Messico e autobus
Me ne vado cantando “cielito lindo” , e , con serafico disinteresse dico a veronica “anche se nonti cambi la biancheria intima per un giorno…!” Camminatina nei dintorni dell’hotel che è ubicato vicino alla Zona Rosada. Stanchi dal viaggio ci addormentiamo di sasso a tarda ora, alle 20.00. Inutile dire che la mattina dopo nel ristorante per la colazione eravamo soli noi due, erano le 5,30. A quest’ora città del messico è eccezionale, tranquilla e profumata con le falene che ancora svolazzano cercando di trovare un rifugio per il giorno. Alla faccia delle farfalline, sono grandi come elicotteri, una mi copre completamente la mano… Ci incamminiamo verso la plaza de les tres culturas. Quanto ci vorrà? Camminiamo e incrociamo gente di varia natura, pagliacci che fanno i giocolieri per le poche macchine ferme ai semafori, lustrascarpe, venditori di giornale e… Venditori di ghiaccio???????? Ebbene sì, su un carretto trainato da una bici è posizionato un lastrone di lucente, opaco, azzurrino ghiaccio. O bella!!!! A che servirà? Arrivati alla piazza capiamo: ci sono tanti venditori di bibite che, non avendo allacciamento elettrico, le tengono fresche con il ghiaccio. Alla faccia del progresso inquinante. Che piazza! Enorme, variopinta, speciale, assurda come i festoni immensi appesi ai palazzi per l’imminente festa nazionale; Coma la bandiera (la più grande del mondo) che garrisce nel venticello mattutino; come i tre zapatisti che per protesta, girano intorno alla piazza da giorni; come la ricostruzione della città sull’acqua costruita dagli Atzechi; come la basilica (o meglio le basiliche) cresciute ed adagiate una sull’altra; come la piramide atzeca con il dio serpente che assomiglia tanto ai dragoni cinesi; come me e veronica che siamo allibiti, sconcertati affascinati.
A questo punto voglio vedere se le mie informazioni sulla civiltà atzeca (leggete il libro “L’Atzeco” di Jennings) sono esatte. Una gentile guida ci accompagna tra gli scavi atzechi e ci parla della morte fiorita, delle guerre, dei commerci degli antichi abitanti della valle. Sorpresa , la mia cultura librofila è giusta, grande Jennings. All’uscita degli scavi finiamo nella piazzetta dove si è consumato uno degli episodi più crudeli della storia messicana; lì sul quel selciato circa 400 giovani vite sono state spezzate e immolate sull’altare della contestazione , falciate dalle assurde scariche di mitra impugnate da altrettanti giovani abbigliati con una divisa militare e votate alla causa politica di una dittatura barbara (come tutte le dittature). Un momento di commozione che si trasforma in sconforto pensando che queste assurdità non sono finite e , purtroppo, sono ben lungi da raggiungere la parola End.
Per tirarci su di morale decidiamo di prendere un ghiacciolo. A che gusto? Potremmo provare quello al churrasco, oppure alla conchinita… Che strani gusti con nomi così diversi dai nostrani menta, tamarindo ecc. Il bello che il churrasco e la conchinita non sono essenze o piante ma sono… cibi: la conchinita è il maialino da latte, il churrasco è la cotenna fritta… che schiffffooooooooo. Per pulirmi il palato ne prendo un’altro alla tequila, Praticamente ho fatto un pranzo con anche il digestivo.
Ci rimettiamo in moto dopo questo pranzo e ci dirigiamo verso la parte coloniale della città: palazzi spagnoleggianti, chiese giardini… I palazzi hanno tutti bellissimi porticati dove le piastrelle in ceramica sono splendenti sotto il vivido sole pomeridiano. A proposito dov’è il temuto smog? Sarà un periodo strano , ma non ne sento la presenza e l’aria dei quasi 2000 metri mi sembra più pura di quella della nostra città. Alla sera, dopo una doccia ristoratrice, ci diamo alla ricerca di un ristorantino tipico.
Putroppo lo cerchiamo nella zona meno tipica della città, la zona rosada. Tanti ristoranti , pub ma niente di tipico. Pazienza accontentiamoci, domani andrà meglio.
Il giorno dopo la sveglia è ad un ora tarda: all 6.30. Oggi ci attendono le scalate alla piramidi del sole e della luna.
