Messico e Belize
Prendiamo possesso delle nostre stanze e poco dopo iniziamo la nostra esplorazione di una delle città più grandi del mondo.
Data l’ora abbiamo pure fame!!! praticamente ci fermiamo nel primo posto che troviamo: un ristorantino nelle vicinanze dell’albergo. Cominciamo a fare conoscenza con la cucina messicana: tortillas, burritos, guacamole ecc… I più coraggiosi provano l’agua del melon (che contro tutte le indicazioni che abbiamo ricevuto in patria non proviene con certezza da una bottiglia chiusa) A questo punto possiamo iniziare la nostra esplorazione della città.
Ci incamminiamo verso lo “zocal”, la piazza principale. Lungo la strada incontriamo la Casa de Azulejos, costruita nel 1596 e decorata con piastrelle in stile spagnolo e moresco ma che in realtà furono prodotte in Cina.
Un altra caratteristica che notiamo subito sono i taxi, non ci colpiscono per il loro numero (anche se non sono pochissimi) ma perché sono tutti vecchi (e anche meno vecchi) maggiolini di colore verde Finalmente arriviamo alla piazza, la prima cosa che vediamo è la Catedral Metropolitana costruita a partire dal 1537 su un antico sito Azteco. La a seguito di cedimenti del terreno, la cattedrale si è inclinata e l’andamento nel tempo di questa inclinazione viene tenuto sotto controllo con un filo a piombo di dimensioni adeguate.
Usciamo dalla Catedral, ormai è tardi (a dire il vero non tardissimo sono le 5, ma tutto qui chiude molto presto) non abbiamo tempo per vedere il Palacio Nacional e i murales di Diego Ravera In compenso facciamo in tempo a vedere un caratteristico mercatino e alcuni personaggi pittoreschi che per pochi pesos tolgono la negatività (in seguito scopriremo che non sono molto efficaci, o che hanno trovato una sfida troppo grossa per le loro forze, ma questa è un’altra storia…) Torniamo in albergo giusto per darci una rinfrescata, poi andiamo a cena nel ristorante che si trova all’interno della Casa de Azulejos. Carino, si mangia bene, caro per gli standard messicani ma non per i nostri (meno di 10 USD a testa). Per stasera ne abbiamo abbastanza, siamo stanchi andiamo a nanna.
8 agosto 2003 Ci svegliamo nel nostro alberghetto di Mexico City, il programma della giornata prevede la visita al Museo Nazionale di Antropologia, dove potremo farci una cultura sulle civiltà pre-ispaniche.
Dopo una “breve” (non più di un ora per un caffè e una fetta di pane tostato) andiamo a prendere la metropolitana. Dobbiamo riconoscere che la metropolitana di Città del Messico è degna di una grande città moderna: una rete molto estesa e con collegamenti frequenti.
Arriviamo al Museo, (ovviamente essendo venuti apposta entriamo anche…). Che dire… Effettivamente il museo è molto grande e contiene tantissimi reperti delle antiche civiltà americane… Forse, troppi… Dopo un paio di ore personalmente ne ho abbastanza e mi avvio all’uscita… Altri componenti del gruppo sono già li.
Altri, invece si sono fatti affascinare e restano più a lungo. Alla fine ci ricongiungiamo. Fuori dal museo in tanti si guadagnano da vivere attirando l’attenzione dei turisti. Ad esempio i voladores si arrampicano su un lungo palo, avvolgono attorno a un perno centrale le corde che hanno legato ai piedi e, mentre la corda di svolge, scendono lentamente uno di loro allieta gli spettatori suonando il flauto (e non deve essere facile farlo mentre si scende a testa in giù) Tutto attorno è pieno di bancarelle che vendono di tutto: cibo di ogni tipo, dall’hamburger più grasso all’insalata di frutta più salutista. Il tutto ovviamente take away.
Questa non è l’unica attrazione: poco lontano un altro gruppetto improvvisa (beh… Proprio improvvisa non direi, la cosa mi sembra molto organizzata) una danza Inca (o Maya, o Azteca…) insomma!! ballano con delle cose strane in testa!!! Per quello che resta del pomeriggio ci dividiamo… Io mi aggrego al gruppo che andrà a vedere le case di Trotsky (che, come tutti sanno, era un rivoluzionario sovietico) e di Frida (nota pittrice messicana) Le due case, ormai trasformate in musei si trovano nel quartiere di Coyoacán (chi riesce a pronunciarlo correttamente vince un buono per un ghiacciolo alle cotiche, tipica specialità del luogo).
Ormai si fa sera, nell’avviarci alle stazione della metro passiamo per il cuore di Coyoacán con una piazza piuttosto animata e una serie di localini interessanti, alla fine decidiamo di cenare in uno di questi.
Scopriamo due “ricette” interessanti della cucina messicana: la Chelada (birra e succo di limone) e l’Alambre (non garantisco che si scriva così): carne tagliata a pezzetti, cotta sulla piastra e servita con verdure e formaggio.
Dopo abbondanti libagioni torniamo al nostro albergo andiamo a nanna (certo che non stiamo facendo una gran vita notturna…) domani ci aspetta in nostro primo sito Maya: Xocicalco, 9 agosto 2003 Partiamo di prima mattina, non andiamo con i mezzi pubblici (il sito è abbastanza lontano), decidiamo di accettare l’offerta del corrispondente locale e partiamo con un pullman gran turismo (si fa per dire…) che dividiamo con un altro gruppo di avventure. Il viaggio dura un’oretta (forse qualcosa di più), abbiamo l’occasione di vedere dall’alto la valle di città del Messico.
Arriviamo a Xochicalco, il sole splendi in cielo e fa discretamente caldo, anche se sopportabile, visto che siamo a più di 2000 metro di quota.
Come primo impatto con un sito precolombiano non è male: ci sono templi, piramidi e l’immancabile campo della pelota: un gioco rituale in cui le due squadre dovevano far passare la palla attraverso un anello di pietra senza toccarla con le mani, pare che alle fine della partita ci fossero sacrifici umani fra i giocatori, non si sa bene se fra i vincitori o gli sconfitti.
Xochicalco raggiunse l’apice del proprio splendore fra il 650 e il 700 dC, il monumento più importante è la piramide di Quetzalcóatl ricca di bassorilievi rappresentanti il serpente piumato. Buona parte del sito è ancora sepolta e sono in corso gli scavi per portarla alla luce.
