Messico e nuvole 11
Giovedì 24.04.2008 Il nostro aereo parte da Fiumicino alle 10.00 del 25.04.2008. Ho deciso di approfittarne per passare una giornata a Roma. Così mi prendo un altro giorno di ferie e prenoto un treno che parte alle 7 del mattino da Ferrara e dovrebbe arrivare a Roma in 3 ore.
Il tassista, con cui socializzo, mi fa lo sconto di 20 centesimi e mi augura buon viaggio.
Nove euro anziché 9.20 x 5 minuti . E’ il mio giorno fortunato.
Che cosa provo? Tre settimane fa mi sembrava di rincorrere un sogno, adesso che ci sono dentro mi chiedo se non sarebbe stato meglio andare a Roma, o in Portogallo.
La verità è che ero prigioniera di un incantesimo chiamato “Messico e Nuvole”: io che sognavo mete esotiche e Mimmo, il mio mitologico ex, che sognava il ritorno nella sempre selvaggia ma più domestica Calabria.
Ora ad inseguirmi è il ricordo, vivido e fastidiosissimo , di un viaggio fatto in sogno (cosa che mi capita spesso) a New York in un albergo con vista sul cielo , stelle, galassie e affini. E adesso che faccio, mi metto a cercarlo su Expedia? E poi non so cosa mi aspetta. Da turista inesperta ma puntigliosa ho riempito la valigia di un campionario di medicinali e medicali vari degno di un volontario di Emergency in fase di avvicinamento al teatro di guerra.
Compreso un commutatore elettrico universale, ma proprio in senso letterale , che ho trovato all’Ipercop per la modica cifra di 30 euro. So che Marina, la mia compagna di viaggio, nonché cugina preferita. non ci penserà, come anche a tanti altri piccoli dettagli , e sono molto angosciata: per la prima volta ho sulle spalle il peso di una famiglia, e non è neppure la mia. Ieri mi sono persino rifiutata di fare il rientro del mercoledì, per essere proprio sicura di riuscire ad ultimare i bagagli. Che se poi finissi “azzannata dagli squali nelle gelide acque dell’oceano” per rincarare la dose : “ aveva anche ultimato il rientro del mercoledì”. Intanto, il mio treno è arrivato a Firenze. Le case qui hanno l’aria di essere diverse che a Ferrara, e non saprei dire perché. Rifletto che questa è la vera essenza del viaggio, e potevamo analizzarla nei dettagli anche in Portogallo o a Roma.
Dicevo che mi sono esercitata x una settimana buona a cercare di prevedere tutti i possibili imprevisti.
Alle 7 di sera del 23.04.08 stavo per essere ragionevolmente soddisfatta di me , quando mi sono accorta di non aver ancora stampato il biglietto elettronico. Telefono all’agenzia e loro mi rassicurano:”mi raccomando invece il passaporto.” Un fulmine a ciel sereno. Me ne ero completamente dimenticata. E’ stato avvilente, ma anche salutare, perché ho realizzato che l’importante non è ricordarsi di tutto, ma non dimenticare l’indispensabile. Comunque , ora indispensabile è prendere quel benedetto aereo. Che angoscia.
Di tanto in tanto, torno a rovistare nella borsa alla ricerca del passaporto. Per fortuna lui è rimasto lì, incolpevole ed ubbidiente. Venerdì, 25.04.2008 Da Roma a New York Se Dio vuole siamo su un aereo che dovrebbe essere diretto a New York .
Parte del merito è di una ragazza che pareva precisa una domestica filippina, ed invece guarda caso, era messicana, con la quale ho socializzato ieri durante il mio tubinoso giro per Roma. Più che socializzare in realtà credevo di averla adottata, perché mi sembra più imbranata di me. Ma quando le ho racconto che il mio aereo sarebbe partito alle 10.00 del giorno dopo, l’imbranata mi ha spiegato che per i voli internazionali bisogna presentarsi 2 ore prima dell’imbarco. Io non lo sapevo.
Altra tegola, ma ormai ho deciso che non può finire tutto così: pianifico con millimetrica precisione la “mise” del day after (unico neo, non riesco a trovare lo smalto per unghie rosa-trasparente) e mi addormento, cullata dal rassicurante bla-bla di Telesantoro che riecheggia dalla televisione accesa della mia lillipuziana suite romana. Siamo ancora sul nostro aereo per New York e Marina dorme placidamente abbracciata alla mia “Settimana Enigmistica”. Il viaggio è un po’ monotono, ma appena avvisto la Terra Promessa vado in fibrillazione perché mi sembra di riconoscere la zona dei Grandi Laghi. Ci penso un po’ su, poi decido che ho il dovere di partecipare Marina di questa straordinaria scoperta. La sveglio ma lei non si entusiasma per niente e per fortuna riprende a dormire. Finalmente, scalo a New York. Comincia a prendere forma in noi l’idea di essere diventate delle galline ovaiole in gita” all inclusive” tipo quelle che si vedono in giro per le autostrade , idea che si confermerà nel corso della vacanza, perché dovunque il destino ci meni, dopo aver pagato il pattuito c’è sempre qualcuno pronto ad infilci un braccialetto di qualche colore sulla zampa anteriore, pardon, sul polso e dirci dove andarci ad appollaiare.