Sul pulmino della gita prenonata in loco, conosciamo altri turisti che come noi vogliono vedere e toccare il sole e la luna: 2 giapponesi (papà e figlia in perenne inchino), una ragazza uruguaiana, due inglesi che stanno sempre mano nella mano e che non rivolgono parola a nessuno. Sarà per il mio aspetto trasandato? Sul pulmino conosciamo anche altri personaggi che ci seguiranno per tutto il viaggio, sono i topas. Non sono animali ma dei rallentatori di traffico che il simpatico ministro del traffico messicano a pensato bene di piazzare in mezzo alla strada. Niente di male se non fosse che sono alti mezzo metro e che a qualsiasi velocità tu li prenda ti causano dei dolori lancinanti al fondoschiena . Dopo aver viaggiato su questa sorta di Tagadà arriviamo al santuario de Guadalupe. Così tanti pellegrini tutti insieme in un periodo non topico, non li avevo mai visti. Il santuario non è uno solo, sono più di uno. L’ultimo è stato costuito in occasione del viaggio Papale. In quest’ultima chiesa ci sono tante cappelle divise dove vengono celebrate in contemporanea tante messe ma in lingue diverse. Ci siamo fermati e abbiamo ascoltato una messa dodecafonica dove l’unica parola comune era Amen. Velocemente siamo passati davanti al quadro della madonna che non è bruciato durante un incendio che ha distrutto tutto. Poi ci mettiamo un po’ a gironzolare e veniamo attratti da una fila ordinata di genti messicane che aspettano il loro turno di fronte ad un portone con scritto Juramentos. Ma cosa aspettano? Aspettano di esternare ad un prete, che fa le veci della Vergine, i loro giuramenti di varia natura: non fumare, non dire parolaccie, non picchiare il cane la moglie o i figli, di non tradire. In cambio si aspettano che la Vergine elargisca loro un favore.
E’ ora di rimettersi sulla nostra giostra (il pulmino) con direzione Tenochitlan. Arriviamo nel caldo canicolare del mezzogiorno messicano. Le nuvolette messicane nel cielo messicano si rincorrono tra di loro e sorridono guardandoci scalare le piramidi. La salita non è difficoltosa anche se non capisco come mai vi siamo delle catene tipo pista ferrata delle alpi. Mentre salgo (veronica non se la sente causa problemi di equilibrio) sono sopraffatto dalle allucinazioni: vedo dei fondoschienoni (cioè appartenenti a persone sovrappeso) che mi vengono incontro! Adesso capisco le catene, vengono utilizzate in discesa per evitare di incespicare facendo i gradini, piccoli e ripidi, in maniera non salutare. Comunque raggiungo la vetta di questa scalata messicana ed il panorama che mi si apre davanti è… Mozzafiato. Un po’ per l’altitudine un po’ perché è bellissimo. Le due piramidi una rivolta ad est e l’altra rivolta ad ovest, si fronteggiano come in un duello nel tentativo di decidere chi è più importante. Il viale che le unisce è punteggiato dalle costruzioni che nella mia immaginazione si popolano di persone vestite con costumi colorati e che, parlando in natual, si chiedono se tutti questi intrusi primi o poi li lasceranno in pace.
La guida-autista ci richiama, è ora di rientrare. Sprezzante del pericolo scendo dalla piramide dritto in piedi e non a quattro zampe tipo gorilla che imita il passo del giaguaro incatenato alla catena salva vita. Strappo anche un applauso!!!! (probabilmente di scherno).
Prima di andare però dobbiamo acquistare qualche cosa: da un ambulante compriamo due statuette, una raffigurante il sole ed una la luna (che originali) in ossidiana. A questo proposito vi consigliamo di acquistare i souvenir in giro e non quando arriverete al mare (se ci andate). Lì le stesse cose constano 4 volte di più.
Rientriamo a Ciutad de Mexico e andiamo in aereoporto per controllare se è arrivato lo zaino di veronica (la biancheria intima era arrivata ormai a tre giorni di lavoro). L’abbiamo trovato e , cullando lo zaino come un neonato, ci siamo diretti all’ufficio preposto dove l’addetto ci ha consegnato i 75$ promessi. Agli altri passeggeri del nostro volo che non avevano ricevuto il bagaglio ma che avevano il biglietto Air France e non Mexicana come il nostro non è stato rimborsato nulla!!!!! Contenti rientriamo in albergo.
Questa sera dobbiamo trovare un angolo tipico senza troppi turisti. Dove si potrebbe andare? Ma che domanda a Plaza Garibaldi, il regno dei Marriaci. Il taxi, un bellissimo maggiolone catalizzato di colore verde pisello, ci scarica nella piazza e , dopo pochi istanti, un buttadentro ci stà già accalappiando. Il locale è bellino ma non ha i tavoli di plastica con le tovagline di plastica a quadretti che noi stiamo cercando e che riteniamo simboli autentici di messicanità . Ne vediamo uno che ha le caratteristiche adatte. Una banda di marriachi si piazza tra noi e il tavolino (l’unico) libero che avevamo visto. Vogliono a tutti i costi cantare in mia vece una canzone per veronica. Io tento, inutilmente , di spiegare che non siamo in viaggio di nozze, ma niente. Allora spaccio veronica per mia sorella e mi svicolo gettandomi sul tavolo. Di turisti non sembra che ce ne siano, in compenso il vecchietto seduto al tavolo accanto mi attacca un bottone da competizione. Beviamo tequila reposada (invecchiata) cantiamo e ci divertiamo . Questo sì che si avvicina al nostro concetto di vacanza: vedere posti ma soprattutto conoscere la gente che ci vive.