Dopo la visita andiamo a Taxo: una cittadina molto caratteristica arroccata sulla collina. La città è conosciuta in tutto il mondo per la lavorazione dell’argento, infatti ci sono parecchi negozi che vendono oggetti in argento anche a prezzi interessanti. Personalmente, non essendo interessato all’argenteria, ho preferito aggirarmi per le viuzze e i mercatini della città.
Tutto molto bello e caratteristico, peccato che fosse rovinato dalle automobili che passano continuamente per le viuzze strette e tortuose. Qui sarebbe veramente necessario un provvedimento si chiusura al traffico.
La giornata si conclude con una visita a Cuernavaca residenza di Cortes fino al 1540.
Ormai è tradi e sta incomincaindo a fare buio, abbiamo tempo solo per vedere la cattedrale fatta costruire dai francescani (inizio lavori: 1526 dC).
La cattedrale sorge all’interno di un recinto di mura, abbiamo giusto il tempo di fare qualche foto e di fare un giretto sul tetto della cattedrale da cui si ha una visione di (quasi) tutta la cittadina.
La sera ceniamo in un posticino tranquillo tranquillo, semplice semplice vicino all’albergo.
Nel fare due passi dopo cena riusciamo a farci regalare pasticcini e biscottini dai commessi di una pasticceria del centro (che forse volevano fare un dispetto al loro capo) e,per concludere in bellezza, allungando una piccola mancia a custodi, andiamo all’ultimo piano della Torre del Mexico.
Lo spettacolo è di quelli mozzafiato: sotto di noi si estendono a perdita d’occhio le luci di una delle città più grandi del mondo. Impressionante sopratutto l’aeroporto: un tempo era in campagna, adesso gli aerei atterrano in un “corridoio” all’interno dell’abitato.
10 agosto Teotihuacàn; questa è la nostra meta per la giornata di oggi! Il governo messicano mette in palio un premio in denaro per gli stranieri che riescono a pronunciarlo correttamente :-)) Questa volta il sito non è lontano del centro della città, per cui decidiamo di usare i mezzi pubblici, con la metro raggiungiamo la stazione “nord” degli autobus (un po’ come nel monopoli). Il viaggio in metropolitana è un po’ tormentato: in men che non si dica spariscono un portafogli e un paio di occhiali da sole, ci fermiamo per provare a fare denuncia, ma si riverrà un tentativo vano. Comunque! Arrivati alla stazione nord compriamo i biglietti e saliamo sull’autobus. Il bus è popolato da messicani che nella maggior parte dei casi vanno come noi a Teotihuacàn per trascorrere la domenica.
Il viaggio dura circa un ora. Le guide dicono che la domenica non si paga, in realtà le casse sono attive e funzionanti a pieno regime, forse varrà solo per i locali!. Comunque vale la pena di pagare i pochi pesos del biglietto di ingresso, il sito è enorme, niente e che vedere con Xochicalco che abbiamo visto ieri (per fortuna lo abbiamo visto prima, altrimenti saremmo rimasti delusi).
Appena entrati veniamo subito assaliti dai venditori di souvenir e di oggetti di ossidiana, conduciamo lunghe ed estenuanti trattative e alla fine molti componenti del gruppo se ne andranno con il loro ricordino (più o meno pesante).
Oggi prendiamo contatto con la realtà del Messico: dopo i furti in metropolitana comincia a colpire anche la “maledizione di Montezuma”, abbiamo le prime due vittime (in seguito questi tutti verranno colpiti a turno e la cosa sarà uno dei principali argomenti di conversazione).
Spiccano su tutto le piramidi del Sol e della Luna. La piramide del Sol è la terza al mondo in ordine di grandezza, misura 222 m di lato alla base ed è alta 70 m. E’ domenica e molti messicani si affiancano ai turisti stranieri nella visita al sito, la fila per salire in cima alla piramide è lunghissima!!!, però il panorama dell’alto deve essere favoloso, dico deve perché sono rimasto sotto in compagnia di Montezuma :-((( Sopra di noi il sole spende nel cielo e anche se non fa eccessivamente caldo (siamo a 2300 m di quota) “picchia” parecchio, ce ne accorgeremo alla sera. Da segnalare che in tutta l’area, enorme e meta di migliaia di turisti, non c’è un bar o un baracchino che venda panini all’ingresso ci sono un po’ di negozi di souvenir, un ristorante di livello elevato e niente altro; fiutiamo il business e meditiamo di trasferirci qui a vendere piazza e piadine!!! Dopo la visita prendiamo un altro autobus andiamo a vede la Cattedrale di Nostra Signora di Guadalupe (venerata da tutti i messicani). In realtà si tratta di tre chiese vicine, il luogo è pieno di devoti. Intanto il tempo è cambiato e sta cominciando a piovere.
Ci rifugiamo in albergo e ci prepariamo per la serata. Pare che in Piazza Garibaldi ogni sera ci sia qualcosa di veramente caratteristico: i Mariachi.
Andiamo in Piazza Garibaldi (è veramente vicinissima al nostro hotel, ci arriviamo a piedi in 10 minuti). Rimaniamo sorpresi della vitalità della zona che contrasta parecchio da quelle circostanti, abbastanza “sonnolente”.
Finalmente vediamo i Mariachi: sono uomini vestiti col tradizionale costume messicano (quello che si vede nei film di Zorro, tanto per dare un’idea), ognuno col suo strumento, pronti a fare serenate “su commissione” Per la cena entriamo in una specie di mercato coperto, pieno di ristorantini semplici e carini. Ne scegliamo uno a caso e ne restiamo soddisfatti: si mangia bene con una spesa minima. Fuori si scatena un temporale, ne approfittiamo per farci qualche giro di teqila e per farci suonare qualcosa da un gruppo di Mariachi.
Continua a piovere, usciamo, la piazza è molto meno animata di prima, me riusiamo comunque ad assistere a una dichiarazione d’amore con tanto di regalo di anello e accompagnamento musicale da un ragazzo alla sua bella. Le donne del gruppo si commuovono fino alle lacrime…
Dopo queste emozioni, e considerando che non vuole smettere di piovere, ce ne torniamo in albergo.