Comunque, tanto per incominciare a New York ci trattano come narcotrafficanti in libera uscita. Nessuna di noi due ha la minima velleità di prendere la cittadinanza USA, ma anche la sola ambizione di raggiungere l’hangar per Cancun si rivela una corsa ad ostacoli degna di un campo di addestramento per marines. Ci sballottano di qua e di là, ci prendono le impronte digitali e ci fanno la fotografia. Quando arriva il suo triste turno, Marina è così disorientata che non capisce che il tizio della dogana le sta facendo segno di levarsi gli occhiali , scambia il cenno con le due dita al lato della fronte come una specie di complimento e gli risponde con lo stesso gesto a mò di saluto militare, sorridente e compiaciuta. Rideremo di questa cosa tra di noi per tutto il resto del viaggio, ma intanto il tizio della dogana rimane indifferente: o ci è abituato, oppure crede che stiamo sfottendo.
Io e Marina decidiamo, di comune accordo, che i Newyorchesi sono proprio antipatici.
Se Dio vuole siamo sull’aereo giusto anche stavolta. Cominciamo a familiarizzare con la passione sfrenata dei messicani per l’aria condizionata sparata a – 10° , anche se ancora non possiamo sospettare che ci perseguiterà per tutto il resto del viaggio, inclusa la camera da letto dell’albergo. Credo che in questo modo si sentano più vicini ai cugini nordamericani.
Arriviamo a Cancun in tre ore ed è praticamente sera tardi. La prima impressione, nel tragitto tra l’aeroporto e l’albergo è di essere capitate a Las Vegas. Chiedo al tizio del pulmino chi ha costruito tutti quegli alberghi faraonici e lui mi informa: prima gli americani ed adesso gli spagnoli. Comunque , qui è subito chiaro che è pieno di americani che trincano a tutte le ore del giorno, ed in tutte le condizioni possibili. La graziosa piscina del nostro confortevole albergo è a sua volta fornita di un bancone a pelo d’acqua, dove vicini di casa ed elettori dei dominatori di questo pianeta possono comodamente tracannare le loro bevande “all inclusive” anche mentre nuotano o fanno il morto. Rivelerò lo scabroso dettaglio ad un italiano di passaggio, che mi confermerà che nel suo albergo è uguale. Il ristorante è decisamente la cosa più rimarchevole dell’albergo , a parte una favolosa megapiscina dai colori tropicali che però non è in funzione, e non si capisce perché. Sabato, 26.04.2008 Cancun! Passiamo buona parte della mattinata a pianificare le escursioni per i giorni successivi.
La cosa in sé sembra facilissima, perché sono le stesse agenzie turistiche che te le propongono in albergo , basta sapere dove andare ed avere un po’ di contante. Marina è stata debitamente istruita dal tanghero che ci ha venduto il pacchetto “all inclusive”. Naturalmente, anche le escursioni sono, neanche a dirlo , “all inclusive”: basta pagare.
Siccome, grazie a Dio, programmato tutto ci restano un paio di giorni, chiedo se è possibile raggiungere Uxmal. Secondo la mia guida del Messico è una tappa da non perdere. Da Cancun non partono escursioni per Uxmal,che dista circa 300 Km, ma la losca figura che ci ha venduto gli altri tours ci consiglia di affittare una macchina e di cercare una guida sul posto. Marina è un po’ titubante, non vorrebbe lasciare degli orfanelli in Italia, ma io insisto che sarà facile come bere un bicchier d’acqua. Per la verità la mia guida precisa che in Messico, in caso di incidente, i contendenti finiscono in galera finchè non viene stabilito chi ha ragione, ma non c’è motivo per scaricare le mie inquietudini sulla mia già dubbiosa cugina. Glielo dirò solo alla fine del viaggio, dopo aver restituito la macchina. Secondo me la guida era troppo pessimista. Comunque Marina è una ragazza mite e non ha accennato nessuna reazione violenta. Forse era troppo stanca , dopo 600 Km in giro per il Messico su di un trabiccolo con ammortizzatori da Fiat 500 e sterzo da autoarticolato.
Insomma, decidiamo di partire per Uxmal la mattina dopo, e, per non stare lì a bighellonare nel frattempo optiamo per una cosetta facile facile, un giretto nella laguna di Cancun. Con un’ora di snorkeling Io mastico qualche parola in inglese, Marina è ferratissima in francese, lingua che qui disgraziatamente non conosce nessuno, entrambe ci inerpichiamo sulle false assonanze tra spagnolo e italiano, fenomeno quest’ultimo che i nativi non sanno nemmeno cosa sia: insomma, nessuna delle due aveva capito che, per arrivare alla zona dello snorkeling , dopo aver ricevuto un grazioso braccialetto rosa e nero, bisognava percorrere la laguna fitta di mangrovie guidando delle barchette rigorosamente a due posti. Lascio l’onore della guida a Marina, che col suo storico ex, nonché padre dei suoi figli, detto il Porco , ha solcato il mare Adriatico in lungo e largo, ed in barca si diverte sempre come una pazza, mentre io mi contorco per il mal di mare e sto sempre a guardare l’orologio e a rassettare l’asciugamano. Marina se la cava egregiamente. Il primo contatto con il vero snorkeling per me è bellissimo, ma Marina è stata sul Mar Rosso quest’estate e dice che lì è tutta un’altra cosa.