La mattina dopo ci attende la visita al museo antropologico. Anche questo è enorme e affascinante. In un susseguirsi di stanze tematiche arriviamo alle sezioni mayae azteca. In quella azteca rimaniamo in religioso e mistico silenzio di fronte ala pietra tonda chiamata il calendario azteco. E’ quello originale, ritrovato per caso. E’ affascinante e mi ammalia a tal punto che inizio a credere di interpretare i segni scolpiti . Continuiamo arrivando nella sezione maja. Qui rimaniamo impietriti, non tanto dalle bellezze esposte ma dal fatto che da qui è stata trafugata la maschera funeraria che era poggiata sul viso del mitico Pakal re della regione di Palenque. Ma come cavolo hanno fatto a fregarsela, e chi è quel bandito che l’ha aquistata privando l’umanità di una simile bellezza? E’ forse questo che più ci fa infuriare, l’egoismo umano può travalicare qualsiasi limite! Nel pomeriggio andiamo nei giardi pubblici di mexico. Ci confondiamo con i bimbi che giocano e con i genitori che mangiano. Partecipiamo all’antico spettacolo dei danzatori dei pali che , scendendo da questi agganciati a corde avvolte intorno ai pali stessi, imitano il volo del condor o dell’aquila. Ho letto che questo spettacolo ha fondamenta antiche , probabilmente azteche.
Ma è ora di tornare in albergo, domani si riparte.
L’indomani ci attende il viaggio verso Tuxla Gutierrez, capitale del Chiapas. L’aereo ci porta lì in circa 1 ora e mezza. Appena scesi ci “fiondiamo” alla stazione delle corriere per prendere il primo pullman verso San Cristobal de las Casas. Acquistiamo i biglietti utilizzando La Mayade Oro, una compagnia de “primera class”. Fantastica, comoda e economicissima.
Lasciandoci il Canon de Sumindero sulla sinistra, incominciamo ad inerpicarci sulla strada di montagna che ci condurrà, oltre che a San Cristobal, anche in un’altra dimensione. Ci sembra un viaggio ai confini della realtà! Le nuvole basse ci vengono incontro avvolgendoci nella loro soffice e pericolosa semioscurità. Le curve si susseguono, incrociamo camion , carretti, gente a piedi. Soprattutto questi spettri podisti attirano l’attenzione. Sono gli indios che vivono in questa strabiliante regione. Sono logori, stanchi e si dirigono verso il loro villaggio (quattro casupole nel fango) oppure verso il loro campo coltivati, o meglio, coltivabili. Questi campi sono così ripidi che anche le capre tibetane si sono rifiutate di salirvi. Come non avere simpatia per il sub comandante Marcos e per la causa Zapatista? Con questi pensieri, e con queste una starna sensazione di vergogna, curva dopo curva raggiungiamo San Cristobal. L’aria è frizzantina, i colori sono vivaci (azzurro, giallo, ocra…); purtroppo non abbiamo tempo per soffermarci, la primaria necessità è quella di trovare un albergo. Con un taxista iniziamo la ricerca a tappeto, seguendo una logica stellare (nel senso che cominciamo da quelli con più stelline). Dopo un po’ di tempo troviamo una stanza in un albergo che da fuori sembra alquanto malandato. La reception è decrepita quanto il portiere, ma la stanza c’è e per oggi ci accontentiamo. Imbocchiamo la porticina che porta verso le stanze e….Sorpresona, la stamberga si trasforma in una vecchia casa coloniale con il suo portico di lucente ceramica rossa . Seduti su poltrone o sdraiati su amache ragazzi e ragazzi di tutte le nazionalità: americani, canadesi, francesi, polacchi… E’ una figata! La nostra stanza si rivela un buchetto con sentore di umido (avete presente l’odore che si sente in cantina?), ma per noi va bene , anche perché domani se ne libera una più grossa!!!!. Usciamo ,andiamo a vedere un po’ questa città zapatista. Quello che più colpisce sono i colori! Già l’aria rarefatta e limpida vivacizza qualsiasi pintura, ma anche i chiapanensi ci mettono del loro: una chiesa azzurro piscina, un’altra ocra, una casa verde seguita da una rossa. E’ un orgia di colori e… Profumi e venditori. Chiamarli venditori è una parola grossa; sono bambini di varie etnie che ci offrono le penne ricamate,le coperte variopinte a righe, oppure la propria immagine per le foto. Sono belli e, come tutti i bimbi, curiosi. Chiacchieriamo con loro cercando di non fare la parte dei ricchi turisti che elargiscono in modo magnanimo il proprio prezioso tempo.