11 agosto Questa mattina ci alziamo presto: oggi dobbiamo prendere il volo per il Chapas e ancora non abbiamo visto i murales di Diego Ravera, una delle maggiori attrazioni di Città del Messico. Partiamo subito alla volta del Palacio National, abbiamo giusto il tempo per dare un’occhiata. Diego Ravera ha rappresentato tutta la storia del Messico, a partire dalle civiltà precolombiane, in una serie di murales sulle pareti del Palacio National. Ogni elemento ha un significato, e occorrerebbe un po’ di tempo per comprenderli a fondo, ma non lo abbiamo: abbiamo un aereo da prendere.
Torniamo all’aeroporto e, dopo poco più di un ora di volo attiviamo a Taxla Guitiérrez, capitale del Chapas. La prima cosa che ci colpisce appena sbarcati è il caldo: un caldo umido che ti si attacca addosso. In seguito uno degli argomenti di discussione sarà il confronto con il caldo dell’estate padana: secondo alcuni non c’è differenza, solo che non siamo abituati a passeggiare per la pianura padana nelle ore più calde del giorno… Il dibattito resta aperto.
Comunque! Tornano a noi: conosciamo subito il corrispondente locale che dovrebbe, e dico dovrebbe gestire il nostro tour per Chapas e Yucatan. Non ricordo di preciso il nome, ma data l’assonanza e la figura un po’ losca lo ribattezzeremo Pablo Escobar. Conosciamo anche il nostro autista: lui è un bravo ragazzo, si chiama Sergio che il spagnolo di pronuncia “Serghio”.
Come dice anche la Lonelyplanet, a Taxla Guitiérrez non c’è molto da vedere: pariamo subito alla volta di San Cristobal de las Casas.
Durante il viaggio facciamo sosta al Canon del Sumidero, una spaccatura fra le montagne, in cui è stato costruito un lago artificiale. Saliamo su una lancia a motore e partiamo (ad alta velocità) per la visita guidata: il luogo abbonda di flora e di fauna (coccodrilli, scimmie, aironi, cormorani e altro..). In alcuni punti le pareti di roccia sono alte più di mille metri sul livello dell’acqua e pare che molti indios si siano buttati di qui pur di non cadere nelle mani dei conquistadores spagnoli. Il tour finisce con la diga, alta 260 m, costruita al termine del lago per la produzione di energia elettrica: l’impianto in fondo alla valle produce una buona parte del fabbisogno di elettricità di tutto il Messico.
Riprendiamo il nostro viaggio, come sottofondo musicale abbiamo l’ultimo album di Ramazzotti nella versione spagnola!!! Come dice la bibbia Lonelyplanet; “la statale 190 da Taxla Guitiérrez sembra salire all’infinito…” effettivamente il viaggio è lungo e San Cristobal è a 2100 m di quota (almeno non soffriremo il caldo). Arriviamo a destinazione abbastanza tardi, ci “appoggiamo” in albergo e andiamo a cercare la cena: dopo avere rifiutato (in maniera abbastanza discutibile) una “trappola per turisti” prenotata da un tirapiedi di Pablo Escobar cadiamo in un’altra trappola (dalla padella alla brace) d’altronde il paesino molto carino, ma anche molto “ritrovo di turisti occidentali”.
Comunque anche stasera andiamo nanna presto: domani saremo noi a svegliare il gallo e non viceversa!!!! 12 Agosto Siamo nel cuore del Chapas, ci hanno avvertito che le persone non amano essere fotografate, e in particolare qui vale questo avvertimento. Per non cadere in tentazione lascio la macchia fotografica sul pullman (faccio male perché una foto alla piazza e alla facciata delle chiesa di poteva fare).
Appena scendiamo del pullman veniamo letteralmente assalti da bambini che vendono catenine e altri ammennicoli e dicono continuano a ripetere “dopo”, “dopo”????.
Il gruppo è arrivato alla seguente interpretazione: tutti i turisti italiani presi d’assalto cercano di difendersi dicendo “dopo” e i bimbi sono convinti che questa sia una forma di saluto o qualcosa di simile… Tutti i bambini si presentano con nomi italiani (faranno lo stesso anche con i turisti di altre nazionalità??) Comunque! tornano a noi: l’attrazione principale di Sal Juan Chamula è la “il templo”: la chiesa principale del paese. Qui religione cattolica e riti pagani si fondono in qualcosa che ha poco a che vedere con la religione come la intendiamo noi.
L’interno della chiesa è spoglio, vicino alle pareti si sono statue di santi con persone il preghiera… Solo che in questo caso la preghiera contempla sacrifici di polli, candele accese sul pavimento coperto di paglia (stupisce che la chiesa non sia ancora andata a fuoco) e rutti! Si avete capito bene: rutti.
Secondo la religiosità del posto ruttare aiuta ed espellere ed allontanare gli spiriti negativi, per cui i fedeli del posto bevono miscele di rum e coca cola (praticamente cubalibre) che in questa operazione di “espulsione”. E’ veramente impressionante vedere questa miscela di riti pseudocristiani e icone “global”.
Usciti dalla chiesa non possiamo resistere all’assalto dei bambini e tutti compriamo catenine, braccialetti e portachiavi.
Seconda Tappa della Giornata è San Lorenzo Zinacantàn. Altro paesino nel cuore del Chapas, altra assalto di bambini, altra chiesetta. Questa però, la “iglesia de San Lorenzo” è più “canonica” e si distingue per l’esplosione di colori al suo interno.
Torniamo a San Cristobal, abbiamo un po’ di tempo per un giretto sul mercato e per scegliere un posticino dove cenare. Questa volta caschiamo meglio, nel senso che non è la solita “trappola per turisti italiani”, mangiamo bene con poca spesa e alla fine della cena veniamo allietati da un gruppetto che si ci canta dal vivo alcune canzoni tipiche.
Nel dopocena andiamo a vedere una vera “fiesta mexicana” la fiesta è veramente mexicana, nel senso che siamo gli unici turisti e veniamo guardati in cagnesco… Preferiamo andarcene…
13 agosto Anche stamattina partiamo all’alba (forse anche un po’ prima), lasciamo il Chapas e ci dirigiamo verso lo Yucatan, si prospetta una giornata di viaggio che ci poterà fine a Palenque.
