Mauritius e non solo: anche Rodrigues

Sabato 21 Aprile 2001: E’ finalmente arrivato il giorno che ci vedrà partire per Mauritius: le valigie sono quasi pronte e Federico corre all’impazzata per casa sprizzando gioia e, all’apparenza, salute da tutti i pori. Sembra così rientrato l’allarme scattato un paio di giorni addietro, quando un’improvvisa ed inopportuna otite lo...
Scritto da: LucaGiramondo
mauritius e non solo: anche rodrigues
Partenza il: 21/04/2001
Ritorno il: 06/05/2001
Viaggiatori: fino a 6
Sabato 21 Aprile 2001: E’ finalmente arrivato il giorno che ci vedrà partire per Mauritius: le valigie sono quasi pronte e Federico corre all’impazzata per casa sprizzando gioia e, all’apparenza, salute da tutti i pori. Sembra così rientrato l’allarme scattato un paio di giorni addietro, quando un’improvvisa ed inopportuna otite lo aveva colpito: subito gli era stato somministrato un provvidenziale antibiotico e, scongiurato l’attacco febbrile, il count-down era continuato … e tuttora, idealmente, prosegue, con le caselline dei giorni e delle ore già da tempo azzerate. Mancano ormai una manciata di minuti alla partenza e non sappiamo più come dire al piccolo di stare tranquillo perché presto arriveranno a prenderci i nonni, col camper, per accompagnarci all’aeroporto, infatti, di lì a poco, suona il campanello: sono loro.

Carichiamo tutti i bagagli e alle 15:42 lasciamo la piazzetta di fronte a casa con destinazione Bologna. Lungo il tragitto parliamo più che altro di viaggi: del nostro che andiamo a cominciare e di quello dei nonni, in Tunisia, appena concluso. Il tempo vola e poco dopo le 16:30 siamo all’aeroporto Marconi, salutiamo i nostri accompagnatori e varchiamo la porta delle partenze col carrello pieno di bagagli e sopra ai bagagli … Federico, ideale comandante dello strano convoglio.

Ci avviamo al banco del check-in ed imbarchiamo le valigie che rivedremo all’aeroporto di Mauritius fra circa venti ore, poi oltrepassiamo la dogana e raggiungiamo la porta numero tre, dalla quale, fra non molto, ci imbarcheremo sul volo Af 2129 che, stando a quanto è scritto sui monitor, partirà in perfetto orario. L’attesa è breve e, poco dopo le 18:00, varchiamo il cancello, scendiamo lungo una scalinata e saliamo su di una navetta che ci accompagnerà al nostro aereo. Ancora pochi minuti e siamo di fronte al Boeing 737 dell’ Air France, ma le porte della navetta restano chiuse davanti ai nostri occhi: tutto il personale dell’aereo sembra impegnato a far salire una persona disabile all’interno del velivolo e nessuno potrà entrare a bordo prima che questa non sia sistemata a dovere.

Si perde, così, una buona dose di tempo e quando, finalmente, stacchiamo da terra in direzione di Parigi lo facciamo con quasi tre quarti d’ora di ritardo. Sì, stiamo proprio volando verso la capitale francese e sembra un controsenso andare a nord per poi tornare a sud, ma è proprio da là che spiccheremo il volo per Mauritius.

Sotto di noi ci sono, più che altro, nuvole, si intravede qualche cima innevata e più tardi appare la scacchiera dei campi coltivati tipici della campagna transalpina.

Dopo circa un’ora ha inizio la discesa e alle 20:28 tocchiamo terra all’aeroporto Charles De Gaulle di Parigi, un aeroporto immenso, con cinque terminal. Noi siamo nella zona “F” e ci dobbiamo trasferire in quella “A”, e più precisamente alla porta 49A. Per farlo dobbiamo scendere e salire numerose scale mobili, varcare diversi cancelli ed utilizzare una navetta. Cogliamo l’occasione per fare anche esperienza, visto che al ritorno dovremo fare lo stesso tragitto nel minor tempo possibile per non perdere la coincidenza.

Il volo Af 3864 partirà presumibilmente in orario, alle 23:15, e mancano ancora più di due ore al via. Per fortuna troviamo un’area giochi per bimbi, con tanto di televisione sintonizzata su “Cartoon Network”, ed il tempo trascorre in maniera più piacevole. Meno piacevole è stato accorgersi di aver fatto passare la macchina fotografica sotto ai raggi x, con la paura di aver rovinato una pellicola … speriamo bene! Sono le 22:30 e vado in perlustrazione verso la porta dalla quale ci imbarcheremo. Il nostro aereo è arrivato, ed è un enorme Boeing 747 dell’Air France: fa davvero impressione e mai ci era capitato di prenderne uno tanto grande. Di lì a poco ci fanno salire a bordo e ci sistemiamo alla fila venti, la stessa fila che ci era stata assegnata nel precedente volo, solo che in quel caso era l’ultima ed in questo … una delle prime! (in totale sono sessanta!). Arriva così anche l’ora della partenza ma, purtroppo, siamo ancora fermi e i tempi si allungano leggermente, poi, in prossimità della mezzanotte, il grande aereo si avvia, lentamente, verso la pista per il decollo.

Domenica 22 Aprile 2001: Vaghiamo per diverso tempo fra l’intricato dedalo di piste del Charles De Gaulle, tutte delimitate da lunghissime file di luci colorate, poi, finalmente, ci lanciamo nella lunga rincorsa che ci porta, un quarto d’ora dopo la mezzanotte, a prendere il volo. Trascorrono pochi minuti e Parigi è ai nostri piedi: si distinguono chiaramente l’Arco di Trionfo e l’inconfondibile sagoma illuminata della Torre Eiffel. Chiamo Federico al finestrino e anche lui riesce a vederla … giusto in tempo, infatti poco dopo dorme beato.

All’una di notte, mentre sorvoliamo Marsiglia, ci viene servita un’improbabile cena, o forse una prematura colazione visto che a Mauritius, in questo stesso istante, sono le tre del mattino. Un’ora dopo sotto di noi scorrono le coste della Sicilia, illuminate dai lampi di un temporale primaverile. E’ tardi e proviamo a chiudere gli occhi con la speranza di riuscire a dormire, abbreviando così, idealmente, il lungo viaggio che ancora ci aspetta.

Per fortuna riusciamo a prendere sonno, mentre il nostro aereo sorvola il grande continente africano. Solo per una volta, nel cuore della notte, mi sveglio e guardo fuori dal finestrino: sotto di noi si vedono le anse di un grande fiume … chissà quale? Finalmente si fa giorno e, proprio alle prime luci dell’alba, appare ai nostri occhi l’immensa distesa d’acqua dell’Oceano Indiano, poi, intorno alle 11:10 (ora di Mautitius), riappare la terra: probabilmente il Madagascar. Poco più di un’ora dopo siamo in piena fase di atterraggio. Oltre il vetro l’isola di Mauritius mostra subito, a colpo d’occhio, una delle sue caratteristiche peculiari: la rigogliosissima vegetazione, talmente rigogliosa da fare apparire quel piccolo lembo di terra, visto dal cielo, come una grande macchia verde gettata nell’immenso blu dell’oceano.

Giusto il tempo di goderci lo spettacolo e, alle 12:44, atterriamo all’aeroporto Sir Seewoosagur Ramgoolam di Mauritius. L’isola, che misura 62 chilometri di lunghezza per 46 di larghezza, si trova a quasi 20 gradi di latitudine sud, poco sopra il Tropico del Capricorno e a circa 880 chilometri ad est del Madagascar. Assieme ad un’altra manciata di isole, sparse per l’Oceano Indiano, forma, dal 1968, uno stato indipendente nell’ambito del Commonwealth, quello stesso stato a cui dà il nome: Mauritius appunto.

Le condizioni meteorologiche non sembrano ottimali e grandi nuvoloni invadono quasi completamente il cielo, ma non è freddo e ce ne rendiamo conto appena si apre il portellone dell’aereo e usciamo, zaino in spalla, seguendo la marea di gente che si dirige verso i nastri trasportatori per ritirare i bagagli. Con grande gioia ritiriamo i nostri e ci dirigiamo verso la dogana. Abbastanza rapidamente espletiamo tutte le formalità, usciamo per cercare l’incaricato di Exotismes (nostro tour operator) ma troviamo solo chi ne fa le veci in questa parte del mondo: la Mauritour … poco importa, purché ci facciano arrivare al più presto in hotel.