Rietriamo in albergo, doccia e fuori per la cena. Cavoli ma che freschino che fa! La mattina dopo, all’alba, andiamo al mercato della frutta per fare colazione. Sulla strada nessun turista , solo i mercanti che portano i loro pochi prodotti per venderli o barattarli. Ci sono alcuni indios che arrivano da chissà dove con i bimbi vestiti a festa. Arriviamo al mercato; è spiovuto da poco e la rugiada vivacizza ancora di più i colori già sfavillanti. Fagioli di tutti i colori, frutta verdura e ????????????pesceeeeeeeeeee? da dove è arrivato? È secco probabilmente dal lungo viaggio che ha dovuto intraprendere. Compriamo un pò di banane (quelle piccole piccole, buonissime), e ci sediamo gurdando la folla. La gente, vista nella sua totalità, sembra un unico animale gigantesco, che si muove , respira litiga all’unisono in un perfetto sincronismo caotico. Sembrano due parole opposte, ma sono quelle che più descrivono il momento, tutti parlano discutono e urlano seguendo tempi quesi teatrali, ma senza regole fisse. Ritroveremo la stessa atmosfera anche negli altri mercati che visiteremo in giro per il messico.
E’ però ora di tornare alla pizza della cattedrale (la piazza con la cattedrale è un punto topico per qualsiasi città/villaggio messicano, cercatela e sarete nel centro della città/villaggio) perché vogliamo andare a visitare alcuni villaggi indio. Con la nostra simpatica guida ( trovata in loco) andiamo a Zinachantan (si scrive così?) . Questi non sono propriamente dei villaggi ma sono dei veri e propri stati con un proprio “parlamento”, un proprio consiglio dei saggi che governano il territorio. La prima fermata è al cimitero che , contrariamente ai nostri , è il luogo di sepoltura e festa d’addio per il viaggiatore dell’ade. Sulle croci spiccano i nomi spagnoli seguiti da quelli maja. Ci sono i resti di una sepoltura/festa fatta pochi giorni prima. La sensazione è quella di essere in un luogo mistico e speranzoso. E pensare che i cimiteri mi hanno sempre intristito. Sembra di stare in una stazione ferroviaria dove vieni per prendere un mezzo che ti trasporterà in un viaggio verso una meta non del tutto conosciuta ma che viene comunque viene cercata in allegria.
Ci avviamo poi verso il centro città con l’immancabile chiesa che del tutto chiesa non è. I riti religiosi si sono fusi con i riti mayacreando una religione di nuovo stampo, i santi nostrani sono incarnazioni di divinità maja, la croce cristiana è accomunata alla croce mayache ha tutt’altro significato; il prete diventa lo sciamano che, sotto gli influssi di un distillato di dubbia natura, fa divinazioni su ordinazione. Il pavimento della chiesa è ricoperto di aghi di pino, le statue dei santi sono vestite con abiti di stoffa, gli indios all’interno convivono con le galline portate per essere offerte al santo/divinità adatto ad elrgire il favore richiesto. Vietatissimo all’interno riprendere o fotografare, pena l’arresto. Le leggende metropolitane raccontano di turisti arrestati e processati con rito extrarapido.
All’uscita siamo attaccati da un’orda di ragazzini-venditori. Con un dribling degno del miglior fantasista calciatore brasiliano, scartiamo a sinistra e ci avviamo in un vicolo stretto fra casupole di fango dove incontriamo una bimba bellissima, rubiconda e solare di nome Rosa. La sua mamma ci invita in casa dove c’è sentore di fumo di legna e di cibo. Mi mette in mano un bicchiere e ci versa all’interno uno strano liquore. Faccio finta di non notare il sudiciume del bicchiere ed ingollo il liquido opaco. Buono ma fooooorteeeee. La donna sembra divertita dal colore paonazzo della mia faccia e me lo riempie ancora. Per non offenderla lo bevo ancora. Due bicchieri di liquore alla mattina a stomaco semivuoto sono devastanti. Con fare barcollante ed un sorriso ebete in viso, mi congedo dalla famigliola seguito da veronica che ride della mia instabilità. Continuiamo a camminare sfiorando orchidee selvatiche dai colori cangianti (tanto per cambiare) e ci ritroviamo nella piazza centrale dove la guida ci aspetta per andare in un altro villaggio stato. Direzione San Juan Chamula. A differenza del villaggio precedente non c’è gente in giro. Come mai? Il santo /divinità del paese è San Lorenzo e , giusto la sera prima,era stata la notte delle stelle cadenti coicidente con la festa paesana più importante. Sulla scalinata della chiesa dedicata al santo patrono, una selva di bucce di cocomero testimonia la festa della sera precedente. Anche i festoni che dal campanile raggiungono terra sono lì che ci raccontano i divertimenti del rito festaiolo passato. La chiesa ha le stesse caratterisctiche (aghi di pino, santi vestiti ecc) della chiesa visitata in precedenza. E’ ora di rientrare verso San Cristobal, il liquore bevuto non ha amici nello stomaco con cui scambiare pareri, quindi mi seve mangiare.