Data l’ora non abbiamo tempo per la colazione (non c’è ancora niente di aperto), Sergio (l’autista) ci promette di fermarsi lungo la strada.
Dopo quasi due ore di viaggio arriviamo all’agognata sosta colazione: siamo in un luogo indefinito fra le montagne del Chapas, attorno a noi la foresta si tende a perdita d’occhio, c’è solo questo villaggio formato da poche case e la “cooperativa delle donne zapatiste”. Di tutti i locali in cui abbiamo pranzato o cenato (anche nel prosieguo del viaggio) questo è quello meno turistico, non ancora raggiunto dal progresso e vicino alle origini del popolo indio. Mangiamo tortillas cotte su un fornello a legna accompagnate da marmellata e caffè. Il tutto si protrae per un po’ di tempo (le tortillas sono preparate sul momento), la breve colazione richiede più di un’ora, ma ne vale la pena: è un’ora spesa a contatto con i veri abitanti di questa parte del Messico.
Riprendiamo il viaggio, cominciamo a scendere dalle montagne e arriviamo alle famose e tanto decantate cascate di agua azul: “dove decine di cascate di un bianco abbagliante precipitano in specchi d’acqua turchesi incorniciati dalla giungla” (cito la Lonelyplanet), purtroppo sempre la stessa guida dice: “il bel color blu dell’acqua che da il nome alle cascate è visibile solo in aprile e in maggio”. Infatti il colore dell’acqua è più vicino al marrone che all’azzurro. Forse per questo restiamo delusi, quello che ci colpisce maggiormente del luogo è la miriade di venditori di frutta che offrono la loro mercanzia un po’ ovunque. Siamo scesi parecchio di quota e cominciamo a sentire il caldo umido che ci accompagnerà per il resto del viaggio.
Ripartiamo alla volta di Palenque (il viaggio è ancora lungo), però abbiamo il tempo di fare una deviazione a una sosta a Misol-Ha: una cascata che precipita in un laghetto circondato dalla giungla. Oltre ad ammirare il panorama (già di per sé molto meglio di quello di Agua Azul) abbiamo anche il tempo per un bagno rinfrescante nel lago.
Quando arriviamo a Palenque il sole sta ormai tramontando. Siamo letteralmente in mezzo alla foresta, il buon Pablo Escobar ha fatto un po’ di confusione nella prenotazione dell’albergo e praticamente non c’è posto per noi… Per queste due notti dovremo dividerci. Per concludere in bellezza la serata, dopo una lunga passeggiata per il paese e dopo avere scartato a turno tutti i locali presenti, andiamo a mangiare hamburger in un chiosco lungo la strada.
14 agosto Un’altra partenza all’alba: alle 6 in punto il pullman ci aspetta per la partenza (pare che viaggeremo scortati dalla polizia!!!). Questa volta il nostro autista ci scarica per la colazione in un luogo semi-industriale tipo autogrill. Si vede che qui siamo più vicini alla “civiltà”. Riprendiamo il viaggio: di scorta della polizia neanche l’ombra, ma Sergio dice che non c’è da preoccuparsi.
Percorriamo chilometri e chilometri su una strada “scavata” nel folto della giungla. Alla fine arriviamo a Yaxchilàn: o meglio arriviamo all’imbarcadero da cui partono le lance che ci porteranno lì. Siamo sul Rio Usumacinta; il fiume che segna il confine fra Messico e Guatemala, prima di salire sulla lancia ci controllano i passaporti. Il viaggio in barca dura quasi un ora, sempre fra due muraglie di vegetazione che delimitano il fiume. Alla fine sbarchiamo all’agognata meta. Il sito è molto particolare: piramidi e templi Maya stavano diventando un tuttuno con la giungla quando sono stati scoperti e riportati alla luce. Altra caratteristica del sito sono le scimmie urlatrici: sdentiamo costantemente le loro grida e riusciamo anche a vederle saltare da un albero all’altro, tento qualche foto ma i risultati saranno scarsi. Riprendiamo le lance e ci rifacciamo un oretta di navigazione fra la giungla, avvistiamo anche qualche coccodrillo e altre amientà simili.
Riprendiamo la via di casa non senza una sosta a Bonampak, sarà una vista molto breve (anche qui i siti archeologici chiudono molto presto la sera), giusto il tempo per una scalata alla piramide e qualche foto. Qui abbiamo un contatto con i Lacandones, discendenti degli antichi abitanti di questa foresta (la foresta lacandona appunto), pare che fra loro abbondino sacerdoti e sciamani (anche in questo caso il loro poteri si dimostreranno insufficienti…).
Riprendiamo la via del ritorno (la Carrettera Foronteriza, aperta solo dal 2000) e arriviamo Palenque in tempo per una doccia e la cena (vista l’esperienza di ieri questa volta scegliamo un ristorantino vicino a all’albergo).
Domani finalmente vedremo il sito archeologico di Palenque e poi proseguiremo il nostro viaggio alla volta di Campache, sul mitico mar dei caraibi!!!! 15 agosto Questa mattina ci aspetta la visita al sito di Palenque, uno dei più grandi siti Maya (quasi 500 edifici sparsi su una superficie di 15 chilometri quadrati, tuttavia molti di questi devono ancora essere riportati alla luce.
Come al solito partiamo presto ed arriviamo al momento dell’apertura dei cancelli. Gli edifici e le piramidi sono ancora avvolte nella nebbia generata dall’umidità della giungla che li circonda, uno scenario molto suggestivo.
Decidiamo di prendere una guida per orientarci in questo intrico di edifici, però il “personaggio” che abbiamo scelto si dilunga nell’illustrarci e darci dimostrazione dei collegamenti fra Maya, antiche egizi ed extraterrestri piuttosto che a spiegarci la struttura e l’architettura del sito… Vabbè forse sarebbe stata meglio la solita bibbia Lonelyplanet. Fra l’altro il tempo a disposizione era molto poco e, dopo la visita guidata abbiamo dovuto quasi correre per raggiungere l’uscita, peccato sarebbe stato bello trascorrere un po’ più di tempo gironzolando fra questi antichi edifici immessi nella giungla.
Ripartiamo (non senza avere aspettato qualcuno colpito da Montezuma), ci aspetta un altro lungo viaggio fino a Campeche, oggi finalmente vedremo il mare. Sergio ci promette un pranzo di pesce in riva al mar dei carabi, per cui aspettiamo con pazienza di arrivare in questo luogo delle maraviglie.
