento a non farmi schiacciare dalle barche e dalle moto d’acqua, riesco anche a fare alcuni piacevoli incontri con una sogliola,una razza e un enorme branco di pesci! Verso le 14 stanchi della vita da spiaggia torniamo verso l’Hotel, che dista circa 1 km dal centro del paese, e ci informiamo per noleggiare delle biciclette e fare una lunga passeggiata esplorativa verso sud, dove ci hanno detto si possono trovare lunghe spiagge incontaminate. Purtroppo le bici dell’ hotel per oggi sono già state affittate e il noleggio in paese ci ha sparato un prezzo davvero esorbitante. Ripieghiamo così prendendo in affitto una canoa dai vicini. Con maschera e boccaglio ci dirigiamo verso la barriera, l’acqua in questo tratto non supera mai i 2,50 metri e possiamo finalmente vedere qualche pesce colorato tipico della barriera, coralli e qualche splendida conchiglia.
L’inverno si fa però sentire, già alle 16, il sole basso all’orizzonte e il vento ci obbligano a tornare a riva. Dopo la splendida giornata appena trascorsa un po’ ci dispiace aver già disdetto la camera e avere in programma di andare a Tulum, in fondo, anche se non abbiamo trovato spiagge lunghissime e il vento ha turbato un pò le nostre giornate, Mahahual è ancora un piccolo angolo di paradiso dove la tranquillità del mare, soprattutto quando nel pomeriggio i turisti americani fanno ritorno alle navi, la fà da padrona e l’orizzonte si perde là in fondo, dove non si capisce quando il mare finisce e incomincia il cielo.
La sera ceniamo ancora da Dario, così si chiama uno dei ragazzi dove alloggiamo, poi facciamo una breve sosta sul bagnasciuga, dove la cornice del cielo stellato e il rumore delle onde, che in lontananza si infrangono sulla barriera corallina, sono quanto di più profondo possano carpire i nostri pensieri ed esserne cullati in un infinito flusso e riflusso.
12 Gennaio 2005 Anche oggi ci alziamo di buon ora e dopo aver preparato la valigia andiamo a gustarci l’ultima colazione al “Cafè del Mar”, il chiosco il riva al Caribe. Nell’attesa del Combi che ci porterà a Limones scambiamo quattro chiacchiere con Sandro, un amico di Dario che è qui in vacanza , e con un romano che con la sua compagna è diretto alla laguna di Bacalar. Durante la conversazione apprendiamo che pur essendo in un posto sperduto i prezzi negli ultimi anni stanno lievitando in modo esponenziale ed è diventato quasi improponibile acquistare terreno fronte mare a prezzi accettabili, probabilmente le aspettative e i grossi investimenti fatti per i moli di attracco alle navi da crociera stanno spingendo questo luogo verso un futuro piuttosto nero dal punto di vista naturalistico. Apprendiamo anche che fino a 3-4 anni fa era possibile pescare le aragoste qui davanti a pochi metri da riva, mentre ora è necessario spostarsi di parecchi chilometri, dove la spiaggia è ancora poco battuta.
L’ora della nostra partenza è ormai vicina e la sensazione di lasciare questo luogo troppo presto è sempre più forte e nitida dentro di noi, la tranquillità di questo mare azzurro e limpido e la semplicità del luogo, superato l’impatto iniziale, sono veramente unici. Alle 11.10 il Combi passa a prenderci e in poco più di un’ora arriviamo a Limones, primo e unico crocevia dopo chilometri e chilometri di campi paludosi e deserti. Qui aspettiamo fino alle 13.45 per il primo autobus Mayab diretto a Tulum e durante l’attesa non possiamo fare a meno di pensare a cosa ci aspetterà e al fatto di aver dovuto buttare un’altra giornata alle ortiche a causa del viaggio.
L’autobus Mayab è abbastanza pulito e in un paio d’ore arriviamo a destinazione; il paese, che si sviluppa lungo la strada principale, ad un primo impatto sembra meglio del previsto, è infatti pieno di negozi e ristoranti, senza perdere tempo ci facciamo portare a Tulum Playa da un taxi, ma purtroppo appena arrivati scopriamo che qui pensano di essere l’unico luogo ad avere le Cabanas e il mare! I prezzi sono 5-6 volte più alti di quelli visti fino ad ora, gli unici ristoranti presenti sono quelli altrettanto cari dei vari complessi alberghieri, se così li possiamo definire, e inoltre la distanza di 3-4 km dal centro cittadino è impensabile da affrontare a piedi nelle ore serali o notturne.