Doccia e uscita cercando un ristorante che amici ci avevano consigliato. Arriviamo al locale e leggo sull’insegna “Restaurante vegetariano”! Come? Io voglio la carne. Vicino a questo c’è né un altro sulla cui insegna campeggia una rirpoduzione di testa di bovino. Qui la carne l’avranno sicuramente! Infatti l’hanno ed anche buonissima. Prendiamo lomito con frjolles, tortillas e queso. Forse gli stiamo simpatici, oppure perché ci sforziamo di parlare in spagnolo, ci offrono anche patate cotte sotto la cenere. Le sbucciamo e … Sorpresa, sono le papate più buone che abbiamo mai mangiato. La polpa interna ha la consistenza e il sapore della purea di patate. Alla fine una buona tequila reposada sancisce la tregua tra il distillato indio, la carne ed il mio stomaco.
Adesso a nanna, domani si riparte, destinazione Palenque.
Al mattino, caraccollando sotto il peso degli zaini, ci avviamo alla stazione dei pulmann fermandoci a fare colazione in un baretto sulla strada.
Alla stazione c’è un po’ di casino in quanto altri turisti che viaggiano con i mezzi locali , non avendo prenotato il posto in tempo, cercano un’alternativa per raggiungere Palenque. A questo riguardo ci permettiamo un consiglio: se volete girare in pulman come noi abbiate l’accortezza di prenotare il viaggio successivo al momento dell’arrivo. In questo modo potrete trovare il pulman migliore , i posti mogliori e gli orari migliori.
Il viaggio dura circa 4 ore. La città di Palenque è davvero bruttina. Troviamo l’albergo in tempi brevi e ci informiamo per la visita al sito archeologico per il giorno dopo. A differenza di San Cristobal, qui il caldo è opprimente con un’umidità altissima. Le pale del ventilatore in camera non mitigano l’afa. Ma chi se ne frega, siamo in Mexico. Il mattino dopo, sveglia all’alba e ricerca del colletivos per il sito. I colletivos sono pulmini molto economici che fanno una tratta precisa ma con fermate assolutamente arbitrarie. Da provare, noi ne abbiamo usati sempre un sacco, è un modo economico per girare e per conoscere gente.
Arriviamo al sito con una tenuta antizanzara. Dato che le costruzioni mayasono nella foresta ci immaginiamo nuguli di zanzare pronte a succhiare il sangue dei malcapitati visitatori. Quindi maglietta con maniche a ¾, calzoni lunghi, calze e scarpe da ginnastica alte. All’interno dei vestiti una temperatura da cottura di uova. Tra le nuvolette della rugiada che si alza dall’erba compaiono i primi palazzi, la piramide con all’interno la tomba di pakal. Di zanzare al momento neanche l’ombra. Le scimmie dall’alto degli alberi urlano la loro gioia (o il loro fastidio) al sole che sorge.Il posto è magico, tranquillo, mistico. Salgo, ( veronica per gli ormai conosciuti problemi di equilibrio rinuncia) sulla piramide di pakal, per poi scendere all’interno della stessa per ammirare la tomba del re maya. Mi sembra la discesa agli inferi; l’umidità (ed il sudore dei visitatori) condensa sulle pareti rendendo scivolosi non solo i gradini ma anche le pareti. Entro nella cappella della tomba e rimango ammaliato dai simboli e dalle figure scolpite sul gigantesco coperchio della tomba. Guardo con occhio indagatore la figura del re Pakal all’interno di una capsula che , per alcuni, è la riproduzione di una navicella spaziale (è soprannominato l’astronauta). Quello che più stuzzica la mia curiosità è il metodo con cui hanno portato questo monolite qui sotto. Probabilmente prima hanno piazzato la tomba e poi hanno costruito la piramide. Contento di questa autospiegazione torno in superficie e, raggiunta Veronica, continuiamo l’esplorazione del sito. Al di là delle caratteristiche architettoniche quello che colpisce è il colore verde. Verde è il prato, verdi sono gli alberi, i muschi … Ma tutti hanno un verde diverso così che , in quest’orgia ramarrifera, raggiungiamo un rusciello solitario. Solo un messicano è lì. Il suo viso non è molto tranquillizzante… Che fare? Scelgliamo la strada più diretta. Gli attacco un bottone logorroico/mistico/culinario che avrebbe ucciso un sordo. Infatti, stanco del mio cicaleggio ci saluta e se ne và: Anzi mi offre anche un pezzo di cocco, forse pensa che