Finalmente ci siamo!!! (sono ormai le tre del pomeriggio): il posto assomiglia molto ai ristorantini con veranda sul mare che abbiamo anche in Italia, il mare dei Carabi è effettivamente molto scenografico e per quanto riguarda il pesce, per il quale abbiamo atteso tanto e che non vediamo l’ora di assaporare… Beh… C’è un posto a Fregene dove si mangia molto, molto, molto meglio… Rimaniamo decisamente delusi, vabbè, sarà per la prossima volta, tanto ormai siamo al mare.
Riprendiamo il viaggio e arriviamo a Campeche nel tardo pomeriggio, si tratta di una cittadina coloniale in cui si riconoscono i tratti spagnoli. Le vie sono piccole, il nostro bus non riesce ad arrivare fino all’albergo, ci accingiamo a fare un pezzettino a piedi quando la polizia locale si offre di accompagnarci… Così facciamo il nostro arrivo trionfate sulla camionetta della polizia!!!! L’albergo è molto carino, un antico edificio in stile coloniale con le porte delle stanze che danno direttamente su un ampio salone.
La sera facciamo una passeggiata in paese, prendiamo un drink su una terrazza che si affaccia sulla piazza principale, chi assaggia la pinacolada dice che è una delle migliori al mondo. Incontriamo i primi venditori di amache, per il momento rimando l’acquisto, ma prima di lasciare il Messico voglio comprarne una!! 16 agosto Questa mattina partiamo alla volta di Uxmal, l’ennesimo sito Maya (ormai comincio ad averne abbastanza e mio sembrano tutti uguali) anche il resto del gruppo sembra abbastanza “saturo”, l’attrazione principale è la grande piramide, dalla cima si ha un panorama molto interessante: un mare di vegetazione dal quale emergono delle “isole” che altro non sono che i vari edifici costruiti dai Maya. Il resto della visita si sviluppa principalmente nel pic-nic all’ombra di un boschetto fatto con le cibarie che abbiamo acquistato ieri sera a Campeche.
Riprendiamo il nostro viaggio e arriviamo a Merida: un’altra cittadina (cittadina si fa per dire: 650.000 abitanti!) coloniale, basata su un reticolo quadrato (le strade hanno dei numeri anziché i nomi), abbastanza simile a Campeche.
Questa volta Montezuma colpisce veramente duro, la povera vittima se ne sta in camera con “attacchi” continui e febbre, siamo anche un po’ preoccupati.
Per cena capitiamo per caso in un ristorantino carino, con tanto di accompagnamento musicale dal vivo, anche le pietanza di distinguono in positivo da quelle che abbiamo assaggiato fino ad ora (adesso siamo nello stato dello Yucatan), da segnalare la zuppa Maya.
Giro nei negozietti per turisti e sulle bancarelle del centro, qualcuno compra qualche regalino, io vedo diverse amache interessanti, comincio a interessarmi dei prezzi e delle caratteristiche dei prodotti, ma aspetto a fare l’acquisto. Da notare che qui gli ammennicoli in ossidiana costano molto più di quanto li abbiamo pagati vicino a Città del Messico, qualcuno si compiace di aver fatto un affare.
La serata si conclude con uno spettacolo di artisti di strada sui trampoli che mimano un combattimento fra divinità (non meglio specificate).
17 agosto La meta di questa mattina è il sito di Chichén Itzà, il più famoso e meglio conservato dei siti Maya nello stato dello Yucatan. A mio parere non differisce tantissimo dagli atri che abbiamo visto in questo viaggio. Da notare “EL Castillio”, la piramide che si fa ricordare per la sua altezza e, sopratutto, per quanto sono ripide le scalinate ai suoi lati; su una di queste c’è una corda per aiutare i turisti a salire a scendere.
Salire non è particolarmente complicato (lo facciamo subito, per evitare le ore più calde), scendere effettivamente mette un po’ di ansia. Comunque, adottando la tecnica “a zig zag” suggerita dalla Lonelyplant (riquadro a pagina 1189), riesco a scende senza fare ricorso alla corda e, cosa più importante, senza ricorrere all’imbarazzante metodo di scendere da seduto (cosa che alcuni fanno).
Altro elemento interessante il campo della pelota, molto più grande degli altri che abbiamo visto, di dimensioni paragonabili a un moderno campo da calcio.
Alla fine, colto da panico nell’imminenza della nostra partenza dal Messico, decido di comprare l’amaca, all’uscita del sito ci sono dei negozietti, lo so che sono trappole per turisti, ma temo che non passeremo più per un paese vero e proprio. Tiro il prezzo a 150 pesos, circa 13 euro; avrò fatto un affare? Riprendiamo il nostro viaggio alla volta di Tulum, questa sera alloggeremo nelle “cabanas”, ne abbiamo sentito parlare tanto in questi giorni, pare che siano baracche di legno senza elettricità.
Nel tardo pomeriggio arriviamo alla nostra destinazione, le nostre cabanas sono all’interno di un piccolo complesso, in una fila interminabile di complessi simili allineati lungo una magnifica spiaggia bianca su di un mare turchese. L’alloggio non è poi così spartano: è si una capanna di legno, ma per lo meno abbiamo il bagno, un ventilatore sul soffitto (sul bagnasciuga c’è una brezza deliziosa, ma appena ci si allontana si sente il caldo) e la corrente elettrica, anche se pare che verso mezzanotte spengano il generatore.
Abbiamo comunque il tempo per un’occhiata alla spiaggia e al mare e per un bagno ristoratore.
Non si sono molte attrazioni nella zona, per cui decidiamo di cenare nel ristorante dell'”albergo”. Grosso errore, aspettiamo una vita per mangiare poco e male e pagare tanto (rispetto agli standard cui siamo abituati).
In vista dello spegnimento del generatore tutti in branda presto (d’altronde non c’è molto altro da fare), scopriremo che effettivamente a una certa ora della notte (non proprio mezzanotte, ma un po’ dopo) staccano la corrente. Non ci saremmo nemmeno accorti della cosa se non fosse che il ventilatore a soffitto, ovviamente, funziona a corrente… Ci svegliamo a notte fonda in un bagno di sudore.