Dopo aver vagato in lungo e in largo il taxi ci porta dove sostiene ci siano Cabanas economiche, effettivamente il prezzo è accettabile, peccato che manchi la luce, le lenzuola e che la chiusura della porta sia affidata ad un catenaccio arrugginito!! Torniamo così in paese, l’unico rimpianto è quello di non essere rimasti a Mahahual, qui troviamo alloggio all’Hotel “Chilam Balam”, per lo meno le camere sono spaziose e c’è l’acqua calda tutto il giorno. Per la cena ci lasciamo attrarre dalla pizzeria “Il Basilico”, che ha una splendida terrazza. Il locale è molto bello e altrettanto buona è la pizza, ma non possiamo dire altrettanto del conto, visto che qui senza nemmeno avvertire si prendono un 10% per il servizio. C’è da dire che effettivamente il cameriere che mi ha rovesciato mezzo bicchiere di Rum sulla gamba, chiedendo scusa a denti stretti e ovviamente senza sostituirlo, un bel 10% di parolacce effettivamente se lo meriterebbe! Tornati in hotel ci rendiamo conto di avere un vero e proprio concerto Jazz che, dal locale sottostante, sale in camera a volume altissimo, naturalmente fino alle 4 del mattino! 13 Gennaio 2005 Al nostro risveglio la situazione è quasi peggiore di quando siamo andati a dormire, a darci il buon giorno troviamo nuvoloni neri e caldo afoso, mentre usciamo chiediamo ironicamente alla reception se sia possibile avere una stanza senza discoteca, visto che fino alle 12 non è possibile saperlo concediamo il permesso di spostare le nostre cose, nel caso si liberi una camera, e usciamo per noleggiare 2 biciclette.
Ci dirigiamo alle rovine, che sono terribilmente lontane e dopo una sudata da sauna finalmente ci mettiamo in fila, insieme all’orda di turisti “All Inclusive” provenienti da Cancun e dintorni. Il cielo è ancora piuttosto scuro e il sito archeologico non è poi così bello; l’unica vera attrazione è il mare turchese che sbatte sulle rocce. Inoltre, a differenza di quello che di solito si può vedere nelle cartoline e nei cataloghi, nei pressi del sito non c’è praticamente spiaggia! A mio parere, rispetto a quanto visto fino ad ora, il sito in sé stesso non vale nemmeno il prezzo del biglietto, un’ora è più che sufficiente per visitarlo passando la maggior parte del tempo ad ammirare il mare.
Ormai sono le 12.00 e riprendendo il cammino verso Tulum decidiamo di andare a visitare il “Gran Cenote”. Nonostante la nostra permanenza in Messico sia ormai di oltre 2 settimane questo è il primo Cenote che visitiamo, sinceramente oltre al prezzo d’ingresso non vedo nient’altro di grande. Però, se devo essere sincero in questo caso vale la pena farci una visita, le acque sono limpidissime e trasparenti, dopo esserci immersi con maschera e boccaglio la prima sensazione che ci assale è il freddo. Infatti non si può certo dire che queste acque siano calde, soprattutto in paragone a quelle tiepide del mare; i pesci che vi abitano non sono poi certo affascinanti, essendo pesci d’acqua dolce assomigliano molto a quelli dei nostri laghi o fiumi. La cosa spettacolare però è il colore e la profondità delle acque, nelle insenature e nelle grotte sfumano dall’azzurro al blu intenso per perdersi nell’oscurità degli abissi; forse abissi è un po’ esagerato però il fatto di non vederne la fine e il senso di profondità che infondono è veramente impressionante. Altra sensazione, che può sembrare strana al primo impatto, è che pur essendo a poche centinaia di metri dal mare, e quindi abituati a fare il bagno in acqua salata, qui l’acqua è assolutamente dolce.