mangiando starò zitto. Torniamo verso il sito che ormai si è animato di turisti. E’ ora di tornare in città. Di zanzare manco l’ombra , in compenso siamo dimagriti. Mentre attendiamo il colletivos per tornare in città facciamo una capatina al museo attiguo agli scavi (non molto interessante) e facciamo amicizia con altri due individui che fanno un giro simile al nostro. Ci hanno chiesto come ci era sembrato il posto; risposta naturale” bellissimo soprattutto la parte dove c’era il ruscelletto all’interno della foresta!” HAAAAAA, abbiamo saputo che lì sono stati rapinati parecchi turisti, dicono loro. Stà a vedere che il mio bottone ci ha evitato un furto… Torniamo nel nostro forno/albergo. Sulla strada conosciamo un artista saldatore : riproduce su tele di cuoio i bassorilievi maya utilizzando una tecnica particolare; prima disegna con una matita, quindi segue i contorni con un piccolo saldatore elettrico bruciando la pelle. Il puzzo è incredibile ma la riuscita notevole. Gli commissioniamo una tela riproducente il dono di pakal al dio…Ora campeggia nell’atrio di casa nostra …
Il giorno dopo andiamo ad Agua Azul, una serie di cascate su un basamento calcareo che rende il colore dell’acqua azzurro appunto. Il luogo è bellissimo, l’acqua fresca e limpida (se non ha piovuto altrimenti è marroncina) la giornata rilassante.Ma il tempo stringe, questa sera dobbiamo prendere il pulman per merida, circa 9 ore di viaggio. Partiamo in un caldo pazzesco, in una bolgia frenetica ed urlante (gente che non aveva prenotato e che voleva partire a tutti i costi), in un bailamme di voci gesti urla e parolacce urlate in tutte le lingue… Saliamo sul pulman e partiamo. Dopo un po’ ci accorgiamo che il nostro mezzo è una riproduzione dei climi terrestri: vicino all’autista aria condizionata a palla che costringe i passeggeri a bardarsi come al polo, in coda temperatura da foresta amazzonica , caldo e umido. Soprattutto umido, tanto che i liquidi espulsi dal corpo umano condensando tornano al corpo stesso sotto forma di goccioline che si stampano in faccia mentre tenti di addormentarti. Noi siamo posizionati nella parte forestale. Nove ore di suplizio dell’acqua accompagnato da odori vari tra cui spicca quello di formaggio che alcuni messicani hanno portato in cabina. Viaggio allucinante condito anche da una fermata per controlli da parte dell’esercito e da frullamenti causati dai topas descritti in precedenza. Di buon mattino siamo a Merida capitale dello Jucatan. E’ domenica, il sole splende e la città ci apre le sue braccia coloniali. Cerchiamo un albergo, riponiamo gli zaini e partiamo alla scoperta della città. Prima visita alla casa (che ora è una banca) della famiglia spagnola che conquistò lo jucatan distruggendo gli ultimi maya che si ostinavano (chissà perché?) a non cedere al dominio spagnolo. Di fronte , separata dall’immncabile girdino, c’è il palacio del govierno con un bellissimo e luccicante porticato nelle cui stanze sono esposti murales molto suggestivi. Un altro angolo della piazza è occupato dall’immancabile cattedrale. La cosa bella del giorno festivo è che ci sono sempre manifestazioni in strada. Quest’oggi un gruppo di ballerini canta e balla mettendo in mostra la rappresentazione della vita campestre messicana. Un bello spettacolo ma che non possiamo vedere del tutto perché veronica si sente male. Sarà stato il viaggio umido ed odoroso di formaggio, sarà il caldo… Veronica è KO. Torniamo all’albergo. Quando si riprende un po’ vado fuori alla ricerca di un ristorantino dove mettere qualche cosa sotto i denti. La mia prima esperienza di cucina jacateca è eccezionale. Mi faccio un pezzo di conchinita pibil e tortillas. La conchinita è il maialino da latte, pibil è il metodo di cottura che consiste nel fare un buco in terra , metterci dentro il maialino ricoperto di foglie di banano e quindi accenderci il fuoco sopra. La cottura ad induzione rende la carne tenerissima. Le salsine a base di pomodoro che la guarniscono sono saporite e moderatamente piccanti, Insonna una gran bella mangiata. Torno all’albergo sazio e, vedendo veronica che si sente meglio, mi tranquillizzo un po’.