18 agosto L’ultimo sito Maya che ci resta da vedere è quello di Tulum, benché ben conservato non meriterebbe segnalazioni particolari se non fosse per la sua posizione. Gli edifici grigio scuro dominano una spiaggia orlata di palme e un mare turchese. Praticamente in biglietto di ingresso è quello di una piscina (e che piscina!!!) e non di un sito Maya, al quale dedichiamo pochissimo tempo. Dedichiamo, invece, molto tempo a esplorare la spiaggia e a fare il bagno in questo mare magnifico. Le foto più che altro hanno lo scopo di illustrare questo magnifico accostamento e devo dire che riescono nel loro intento.Sergo (l’autista) ha caricato la moglie e i due figli a Merida (vivono li) e li incontriamo tutti e quattro sulla spiaggia.
Al ritorno alla nostre cabanas ci aspetta una intensa giornata di lavoro: passeggiate e corse sulla spiaggia, partire a beach volley, nuotate, stare stesi a prendere la tintarella, insomma: una vitaccia!!! Per cena, vista l’esperienza della sera precedente, cambiamo posto e andiamo nel ristorante di un complesso di cabanas vicino, il tutto camminando di notte sulla spiaggia, con la brezza marina e quant’altro.
Cominciamo a fare piani per la nostra permanenza in Belize: pare che le spiagge scarseggino, che abbondino invece le mangrovie con contorno di zanzare e che i prezzi siano moto più alti che in Messico (cominciamo bene). Comunque, vista anche l’esperienza di altri gruppi prima di noi decidiamo di andare a Caye Caulker, un’isoletta non ancora invasa dal turismo di massa.
Purtroppo, questa sera inizia la “piaga” che ci accompagnerà per il resto della vacanza, ma di cui non parlerò ulteriormente in queste pagine…
Dopo un po’ di pazzeggio sdraiati su una amaca in riva al mare andiamo a dormire presto, (sempre per via che non c’è molto da fare), domani dovremo andare in Belize e sarà una giornata pesante… Molto pesante.
19 agosto Oggi niente da segnalare (per lo meno per quanto riguarda le finalità di queste pagine). Lungo trasferimento fra Tulum e Caye Caulker, la nostra meta designata in Belize.
Facciamo sosta per colazione in un tipico villaggio messicano, un luogo molto poco turistico e molto vicino alla realtà vera di questa parte di Messico.
Facciamo una sosta anche a Valladolid un’altra cittadina coloniale, dalla struttura molto simile a Campeche e Merida, basata su una piazza rettangolare su cui si affacciano i principali edifici civici. La sosta è molto breve e non abbiamo tempo di vedere altro.
Il passo successivo è la frontiera, controllo passaporti e visti turistici, attenzione che se lo perdete c’è da pagare una penale. Veniamo salassati per bene fra assicurazioni e tasse di circolazione dell’autobus in Belze.
Pochi chilometri e siamo letteralmente in un altro mondo, il Belize è una ex colonia inglese. E’ rimasta la lingua e tante persone di colore discendenti dagli schiavi. Anche in modo di approcciarsi al commercio (leggi: quello che si trova sugli scaffali dei supermercati) è di stampo anglosassone (leggi: USA).
Arriviamo a Belize City, abbiamo occasione di girarla un po’, non per nostra volontà, ma perché perdiamo la strada per il porto. Qualcuno aveva pensato di fermarsi una notte qui, ma non c’è niente che meriti di essere visto, forse però dovremo restare perché fra tanto girovagare rischiamo di perdere l’ultima barca per Caye Caulker. Finalmente arrivati al porto, riusciamo a prendere la barca, non perché siamo particolarmente abili, ma perché entrando in Belize abbiamo cambiato fuso orario e abbiamo guadagnato un’ora.
La barca non è altro che un grosso motoscafo, (lo chiamano water taxi) senza alcuna protezione dagli agenti atmosferici per i poveri passeggeri. Per fortuna durante questo viaggio il tempo è clemente.
Arrivati a destinazione incominciamo a esplorare l’isola (non ci vorrà molto) e a cercare un alloggio, siamo arrivati un po’ tardi e non troviamo posto tutti nello stesso albergo, per questa notte dovremo dividerci fra diverse sistemazioni. La struttura del nostro albergo (a anche degli altri) è molto simile alle cabagnas in cui abbiamo alloggiato a Tulum: una capanna di legno con un angolo bagno, per lo meno qui non staccano la corrente.
Facciamo un giretto per il paese alla ricerca di un posto dove cenare, tanto per cambiare, andiamo a dormire presto. Domani potremo orientarci meglio.
20 agosto Oggi, dopo tempo immemorabile, non abbiamo da vedere nessun sito Maya!!! Giornata libera di svacco completo che dedichiamo all’esplorazione dell’isola e alla ricerca di alloggio a prezzo contenuto. Non che dove siamo adesso sia caro secondo gli standard europei, ma sappiamo che si può fare di meglio!! Per quanto riguarda l’esplorazione dell’isola, la pratica si sbriga velocemente: la parte abitata e “praticabile” si tende per circa 300 metri per 3 km di lunghezza. Tutto il resto è coperto da mangrovie (saranno altri 5-6 km nella parte nord) come previsto spiagge praticamente niente. Negli anni 50 un uragano ha tagliato in due l’isola creando un canale, abbastanza profondo da consentire il passaggio delle barche, i locali lo chiamano “split”, delimita a nord la parte abitata dell’isola. Qui si trova la cosa che assomiglia di più a una spiaggia: in pratica una distesa di cemento coperta da un velo di pochi millimetri di sabbia.
Il paese è molto piccolo e molto tranquillo, in pratica di sono due vie principali che si chiamano front e rear e alcune traverse che le collegano. Particolarità molto interessante è che in tutta l’isola non si sono mezzi a motore, gli unici veicoli che circolano sono biciclette e quei veicoli elettrici che si usano sui campi da golf. Ovviamente le strade non sono asfaltate ma in terra battuta coperta di sabbia.
Per quanto riguarda l’alloggio troviamo posto (anche se non tutto il gruppo) da Ignazio: il più economico dei posti economici sull’isola, circa 10 dollari USA a testa a notte. Al momento non ci sembra male: almeno per noi cha abbiamo la visita sul mare: una cabana molto spartana su una palafitta alta 3 metri da terra, ma con bagno in camera (una porta a mezza altezza tipo soloon alla John Wayne lo divide dal resto della residenza). Ci piace e il prezzo è giusto, in seguito questa nostra opinione si indebolirà, ma non voglio anticipare troppo.
