Messico belize e guetemala

MESSICO GUATEMALA E BELIZE di Alessandro e Silvia COSTO: 1.750,00 euro circa a persona PERIODO: agosto DURATA: 21 giorni Il 31 luglio alle 9 e 45 partiamo da Roma Fiumicino alla volta di Cancun sull’AIR CONTINENTAL,ottimo volo con poltrone comode e personalizzate da un piccolo monitor in cui proiettano 3 o 4 films nuovi per le nostre...
Scritto da: giagius
messico belize e guetemala
Partenza il: 31/07/2008
Ritorno il: 21/08/2008
Viaggiatori: in coppia
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MESSICO GUATEMALA E BELIZE di Alessandro e Silvia COSTO: 1.750,00 euro circa a persona PERIODO: agosto DURATA: 21 giorni Il 31 luglio alle 9 e 45 partiamo da Roma Fiumicino alla volta di Cancun sull’AIR CONTINENTAL,ottimo volo con poltrone comode e personalizzate da un piccolo monitor in cui proiettano 3 o 4 films nuovi per le nostre sale ma purtroppo in lingua inglese.

Il volo è allungato dallo scalo a New York.Concidenza puntuale ma praticamente presa al volo in una corsa tra tapis-roulant infiniti eguardie di colore a ogni angolo ad indicarti la direzione.Note:defribrillatori a parete tipo manichette antincendio,cappella per matrimoni lampo,il mio primo pancake(peso e un po’ deludente),foto digitale al check-in e,ahimè,tanti divieti di fumo.

Arriviamo a Cancun alle 20 e30 mentre i nostri cari se la dormono nel cuore della notte italiana avanti 7ore.

Avendo la trasferta all’albergo pagata ci aggreghiamo ad un pulman che fa le sue solite soste per scaricare la gente ai vari alberghi.Già dal tragitto Cancun emana colori, luci e modernità che scozzano un po’ con l’idea che uno ha del Messico,ma lasciano intendere il grosso interesse del turista americano per questo posto.

La mattina dopo,comunque,la città si rischiara della luce turchese del suo mare caraibico,ma noi dobbiamo prendere la macchina a noleggio fissata dall’Italia,dobbiamo partire. Così dopo un espresso in un ancora assonnato e moderno steakhouse ci dirigiamo a prendere la nostra Ford Ka 1.6 benzina con cerchi in lega.

Io subito mi metto al volante desideroso di scoprireil nostro Messico e nemmeno fossi a Londra inforco stupidamente la corsia opposta di transito di questo largo viale fortunatamente ancora deserto.

Appena usciti dalla città ecco lì ad aprirci le braccia il vero Messico cn le sue immense foreste che incorniciano un’unica grande srada dritta per km e km.Prima preoccupazione la benzina,temendo,a ragione,la scarsa diffusione di distributori torniamo indietro a fare il pieno e poi via sparati su quell’asfalto battuto di tanto in tanto dai grossi truck american signature.

La giornata è spendida emaciniamo km in tranquillità fino a quando ci viene fame e ci fermiamo al primo avamposto sulla strada.Eccoli lì i primi veri e propri messicani così come te lì sei sempre immaginati,un paio di grosse donne stanno cucinando una zuppa di fagioli e boh..,mai più rimangiati purtroppo. Siamo i soli ospiti,la zuppa è ottima,la birra è ghiacciata e ci stanno simpatiche anche le mosche.

Per un bel pezzo costeggiamo la litoranea settentrionale dello Yucatan e come resistere ad un bel bagno,il primo , su una spiaggia deserta e selvaggia in un’acqua limpida bassa e mostruosamente calda.