Molto simpaticamente veniamo inghirlandati ed invitati a salire su di un piccolo pullman. Telefoniamo a casa per far sapere del nostro arrivo e, poco dopo, ci avviamo, in compagnia di altri turisti, lungo la tortuosa strada che percorre la parte orientale dell’isola. Il mare, in questo tratto non si può certo definire bello, ma il paesaggio intorno è davvero affascinante e più di una volta ci troviamo a viaggiare fra due argini di canne da zucchero.

Dopo oltre un’ora di viaggio e con Federico ormai spazientito arriviamo, finalmente, all’Hotel Emeraude, che ci ospiterà per le prossime nove notti. Il primo impatto però non è dei migliori. La struttura, infatti, si trova a monte della strada costiera e non in riva al mare come tutti ci aspettavamo. Poi, però, ripensando al programma di viaggio, che prevede di passare in hotel esclusivamente il periodo di tempo compreso fra la cena e la colazione, finiamo per non dare peso più di tanto alla cosa.

Veniamo accolti con il tradizionale cocktail di benvenuto e, successivamente, ci vengono consegnate le chiavi della camera 227. Saliamo subito a prenderne possesso, indossiamo il costume, scendiamo, usciamo dall’hotel, attraversiamo la strada e raggiungiamo la spiaggia di Belle Mare di fronte a noi.

E’ domenica e tutto intorno è pieno di mauriziani. Sistemiamo i teli e ci stendiamo a goderci i raggi di un ormai tiepido sole, mentre Federico, impaziente, svuota subito lo zaino contenente i suoi giochi da spiaggia che non vedeva ormai da diversi mesi, in pratica dall’ultimo viaggio in quel di Malta.

Il mare di fronte a noi non è eccezionale, ma non disperiamo: ne vedremo certamente dell’altro più bello nei prossimi giorni e questo, per oggi, può bastare. Restiamo in spiaggia per meno di un’ora poi rientriamo in hotel così da concedere a Federico la possibilità di consumare quel bagno in piscina che chiedeva con insistenza ormai da tempo.

Ci sistemiamo sui lettini lungo il bordo e vi restiamo fino all’imbrunire: si sta benone e cogliamo l’occasione per scambiare alcune chiacchiere con una coppia di italiani (a quanto pare gli unici nostri connazionali presenti all’Emeraude).

Poco dopo le 18:00 è già buio, fa un piccolo acquazzone e si fa anche ora di salire in camera a prepararci per la cena, la nostra prima cena mauriziana … buona, tutto sommato. Dopo, però, la stanchezza per il lungo viaggio prende il sopravvento e, ben presto, ci trasciniamo in camera … questa volta per un meritato riposo.

Lunedì 23 Aprile 2001: Passiamo la prima notte a combattere prima con la calura e poi con il freddo generato dal condizionatore per vincerla. Puntualmente, però, una volta spenta la macchina, il caldo riprende il sopravvento, e così è, in pratica, per tutto il tempo, fino al mattino, poi, finalmente, suona la sveglia, ci vestiamo e andiamo a far colazione.

Alle 9:00 ci rechiamo alla reception per un piccolo breefing, prendiamo alcune informazioni e subito richiediamo un’auto a noleggio. Di lì a poco si presenta a noi un funzionario della Europecar e, dopo una breve trattativa, ci accordiamo per il noleggio di un fuoristrada per i prossimi otto giorni. Tale tipo di macchina non risulta però immediatamente disponibile e, per la giornata odierna, dovremo “accontentarci” di una Renault Clio bianca (targata 5487 CD 00), con la promessa di poter avere l’auto richiesta già da domani mattina. Il tempo passa inesorabile e, finalmente, ben oltre le 10:00, riusciamo a partire per dedicarci alla visita di Mauritius.

Si guida all’inglese e seguiamo la strada sulla parte sinistra della carreggiata in direzione nord. Poco dopo ci fermiamo in un ufficio di cambio per far rifornimento di locali rupie, poi ripartiamo ed imbocchiamo, per sbaglio, la strada che porta al St-Geran, uno degli hotel più lussuosi dell’isola ma, subito, veniamo riportati sulla retta via da una guardia privata, raggiungiamo così l’abitato di Poste de Flacq per vedere il tempio indù di Sagar Shir Mandir, che merita una visita anche solo per la sua posizione su di una minuscola lingua di terra circondata dalle mangrovie. L’edificio non è antico, anzi è appoggiato su robusti pilastri di cemento armato, ciò nonostante, immerso nella pace della laguna, pervaso da un intenso odore d’incenso e rifinito con decorazioni orientaleggianti, emana un fascino tutto particolare.

Riprendiamo la strada lasciando la costa e proseguendo verso il centro dell’isola. Procediamo a rilento ostacolati da numerosi lavori in corso e da mezzi pubblici non proprio moderni, così arriviamo a Pamplemousses quasi a mezzogiorno. La cittadina deve la sua notorietà ai giardini botanici che ci apprestiamo a visitare.

Varchiamo il sontuoso cancello d’ingresso e cerchiamo una guida che ci accompagni lungo un percorso con un minimo di criterio, concordiamo il prezzo (225 rupie) e, in compagnia di una famiglia francese, cominciamo a vagare fra le più svariate specie botaniche: un gigantesco baobab, le palme reali, le altissime canne di bambù, il buffo albero della salsiccia, l’albero della cannella e quello della canfora, i fiori di loto e, soprattutto, in un grande e scenografico bacino, le enormi ninfee Victoria Regia originarie dell’Amazzonia, le cui foglie possono raggiungere i due metri di diametro. In un recinto, all’interno del giardino, si possono osservare anche alcune tartarughe giganti: un’attrattiva che riesce a stimolare particolarmente la curiosità del piccolo.

La visita è stata davvero interessante, ma sono già le 13:00 quando usciamo dal parco e ci avviamo verso la costa nella parte più settentrionale dell’isola. Raggiunto il mare giriamo a sinistra e cominciamo a seguire la strada litoranea in senso antiorario, ci fermiamo per fare una provvidenziale spesa, quindi proseguiamo oltrepassando Grand Baie, la località turisticamente più sviluppata di Mauritius, e finiamo per fermarci sulla spiaggia di Trou aux Biches, qualche chilometro più a sud. Nel frattempo, però, il sole se ne è andato dietro alle nuvole e solo saltuariamente ci grazia della sua presenza.

Pranziamo un po’ in ritardo consumando, tra l’altro, un ottimo ananas acquistato appena fuori i giardini di Pamplemousses per poche rupie e, mentre lo stiamo facendo, si ferma un ragazzo mauriziano che, parlando un buon italiano, ci offre un’escursione in barca all’Ilot Gabriel, un isolotto situato fuori dalla barriera corallina, oltre la punta più settentrionale di Mauritius … proprio ciò che stavamo cercando! Rimaniamo d’accordo con Roberto (così si chiama il ragazzo mauriziano che, fra l’altro, indossa una maglia della nazionale italiana) che lo chiameremo al telefono nei prossimi giorni per concordare la data precisa dell’escursione. Ci saluta e se ne va alla ricerca di altri clienti.

Dopo di lui si ferma anche un venditore di collane: vorrebbe il nostro zaino Invicta e ci propone un baratto, ma gli rispondiamo di avere ancora bisogno di quello zaino e quindi di non potere accettare alcuna proposta.

Il sole continua a farsi desiderare ma non disperiamo e restiamo in spiaggia fiduciosi, mentre il bimbo si scatena in tutti i più tradizionali giochi con la sabbia. Però il tempo passa e le nuvole non ne vogliono sapere di diradarsi, allora, rassegnato, accompagno Federico in acqua, ormai incontenibile, ansioso com’è di provare la sua nuova maschera con boccaglio … ma l’acqua è piuttosto torbida e i pesci non ci sono proprio.

Alla 17:00 “leviamo le tende”, saliamo in macchina e raggiungiamo il paese di Triolet, ad una manciata di chilometri, per visitare lo Shivalah, il più grande complesso religioso indù dell’isola. Non ci sono altri visitatori oltre a noi ed una guida improvvisata ci fa strada fra i templi enunciando un elenco impressionante di divinità. Intanto l’aria è pervasa costantemente dall’odore dell’incenso e contemporaneamente comincia a scendere la sera.

Lasciamo una piccola mancia e, con sollecitudine, prendiamo la strada del ritorno procedendo spediti fra le due rive di canne da zucchero, interrotte solo in prossimità dei centri abitati. Ci fermiamo a rabboccare il serbatoio in previsione, l’indomani mattina, del cambio d’auto e arriviamo all’Emeraude col buio quasi totale … la giornata è finita, tutto sommato, una bella giornata peccato solo per il sole, un po’ latitante.