Concludiamo la giornata in giro per la Cancun by night con il trabiccolo appena affittato. Di Italiani se ne vedono pochi. Realizziamo che Cancun non è stata una buona scelta , intanto perchè è lontana da vari siti interessanti, e poi perché qui l’italiano, ad essere ottimiste, lo parlano in pochi.
Domenica, 27.4.2008 Uxmal e Kabah.
Giornata memorabile. Marina è spaventata all’idea di lasciare degli orfani senza uno straccio di giusta causa, io sono spaventata all’idea che possa non valerne affatto la pena.
Invece, dopo 4 ore di viaggio ( partenza alle 7.00 ) e qualche problemino di poco conto (tipo scoprire che in Messico sull’autopista c’è un benzinaio ogni circa 200 Km, e quindi guai a perderselo) arriviamo alla meta e restiamo letteralmente senza fiato.All’ingresso della zona archeologica di Uxmal c’è una maestosa piramide, di forma vagamente ellittica, diversa dalle altre che poi visiteremo.E’ solo l’inizio:il sito è un’antica città monumentale di grandiosità e bellezza impressionanti.
Riflettiamo che qui tutto è maestoso, tranne i cani e i gatti , che poveracci fanno la fame e che se sapessero come se la sfangano i loro colleghi in Italia sarebbero in sciopero permanente e i topi e le lucertole mangiateveli voi. . Troviamo subito una guida che parla in italiano, che naturalmente dobbiamo pagare a parte, ma sembra un tipo piuttosto simpatico e preparato, oltre che estremamente galante con le turiste italiane, come del resto qui sono tutti.
Il fenomeno meriterebbe un excursus a parte, ma si può compendiare in tre assunti: 1. Mia cugina è estremamente bonazza anche se giura di non esserne convinta ; 2. le messicane sono mediamente non bellissime, specie se di ascendenti indios; 3. tutto il mondo è paese, e “pecunia non olent”.
Bando agli excursus, la piramide all’ingresso è detta la casa del nano perché, secondo la leggenda , fu costruita in una sola notte da un essere sovrannaturale nato da una vecchia strega ed un uovo di non saprei quale animale.
L’edificio è seguito da un’altra piramide ancora più imponente e da una specie di enorme, strepitosa piazza che, secondo gli studiosi, doveva essere un centro di formazione per le nuove leve della classe dirigente. L’acustica è assolutamente incredibile. Tutti questi monumenti sono inaspettatamente molto decorati con bassorilievi in pietra e grandi mosaici, propiziati dalla particolare qualità del travertino di questa zona. Originariamente erano anche colorati. I Maya non praticavano spesso l’arco di tipo romano, anche se ne conoscevano la tecnica, ma un arco acuto, tenuto su incastrando delle pietre tagliate ad elle con del materiale di risulta.
L’aspetto peculiare dell’ingegneria Maya è che tutto ha una precisa collocazione in rapporto con il sole, gli astri, il tempo ,le stagioni, in una specie di misteriosa e trionfante celebrazione dell’armonia tra il sapere dell’uomo e la natura. O liturgia della celebrazione, ad uso e consumo delle caste subordinate.
La guida ci spiega che i due calendari, quello civile di 365 giorni e quello religioso di 260, si intersecavano ogni 52 anni . Al termine di ciascuno di questi cicli, era necessario dedicare agli Dei un’opera maestosa. Anche la grande piramide ha 5 piani che corrispondono ad altrettanti cicli. Siccome siamo in 2 , e avendo pagato mi posso permettere di fare la signorina saccente, faccio un sacco di domande.E siccome il tizio è molto simpatico, misteriosamente mi dà sempre ragione, e spiega che l’importanza che i Maya attribuivano al sapere astronomico era legata alla loro attivita’ prevalente, che è l’agricoltura. Maya vuol dire infatti “popolo del mais”.
Scoprirò ben presto che adesso nello Yucatan non risulta coltivato neppure un fazzoletto di terra, a parte i giardini di casa e quelli faraonici degli alberghi: la guida mi spiegherà che ormai qui vivono tutti di turismo.
Molti dei motivi decorativi si ripetono, e li ritroveremo anche negli altri siti archeologici: i grandi nasi dedicati al Dio della Pioggia, le teste di Chach (si chiama così) il serpente, simbolo della vita che si rinnova, il giaguaro, simbolo della forza oscura della notte.I Maya erano politeisti, come i greci, e come i greci avevano adottato un sistema di città-stato indipendenti tra di loro che, a partire da una certa fase, inaugurarono un’intensa cooperazione politica. Le poleis erano collegate tra di loro da strade elevate sopra il livello della jungla e costruite in materiale che brillava sotto la luce della luna , tanto da essere chiamate “strade bianche”.
Sorprendentemente, una delle nostre guide (forse a Chichen Itza) ha rivelato che l’antico gioco del pok ta pok (una specie di pelota, o football ante litteram) aveva in certi casi una funzione rituale, e serviva a definire nel modo meno cruento possibile le controversie tra le varie città. Anche se poi in realtà le sorti dello scontro venivano decise a tavolino, come talvolta succede anche oggi del resto , ed i malcapitati giocatori della squadra perdente erano semplicemente messi a dieta stretta o feriti, per evitare imprevisti, per essere poi sacrificati agli dei.
I moderni dei del pallone si darebbero molte meno arie, ma temo che sarebbe contrario alla Convenzione di Ginevra.
Noto con una certa meraviglia che i Maya conoscevano la palla da football, ma non la ruota. Mi riservo di chiedere il perché al prossimo giro.