Arriviamo a Chichèn Itzà e ci buttiamo subito nell’immenso parco alla ricerca del tempio,icona mondiale della storia Maya.Ci toviamo d’accordo nel non perdere tempo a scalare i templi. Ogni stuttura manda vibrazioni cariche di antiche gesta,ma è difficile immaginarsi una città sopra quel manto verde ben curato.Il tutto è da scoprirsi avveenturandosi in vari sentieri e camminando un po’: il mistico cenote, il tempio dei guerrieri,il campo della pelota e tanto ancora,meglio con una mappa precedentemente studiata. Lo spettacolo serale con tanto di fuochi d’atificio e balli in costume che pubblicizzavano doveva essere bello anche se forse un po’ preconfezionato.

Troviamo da dormire nel vicinissimo paesino di Piste alla posada Chac Mol spartana ma pulita con letti tipo catafalchi in muratura.

La mattina dopo ci dirigiamo ai grandi templi di Uxmal.L’ambiente è evocativo e la giornata un po’ nuvolosa accentua l’atmosfera mistica.Per fortuna il sito è molto meno inflazionato di Chichèn Itza e forse anche per questo,a nostro parere,più bello;le architetture sono imponenti,monumentali e spledidamente conservate, sono riconoscibili persino alcuni fregi. A sorpresa la mascotte di Uxmal,l’iguana,inaspettatamente timida e veloce.

Il giorno ci rimettiamo in marcia direzione Campeche,ancora ci accompagna lo splendido mare del golfo del Messico e in uno scorcio da cartolina pasteggiamo con due bei pescioni freschi, fritti senza troppe sofisticherie culinarie.Rimessi in marcia dopo si avverte uno strano presagio di tempesta che aleggia sul nostro collo. Attraversiamo campagne dove l cielo sembra più grande di quello che siamo abituati a vedere e in breve tempo, come volevasi dimostrare,diventa un enorme nuvolone grigio e gli dei Maya ci riversano addosso tutta l’acqua della terra. Siamo letteralmente inghiottiti e navighiamo attraverso un paesino, ma prima di uscirne smette di piovere così nel tardo pomeriggio raggiungiamo una pulita eordinata Campeche.

La Lonely Planet ci consiglia l’hotel colonial,centrale e come vuole il nome in stile coloniale completamente in linea con il resto della città; sui due muri adiacenti della nostra stanza troviamo per la prima volta il segno della più famosa tradizione messicana: due anelli di acciaio murati lasciano immaginare infatti una colorata amaca attaccata.

Lo stile coloniale della città è perfetto, tutto al punto giusto:belli e colorati gli edifici,bella e curata la piazza circondata da loggiati e arricchita da aiuole e ringhiere in ferro battuto,luci e gente dappertutto.

La cena passata su un bel terrazzo sulla piazza ci fa assaporare la vera essenza del servizio messicano,la lentezza.

Il giorno seguente convinco mia moglie a tagliare dentro la penisola nella regione del Tabasco per raggiungere Villahermosa, meta meno visitata ma tappa d’obbligo per visitare il parco Monumental La Venta, museo all’aperto delle sculture degli Olmechi nonché esempio di jungla tropicale. Qui il clima continentale si fa sentire e l’afa ci attenaglia meeno male che il parco è quasi interamente all’ombra.

Session fotografica su questi enormi testoni e non solo,forseun po’ decontestualizzati:ok per l’ambiente jungla,ma sembravano quasi dei segna sentiero.Comunque non posso che non tenere il pollice alzato per questo parco.

Il resto della città offre uno scorcio di vita metropolitana messicana caotica e un po’ puzzolente dove tequila e sombrero sono sostituiti da cocacola e berretti da baseball. Mangiamo in una specie di Macdonald a base di quesadillaes e enfrijolada precucinate e dormiamo al mediocre hotel Centro.

Continua la nostra cavalcata nel cuore dello Yucatan dove conosciamo frutti esotici più o meno buoni:il guaba,una prugnetta bianchiccia che dà il meglio di sé intinta in una mistura di peperoncino e sale e un altro strano frutto dalle sembianze di una pigna ma che nasconde, all’interno, una poltiglia bianca naseuabonda. Non dimenticatelo mai nello zaino.