Ci rifugiamo in camera per una doccia e ci prepariamo a cenare. Più tardi scambiamo quattro chiacchiere con i due italiani (lui è di Empoli e lei di Vicenza … che strano! … per ora sappiamo solo questo, ma prima che se ne vadano, forse, impareremo anche i loro nomi), poi Federico, ormai stanco e annoiato dalla serata, chiede di andare a letto e, dopo un lungo tira e molla, lo accontentiamo.

Martedì 24 Aprile 2001: Sembra finalmente splendere un bel sole quando, alle 8:00, ci alziamo da letto e ci prepariamo a far colazione, poi, intorno alle 9:00, ci presentiamo alla reception dove ci aspetta un funzionario della Europcar per la sostituzione dell’auto. Consegniamo le chiavi della Renault Clio e, in cambio, ottenia-mo quelle del fuoristrada: un Suzuki Santana bianco (targato 2757 JL 97). Completate le normali verifiche di routine e ricevute le necessarie istruzioni, partiamo, fra l’entusiasmo di Federico per la nuova auto, verso il centro dell’isola. Sbagliamo più volte strada e, dopo varie peripezie, raggiungiamo finalmente l’abitato di Quartier Militaire, ideale valico verso la parte occidentale dell’isola. Di qui scendiamo poi a Curepipe, la seconda città di Mauritius.

Ci mettiamo alla ricerca del Trou aux Cerfs: il cratere di un vulcano spento che, seppur privo di pinnacolo, non dovrebbe essere difficile da individuare, immaginando la più classica delle asperità a forma di cono. Invece, ingannati dalla distesa di case e dalla mancanza quasi assoluta di indicazioni, peniamo più del previsto, ma alla fine imbocchiamo la strada giusta e arriviamo sul bordo del cratere, profondo un’ottantina di metri e largo circa settanta. E’ spento da milioni di anni, così al suo interno cresce una rigogliosa vegetazione e sul fondo si trova una sorta di acquitrino invaso dal verde. Il panorama verso il mare è gradevole e nelle giornate limpide può arrivare a spaziare fino alla lontana isola di Reunion. Restiamo così per un po’ di tempo a goderci, soprattutto, l’originalità del luogo e poi riprendiamo la strada in direzione della costa ovest.

In prossimità del paese di Floreal imbocchiamo una sconquassata strada che dovrebbe, presumibilmente, portare alle Tamarin Falls. In breve ci troviamo a percorrere uno sterrato fra le canne da zucchero e non abbiamo la minima idea di dove possano essere le cascate. Per dir la verità, guardandosi intorno, non sembra neanche esservi un dislivello di terreno tale da poterle rendere possibili, eppure sulla cartina sono segnate, più o meno, in questo punto.

Ormai rassegnati pensiamo di desistere ma incontriamo un ragazzo in bicicletta e chiediamo informazioni. Subito si mostra disponibile e ci fa capire di parcheggiare l’auto, poi ci fa cenno di seguirlo a piedi. Dopo un primo tratto pianeggiante fra le piantagioni si carica sulle spalle Federico ed imbocca un ripidissimo sentiero in discesa che si addentra nella boscaglia … certi brutti pensieri ci sfiorano solo la mente e, fiduciosi, lo seguiamo. Poco dopo arriviamo in una vallata da sogno, verdissima, solitaria e selvaggia. Si ode solo il rumore del torrente che scorre fra le rocce prima di precipitare oltre quaranta metri più in basso, si sentono solo i profumi della natura (fra cui quello del pepe selvatico) ed il cinguettio degli uccelli … è bellissimo! Risaliamo per lo stesso sentiero, con Federico sempre sulle spalle del ragazzo, il quale, non contento, una volta raggiunta l’auto, ci accompagna, inforcando la bicicletta, ad un tempio indù nelle vicinanze dal quale si possono ammirare le cascate da lontano. Alla fine ci chiede duecentocinquanta rupie e gliele diamo molto volentieri: se le è davvero guadagnate tutte! Salutiamo la nostra guida e riprendiamo a percorrere la strada in direzione del mare. A tal proposito, e per guadagnare tempo, imbocchiamo quella che dovrebbe essere una scorciatoia, così procediamo spediti fra le solite due rive di canne, fino ad incontrare un cartello di proprietà privata, ma lo ignoriamo, infondo la direzione sembra essere quella giusta. Ad un certo punto, però, ci troviamo la via sbarrata da un cancello con tanto di guardiola. Ci avviciniamo lentamente fingendo di non capire, chiediamo scusa al guardiano e questo, gentilmente, ci apre il cancello, così usciamo dalla proprietà privata, raggiungiamo la strada principale e “chiudiamo il cerchio”: la scorciatoia ha funzionato! Ancora una manciata di chilometri e arriviamo, ormai in prossimità del mare, al Casela Bird Park, una sorta di giardino zoologico a carattere prevalentemente ornitologico, ma il parco è chiuso per ristrutturazione e dobbiamo rinunciare alla visita. Poco male, sono le 13:00 e, a questo punto, non ci resta che raggiungere la vicina spiaggia di Flic en Flac, ultima tappa della giornata.

Il luogo è uno dei più rinomati della costa occidentale e a giusta ragione: la spiaggia ed il mare sono belli, la barriera corallina è vicinissima ed il panorama accattivante, con la sagoma rocciosa di Le Morne Brabant protesa verso il largo a marcare la linea dell’orizzonte, mancano solo le palme per dare un tocco più esotico al contesto, comunque caratterizzato da un boschetto di filao (una conifera originaria dell’Australia molto diffusa lungo le coste mauriziane).

Pranziamo e ci dedichiamo alla vita balneare per tutto il pomeriggio: splende un magnifico sole e facciamo, finalmente, un bel bagno. Indosso l’occorrente per lo snorkeling e vado in esplorazione sulla barriera: ci sono bei pesci, anche se radi, co-sì scatto qualche foto e poi torno a riva per invitare Federico a seguirmi. È la sua prima escursione subacquea ed è un po’ emozionato, ma presto prende confidenza, resta attaccato a me mantenendo la testa sott’acqua e riesce a vedere qualche abitante del mare, così ne esce davvero entusiasta … complimenti piccolo, sei stato bravissimo! In men che non si dica si fanno le 17:00 e dobbiamo per forza andare, ormai sappiamo quanto faccia presto, da queste parti, a calare il sole. Infatti arriviamo, di nuovo, all’hotel con il buio totale, e non è simpatico guidare con tutte quelle persone di colore che se ne vanno in giro su biciclette prive di fanale. Lungo il tragitto di ritorno Federico si addormenta, così lo portiamo, di peso, in camera e a fatica riusciamo poi a svegliarlo per fargli fare la doccia.

Dopo cena trascorriamo una piacevole serata in compagnia del piano bar oltre che di Sergio e Simonetta (questi sono i nomi dei due italiani). Il bimbo non ha sonno, dopo il riposino pomeridiano e, anche grazie alla musica, finiamo per ritirarci in camera quando le lancette dell’ orologio segnano quasi la mezzanotte. Mercoledì 25 Aprile 2001: Si preannuncia un’altra giornata di sole … bene, anzi molto bene : ci aspetta, infatti, un’intera giornata da passare sulla spiaggia, probabilmente, più bella dell’isola.

Partiamo, a bordo del “nostro” Suzuki, in direzione sud, lungo la strada litoranea e percorriamo pochi chilometri fino a raggiungere il paese di Trou d’Eau Douce, punto d’imbarco per la celeberrima Ile aux Cerfs. Lungo la parte terminale del tragitto, a più riprese, veniamo invitati a fermarci dai più svariati ed improvvisati armatori che intendono proporci la loro barca come mezzo più adatto a raggiungere l’isolotto meta della nostra escursione, ma decliniamo ogni invito: sappiamo esattamente dove andare.

Seguiamo la strada che porta all’hotel Touessrok e raggiungiamo il traghetto pubblico, lasciamo l’auto all’ombra, in un parcheggio sorvegliato, e, per sole cento rupie a testa, dopo quindici minuti, approdiamo sull’Isola dei Cervi. I cervi non ci sono però, in compenso, quando arriviamo c’è la bassa marea e la laguna di fronte al tratto di spiaggia più rinomato è un mare si sabbia.