Quello dei sacrifici umani è un altro capitolo a parte. Tutto dipende dalla fase storica e dalla conseguente influenza di toltechi e atzechi, che li praticavano su vasta scala. Ad Uxmal non vi è alcuna evidenza di riti del genere. La città fu abbandonata dopo alcuni secoli, come altre del resto, per motivi che rimangono misteriosi.
I Maya usavano invece delle offerte rituali di cibo, esattamente come i popoli del Mediterraneo, oppure raccoglievano il sangue di ferite autoinfertesi per offrirlo agli dei , come simbolo di vita e di forza. Ho trovato molto romantica la scena di un bassorilievo vicino a Uxmal, a Cabah : il marito , al fianco della moglie incinta, si ferisce al prepuzio e raccoglie il sangue caduto per propiziare la salute ed il sesso del nascituro. Altre città –stato abitate anche in epoca successiva, come Chichen Itza invece, subirono l’influenza delle altre civiltà e praticarono i sacrifici umani . La cosa non dev’essere proprio così pacifica, ma quando l’ho chiesto alla guida di Chichen Itza lui mi ha detto di si, ed io mi limito ad annotarlo. Ad un certo punto la pratica deve essergli un tantino sfuggita di mano , se è vero che, come ho letto sulla mia guida e come mi ha confermato una delle nostre guide messicane, i signori della guerra si inventarono una finta guerra per procurarsi il materiale umano necessario, senza che i soldati sospettassero niente.
Ci inerpichiamo dappertutto fin dove è possibile. C’è un altro edificio altissimo che non è una piramide, ma una specie di palazzo reale ed è infatti detto il “Palazzo del Governatore” . Da lì si gode una vista fantastica . Nella mia vita, solo Roma mi aveva comunicato una simile sensazione di pienezza per la bellezza di ciò che ci circonda. E dire che conosco benissimo anche Lecce.
Alla fine della visita, la guida ci consiglia un paio di altri siti da non perdere lì vicino. Siccome anche Marina è decisamente euforica per quanto abbiamo visto , sulle ali dell’entusiasmo cerchiamo un posto per fare benzina e ci dirigiamo a Cabah. Non ci viene neppure in mente di perdere tempo a mangiare. Questa volta la guida è un ragazzo indio che si mostra molto fiero delle sue origini e parla dei problemi sociali suoi e della sua gente. Legge un’iscrizione come doveva suonare nella lingua maya. E’ una stele moderna, perché i Maya non avevano un alfabeto e scrivevano su papiri dei geroglifici che non sono stati ancora decifrati. Ma la lingua Maya, od almeno il suo dialetto moderno, è parlata ancora dagli indios, e suona molto gutturale ed aspirata, tipo i cattivi di “Indiana Jones alla ricerca della pietra verde”.
Alla base della grande piramide c’è un poderoso fallo di pietra , evidente simbolo di fertilità. La scalinata che porta alla sommità della piramide è molto stretta. La guida ci spiega che i gradini sono stati costruiti in questo modo perché chiunque salisse fosse costretto a camminare in obliquo senza guardare il personaggio sulla sommità in modo diretto, e senza dargli le spalle durante la discesa .
Anche qui ovunque si ripete la passione maniacale per i numeri , le congiunture astronomiche ed i simboli della fertilità, con numerosissime riproduzioni similari a quella collocata alla base della piramide, incastrate talora nelle orecchie di facce umane, talaltra nella “sede di elezione”. La guida ci spiega che ai fanciulli di stirpe regale era uso deformare la testa tenendola stretta tra due assi di legno. Naturalmente non riesco a tenermelo per me, e gli racconto che alla Mostra “Roma e i Barbari” di palazzo Grassi è documentata esattamente la stessa usanza, più o meno nello stesso periodo.
Al ritorno, rapida escursione a Merida, città di stampo coloniale con un rimarchevole mercatino dove compriamo due bassorilievi low cost , e rientro a Cancun. Pagato il pedaggio dell’autopista, Marina sbaglia un bivio e ci ritroviamo di nuovo dentro l’autopista con la benzina in riserva e il primo benzinaio a 180 chilometri. Non è un bel momento. Marina prega ma intuisco che se potesse mi strozzerebbe sul posto. Riusciamo per miracolo a ritrovare una deviazione e tornare indietro, ma ormai sono le 10 passate e il ristorante dell’albergo è chiuso.
Perciò cena ad un fast food messicano abbordabile ma un po’ piccante. Nanna che domani è un altro giorno. Giornata indimenticabile.
Lunedì 28.04.2008 Isla Mujeres Stamattina gita col catamarano all’Isla Mujeres. E’ un’isola tra la laguna di Cancun ed il mare quest’ultimo , impraticabile per via dei pescecani. La laguna ha dei colori graziosi: sembra preciso il basso Adriatico quando c’è lo scirocco, ma lo snorkeling e’ sempre bellissimo. Marina dice che sul Mar Rosso c’è più varietà ed i pesci sono più colorati, ma pazienza. Condividiamo il catamarano con i soliti americani che sbevazzano all inclusive pure qui. Dopo un’oretta di snorkeling gironzoliamo per il paesino sull’isola. Per dare l’idea, somiglia molto a Burano, ma i colori sono più violenti e la miseria più palpabile. Pranzo in un localaccio con orchestrina e relativa foto ricordo e subito dopo passeggiata sull’isola. Vorremmo noleggiare una delle macchinine che affittano qui , ma come al solito non abbiamo abbastanza soldi e optiamo per una passeggiatina sulla spiaggia dei pescecani. Quella della cronica mancanza di soldi va spiegata: io avevo portato prevalentemente contante, mentre Marina confidava più che altro sulla sua carta di credito. Quando abbiamo deciso di fare cassa comune, io ho iniziato ad anticipare, cambiando i miei euro , mentre Marina non ha mai trovato il modo di cambiare con la carta di credito, dato che con questo sistema si cambia solo in banca. Morale, in capo a quattro giorni ci siamo ritrovate senza quasi più contante, ed abbiamo fatto le pezzenti per tutto il viaggio, compresi i vù cumprà di Chichen Itza. .