Ci stiamo addentrando sempre di più nel rinomato Chiapas e si vede.I posti di blocco coi militari trincerati ai lati delle strade e le camionette dell’esercito che si incontrano rendono chiaro che il clima è caldo, un po’ in tutti i sensi. Non vi starò qui a farvi la lezione di storia, ma non vi farà male leggervi qualcosa sulle vicende che hanno scaldato questo posto, anche perché viaggiatore o turista che tu sia, a volte è meglio calarsi nella coscienza della gente del luogo per capire dove veramente sei.Infatti nonostante gli elmetti il paese di Palenque vuole nascondere il clima teso del Chiapas, qui è il turismo a fare da padrone e nell’omonimo sito non si riescono a contare gli zainetti.

Il piazzale centrale vale il caldo che prendi, lo scenario è fantastico, i templi escono dalla giungla e rimangono incorniciati nel verde. Inoltre il sito è immerso ed è una continua scoperta,dappertutto spuntano testimonianze della cultura Maya, molte ancora non completamente liberate dalla vegetazione. A pranzo facciamo la conoscenza con i famosi peperoni piccanti ripieni: è proprio vero, per sopportare il caldo bisogna innalzare la propria temperatura interna e, aggiungo io, stordirsi con un paio di birre gelate per combattere l’effetto incendiario del peperone.

Lasciamo Palenque e ritorniamo sulla costa, questa volta sud orientale al confine col Guatemal.Interessante ,durante il tragitto,l’incontro con la polizia messicana che ci fermano per un presunto eccesso di velocità,ci mostrano la macchinetta con la testimonianza dell’efrazione e ci chiedano 20 dollari.Noi siamo un po’ contrariati e indovinate un po’…Riusciamo a contrattare la multa e paghiamo 10 dollari prima di salutarci entrambi col sorriso sulle labbra.

La sera arriviamo alla marittima chetumal dove ci fermiamo per dormire, nell’aria salmastra già si assapora la prossima Tulum.

E così quasi comandati dal nostro naso arriviamo a Tulum, il paese non è nulla di particolare ma il paradiso è più in là, sul mare.

Sulla stradina parallela alla costa si trovano tutti gli ingressi ai vari villaggi da quelli più sponsorizzati dalle agenzie a quelli più nascosti e modesti, comune denominatore: spiaggia bianca e mare turchese.

Noi scegliamo un piccolo villaggio gestito da un gruppo di ragazzi americani, ma a dire il vero se avessimo trovato un cartello con suscritto “vendesi” forse a quest’ora saremmo ancora là. Per la media dei prezzi sono un po’ esosi, 50 $ a notte per una capanna con bagnetto servito da pura acqua di mare e letto appeso al soffitto con delle funi. Servizi al limite, ma tutto davvero molto romantico: ceniamo ad uno splendido tramonto sul mar dei caraibi impreziosendo i nostri panini con un dolce quanto coreografico frutto a forma di fiore, la pitaya.

Le rovine di Tulum sono d’obbligo e così la mattina, sotto un sole bello tosto ci troviamo a percorrere, come un pellegrinaggio, questa strada asfaltata che porta verso i famosi templi sul mare.

Arrivati rimaniamo un po’ delusi, vuoi perché il sito, a nostro avviso in confronto ai precedenti non è nulla di particolare, vuoi perché il caldo ci ha un po’ provati e lo visitiamo frettolosamente più desiderosi di un bel ammollo in quello splendido mare.

Durante il soggiorno a Tulum riusciamo anche a visitare il Gran Cenote, che altro non è che un’entrata ad una serie di fiumi sotterranei godibili soprattutto, e purtroppo, attraverso un escursione subacquea attrezzata.

La nostra prima settimana è finita e la domenica ci apprestiamo a riportare la Ka a Cancun.Consigliamo vivamente il noleggio della macchina evitando scelte tipo i freguentissimi maggioloni molto più d’effetto ma anche meno affidabili,inoltre la viabilità è davvero ottima.