Subito veniamo adescati da un ragazzo che ci propone un’escursione in barca alle vicine cascate ed è proprio ciò che stavamo cercando! Concordiamo la partenza per le 11:00 e ci incamminiamo verso la parte orientale dell’isola alla ricerca di un tratto di mare che possa, nel frattempo, soddisfare le nostre aspettative. Il luogo è straordinariamente bello e non abbiamo difficoltà a trovarlo: l’acqua, di un delizioso color turchese, lambisce spiagge bianchissime e abbiamo solo l’imbarazzo della scelta nel decidere in quale angolo di paradiso fermarci. Incontriamo Sergio e Simonetta (in escursione organizzata) e ci sistemiamo di fianco a loro, così, scambiamo un po’ di chiacchiere, ma con quello stupendo panorama negl’occhi, il tempo vola e in men che non si dica si fanno le 11:00.

Raccogliamo tutte le nostre cose, salutiamo, e ci avviamo verso il punto prestabilito per la partenza dell’escursione.

Ci aspettiamo di far parte della solita mandria di turisti, invece ci ritroviamo soli a bordo di un piccolo motoscafo pilotato da un folcloristico rasta e questo ci fa solo piacere. Il natante corre sulla laguna mentre un enorme sorriso dilaga sulla faccia di Federico che pare divertirsi un mondo. Raggiungiamo così le cascate del fiume Grande Riviere Sud-Est, le cui acque si gettano, dopo l’ultimo salto, direttamente in mare, dando vita ad un quadro d’insieme particolarmente suggestivo. Sbarchiamo sulle rocce prospicienti e veniamo accompagnati da due mauriziani, che si caricano il piccolo sulle spalle, nella risalita del torrente. In pochi minuti arriviamo alla sommità delle cascate e veniamo invitati ad entrare in acqua, ma solo io seguo il consiglio, così una delle guide mi accompagna a fare una indimenticabile serie di tuffi, poi un originale idromassaggio e il tutto, devo dire, mi ha particolarmente divertito.

Scendiamo di nuovo alla barca, lasciamo cento rupie di mancia ai mauriziani, e riprendiamo il largo. Alle nostre spalle il panorama è stupendo, con i colori del mare, della terra e del cielo che contrastano magnificamente fra di loro. Arriviamo sulla barriera corallina per fare snorkeling: indosso la maschera e, per mettere le pinne, scendo in acqua convinto di non toccare, invece urto il fondale con un piede … solo un graffio, mi è andata divinamente bene, considerata la quantità di corallo che c’è! Ci sono anche tanti pesci e sono bellissimi. Scatto qualche foto poi cerco di aiutare Federico a scendere dalla barca, ma, purtroppo, si intestardisce dicendo che l’acqua è fredda … e non è assolutamente vero! Scende in acqua e poi risale, protesta, sbraita e ridiscende poi, di nuovo, risale: al terzo tentativo, finalmente, mette la testa sott’acqua e anche lui, come noi, può godersi lo spettacolo! Peccato solo che il tempo sia volato via abbreviando così, drasticamente, la durata dell’escursione subacquea.

Torniamo sull’Isola dei Cervi dove, nel frattempo, la marea è salita e la spiaggia ha assunto un aspetto completamente diverso. Pranziamo all’ombra dei filao e ci godiamo la straordinaria bellezza, la pace e l’infinita tranquillità del luogo che, sinceramente, ci aspettavamo certo bello ma più caotico ed invaso da orde di turisti.

Telefoniamo a Roberto e fissiamo per venerdì l’escursione in catamarano all’Ilot Gabriel, mentre il pomeriggio scivola via fra incommensurabili bagni di acqua e di sole. Peccato per qualche capriccio di Federico che spezza, per un attimo, l’incantesimo: non vuole indossare la maglietta per fare il bagno, ma è inevitabile visto il colore poco rassicurante che si ritrova sulle spalle … alla fine, però, si convince e più tardi lo premiamo con un gelato (costato una follia!).

Alle 17:00 salpa l’ultimo traghetto e, controvoglia, dobbiamo lasciare l’isola, così quando arriviamo all’Emeraude c’è ancora il sole e ci fermiamo sui bordi della piscina a chiacchierare prima di salire in camera a “restaurarci” per la cena.

Durante la serata le condizioni del tempo peggiorano e comincia a piovere, allora ci rifugiamo sotto ai portici del bar, con Federico che passa tutto il tempo a disegnare in compagnia di Simonetta.

Giovedì 26 Aprile 2001: La giornata comincia molto presto: era già da diverso tempo che sentivo Federico rigirarsi nel letto in preda ad un sonno irrequieto poi, alle 2:00 del mattino, si sveglia e comincia a piangere dicendo di aver male ad un orecchio … bingo! Forse sarà stato il vento, preso in barca a tutta velocità. Subito gli somministriamo antibiotico e tachipirina così, dopo un po’, si calma nel letto con Sabrina, mentre io cerco di riprendere sonno, pieno di pensieri, nel suo letto.

Suona la sveglia alle 8:00 e siamo tutti un po’ frastornati ma il male sembra passato, non c’è febbre e decidiamo di proseguire nel programma di visite.

Dopo colazione partiamo in direzione della capitale Port Louis, andiamo verso sud, oltrepassiamo Trou d’Eau Douce, e ci inoltriamo verso il centro dell’isola nei pressi della cittadina di Bel Air, da dove ha inizio un caratteristico tratto di strada che si dipana ai piedi delle Blanche Mountains fino all’abitato di Camp de Masque, attraversando rigogliose piantagioni di canna da zucchero, ananas e banane, in un magnifico paesaggio rurale.

Nella tarda mattinata raggiungiamo la caotica Port Louis e subito ci torna in mente l’Isola dei Cervi, la cui pace e tranquillità ci sembra ora lontana anni luce. Ormai abituati alle spiagge e alle tranquille borgate disseminate in tutta l’isola anche una cittadina di centosettantamila abitanti ci appare come una metropoli.

A fatica parcheggiamo in una via secondaria e, subito, ci dirigiamo verso il caratteristico mercato, collocato nello stesso posto ormai da più di un secolo. Ci avventuriamo al suo interno mentre Federico, stanchissimo dopo la difficile nottata, si trascina a fatica le gambe e ben presto finisce in braccio alla mamma.

La popolazione di Mauritius è un vero crogiolo di razze ed il mercato è il cuore pulsante di Port Louis: indiani e cinesi, creoli ed europei offrono, sulle loro bancarelle, le più svariate merci esotiche. Facciamo qualche acquisto ma ben presto dobbiamo porre fine alla visita: il piccolo, suo malgrado, è una palla al piede e, soprattutto, un fardello piuttosto pesante da trasportare. Usciamo dal mercato, rifiutiamo un cambio di dollari in nero preferendo quello più sicuro, anche se, probabilmente, meno vantaggioso, della banca e poi proviamo ad entrare nella moschea Jummah, la più importante del paese, ma non ci viene concesso l’onore, così torniamo sui nostri passi e ci avviamo verso l’auto.

Ci spostiamo nella periferia settentrionale della città per visitare il tempio indù Tamoul Minatchee: una costruzione straordinariamente costellata da variopinte decorazioni e dal sapore tipicamente orientale, probabilmente di recente costruzione ma comunque ricca di fascino. Ci togliamo i sandali e per un po’ di tempo vaghiamo al suo interno alla ricerca delle migliori angolazioni per scattare alcune foto.

Sono da tempo passale le 13:00 quando torniamo verso il centro di Port Louis alla ricerca di un supermercato e di qualcosa da mettere sotto ai denti, ma, sembra impossibile, non riusciamo a trovarlo. Chiediamo allora informazioni ad un indaffarato mauriziano in giacca e cravatta, cerchiamo di fargli capire che siamo alla ricerca di un posto dove comprare qualcosa da mangiare: lui si guarda intorno, osserva più volte l’orologio al polso, lasciando intendere di avere fretta, poi ci dice di seguirlo e ci accompagna di fronte ad una pizzeria. Ormai è tardi e seguiamo il suo consiglio. Mangiamo pizza margherita e beviamo coca cola poi, rigenerati, riprendiamo la visita della città. Soprattutto Federico sembra aver letteralmente ricaricato le batterie e ora sprizza energia da tutti i pori.

Saliamo sul Fort Adelaide, costruito dagli inglesi nel 1834 come baluardo difensivo, ed osserviamo il panorama sulla capitale che si dipana ai suoi piedi … niente di eccezionale, per dir la verità. Poi raggiungiamo la Thien Thane Pagode, un edificio torre in stile cinese, piuttosto spoglio e privo di fascino architettonico … anche questo niente di speciale. Completiamo così la visita a Port Louis e ci avviamo verso la sua periferia meridionale.