Torniamo sul catamarano: al ritorno, tanto di quel sole da diventare viola Almeno io, Marina è baciata dal sole. . Gli animatori costringono su base più o meno volontaria i gitanti ad un rituale tribale : sedersi a pelo dell’acqua su di una fune assicurata ad un paracadute e farsi tirare su rollando per aria. Marina accetta il rito e si diverte un mondo. Mentre sta nuotando per risalire in barca, le dico che non sono riuscita a fotografarla perché le batterie nel frattempo si sono scaricate. A momenti affoga per il dispiacere. Naturalmente è uno scherzo. La sera bagno nella spiaggetta così e così di fronte all’hotel , doccia , trucco, parrucco e spettacolo caraibico nell’albergo. Le ballerine sono incredibilmente belle e brave. Poi si elegge Miss Cozza che naturalmente è nordamericana.
Nanna presto che domani è un’altra giornatina. Martedì 29.04.2008 Chichen Itza Sveglia con le galline. Se Dio vuole, anche stavolta siamo riuscite a farci prelevare dal pullman giusto . In viaggio per Chichen Itza il tempo è così e così.
La prima tappa è il bagno nel cenote vicino a Valladolid. Ci hanno spiegato che questi cenote sono delle pozze d’acqua dolce a cielo aperto dovute alla natura calcarea del terreno.
Sono molto preoccupata: temo di essere calata da un indio giù per una fune per 70 metri, in un pozzo buio e mal frequentato. Invece, scampato pericolo: il cenote è maestoso e bellissimo, c’e una comoda scalinata , l’acqua è limpida anche se un po’ fredda, la vegetazione tutto intorno lussureggiante.
E poi, non guasta la presenza di bagni, docce e spogliatoi pulitissimi.
Si pranza in un tipico locale per turisti, da brave galline ovaiole con i nostri braccialetti d’ordinanza. Il vitto non è granchè. Marina cerca consolazione in una bella insalata di pomodori e cipolle. Scopre troppo tardi che l’ingrediente principale è un chili piccantissimo, e comincia a produrre strani versi ingurgitando acqua e tossendo. La ragazza che sta seduta accanto a me ha fatto la stessa, raccapricciante scoperta e quindi socializziamo con la coppia: lei è polacca, mentre lui è un ex pugile sudanese che , a dispetto di tutto, sostiene di essere svedese. Parliamo del più e del meno in inglese, francese, spagnolo ed italiano.
Ad un certo punto Marina focalizza la sua attenzione su delle graziose bottigliette sparse per i tavoli di un olio che promette d’essere di semi. Io le trovo carine, lei – mia cugina ha una fissazione patologica per i capelli- decide che quell’olio può andar bene per un bell’impacco. Mentre Polonia e Sudan si fanno un sacco di risate, noi stocchiamo nello zaino 2 bottigliette di olio di semi e una di chili verde, quest’ultima come souvenir. La ragazza polacca vorrebbe visitare l’Italia e mi chiede se è pericoloso andare in Sicilia per via della mafia. Le rispondo di no: coi turisti siamo gentilissimi.
Marina si dedicherà al suo impacco quella sera stessa : puzzeremo entrambe di olio di fegato di merluzzo per tutto il resto del viaggio, ma non ho avuto il coraggio di dirle fino a che punto , e lo scoprirà leggendo queste mie memorie. Riguadagniamo il pullman per la seconda tappa: Chichen Itza. Si tratta del sito archeologico più celebrato della zona, e quindi ci deluderà un pochino e decideremo che era meglio Uxmal. Forse è anche vero, sicuramente nel primo caso ha giocato l’effetto sorpresa Comunque, anche questo è un posto spettacolare e mastodontico. Decidiamo che vale la pena staccarsi dal gruppo e prendere una guida in italiano, cosa naturalmente esclusa dall’ ”all inclusive”.
Ma ormai è chiaro che qui “all inclusive” vuol dire che puoi bere tutto quello che ti pare, a parte l’acqua. Comunque quelli per la guida sono soldi spesi veramente bene. Guglielmo è un uomo colto in cui Marina individua una vena paterna: infatti ci dice che ha quattro figli, uno dei quali è un bimbo indio che ha adottato.