Ritornati in hotel scopriamo che fortunatamente ci hanno cambiato la camera con quella sul lato opposto; nel frattempo le nuvole si sono diradate ed è uscito il sole, essendo ancora le 16.00, ritorniamo verso la spiaggia. Superato il primo gruppo di Cabanas proseguiamo verso sud e dopo circa 3 km troviamo un apertura nella quale ci infiliamo per arrivare sul mare. Quasi dimenticavo qui, pur essendo la spiaggia di pubblico accesso in realtà, è tutto recintato e nel migliore dei casi per entrare dovrete passare attraverso la recption di qualche hotel o di qualche villaggio turistico.
Anche qui la spiaggia non è molto lunga, è circa come quella che c’era a Mahahual, ma in compenso non essendoci la barriera corallina le onde arrivano a riva. Trascorriamo così una piacevole mezz’ora nella luce soffusa del tramonto messicano, scattando qualche foto e gustandoci questa fetta di Caribe che immaginavamo certamente molto più accessibile.
Purtroppo rientrati in hotel mi accorgo che dal mio zaino manca una maglietta a cui sono molto affezionato, probabilmente è piaciuta anche al ragazzo che ha traslocato le valigie da una camera all’altra! Devo proprio dire che in questa zona del Messico sono dei pezzenti, prezzi alti, servizio scadente e furti! Se dovete soggiornare a Tulum Pueblo vi sconsiglio l’hotel Chilam Balam o nel caso è meglio chiudere tutto a chiave e portare i tappi per le orecchie in caso di concerto notturno!! Per la cena decidiamo di andare al ristorante “La Nave”, dove in mattinata abbiamo fatto un ottima colazione a base di frutta. Ottimo il pescado e anche l’atmosfera è piacevole, abbiamo però la conferma finale che qui il 10% di mancia aggiuntivo non è un optional! Il mio consiglio è che se dopo cena vi và di bere qualcosa è meglio uno dei tanti locali o bar, così almeno non andrà ad incrementare la percentuale alla voce servizio! 14 Gennaio 2005 Dopo aver scrutato il cielo, e constatato che per l’ennesima mattina c’è un tempo da lupi, ci apprestiamo a prendere il bus Mayab delle 8.30, che ovviamente arriva alle 9.00, e partiamo verso Playa del Carmen. Il viaggio dura circa 1 ora e verso le 10 arriviamo a Playa. Il paese sembra estremamente turistico ma per lo meno abbiamo l’impressione che qui ci sia un po’ di spiaggia e mano alla guida cerchiamo alloggio. Prima proviamo alla Posada Lily, dove purtroppo non troviamo posto, poi alla Posada Fernandez che però è chiusa per ristrutturazione, e infine troviamo posto in un hotel sulla Benito Suarez che dovendo ancora pulire la stanza ci dice di tornare tra 40 minuti. Lasciati i bagagli ci lanciamo nella perlustrazione della città e dei negozi, dove notiamo subito molti oggetti acquistati durante il nostro viaggio che qui, nel migliore dei casi, costano 4-5 volte in più! Dopo il nostro breve giro ritorniamo all’hotel, a questo punto il ragazzo ci comunica che occorrono altri 30 minuti per preparare la camera e Linda va su tutte le furie perché si sente leggermente presa per il sedere e dopo aver lanciato ogni genere di anatema al malcapitato riprendiamo la guida e ci dirigiamo alla Posada “Los Dos Hermanos”, citata dalla guida, dove finalmente troviamo alloggio.
Sempre su consiglio della guida ci dirigiamo verso sud, in cerca di qualche spiaggia meno frequentata. Purtroppo il problema è che qui hanno permesso di costruire ville e hotel in riva al mare, ma in riva nel vero senso della parola, le onde si infrangono infatti sui muri di recinzione delle lussuose ville, e tutto questo a discapito della spiaggia e del paesaggio, pensare che in Italia si faccia tanta polemica per qualche hotel o villa abusivo nascosto nella vegetazione delle costiere campane o sarde fa quasi venire da ridere.