Arriviamo, dopo un breve tratto di strada, al Domaine les Pailles, una tenuta all’interno della quale si trova una vecchia distilleria di rum, che raggiungiamo con l’ausilio di una caratteristica carrozza condotta da un folcloristico cocchiere. Seguiamo un percorso che ci illustra le varie fasi della lavorazione della canna, fra cui un mulino azionato da un grosso bovino caratterizzato da enormi corna. Due antipatici inservienti, però, si rifiutano di farcelo vedere mentre gira, e questo perché abbiamo scelto di non partecipare alla visita guidata, disponibile solo in inglese o francese. Il fatto ha contribuito, unitamente alla pochezza dell’intera esperienza, a rendere il tutto una piccola delusione, cocchiere a parte.

Torniamo all’auto e ci spostiamo alla vicina villa di Eureka che, edificata nel 1830, un tempo fu la residenza della casa reale inglese sull’isola di Mauritius. Il suo aspetto tipicamente coloniale e tutt’altro che sontuoso la integra perfettamente con il paesaggio circostante. Visitiamo il parco e gli interni, arredati con mobili e paramenti d’epoca, fra cui una ricostruzione del dodo, l’uccello simbolo dell’isola, portato all’estinzione oltre tre secoli fa dai coloni olandesi, che ne apprezzavano le carni. Alla fine lasciamo la villa, tutto sommato, soddisfatti e pronti a ripartire, però sono le 16:00 e non c’è tempo per andare in spiaggia, allora, con calma, rientriamo all’hotel, mentre Sabrina, che aveva pronosticato un riposino di Federico sulla via del ritorno, si addormenta ed il piccolo resta sveglio e pimpante.

Quando arriviamo all’Emeraude ci andiamo a sistemare sui bordi della piscina in attesa del tramonto, mentre a poca distanza da noi cade, con un tonfo secco, una noce di cocco. La raccolgo e, sotto lo sguardo incuriosito di Federico, la ripulisco della scorza filamentosa più esterna, poi gliela regalo e lui la porta in camera come fosse un trofeo.

Scriviamo le cartoline e, più tardi, andiamo a cena, quindi telefoniamo ai nonni: subito il piccolo racconta, entusiasta, la storia della noce di cocco e dei pesci che ha visto. Piacevolmente trascorriamo poi la serata, allietati da uno spettacolo di Séga, la danza tradizionale mauriziana.

Concluso l’intrattenimento salutiamo Sergio e Simonetta, in partenza per l’Italia, e ci ritiriamo in camera: domani mattina ci aspetta una levataccia per riuscire a prendere il catamarano “di Roberto” in partenza da Grand Baie, nel nord dell’isola, alle 9:00. Resteremo in mare per tutto il giorno e non vorremmo avere problemi: per ora Federico sembra ristabilito … speriamo bene! Venerdì 27 Aprile 2001: La sveglia suona presto: poco dopo le 6:30 siamo già in piedi ed in fretta ci prepariamo. Dobbiamo partire dall’Emeraude entro le 7:30 per essere, un’ora dopo, a Grand Baie, nell’estremo nord di Mauritius: lì abbiamo un appuntamento con Roberto che ci accompagnerà al via dell’escursione all’Ilot Gabriel e all’Ile Plat, due isolotti posti al largo della costa, oltre la barriera corallina che la delimita.

Facciamo una striminzita colazione, per gentile concessione di una cameriera, ancora prima dell’orario di apertura del buffet e, immediatamente, ci mettiamo in strada. Sbagliamo direzione un paio di volte ma, alle 8:30, come previsto siamo all’unico semaforo di Grand Baie per l’appuntamento con il nostro uomo. Non c’è e gli telefoniamo … non si sa mai, che si sia dimenticato, invece mi dice che è in leggero ritardo e che fra dieci minuti sarà sul posto. Infatti arriva comminando, saluta cordialmente e sale, con noi, sull’auto, quindi ci fa parcheggiare e ci accompagna all’imbarcadero.

Il catamarano è ormeggiato sull’altro lato della baia, per caricare alcuni turisti, e nell’attesa parliamo con Roberto: ci dice che a Mauritius, in questo momento, c’è anche Jean Todt (direttore sportivo della Ferrari), il quale andrà domani a fare l’escursione, ma con una barca tutta per lui … sarà vero? … Ho parecchi dubbi in merito.

Alle 9:30 saliamo a bordo e prendiamo il largo in compagnia di altre undici persone più quattro di equipaggio. Appena fuori la barriera corallina spengono i motori ed issano le vele, tira vento e, memori dei fatti recenti, proteggiamo le orecchie di Federico con due batuffoli di cotone. Affrontiamo le grandi onde dell’Oceano Indiano, che fanno impressione anche quando, come oggi, il mare viene definito calmo e gli schizzi che ogni tanto arrivano hanno già quasi bagnato completamente Sabrina, che ha scelto, per sedersi, una posizione non troppo felice.

A metà del percorso incontriamo la rocciosa isola del Coin de Mire e proseguiamo, doppiandola sul lato sinistro, sempre in balia delle onde. Dopo poco più di un’ora e mezza entriamo nella laguna compresa fra l’Ilot Gabriel e l’Ile Plat, apprestandoci a sbarcare su quest’ultima. Attracchiamo al relitto arrugginito di una vecchia imbarcazione e scendiamo sull’isola.

La spiaggia è bianchissima ed il mare fantastico, peccato per il vento che non invita Sabrina e Federico ad entrare in acqua, io invece, in attesa del pranzo, indosso maschera e pinne e mi concedo un bagno. Il fondale è ricco ci concrezioni coralline e branchi di pesci colorati mi girano intorno: è un paradiso! A mezzogiorno consumiamo, seduti per terra e all’ombra di una tenda improvvisata, un ottimo pranzo a base di pesce, carne e frutta, fra cui le curiose banane alla griglia ed una sublime aragosta, poi torniamo in spiaggia: il ritrovo per l’imbarco è fissato per le 14:45.

Ci godiamo ancora per un po’ il magnifico posto: la pace e la tranquillità sono assolute, di fronte a noi l’azzurro del mare contrasta con la sottile linea di vegetazione dell’Ilot Gabriel e più lontano, sulla destra, svetta la severa sagoma rocciosa del Coin de Mire. Faccio ancora un bagno fra i pesci che nuotano in una foresta di coralli e scatto qualche foto, poi lo fa Sabrina e anche lei può rendersi conto della meraviglia. Come capita sempre in questi casi però il tempo vola e ben presto ci ritroviamo nel catamarano sulla via del ritorno.

Controvento la barca impiega più tempo e servono due ore per arrivare a Gran Baie, nel frattempo Federico, cullato dalle onde, si concede un riposino, mentre gli schizzi d’acqua, per fortuna calda, continuano a bagnarci costantemente la schiena ed il sedere, tanto che, all’arrivo, prima di salire in macchina, dobbiamo cambiarci tutti i vestiti.

Partiamo immediatamente per l’Emeraude e meditiamo sulla giornata appena trascorsa: è stata memorabile, nonostante il lungo viaggio in mare che, a tratti, non è stato troppo piacevole. Il piccolo, rigenerato dal sonnellino, ora è pimpante e parla a ruota libera … l’otite sembra lontana anni luce! Arriviamo in hotel, col buio, alle 18:30 e subito saliamo in camera a prepararci per la cena.

La serata non prevede intrattenimenti, ma conosciamo due ragazze italiane, le uniche nostre connazionali arrivate dopo la partenza di Sergio e Simonetta, così saranno assicurate le chiacchiere per qualche giorno ancora, e non saremo soli dopo cena.

Sabato 28 Aprile 2001: Ci aspetta una giornata intensa, con tanti chilometri di accidentata strada mauriziana da percorrere per esplorare le terre alte e la parte meridionale dell’isola.

Dopo colazione saliamo a bordo della nostra Suzuki Santana e, viaggiando lungo la costa est, raggiungiamo la città di Mahébourg, sorta laddove, nel 1598, sbarcarono i primi coloni olandesi. Oggi è una tranquilla cittadina nota, più che altro, per la vicinanza con l’aeroporto. Di qui svoltiamo verso l’interno e cominciamo a salire in direzione dell’altopiano che domina la regione, attraversiamo verdissime piantagioni di tè, ed arriviamo al Grand Bassin, che, a dispetto del nome, è un piccolo lago di origine vulcanica, ma anche il più importante luogo di culto degli indù a Mauritius. Tutti gli anni, a febbraio, esso diviene meta di un pellegrinaggio che richiama fedeli da ogni parte del paese, e ne sono testimonianza i grandi parcheggi, ora vuoti, che si trovano tutt’intorno. La sponda è costellata di piccoli templi e altari, pervasi da un intenso odore d’incenso. Facciamo una breve passeggiata mentre comincia a piovere, e non è un caso che lo faccia in questa parte dell’isola.