Insisto nelle mie saccentissime domande, e Guglielmo risponde sempre in modo competente ed intelligente. Probabilmente i Maya conoscevano la ruota, ma decisero deliberatamente di non usarla , rappresentandosi i problemi sociali che il suo uso in agricoltura avrebbe indotto, spingendo masse incontrollabili di contadini alla disoccupazione. Scienza e religione probabilmente coincidevano (come in Grecia, prima che fosse inventata la filosofia) e il mondo era regolato dai cicli del tempo. Lo yin e lo yian si intersecavano continuamente: bene e male, luce e buio, forza e sapienza. La vita come la natura erano concepite come un’alternanza ciclica di vita e di morte, che preparava una nuova vita. Il serpente simboleggia il costante mutamento . Gli chiedo se questo riferimento alla metamorfosi abbia un legame con le metamorfosi del mondo Romano : mi risponde che metamorfosi qui non è mai cambiamento, perché in questo cosmo tutto ha una collocazione fissa: il serpente rimane tale, anche se rappresenta la vita che si rinnova. Mentre parliamo e visitiamo i vari monumenti, comincia a piovere a dirotto ma Guglielmo ha un ombrello a tre piazze e neanche ce ne accorgiamo.
Il sito presenta caratteristiche sincretistiche tra varie civiltà in particolare Maya e Tolteca. Il monumento più sbalorditivo è una piramide costruita secondo i canoni consueti della numerologia Maya , ma orientata in modo tale, che durante gli equinozi di primavera e d’autunno il sole disegni sulla scalinata laterale un enorme serpente di luce.
Qui i sacrifici umani erano praticati, come testimonia un basso edificio circondato da teschi scavati nella pietra che probabilmente doveva servire a quello scopo.
Poi, il consueto spiazzo adibito al gioco della pelota. Le divinità caratteristiche di questa città sono il Serpente Piumato, e Chac Mool, che rappresenta una specie di tramite tra uomini e dei, Poi c’è un edificio tondeggiante, che pare fungesse da osservatorio astronomico.
Mi colpisce molto una colonna che regge un tempietto ornata di bassorilievi pazzeschi : uno, in alto, che potrebbe essere comodamente scambiato con un tipico bassorilievo romano ed uno, in basso, che dicono potrebbe rappresentare un guerriero “conquistador” . Io parlo a Guglielmo del nostro mare, di quel certo palazzo che somiglia preciso ad una masseria salentina, delle rivolte degli schiavi nell’antica Roma . Lui infatti mi dice che anche i Maya, di tanto in tanto , si ribellavano alle caste dominanti. La lungimiranza politica dei governanti consisteva nel cercare di non opprimere troppo i governati. Spero che non mi prenda troppo x saccente: cerco solo di condividere l’esperienza centrale di questo viaggio. Io che ho sempre creduto nella forza della storia, che cambia gli usi e gli atteggiamenti dei popoli a distanza di qualche chilometro, come spesso succede in Italia, di fronte alle gigantesche rovine di questa civiltà lontana anni – luce dal Mediterraneo mi devo ricredere. I legami sono molto più profondi e sorprendenti delle differenze.
Sarebbe facile concludere che tutto il mondo è paese, ma ho vissuto in 3 città diverse e so che non è detto che sia così. Mi sembra più giusto constatare che condividiamo al 99% lo stesso codice cromosomico, ed inerpicarsi sul crinale della distinzione tra patrimonio comune e differenze culturali, o storiche, o geografiche non è facile. Ritorno, cena in hotel, niente di speciale. Domani è un’altra giornatina.
Mercoledì 30.04.2008 L’incontro con gli indios Stamattina sveglia alle 6. Ingoio un po’ di uova strapazzate e mi precipito fuori dall’hotel, dove ci aspetta un pulmino guidato da Riccardo. E’ un ragazzo di Città del Messico che ha studiato relazioni internazionali e parla un buon italiano. .Gli altri 11 membri dell’equipaggio sono statunitensi. La prima tappa è un cenote. Questa volta l’incubo è preciso alla realtà : ci si deve davvero calare con un’imbracatura assicurata ad una fune tenuta su dall’omino indio. Temo un po’ per le coronarie ed un po’ per la figuraccia, ma faccio il mio dovere. Il tour a seguire prevede canoa ,giungla e fune tesa a spasso sul lago che loro chiamano Tirolese. Faccio tutto, anche se invidio un po’ la signora americana che decide di passare la mano , e comunque non mi diverto granchè. Marina condivide: di tutte le escursioni fatte, questa alla fine è stata la meno interessante. L’unica cosa rimarchevole rimarrà il contatto diretto con la jungla . Lo sbandierato incontro con i Maya nel villaggio sperduto in mezzo alla jungla si concretizza per me e Marina grazie ad una fortunata coincidenza: sbagliamo capanna, ed invece di visitare lo stand dei souvenir, ci imbattiamo nella casa una signora india che convive con svariate galline e un paio di conigli. Manca pressoché tutto, compreso il pavimento, la suppellettile è un focolare al centro della stanza, delle corde su cui sono appesi dei panni ed un rudimentale telaio su cui sta intessendo un tessuto di un verde brillante. E’ estremamente gentile e si fa fotografare. Le lasciamo un euro, senza sapere che qui non cambiano gli spicci. Particolare a cui non avevo fatto caso, ma che resterà immortalato nella foto ricordo, una lattina di coca cola che spicca per terra. Altro contatto diretto con la jungla: ci attardiamo dal gruppo in passeggiata per fotografare un particolare albero, proseguiamo e scopriamo che ci hanno dovuto aspettare perché c’è un grosso serpente arrampicato da qualche parte che ci aspettava pure lui. Decidiamo di soprassedere con le fotografie.