Per la cena ci concediamo una delle specialità per cui l’isola è famosa: l’aragosta. Troviamo un posticino specializzato, il prezzo è molto interessante: circa 10 USD per un’aragosta con contorno.
Cerchiamo di darci alla vita notturna, ma a parte un unico locale qui alle 10 è tutto chiuso. Amache stasera a dormire presto! 21 agosto: Dopo gli ozi di ieri, oggi ci aspetta un escursione al reef: la barriera corallina. Veniamo tutti forniti di pinne ed occhiali (mancano i fucili per completare la canzoncina) e siamo pronti ad affrontare l’oceano. In realtà non c’è molto da affrontare, la barriera corallina è molto vicina all’isola ed il tragitto in barca è molto breve. Facciamo tre soste in tre diversi punti e ci riempiamo gli occhi di coralli e pesci colorati. Per dirla tutta chi è stato in mar rosso dice che la i colori sono moto più intensi, comunque anche qua non è male.
Tornati al paesello, tanto per fare qualcosa di diverso andiamo allo split. Qui c’è un bar (direi una baracca costruita sulla spiaggia, ma in realtà è una baracca costruita su uno spiazzo di cemento) che si chiama Lazy Lizard e che costituisce il punto di ritrovo per tutti quanti sono sull’isola e non sono impegnati in escursione e uscite in barca.
Rispetto a quanto siamo abituati in Italia qui fa buio relativamente presto: alle 7 il sole è già tramontato e comincia a fare buio, tutta la vita sembra spostata in avanti, alle 10 i ristorantini sono chiusi e non c’è molto altro da fare. A parte la “discoteca”, unico locale aperto fino a tardi e caratteristico per la pavimentazione in sabbia, scopriamo B&B, un altro bar che resta aperto dopo le 11 di sera e fra l’altro anche vicino al nostro lussuoso alloggio.
Il bancone del bar di B&B è al primo piano di un edificio in legno, al posto delle classiche sedie ci sono altalene e amache sparse in un coritle (anche questo pavimentato in sabbia) e su una balconata collegata all’edificio principale dal monkey walk: qualcosa di simile a un ponte tibetano fatto di corde e assi di legno.
Un locale così in Italia farebbe un successone, potrebbe essere un idea.
Comunque arriviamo alla conclusione che a Caye Caulker in questa stagione è molto, molto difficile tiarare oltre la mezzanotte. Vabbé non possiamo farci molto.
22 agosto Anche oggi abbiamo la nostra escursione quotidiana: andremo a Hole Chane (un taglio nella barriera corallina per consentire alle barche di passare dalle isole a mare aperto. A dire il vero non so se questo passaggio sia naturale o sia stato costruito dall’uomo a danno del corallo.
Questa volta abbiamo prenotato una escursione in barca a vela. Anche questa volta veniamo dotati di pinne ed occhiali. Il viaggio è più lungo di quello di ieri, sia perché la meta è più lontana, sia perché a vela si va più piano. Costeggiamo la parte nord dell’isola coperta di mangrovie e praticamente disabitata, a parte alcune case isolate e raggiungibili solo via mare.
Veleggiare è sempre molto bello, abbiamo la possibilità di goderci la crociera, il vento, il sole, la musica regge portata dallo skipper… È brutto pensare che fra pochi giorni dovremo tornare al lavoro e poi arriverà la stagione del freddo, della nebbia ecc… Cerco di scacciare il primo attacco di depressone da fine vacanza. La vacanza non è ancora finita! L’escursione di oggi prevede tre soste: due sulla barriera corallina e una all’hole vero e proprio e il pranzo. Rispetto ieri alcune delle soste sono “guidate” nel senso che anche lo skipper mette pinne ed occhiali e ci accompagna segnalando i punti più interessanti. Così vediamo i cetrioli di mare e facciamo il bagno con le razze (che animali interessanti), passa anche qualche squaletto, ma piccolo, niente di cui preoccuparsi.
Facciamo ritorno all’isola a pomeriggio inoltrato, fra le numerose possibilità che ci si offrono, decidiamo di andare allo split, anzi, meglio, approfittando del canale navigabile la barca ci scarica direttamente li.
Anche questa sera la mondanità lascia un po’ a desiderare, anzi, abbiamo l’impressione che giorno dopo giorno si respiri sempre più un atmosfera da fine stagione.
23 agosto Oggi poco da segnalare, giornata dedicata allo svacco caraibico, ci si trascina lentamente dai nostri lussuosi alloggi presso Ignazio allo split. Il tragitto richiederebbe una mezzora, ma prendendosela calma, alla caraibica, fra soste per la colazione e un’occhiata ai negozi di souvenir, ci si può impiegare anche un paio d’ore.
Incontriamo Alex, il marinaio che ci ha accompagnato nell’escursione al reef e prendiamo accordi direttamente con lui per un’altra gita all’isola dei lamantini e su un atollo di sabbia. Siamo convinti di avere fatto un affare, risparmieremo il costo dell’agenzia!! D’altra parte l’alternativa è rimanere nelle nostre suites da Ignazio: concettualmente le “stanze” sono abbastanza simili fra di loro, baracche (rigorosamente monolocali) in legno più o meno sollevate da terra con palafitte (si va da pochi centimetri e circa 3 metri). Tutte le stanze sono dotate di bagno; un angolo ricavato nel monolocale si dimensioni circa 1,5 metri quadrati che comprende doccia a gabinetto. La separazione con il resto della stanza è “garantita” da una porta tipo saloon sollevata un metro da terra e alta circa 50 cm. Un’ottima garanzia di tenuta agli odori quando si utilizza il gabinetto. Quando preso le camere, Ignazio in persona ci ha assicurato che avremmo potuto lasciare oggetti di valore perché “non entrerà nessuno”. Sapeva quel che diceva: a parte gli affittuari nessuno ha mai messo piede in quelle stanze, non dico per rifare i letti, ma almeno per mettere lenzuola e salviette pulite!! Per il cambio biancheria era necessario recarsi alla “reception” e rivolgersi a Ignazio.