Torna invece il sole quando prendiamo a seguire la strada che si dipana sul Plaine Champagne (che non ha nulla a che vedere col famoso vino francese). Siamo ora costantemente in quota, oltre i settecento metri di altezza, e percorriamo la parte più selvaggia dell’isola, l’unica che possa ancora rendere l’idea di come fosse Mauritius prima che arrivassero i coloni a sradicare le foreste. Oggi tutta la zona fa parte del più grande parco naturale del paese, situato fra le catene montuose di Rivière Noire e Montagnes Savanne.

Lungo il percorso ci fermiamo in alcuni punti panoramici, ben segnalati, ad osservare le profonde e rigogliose valli che degradano verso il mare, poi, lentamente, cominciamo a scendere in direzione della costa, mentre, per nostra fortuna, continua a splendere un magnifico sole.

Attraversiamo qualche sparuto villaggio e arriviamo alle bellissime cascate di Chamarel, che precipitano da oltre novanta metri di altezza in una conca di vegetazione tropicale e sono inserite in un contesto scenografico altamente spettacolare, laddove l’altopiano sembra, improvvisamente, finire non concedendo al torrente altra soluzione che non quella del grande salto. Osserviamo lo spettacolo da un belvedere posto proprio di fronte e raggiungibile, a piedi, in pochi minuti, poi torniamo all’auto e proseguiamo lungo una strada accidentata fino alla successiva meraviglia naturale.

Percorriamo pochi chilometri e ci andiamo a fermare in un parcheggio dal quale, camminando, raggiungiamo le incredibili Terres des Couleurs (le terre colorate). Lo spettacolo è sorprendente: l’erosione ha originato nel terreno una serie di gibbosità, decine di collinette di nuda terra vulcanica che, per la presenza di ossidi minerali, assumono tutta una serie di colorazioni dal rosso al verdastro, dal violetto all’ocra. Una vera e propria spiegazione scientifica, per questo fenomeno geologico, non esiste, e sembra quasi che un bizzarro pittore abbia voluto usare la sua tavolozza su di un terreno dall’aspetto vagamente lunare. Le colline intorno, ricoperte di verdissima vegetazione, ed il blu intenso del cielo, completano il magnifico scenario, e per poter meglio osservare il luogo è stata costruita anche un’altana in legno, sulla quale, naturalmente, saliamo, poi concludiamo la visita seguendo, a piedi, lo steccato che delimita, in pratica, i confini entro i quali sono racchiuse quelle strane e fantasiose dune.

E’ già da tempo passato mezzogiorno quando ci fermiamo lungo la strada, sotto ad un albero: stendiamo i teli sul prato e consumiamo un insolito pranzo bucolico, poi, adeguatamente rifocillati, riprendiamo la discesa in direzione della costa.

Dopo centinaia di curve e migliaia di buche arriviamo, finalmente, al mare nei pressi dell’abitato di Baie du Cap, all’estremo sud dell’isola, e di qui prendiamo a seguire la strada litoranea in senso antiorario. Ci andiamo a fermare, poco più avanti, in un bel tratto di costa nei pressi di Pointe aux Roches e ci sistemiamo all’ombra dei filao, in una spiaggia semideserta, bianchissima e lambita da un mare favoloso. Peccato solo per il tempo, che è volato via, così ora ci restano non più di due ore da trascorrere sul posto.

Facciamo un bel bagno di acqua e di sole, unicamente in compagnia di qualche mauriziano: questa non è una zona particolarmente battuta dal turismo e la nostra presenza incuriosisce i locali, tanto che, ad un certo punto, si avvicina a noi un signore di colore e si presenta, parla solo il creolo ma riusciamo a capire che vorrebbe fare amicizia. Ci mostriamo disponibili e allora chiama la sorella, che parla inglese, poi il resto dei famigliari: li vuole tutti intorno a sé e ce li fa conoscere uno ad uno. Comunichiamo a monosillabi e non riusciamo a comprendere tutti i gradi di parentela, ma alla fine li salutiamo con un sorriso e gli lasciamo una penna come souvenir: una cosa da poco, ma tanto è bastato per metterli in difficoltà, visto che ora non sanno come contraccambiare. Parlottano un po’ fra di loro e poi arrivano con una pirofila contenente una pietanza a base di riso che intendono offrirci. Subito rifiutiamo, ma sono insistenti, così li accontentiamo e l’assaggiamo … è piccantissima! Con la bocca “in fiamme” e gli occhi ancora lucidi li salutiamo un’altra volta: loro ci spiegano dove abitano e ci dicono di andarli a trovare nel caso passassimo di nuovo in zona, e, per finire, regalano un pacchetto di patatine a Federico. E’ stata davvero una bella esperienza, però non manca molto all’imbrunire e si è fatta decisamente l’ora di rientrare.

La strada da percorrere è tanta e così arriviamo all’Emeraude alle 18:30, come al solito in compagnia del buio quasi totale. Svegliamo Federico che, lungo il tragitto, si era addormentato e saliamo in camera.

Il dopo cena è allietato dal piano bar e dalla nuova compagnia italiana, mentre sul telefonino arriva un messaggio del nonno: Schumacher, con la sua Ferrari, è in pole position nel gran premio che si correrà domani … e la storia di Roberto in merito a Jean Todt perde ogni tipo di attendibilità.

Domenica 29 Aprile 2001: Il cielo non promette nulla di buono e grossi nuvoloni grigi carichi di pioggia si ammassano, un po’ ovunque, all’orizzonte. Decidiamo quindi di cambiare il programma di visite, che prevedeva di trascorrere l’intera giornata in mare.

Procediamo sulla strada che porta verso il sud dell’isola e, visto il tempo, ci fermiamo nei pressi di Curepipe, dove si trovano alcuni grandi magazzini che vendono abbigliamento firmato, di cui Mauritius è un’ottima produttrice, ma è anche una giornata festiva e troviamo tutto chiuso. Proseguiamo allora verso il meridione, sotto un violento acquazzone, e ci approssimiamo alla costa, ma non arriviamo al mare e ci fermiamo qualche chilometro prima a Riviere des Anguilles, dove si trova il parco di La Vanille. Nel frattempo smette anche di piovere e così ci apprestiamo a visitarlo.

Varchiamo il cancello d’ingresso e ci troviamo all’interno di uno zoo, il cui tema predominante e quello dei rettili. E’ ormai appurata la nostra avversità all’osservazione di animali in cattività, ma non si poteva negare a Federico l’emozione di poter vedere, in tutta sicurezza, grandi quantità di coccodrilli, ammassati gli uni agli altri, di ogni forma e dimensione, provenienti soprattutto dal Madagascar, ma anche da altre parti del mondo. Non mancano camaleonti, iguane e rane giganti, ma anche scimmie e pipistrelli (seppur fuori tema), il tutto immerso in una lussureggiante vegetazione tropicale, talmente fitta da non far passare neppure le gocce di un breve ed improvviso acquazzone. La parte più bella del parco è, però, la sezione dedicata alle tartarughe giganti che, indisturbate, vagano in uno stato di semilibertà entro un grande recinto di pietre, all’interno del quale si può tranquillamente camminare, provando così l’emozione di stare a stretto contatto con i grandi e longevi animali, che possono raggiungere i duecentocinquanta anni di vita! Peccato solo che il piccolo, fin troppo timoroso, non sia voluto salire a cavallo di uno di quegli enormi gusci per essere immortalato in una memorabile foto ricordo.

Terminiamo la visita di La Vanille Park mentre il sole comincia, timidamente, a perforare quell’odiosa coltre di nubi, che poi, pian piano, si dissolve quasi completamente. Ci spostiamo ancora più a sud e, nella cittadina di Souillac, ormai in prossimità della costa, cominciamo a seguire alcune scarne indicazioni che ci dovrebbero portare alla Rochester Falls.