Questo quanto alla Jungla. Quanto alle altre simpatiche attività con corde, funi e connessi mi sembrano più che altro riti iniziatici per ragazzini di tutte le età., di etnia prevalentemente americana Quindi ci dirigiamo a Coba. Francamente, dopo aver visto Uxmal e Chichen Itza , le rovine non ci entusiasmano granchè, anche perché devono essere in buona parte ancora ricostruite. L’edificio più rimarchevole è un’enorme piramide che ci dicono valga la pena di scalare per il panorama impedibile che si gode da lassù : siccome lo fanno tutti, e non c’è motivo per perdersi un po’ di step nella Jungla, ci inerpichiamo sui gradini scivolosi per la pioggia recente con un po’ di timore reverenziale, per constatare che ad attenderci in cima c’è un tempietto insignificante ed il paesaggio già visto della jungla a perdita d’occhio. Rimarchevole la presenza di svariati bambini, chiaramente figli dei turisti di passaggio. Mia cugina, da brava mamma italica, è scandalizzata. Comunque, la discesa è ancora più pericolosa, ma i bambini sono quelli che sembrano divertirsi di più.
Nel viaggio di ritorno cerco di socializzare un po’ con gli americani per fare un minimo di pratica con l’inglese, con risultati incerti. Epilogo tristissimo: arrivate a Cancun, un camion investe un povero malcapitato ad un incrocio. Come sta adesso? Era un padre di famiglia? Guarirà del tutto o no? La giornata si chiude con un flop totale, a coronamento del tutto. Marina dice che non si può lasciare il Messico senza aver ballato la salsa. Dapprima la cosa sembra funzionare benino perché in hotel c’è la serata della salsa, e ci sono un sacco di signore latine un po’ agee’ in piena enfasi tersicorea , tra le quali cerco, senza successo, di mimetizzarmi . Le tipe, infatti, mi guardano chiaramente perplesse. Ma l’animazione rovina tutto sul più bello col solito giochino con ricchi premi e cotillon ed allora cerchiamo un locale fuori. Ce ne hanno consigliati 2: il primo è uno spentorio con tre ragazzine americane che ballano una cosa tutta loro ed il secondo ha chiuso da due anni e adesso funziona come discoteca. Va detto che , per quello che ho visto finora, il colore locale in Messico è un vero disastro. Come dice Marina, qui è tutto in funzione degli americani , e anche i giovani messicani cercano solo di scimmiottarli. Spero che , con la sua salsa, Marina abbia più fortuna a Lecce. Giovedì, 1.05.2008 Tulum: io te vurria vasà Oggi le mete sono Tulum e Xel-Ha. Fuori dai denti: siamo stufe di svegliarci ogni mattina all’alba e non vediamo l’ora di guadagnarci il giorno finale, in cui abbiamo programmato lo stravacco totale. Nel pullman la solita aria condizionata da autunno canadese (meno male che, prudentemente, mi ero portata una collezione di giacchette stile sera di tramontana sul basso Adriatico). Nessuna di noi due si aspetta gran che. Perciò l’impatto con Tulum è da perdere il fiato. Il posto è stupendo, con le colline (di solito lo Yucatan è completamente piatto) punteggiate di palme su cui si adagiano rovine a perdita d’occhio. .Qui adoravano un Dio Discendente, la cui effigie è dappertutto, e le facciate dei templi sono rivolte verso il tramonto del sole. Poi c’è un piccolo tempio costruito su due livelli in epoche diverse con l’immagine di una donna che sta partorendo. Il posto è veramente fantastico, l’unica ombra è che l’”all inclusive” non includeva come al solito che due italiane gradissero capire le spiegazioni in modo accettabile, e non cercando di raccapezzarsi più o meno col riassunto delle giornate precedenti. Il bello è che qui tutti pretendono la mancia (la propina, come la chiamano qua) Alla fine della corsa lo faranno anche questi signori. Faremo elegantemente finta di non capire, e “Buona Sera” a tutti. Terminata l’escursione guidata, scopriamo la spiaggia bianchissima, con un mare dai colori fantastici su cui si affacciano a strapiombo le rovine. Io e Marina siamo in fibrillazione.
Marina ne approfitta per fare il bagno, mentre io vorrei riuscire a catturare tanta bellezza nei ricordi e darle un senso. L’unica cosa che mi viene in mente è di correre indietro a riagguantare lo zaino per scattare un po’ di fotografie, che comunque non rendono l’idea. Vorrei tornare domani ad accarezzare con calma questo mare , ma purtroppo siamo troppo stanche, e tocca fare le turiste mordi e fuggi. Perciò ci tocca correre, trafelate e ancora in costume da bagno , per non perdere l’autobus. Francamente sono molto a disagio , ma lo faccio. Dopo un breve viaggio di trasferimento arriviamo a Xel-ha. Il posto è incantevole: una laguna immersa nella jungla dove si praticano lo snorkeling ed un sacco di altre americanate di vario tipo. La guida parla solo spagnolo e la capiamo per sommi capi , ma il posto è talmente ben organizzato che riusciremo ad arrangiarci lo stesso. Subito un’ora di snorkeling: resto incantata ad esplorare quella natura fantastica e prepotente , così diversa dalla nostra. Adesso c’è tutto il tempo di fluttuare liberamente immaginando di accarezzare quelle creature dai colori fantastici che si muovono indifferenti tra frotte di turisti che schiamazzano a pancia in su. Nella testa una vecchia canzone napoletana: io ve vurria vasà . Poi mi torna in mente che siamo nella jungla, che il pesce grande mangia quello piccolo, che la ricerca dell’armonia con la natura è uno splendido stato d’animo, ma non sempre è lo spinotto giusto per collegarsi con la realtà. Ci tuffiamo, mangiamo qualcosa ad un self service, ci rituffiamo per altre due ore. Unico neo, la musichetta del ristorante che ci insegue implacabilmente dappertutto.