La giornata trascorre velocemente, anche perché in questo periodo dell’anno alle 16 – 16.30 il sole è già basso all’orizzonte, così ci portiamo sullo Zocalo dove ci sediamo a bere una birra mentre scrutiamo il mare turchese. Prima di ritornare alla nostra stanza facciamo anche una passeggiata sulla 5a avenida; numerosi locali e negozi si alternano in una luminosa e chiassosa baraonda, qui si può trovare praticamente di tutto, anche pezzi di artigianato che fino ad ora avevamo visto soltanto in Chiapas, ma ovviamente a prezzi 5-8 volte più alti. A ripensare che noi trattavamo sempre sui prezzi mi sembra quasi di aver derubato quella povera gente! Usciti per la cena ci accorgiamo che il ristorante in cui avevamo deciso di andare è strapieno, così ci lasciamo convincere dall’attira clienti del ristorante “Limones”, il locale è molto carino e romantico, ma purtroppo ci pentiremo amaramente della scelta, oltre a farci pagare 2 bicchieri di vino bianco una cifra indicibile, alla fine notiamo che sul conto la maggiorazione per il servizio è salita al 15%!!! È come se al ristorante su un conto già salato di 100 Euro l’oste ne aggiungesse 15 per il servizio, senza inoltre informarvi in precedenza sul menù! Passi anche il fatto di essere visto come un portafoglio ambulante, ma essere presi per i fondelli mi sembra un po’ troppo! Il problema di fondo è che la famosa riviera Maya, da Cancun a Tulum, oramai di messicano non ha proprio nulla, e nemmeno di bello visto che le spiagge, dove non si sono trasformate in ville, sono praticamente inaccessibili al libero viaggiatore che non si lascia imbrigliare nei lussuosi villaggi, l’unica cosa veramente notevole è il colore del mare, se mai riuscirete a vederlo tra una villa e l’altra.
15 Gennaio 2005 Ormai siamo alla fine del viaggio e anche oggi la giornata è dedicata al riposo e al sole. Dopo una breve ispezione nella spiaggia principale ritorniamo sui nostri passi e quindi alla meno affollata spiaggia in cui siamo stati ieri; purtroppo la giornata è molto variabile e il mare che ieri sembrava una tavola oggi è leggermente mosso. Per finire verso le 15.00 una scrollata di gelida pioggia, che dura pochi minuti, ci costringe a far su fagotto e ad un’altra passeggiata tra i fasti americanizzanti della 5a avenida.
La sera purtroppo la cena salta xchè, qualche virus si è impossessato di me e del mio stomaco. Non sto a descrivervi la terribile situazione nei minimi particolari ma sicuramente la febbre a 39 è la cosa meno debilitante e meno fastidiosa di tutto questo imprevisto.
16 Gennaio 2005 Fortunatamente dopo essere stato dal dottore in piena notte, e avergli vomitato nel cestino dei rifiuti mi sento un po’ meglio, la diagnosi è stata gastroenterite acuta e dopo una giornata trascorsa a letto la sera riusciamo ad uscire per mangiare qualcosa. Purtroppo la musica non cambia, infatti il filetto di pesce che ordino, anche se vista la situazione l’ho dovuto mangiare scondito, non è affatto male, ma il cameriere che ci porta il conto, che tra l’altro non è neppure quello che ci ha servito, tenta di fregarci chiedendo la mancia. Così chiedo spiegazioni, la risposta è quanto di più sconcertante si possa ricevere, afferma senza troppa remissione che la mancia del conto è per il ristorante, e lui vuole quella per il cameriere!!! Devo proprio dire che questa mi mancava, così dopo averlo leggermente insultato, e non aver sganciato nemmeno un centesimo, andiamo via con l’ennesima conferma che qui sono proprio dei pezzenti e ben lontani dall’orgoglio e la fierezza che si può riscontrare nel popolo messicano.
17 Gennaio 2005 Purtroppo è giunta l’ora di tornare a casa, certo non senza prima acquistare una scatola di sigari messicani fatti a mano e una buona bottiglia di Mezcal. Il nostro Messico finisce qui, davanti alle lunghe ore di volo che ci riporteranno a casa, con ancora in bocca il ricordo di tutti i colori, i suoni, gli odori, i sapori di un Messico ancora vivo, orgoglioso delle proprie radici e del suo passato; nei neanche tanto lontani fasti delle civiltà precolombiane e delle lotte contro i coloni spagnoli, nella mescolanza della razza, nei riti e nelle tradizioni vecchie secoli o forse millenni, negli sguardi dei bambini lontani dai giochi o dalla tecnologia del progresso ma così sorridenti e dallo sguardo penetrante. Purtroppo torniamo a casa anche con il ricordo di un Messico avido, che ha perpetrato i suoi abusi su di una natura generosa e magnifica, che si è americanizzato ed è tutt’altro che affascinante e profondo.