La mattina dopo decidiamo di fare un salto ad un opedale vicino all’albergo. Entriamo e vediamo intorno a noi solo bambini. Che strano! Come mai? La risposta più ovvia è che siamo andati in un ospedale pediatrico. La gentile infermiera mummuficata (un po’ perché un anziana, un po’ perché la pelle ha qualche ruga, un po’ perché i movimenti hanno la velocità di un bradipo stanco) ci indica un ambulatorio dove riceve un gastroenterologo che però ancora non è arrivato. L’attesa , ci assicura, sarà breve. Ormai abbiamo fatto il callo alla brevità messicana e , quando dopo 2 ore si presenta il doctor, non ci stupiamo per nulla. La visita è veloce, dopo essersi assicurato che veronica non è incinta, spiega che il malessere è stato causato dalla disidratazione. Consiglia come farmaco di “tomar coca cola”! Benedetta e farmacologica coca cola.
Torniamo in albergo. Veronica si prende il pomerigio di pausa per riprendersi e farsi la cura di coca cola. Io vado in giro per merida alla ricerca di un negozio in cui comprare un Panama. Il panama è il tipico cappello a falde larghe con fascetta nera fatto con fibre di palma che garantisce un’ottimale aereazione della scatola cranica. Quelli originali vengono manufatti in grotte sotteranee dove la temperatura e l’umidità è costante. Questo procedimento garantisce un’elasticità delle fibbre necessaria alla forma finale del cappello. Con queste nozioni basilari entro in un negozio e scelgo il mio cappello. Bello, grande, bianco. Non so ancora adesso se è stato costruito con il metodo originale, fatto stà che a distanza di ormai 6 anni mantiene la sua forma originale anche dopo aver subito maltrattamenti e viaggi.
Mi faccio un’altra mangiata ( questa volta pesce cucinato sempre pibil) e ritorno in albergo dove trovo Veronica ristabilita dopo la cura a base di cocacola.
Il giorno dopo andiamo a visitare Uxmal, altro sito archeologico maya. Questa volta non ci facciamo fregare dalle zanzare che non ci sono; quindi calzoni corti sandali canottiera e panama in testa. Arriviamo al sito e facciamo conoscenza del comitato di accoglienza formato da zanzare formato gigante che banchettano sulla nostra pelle libera. Ci succhiano talmente tanto sangue che dracula al confronto è astemio. Ma non ci facciamo intimidire ed, accompagnati dal brusio succhiante, giriamo per palazzi e piramidi. Qui c’è anche l’unica piramide a base tonda che è stata ritrovata. Fra salite e discese da scalinate impossibili (ma che piedi piccoli avevano i maya!) arriviamo a sera. Comincia lo spettacolo di luci e suoni, bello ma evitabile.
Torniamo in albergo anemici e stanchi e sprofondiamo in un sonno agitato fatto di sonnellini e violente grattate a varie parti del corpo.
Il giorno dopo ci aspetta il viaggio verso Valladolid.
Appena arrivati tappa nell’albergo per depositare gli zaini e via alla ricerca del cenote. A valladolid ce ne sono due che sono stati trasformati nelle piscine del paese. I cenote sono dei fori naturali nella piattaforma jucateca riempiti con acqua. Farci il bagno dentro è una bella esperienza. Dato che sono spesso all’interno di grotte ci si tuffa in un liquido nero e pauroso. Ma l’acqua è fresca e ritempra il corpo e lo spirito. Veronica osserva dall’umida riva sorseggiando la sua nuova amica del cuore: una coca. Dopo aver fatto un giro anche nella piscina (non naturale questa volta) dell’albergo , ci apprestiamo alla cena che consumiamo nel bel ristorante dell’albergo. Due chiacchiere con una famiglia ( padre madre 2 bimbe) americana, due bicchierini di tequila e poi a nanna.
Al mattino comincia la ricerca del colletivos che ci porterà a chichenitzà, il sito maya più importante. Arriviamo di buon ora, il caldo è già canicolare, ma la voglia di immedesimarsi con gli scienziati, astrologi, astronomi sportivi maya è tanta. Per prima cosa mi arrampico sulla piramide per ridiscenderne le viscere e vedere il giaguaro punteggiato di pietre preziose. Poi andiamo alla piattaforma dei teschi, camminiamo per il colonnato, raggiungiamo il campo della pelota dove proviamo lo straordinario effetto acustico (si sente la voce di una persona che parla normalmente da un capo all’altro del campo come se fosse accanto a te). Mi immagino i capitani delle squadre vincitrici del gioco che venivano immolati agli dei perché adatti al sacrificio (un perdente non sarebbe stato gradito). Arriviamo poi all’osservatorio, chiamato così per la sua forma a chiacciola che lo fa assomigliare tanto ai nostri. Passiamo una bella giornata ridendo anche dei turisti che raggiungono il sito a mezzogiorno provenienti da cancun. Poveri martiri, farsi le scalinate con il sole a picco è da pazzi.