Ah!!! Ultima cosa: l’acqua. Sarà per le ridotte dimensioni dell’isola e la mancanza di un sistema di falde, ma l’acqua utilizzata per scopi sanitari sull’isola di Caye Caulkre ha veramente un odore disgustoso (simile a zolfo), a anche sulle reali proprietà detergenti si potrebbe discutere.
Comunque, per quanto riguarda la giornata del 23 agosto, niente da segnalare: relax e sole. Per le strade (sarebbe meglio dire per la strada) dell’isola continuiamo a percepire un atmosfera da “fine stagione”, ogni sera qualcuno i più dei pochi locali rimane chiuso e la gente diminuisce. Forse è un momento di passaggio fra l’invasione degli italiani d’agosto e qualche altro popolo settembrino. Anche oggi concluderemo la nostra serata moooolto prima di mezzanotte con una pina colada da I&I 24 agosto Stamattina abbiamo appuntamento con Alex, il nostro fiso marinaio che ci accompagnerà a vedere i lamantini e altre meraviglie del mar dei caraibi. Visto che non è coinvolta alcuna agenzia, dobbiamo andare a noleggiare maschere e pinne. Non c’è problema! Alex ci porterà da un suo amico che ci farà un prezzo di favore!! … Devono aver litigato di recente, perché il prezzo non è molto di favore, è maggiore di quanto ci aveva prospettato Alex il giorno prima, e praticamente vanifica i risparmi che abbiamo fatto aggirando l’agenzia.
Beh… Ormai siamo in barca (e abbiamo pure dato un congruo anticipo) per cui partiamo.
Partiamo a spron battuto, e attraversando una serie di canali e insenature una volta frequentate dai pirati, arriviamo all’isola dei lamantini. Motore spento e tutti in silenzio, ma i lamantini sembrano essere molto timidi e riusciamo appena a intravederli.
La seconda tappa è un atollo di sabbia in mezzo all’oceano e devo dire che è veramente uno spettacolo magnifico: la tipica isoletta do sabbia bianca in mezzo al blu del mare, con tre palme in mezzo. Contrariamente a quella del libro di Robinson Crosuè quest’isola è abbastanza affollata di turisti. Peccato che appena arrivati comini a piovere. Il posto migliore dove stare è in mare: non sarà asciutto, ma è più caldo che fuori. Per fortuna il temporale tropicale passa abbastanza alla svelta e possiamo gustarci il nostro pollo alla griglia.
Al momento di ripartire la barca astutamente non noleggiata dall’agenzia ha qualche problema al motore, per fortuna sull’isola ci sono altri navigatori che possono venirci in aiuto (forse la prossima volta sarà meglio passare da un agenzia). Rientro all’isola nel tardo pomeriggio senza niente di particolare da segnalare.
25 agosto “Last night I dreamt of San Pedro…” Già sentito questa frase? Dove? In una canzone? Esatto!! “La Isla Bonita” di Madonna. San Pedro si trova su un’isola, di cui non ricordo il nome, a due passi (in senso metaforico, visto che siamo in mezzo al mare) da Caye Caulker. Ovviamente io l’ho scoperto solo una volta arrivato in Belize (pur apprezzando la canzone non mi ero mai posto il problema di dove fosse San Pedro). In ogni caso, essendo così vicini, non potevamo perdere l’occasione di andarci a fare un giro.
Per lo spostamento usiamo ancora i mezzi “di linea”: veloci motoscafi che i locali chiamano water taxi. Il viaggio dura meno di un ora, e poco prima del nostro arrivo veniamo colti da un forte temporale tropicale, la barca è scoperta e non è piacevole essere colpiti dai goccioloni d’acqua a questa velocità. Ci ripariamo sotto dei teli forniti allo scopo. Come tutti i temporali tropicali è intenso ma breve, facciamo in tempo a sbarcare ed ha già smesso di piovere e sta uscendo il sole.
La cittadina di San Pedro è un po’ più grossa di Caye Caulker (ha ben tre strade principali che si chiamano front, middle e rear), e decisamente più turistica, ampiamente frequentata da nordamericani, attratti anche dalla canzone di Madonna di cui sopra. Di pari passo con il turismo, anche i prezzi sono molto più elevati di quelli a cui siamo abituati.
Esploriamo la cittadina ricca di negozi di souvenir, uffici di cambio (che però non riconoscono quella strana valuta chiamata euro) e locali. Peccato non poter trascorrere una serata qui: l’ambente sembra molto più vivo e vitale di quello di Caye Caulker, qui dovrebbe essere facile tirare l’alba in discoteca, magari sul mare.
Più tardi ci spingiamo verso sud, dove di dicono esserci le spiagge migliori: effettivamente qui ci sono ampie spiagge di sabbia bianca costellate di palme che forniscono l’ombra (un poliziotto ci avverte che è pericoloso starci sotto a causa della caduta noci di cocco). Trascorriamo il resto del pomeriggio godendoci la spiaggia e il sole dei carabi. Prima del rientro abbiamo giusto il tempo per un cocktail.
Il rientro sulla nostra isoletta è traumatico, sempre meno gente in giro, sempre più locali chiusi, sempre più aria di fine stagione e di disarmo. Anche stasera finiamo la serata sulle altalene di I&I pensando a cosa avremmo potuto fare a San Pedro.
26 agosto Oggi à l’ultimo giorno permanenza, domani mattina dovremo riprendere la via di casa. Il programma di oggi non prevede niente di particolare, solo trascinarsi con calma fino allo split, stendersi al sole e frasi cogliere dalla depressione da fine vacanza. Fra poco saremo di nuovo in Italia, riprenderemo a lavorare, arriverà l’autunno, il freddo, la nebbia… No, dai! Scacciamo questi pensieri, siamo ancora in vacanza, e poi anche l’Italia è bella, in inverno di sarà la neve, si potrà sciare… La vita non è poi così brutta.
Vabbé, adesso torniamo alla realtà. Per la giornata niente da segnalare, per la nostra “ultima cena” troviamo invece vicino alle nostre capanne un locale con un ottimo rapporto qualità/prezzo, peccato non averlo scoperto prima. Come al solito dopocena da I&I, dove cerchiamo di tirarla il più in lungo possibile, forse riusciamo a oltrepassare la mezzanotte.
Domani ci aspetta il viaggio di ritorno.