Prendiamo subito il bus per Chetumal da dove si sarebbe partiti alla volta di Belize City, ma la “coincidenza” non coincide troppo con i nostri orari, perciò decidiamo di passare la notte sotto le stelle fuori dalla stazione. La mattina non troppo tardi siamo già a Belize City e, nonostante la vicinanza, ci si apre davanti tutto un altro mondo. La cittadina è la capitale di un piccolo stato, il Belize, ex colonia inglese di cui conserva ancora tracce nell’architettura stile coloniale, quasi interamente popolato da afroamericani con usi e costumi un po’ giamaicani. Senza fermarsi scivoliamo su un barcone che ci porta a Cayo Caulkier per il nostro soggiorno. Qui lo spirito reggaemuffin annusato sulla terra ferma aumenta insieme all’andamento svagato degli abitanti. La sua nomea di “barefoot island” viene subito smentita tanto è il disordine ed il sudicio per le strade e sulle spiaggie (fustini di detersivi e vetri rotti qui hanno la meglio sulla vegetazione e il mare è un bosco algoso). Si capisce subito che il suo unico vanto sono le escursioni di sub e snorkeling al largo dove si trova il famoso blue hole. Alla sera, delusi, ci gustiamo una bella aragosta in uno dei tanti ristorantini allestiti sul lungomare.

Il giorno dopo visitiamo San Pedro, la famosa Isla Bonita cantata da Madonna: stessa deludente zuppa.

La sera scappiamo subito col primo water taxi decidendo di portarci dietro solo il ricordo dell’aragosta.

A Belize City saliamo su un caratteristico bus anni 50 alla volta del Guatemala.Il viaggio è a dir poco epocale e al limite della paranoia, il pulmino è pieno di gente, aria condizionata inesistente, fermate: ovunque chiunque decida di scendere o salire.

Oltretutto alla frontiera del Guatemala un ponte era crollato allungando ancora di più la nostra odissea.

Flores – Gutemala, 12 agosto, 35° percepit 45°, ci stabiliamo in un dignitoso e pulito albergo. Il paese è piccolo e caratteristico, quasi non conosce l’asfalto, potresti girarci un film di Sergio Leone. All’indomani mattina prestissimo (come consigliato) prendiamo un minivan che fa da navetta al parco di Tikal. Un po’ come a Chichen Itza anche qui è tutto curatissimo, c’è pure un museo con reperti Maya che non visitiamo, dentro al parco ti accorgi che anche in Guatemala tengono tantissimo alla valorizzazione delle loro antiche rovine: prati immacolati con giardinieri sparsi ovunque, pulizia, percorsi ben segnalati e soprattutto le costruzioni ben mantenute; d’altronde in un paese povero come questo il turismo da un’iniezione di salute allo stato e speriamo tanto che sia l’input giusto per far crescere l’intero paese, ancora minato da enormi divari socilai. Molto bella la grande piazza con i due inconfondibili templi che si guardano evocando i terribili sacrifici Maya. Un po’ discutibile invece l’intervento di restauro ad un tempio dove la parte nuova non è molto in tono con il resto, ma forse è voluta per distinguere drasticamente l’originale.

Il giorno dopo ci facciamo una bella gita sul lago Flores, molto suggestivo, l’acqua porta con se il turchesse del mare. Faccio il bagno con alcuni ragazzi del posto mentre più in là due donne fanno il bucato ed un piccolo puledro prova a bagnarsi. Intorno ci sono molti cavalli al pascolo, bancarelle e negozietti che offrono dei bei manufatti in legno. Acquistiamo il dio Astrologo e con piacere vedo che due bambini imparano l’arte scolpendo due statuine. Il tempo si incupisce ma riusciamo a mangiare all’aperto dei piatti che vorrebbero ricordare la pasta italiana, ma, beh, insomma…

Torniamo a Flores sotto una pioggia passeggera. Il nostro assaggio di Guatemala finisce qui, tanto basta per invogliarci a visitarlo bene nel nostro prossimo viaggio; ora ci attendono le spiagge di Playa del carmen ed il relax assoluto.