All’uscita incontriamo il colletivos che ci riporterà a valladolid. L’autista dice che dobbiamo aspettare che si riempia. L’attesa dura circa due ore; alla fine, il pilota si convince che saremo gli unici passeggeri e ci riporta all’albergo. In serata incontriamo due ragazzi di torino che avevamo conosciuto a palenque, ceniamo insieme e programmiamo la giornata seguente con una gita a rio lagartos che dista pochi km da valladolid. Contattiamo un autista che per pochi pesos ci porta sulla costa. Il posto è bellissimo, pochissimi turisti Prendiamo una barca sulla quale si imbarca anche un’affascinante signore cubano. Si rivela subito una guida fenomenale: è un biologo cubano lì in missione per studiare i fenicotteri che in questo periodo vengono a nidificare. Con lui ci addentriamo nei meandri di mangrovie tentando di avvistare almeno un lagarto ( coccodrillo marino). Di coccodrilli neanche l’ombra (li hanno praticamente uccisi tutti) ma di fenicotteri tantissimi. In cielo volteggiano le fregate e i pellicani. Un posto paradisiaco che consigliamo. Al ritorno scambiamo gli indirizzi con il cubano e, sempre con la barchetta, raggiungiamo una spiaggia bianchissima, caldissima, solitaria. Con noi 4 c’è solo un altro personaggio sulla spiaggia. L’amico torinese lo apostrofa con un “Desculpame senor” per chiedere in prestito la maschera subacquea. Per tutta risposta ci sentiamo dire “Hao , almeno tra de noi parlamoce en italiano!!!” Risata di mezz’ora e conoscenza di un gruppetto di italiani che ogni hanno affittano una casetta qui per passarci le vacanze. Ci fanno conoscere anche un pescatore ristoratore che ci invita a pranzo. Prima però lo deve pescare il pranzo! Infila la maschera si butta e dopo pochi secondi arpiona una bella cernia enorme. Il pranzo è assicurato! Mentre siamo al tavolo della pescheria/ristorante arriva un altro pescatore con delle aragoste appena pescate. Le volete? Ceeeerrrrrttttooooooo!! Contenti, sfamati ed anche un po’ alticci (la tequila è scorsa a fiumi) rientriamo a valladolid con l’autista al quale abbiamo offerto il pranzo.
Cenetta e poi preparazione degli zaini, domani si riparte, destinazione Plaja del Carmen, cioè mare, rilassamento.
Prendiamo il pullman e, arrivati a Plaja, andiamo nell’albergo che avevamo prenotato via internet (l’unico) dall’italia. Bello, sulla spiaggia. Ma il pulman, oltre ad averci portato al mare, ci ha fatto fare ritorno dalla dimensione magica messicana. Siamo rientrati in una realtà conosciuta fatta di creme solari, di costumi, di pelle abbronzata e unta, di spaghetti. Una realtà lontana anni luce dalla caotica Città del messico, dal rivoluzionario chiapas e dal mistico Jucatan. Di turisti qui è pieno, l’aria che si respira è più vicina a quella di rimini che a quella di san cristobal. Anche qui però i lati positivi ci sono: gli happy hours ci sono a qualsiasi ora (praticamente paghi un drink e ne bevi 2), il mare è bello e caldo, la spiggia, se ci si allontana da plaja, è bianca. Passiamo 4 gironi di rilassamento per riprenderci della fatica. La veronica non lascia mai la sua fidata amica cocacola, io il mio Panama. Durante il soggiorno andiamo a visitare anche Tulum, sito maya sul mare. Molto bello ma quello che in che durante la visita ci ha più divertito è stato il viaggio in pulman. Un pulman non di primera class, ma quello di classe economica. Infatti il mio vicino di sedile è una gallina che mi fa coccodè con accento messicano. Finalmente un viaggetto assaporando il clima descritto in tanti film. L’ultima sera prima della partenza ci ritroviamo con tante delle persone che abbiamo conosciuto in giro per il messico e che , come noi, trascorrono gli ultimi giorni al mare. La tequila scorre a fiumi, i sacrifici maya anche. Questi ulrimi sono degli intrugli fatti con tequila e liquore al caffe che devono essere bevuti con la cannuccia. La fregatura stà nel fatto che i simpatici baristi, prima di consegnarteli, danno fuoco al composto alcolico così che, se vuoi evitare lo sgradevole sapore di plastica bruciata, devi berlo in un solo sorso. Torniamo in albergo al mattino ubriachi di liquore musica e risate.
Putroppo la vacanza è finita. I 23 giorni sono volati ma hanno mantenuto un vivido ricordo nelle nostre anime e menti. Questo viaggio infatti è stato fatto 6 anni fa e solo ora habbiamo avuto il pudore di metterlo su carta (elettronica). Dimenticavo di dire che allora il viaggio è costato £4.000.000 a testa tutto compreso (compreso di trasporti, vitto, alloggio e souvenirs) Andateci non ve ne pentirete!!!!!!!!! N.B. Compagna inseparabile di questo viaggio è stata la guida della Lonely Planet