La sorpresa è alla fine della laguna, sotto il pontile che la separa dal mare: ci sono dei pesci enormi, i predatori. Io li trovo inquietanti e pure bruttini , Marina invece si entusiasma e torna a rivederli. Fine della gita, doccia, trucco e parrucco e poi puntata al Coco Bongo, discoteca strafamosa di Cancun che, naturalmente, non possiamo perderci. Qui si può pagare con la carta di credito. Ad indicarci la fermata dell’autobus x il Coco Bongo è un nanetto, che poi si avvia proprio verso il locale.
Ci aspettiamo di trovare la solita struttura faraonica, ed invece il locale non è niente di che.
E’ una specie di bolgia rettangolare, in basso la fossa dei leoni, in alto la cabina del dj dalla quale si proietta su di un telo teso sulla parete opposta la parte filmata dello spettacolo. Il telo, sollevato di quando in quando, lascia il posto ad un palcoscenico dove ragazze stupende e seminude ballano a tema . In alto, sui due lati rimanenti, si allungano dei ballatoi dove siedono o ballano i guardanti e quelli che vogliono farsi guardare. All’improvviso, dal soffitto, spettacoli di trapezisti dai corpi fantastici che si arrampicano su grandi teli bianchi o volteggiano dai trapezi. Anche il nostro nanetto si merita un posto nello spettacolo. Si rappresenta il Mito, dalle origini del Cristianesimo a Madonna, Elvis Presley, Freddy Mercury, Shakira e quant’altro. Gli spettatori danzanti rendono onore a questi miti della civiltà dell’Immagine e propongono l’Immagine di sé stessi ai presenti. Verrebbe da dire, il tempio del culto pagano al narcisismo. Lo strano miscuglio tra discoteca e spettacolo cantato e danzato comunica l’idea del teatro , dove sei parte di una liturgia collettiva.
Il tono del racconto è graffiante.Per lo meno, io questo ho percepito.
Con il suo fluido misteriosissimo, invece Marina riesce a: 1. farci collocare in vista su uno dei due ballatoi; 2. arrangiarci una birretta anche in quel caos infernale; 3. farsi invitare ad esibirsi sul palco centrale, cosa che evita perché io mi vergogno, ed anche lei teme di ballare meno sciolta.
Anch’io, comunque, ho il mio momento di gloria: ad un certo punto, mi si presenta accanto Spiderman con tuta, fune e tutto e mi chiede se posso fare una foto di nudo integrale con lui. A questo punto temo di aver esagerato con la birretta. Due tapiri messicani cercano di abbordarci, poi desistono credendoci evidentemente sposate tra di noi.
Esaurito l’effetto della birretta, ci ritiriamo in buon ordine con la testa ovattata dal rumore assordante della discoteca.
Sono le tre di notte passate. Sull’autobus il guidatore fa lo spiritoso fingendo di non farci pagare il pedaggio e poi pretendendolo. Schiamazzi e risate dei chicanos a bordo . Un signore sulla 50ina, biondo e belloccio, chiede di cederci il posto e si comporta, insomma da gentiluomo. E’ sudafricano e dice di essere incantato dal mio nome. Ha al suo fianco una bella ragazza sorridente , che ci presenta come l’amore della sua vita, ed in mano una lattina di birra. Gli dico, a mò di giustificazione per l’incidente di prima, che i Messicani, in genere, sono molto gentili. Mi risponde che lui lavora lì da 8 anni e che i Messicani non sono gentili per niente. In effetti io e mia cugina cominciamo a condividere la teoria che girare il mondo è bello anche per potersene poi tornare a casa propria. Riusciamo a riguadagnare il nostro albergo. Finalmente nanna a volontà.
Venerdi’, 2.05.2008 L’ Epilogo ed i ringraziamenti finali. Giornata dedicata al meritato stravacco, sveglia tardissimo (almeno per quanto mi riguarda, perché Marina nel frattempo si è già fatto un bagno con passeggiata sulla spiaggia e chiacchierata con nativi) , sole ma “con juicio” , che qua è tutt’altra cosa rispetto al sole dell’Italia , pranzo con calma in hotel e poi pomeriggio per preparare i bagagli e fare un po’ di shopping nel mercatino messicano del centro con le stupende ceramiche dell’artigianato locale .
Cena e spettacolo di folklore messicano in albergo. Preso quasi alla fine ma quanto basta per annoiarci il giusto. Insomma, abbiamo fatto del nostro meglio per rendere questa vacanza indimenticabile.
A questo punto, 3 ringraziamenti speciali: uno a mia cugina per aver reso possibile tutto questo ed essersi sorbito il quotidiano canovaccio delle nostre memorie; il secondo a Loretta per avermi suggerito questo sgangherato diario di bordo, ad imperitura memoria delle nostre epiche gesta. Il terzo all’Altissimo per essere riuscite a sopravvivere allo sprezzo del pericolo dei conducenti d’autobus messicani.
Tulum