Il 15 agosto, dopo un lungo viaggio in bus ( lo standard messicano è altissimo al riguardo, l’ADO offre posti posti climatizzati e tv), arriviamo nel tardo pomeriggio a Playa, girelliamo un po’ con tutti i bagagli a seguito per trovare l’alloggio migliore,perché vogliamo fermarci 3 o 4 giorni.Il Fiesta Siesta Hotel sulla 5° Avenida si rivela una buona scelta, pulito, ben arredato ed economiclo.Ambient messicano con tanto di piano bar serale, forse un po’ rumoroso, ma sei nel cuore della movida.

Dopo poco che sei in questo posto sembra un po’ di essere tornati a casa tanti sono gli italiani ma, cari miei, questo è un altro dei posti in cui pianteresti volentieri la tua tenda. La prima cosa che vogliamo fare è assaggiare il mare così, ben riposati, l’indomani mattina ci allontaniamo dal centro per scoprire le spiagge limitrofe e non bisogna camminare tanto per ritrovarsi su una grande spiaggia bianca semideserta bagnata dal sempre turchese e caldissimo mar dei caraibi. Facciamo il bagno più lungo della nostra vita e poi prendiamo il sole. Il soggiorno a Playa passa più o meno tutto così: spiaggia, birra, tequila e passeggiate in centro a vedere negozi di chincaglierie varie. Deliziose sono le colazioni a base di pan de banano ma anche gli italianissimi sono accontentati da svariate pizzerie. Dalla mattina alla sera le strade sono animatissime e l’atmosfera è gioiosa e libertina, piena di occasioni,da vero e proprio paese dei balocchi.

Purtroppo si avvicina sempre più il nostro rientro ma questo non ci impedisce di visitare con serenità un altro gioiellino dello Yucatan: Isla Mujeres.

Le aspettative sono alte ma poi alla resa dei conti le spiagge che abbiamo visto finora sono state migliori.

Ci accomodiamo al Caribbean Maya e noleggiamo uno scooter per visitare l’isola. La rinomata Playa Norte è un po’ una delusione, piccola,troppo affollata e con una battigia troppo estesa ed algosa che non è proprio l’orgoglio del mar dei caraibi, comunque le palme,i giovani e i music bar seminati un po’ ovunque te la fanno apprezzare.

Un vero piccolo paradiso lo scopriamo gironzolando sulla costa. Quasi per istinto infatti dalla strada principale che costeggia il lato sud scendiamo per una stradina in mezzo alla vegetazione ed arriviamo ad un ameno ristorante abbarbicato appena sopra la scogliera e circondato da un parco tropicale; il terrazzo all’aperto dove si mangia guarda il mare. La sensazione è impagabile anche perché siamo i soli clienti e tanta bellezza sembra quasi esclusiva. Così un semplice cevice diventa un piatto di ostriche e la birra un Don Perignon. Ci soffermiamo a parlare con l’unica proprietaria, un’anziana inglese molto affabile e sorridente, un po’ per riconoscenza di tanta bellezza, un po’ per capire il segreto di una simile armonia celata dietro una scelta così drastica come quella di abbandonare il proprio paese. Passiamo la sera del 20 a gironzolare e la dissolvenza inizia. All’una del mattino seguente traghettiamo verso Cancun dove lo shuttle ci port all’aeroporto, alle 7 e 15 saliamo sull’aereo e così tutti i colori di questa terra sbiadiscono nel grigio della pista.

La nostra avventura si è conclusa e spero che il racconto vi abbia messo un po’ di curiosità, di sicuro a noi è servito per rievocare non solo i bei momenti di un vacanza, ma anche per dipingere queste bellissime terre che porteremo sempre nel cuore.



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