Percorriamo un’impervia strada sterrata e poi ci inoltriamo fra le piantagioni di canna da zucchero, all’interno di quel reticolo di carrarecce rurali che delimitano e separano i campi, svoltiamo ad un crocevia e poi ad un altro, uguale al primo, e ad un altro ancora, cercando di memorizzare il percorso, ed arriviamo ad una biforcazione dove alcuni mauriziani, seduti all’ombra, sembrano attendere il nostro arrivo. Ci fanno capire di parcheggiare l’auto, poi uno di loro ci dice di seguirlo … e così facciamo. La nostra nuova guida cammina avanti a noi e ci accompagna a vedere le cascate, che sono alte solo otto metri, ma hanno una grossa portata d’acqua e sono immerse in un bel paesaggio, caratterizzato da una rigogliosa vegetazione. Osserviamo il salto prima dalla balconata superiore, con due ragazzi, di fronte a noi, sul lato opposto, che si esibiscono in un coraggioso tuffo con successiva e scontata richiesta di denaro, poi scendiamo alla base lungo un sentiero fangoso nel quale Federico scivola sporcandosi inevitabilmente di terra. Gli laviamo le gambe nelle acque del torrente, scattiamo una foto con le cascate alle spalle e torniamo verso l’auto.

Fa un caldo allucinante, considerata la grande umidità dovuta all’evaporazione della pioggia caduta in mattinata e concludiamo la breve escursione in un bagno di sudore, lasciamo l’obolo, che la guida non vuole spartire con i suoi soci, scatenando di conseguenza un piccolo battibecco, poi, senza sbagliare, percorriamo a ritroso la strada fra le canne e torniamo a Souillac.

Appena più a sud dell’abitato andiamo a vedere le onde dell’oceano infrangersi sulla barriera corallina da un punto panoramico chiamato Gris Gris, poi cominciamo a risalire la costa orientale per raggiungere l’insenatura di Blue Bay. Si fa piuttosto tardi, sbagliamo strada e perdiamo una buona mezz’ora, così Sabrina si irrita un po’ e quando, finalmente, arriviamo alla spiaggia le lancette dei minuti hanno già compiuto almeno un paio di giri in più rispetto alla normale ora di pranzo. Il luogo non è male, anche se è stracolmo di mauriziani che si godono la domenica, ma il sole se ne sta per quasi tutto il tempo dietro alle nuvole e contribuisce a rendere non proprio positivo l’esito della giornata. (Arriva un messaggio sul telefono cellulare: la giornata è stata più positiva per Schumacher, che ha vinto il gran premio di Spagna). Si ferma anche l’ennesimo venditore di collane, e ce ne propone una di corallo rosso a mille rupie, noi gliene offriamo duecento … si dice scandalizzato e se ne và. Di li a poco torna, accetta la nostra proposta e facciamo l’affare … ma sarà un affare? Poco prima delle 17:00 riordiniamo gli zaini e rientriamo all’Emeraude. La serata passa tranquilla, in compagnia delle due sole persone italiane presenti nell’hotel oltre a noi, delle quali, oltretutto, non conosciamo ancora i nomi, poi andiamo a letto con la speranza che già domani sia, di nuovo, una splendida giornata di sole.

Lunedì 30 Aprile 2001: E’ l’ultima giornata intera che passeremo a Mauritius e per questo motivo vogliamo essere sicuri di passarla nel migliore dei modi, memori di quanto è successo in quella precedente.

Sopra di noi il cielo è azzurro e splende il sole, mentre verso il centro ed il sud dell’isola, statisticamente più piovosi, si ammassano ancora grossi nuvoloni, e saremmo dovuti andare proprio in quella direzione. Rivoluzioniamo così di nuovo i piani e, dopo colazione, percorriamo il breve tratto di strada che ci separa da Trou d’Eau Douce, imbocchiamo il nastro d’asfalto che porta all’hotel Tousserok e arriviamo, già alle 9:30, all’imbarcadero per l’Isola dei Cervi. Mezz’ora più tardi sbarchiamo, per la seconda volta, su quella che è, senza ombra di dubbio, la spiaggia più bella di Mauritius.

C’è la bassa marea e c’incamminiamo sul lato orientale dell’isolotto, alla ricerca di un posto nel quale sistemarci. Ci fermiamo all’ombra dei filao, con l’immensità del mare dominata dalla bellezza dei suoi incredibili colori davanti ai nostri occhi, nella pace più assoluta … si sta divinamente! Resta qualche rimpianto per ciò che non abbiamo potuto e voluto visitare oggi, ma avevamo tutti bisogno di una giornata come quella che stiamo passando. L’acqua del mare, di fronte a noi, è caldissima e sottile, non più alta del ginocchio, così facciamo indimenticabili bagni e lunghe passeggiate, sempre con i sandali ai piedi, vista la presenza di molti ricci: è tutto fin troppo bello (peccato solo per qualche mio disturbo intestinale). Il tempo vola e in un attimo si fa mezzogiorno: pranziamo e poi continuiamo a goderci lo spettacolo.

A metà pomeriggio ci spostiamo nella parte più interna della laguna e quindi in quella più affollata, vista la vicinanza con i moli di attracco delle barche, ma in quel tratto di mare non ci sono i ricci e così consumiamo un ultimo, bellissimo, bagno all’Isola dei Cervi, poi, pian piano, la spiaggia si svuota e anche noi ci avviamo verso quell’imbarcazione che, in pochi minuti, ci riporta in prossimità del parcheggio dove si trova la nostra auto, con la quale rientriamo all’Emeraude, mentre il sole non è ancora tramontato.

Saldiamo il conto e riconsegniamo l’auto a noleggio (tutto a posto), poi saliamo in camera a sistemare le valige per la partenza verso l’isola di Rodrigues che, stando ad un messaggio recapitatoci alla reception, avverrà domani mattina alle 8:40. Più tardi ceniamo e poi passiamo l’ultima serata in compagnia di Paola e Veronica: così si chiamano e l’abbiamo saputo in extremis però … meglio tardi che mai! Martedì 1 Maggio 2001: Il suono della sveglia alle 7:00 del mattino dà il via all’operazione Rodrigues. Con sollecitudine ci alziamo da letto e completiamo le valigie, poi osserviamo, purtroppo, una sosta obbligata in bagno: anche Sabrina accusa qualche disturbo intestinale e all’appello manca solo Federico che, comunque, per un altro motivo, è già sotto profilassi antibiotica e per questo speriamo venga risparmiato.

Andiamo a far colazione e poi torniamo in camera a prendere i bagagli, scendiamo, salutiamo le ragazze italiane e subito dopo, puntualissimo, arriva il pulmino della Mauritour che ci accompagnerà all’aeroporto.

L’autista, stranamente, invece di seguire la strada costiera, come all’arrivo, passa per il centro dell’isola e diverse auto imbandierate vanno nella stessa direzione: la loro meta probabilmente è Curepipe dove, in occasione della festa dei lavoratori, si terrà una manifestazione. Noi, invece, oltrepassiamo la città e proseguiamo verso sud. Poco più di un’ora dopo la partenza arriviamo all’aeroporto internazionale di Mauritius, nei pressi di Mahébourg, salutiamo il nostro accompagnatore, entriamo e, subito, cerchiamo il banco dal quale imbarcare i bagagli, mentre sui videoterminali il volo Mk 130 delle 11:55 sembra essere in perfetto orario.

L’attesa alla porta numero uno è breve e, solo qualche minuto dopo l’orario previsto, l’Atr 42 dell’Air Mauritius prende quota virando immediatamente verso est-nord-est. Sorvoliamo l’Oceano Indiano e, dopo circa settanta minuti, avvistiamo l’isola di Rodrigues, la seconda, per estensione, dello stato (15 chilometri di lunghezza per 7 di larghezza): un frammento di terra vulcanica circondato dalla barriera corallina, sul quale vivono non più di trentottomila anime.

Alle 13:20 atterriamo sulla pista del minuscolo aeroporto Plain Coral: affrontiamo la scaletta dell’aereo e ci avviamo verso il ritiro dei bagagli. La sala degli arrivi misura quanto, o poco più, di un soggiorno ed il nastro trasportatore funziona spingendo a mano le valige, mentre l’intero edificio aeroportuale non è più grande di una villetta unifamiliare.

Ritiriamo i bagagli e saliamo sul pulmino che ci accompagnerà al Cotton Bay Hotel, sull’altro lato dell’isola, nel quale soggiorneremo per quattro notti. Lungo il tragitto, in compagnia di alcuni turisti stranieri, osserviamo il paesaggio di Rodrigues, che è profondamente diverso da quello di Mauritius: assai più aspro e montagnoso (l’aeroporto, a prima vista, sembra essere l’unico pezzetto di terra pianeggiante) ma, soprattutto, completamente privo di canna da zucchero e comunque verdissimo, con parecchie mucche al pascolo, che sono magrissime nonostante il ben di Dio che le circonda.

Attraversiamo tutta la parte centrale dell’isola e, dopo circa mezz’ora, arriviamo al mare, al Cotton Bay Hotel che, a prima vista, ci fa buona impressione. Veniamo accolti a suon di musica e col tradizionale cocktail, poi ci consegnano le chiavi della camera numero 304, che subito raggiungiamo: è molto ampia e ben fatta, ma priva di televisione come, del resto, la precedente.

Attendiamo l’arrivo delle valige, indossiamo il costume e torniamo all’aria aperta, raggiungiamo la nuova piscina e ci sistemiamo con i lettini lungo i suoi bordi. Il tempo stringe: resteremo per soli tre giorni interi a Rodrigues, quindi vado subito a prenotare qualche escursione, mentre Federico non resiste alla tentazione di scendere nella vasca, così, al ritorno dal mio breve colloquio, lo raggiungo e anch’io scendo in acqua.

Ci siamo spostati di parecchi chilometri più ad est, mantenendo lo stesso fuso orario, e per questo motivo, alle 16:30, il sole è già basso sulla linea dell’orizzonte. Decidiamo allora di fare una passeggiata lungo la costa a raccogliere conchiglie: l’insenatura e la spiaggia sono belle, il mare un po’ meno. Trascorriamo dei bei momenti, con il sole che tramonta infuocando il cielo di fronte a noi e, alle 17:30, con il buio quasi totale torniamo in camera ad aspettare l’ora di cena.

I disturbi intestinali sembrano passati quasi del tutto e ci mettiamo a tavola poco dopo le 19:30: mangiamo divinamente e notiamo una coppia di italiani, ma non riusciamo a conoscerli. Non c’è segnale per il telefono cellulare, così andiamo in camera per chiamare casa, lo facciamo attraverso la reception e la nonna Anna si prende un bello spavento quando sente parlare inglese, ma si tranquillizza subito dopo con la voce di Sabrina. Al nostro ritorno, però, i due papabili candidati ad una partita di chiacchiere sono spariti e restiamo soli a goderci il resto della serata.

Mercoledì 2 Maggio 2001: Ci alziamo da letto e andiamo a far colazione, così incontriamo gli addetti alle escursioni e chiediamo informazioni sulle due che abbiamo prenotato, visto che una era in dubbio. Ci sembra di capire che siano confermate entrambe e più sollevati di prima ci prepariamo a trascorrere, in tutta serenità, il resto della giornata.

Ci avviamo lungo la costa verso sud e, dopo venti minuti di cammino fra le rocce e la vegetazione, arriviamo alla bella Anse Ally. Ci sistemiamo sulla spiaggia di sabbia bianca, con di fronte i magnifici colori del mare, in compagnia di noi stessi: se non fosse per una barchetta di pescatori, arenata sulla sabbia, e qualche casupola in lontananza, fra le colline, sembrerebbe di essere su di un’isola disabitata.

Fra l’entusiasmo di Federico montiamo la tendina, che ancora non avevamo usato, per avere un po’ d’ombra, visto che resteremo ad Anse Ally per tutto il giorno, poi consumiamo un rinfrescante bagno nelle tiepide acque della laguna. Faccio un giro di perlustrazione con maschera e pinne ma non ci sono pesci, solo ricci e in quantità industriale. Ogni tanto, alle nostre spalle, passa, camminando, qualche locale. Sono tutti molto simpatici: cordialmente ci salutano e sorridono.

Pranziamo pescando fra le ultime risorse, apriamo una noce di cocco e così ci sentiamo tutti piccoli Robinson Crosuè, poi ci stendiamo, al sole, nella pace assoluta, con il solo rumore del vento a sibilarci nelle orecchie: il rilassamento è totale e la sensazione davvero piacevole.

Smontiamo la tenda e subito dopo Federico fa un riposino, così restiamo ad Anse Ally fino alle 16:00, poi rientriamo all’hotel per un sentiero più interno rispetto alla costa, risparmiando un bel tratto di strada.

Una volta arrivati al Cotton Bay accontentiamo il piccolo, che desiderava fare un bel bagno in piscina, mentre noi ci sistemiamo sui bordi a goderci gli ultimi sprazzi di sole. Aspettiamo il tramonto e coroniamo l’esito di una piacevolissima giornata.

Andiamo in camera a prepararci per il cocktail delle 19:30, offerto dall’hotel ai nuovi arrivati, poi, dopo cena, cerchiamo i due italiani, ma non ci sono più … saranno partiti. Allora ci mettiamo tranquillamente seduti a guardar le stelle, poi ci rifugiamo al bar, dove va in scena un piccolo spettacolo di Sega: riusciamo così ad ingannare il tempo e a trascorrere decentemente la serata.

Giovedì 3 Maggio 2001: Ci aspetta la prima delle due escursioni programmate all’interno della laguna di Rodrigues, quindi, di buon ora, usciamo dalla camera e andiamo a far colazione, mentre dal cielo scende il più classico degli acquazzoni tropicali … poco dopo splende il sole, ma le nuvole, in cielo, oggi sono tante e difficilmente riusciremo ad evitarle tutte.

Qualche minuto dopo le 9:00 lasciamo l’hotel a bordo di un pulmino e risaliamo la strada che porta verso il centro dell’isola. Ci fermiamo in alcuni villaggi a rifornirci del cibo che consumeremo a pranzo e intanto recuperiamo i vari componenti dello staff organizzativo, che alla fine risulta particolarmente nutrito in relazione al numero dei partecipanti all’escursione, tanto che finiamo per chiederci come sia possibile che si riesca a trovare un giusto riscontro economico in tutta l’operazione.

Scendiamo in direzione della costa meridionale fra verdi prati e mucche al pascolo, con bellissime vedute sulla laguna delimitata dalla barriera corallina: sembra d’essere nella … “Svizzera tropicale”.

Arriviamo al mare e seguiamo la strada che lo costeggia verso occidente per giungere, intorno alle 10:00, in prossimità di un tratto di costa rocciosa nei cui anfratti si trovano ormeggiate alcune barchette a motore. Saliamo a bordo d’una di queste e salpiamo affrontando il mare che è increspato, nonostante sia compreso entro la barriera corallina, e gli schizzi, a più riprese, ci bagnano mentre arriviamo all’Ile aux Chats: un isolotto, disabitato, lambito da acque cristalline.

Splende anche un magnifico sole quando sbarchiamo su di una spiaggetta, mentre il piccolo natante se ne va, probabilmente, ad aspettarci sull’altro lato dell’isola. Percorriamo, a piedi, un breve tratto di costa bordato dagli straordinari colori del mare che incorniciano un luogo selvaggio e puro, certamente non ancora intaccato dal turismo di massa. Troviamo una stella marina e la diamo a Federico che la tiene in mano e la guarda incuriosito, poi, naturalmente, la rimettiamo in acqua e continuiamo nella passeggiata. Attraversiamo l’isola, fra mimose e piante di cotone selvatico, e giungiamo in un’altra spiaggia dove, nel frattempo, è arrivata anche la barca: il fuoco è già acceso ed il pranzo si sta cuocendo sulla griglia. Nell’attesa ci sistemiamo in riva al mare: Sabrina prende il sole, Federico gioca, io indosso l’occorrente per lo snorkeling e scendo in acqua, ma dei pesci neanche l’ombra. Torno in spiaggia e lo dico alla guida che invece mi rassicura: più tardi mi accompagnerà “The fischerman” (l’uomo dei pesci) nel posto giusto! Per il momento mi accontento di vedere quelli ben rosolati e distesi sul mio piatto, facenti parte del buon pranzo che ci viene offerto.

Nel primo pomeriggio torniamo in riva al mare anche se, purtroppo, alcune nuvole, sempre più invadenti, si sono frapposte fra noi e il sole. Ci fa compagnia una famiglia di Sidney, i cui due figli giocano, per tutto il tempo, assieme a Federico, mentre io vado con “The fischer-man” a vedere i pesci e con noi viene anche il padre dei due bimbi australiani che, vista la situazione, mi chiede se conosco le Isole Fiji (si trovavo nell’Oceano Pacifico e quindi relativamente vicine a casa sua): «Sono buone per fare smorkeling!» mi dice lui … «Sono lontane» gli rispondo io, però … chissà: forse un giorno, invece, saranno alla nostra portata! Intanto l’uomo dei pesci, che parla solo il creolo, ci fa cenno di seguirlo: sapeva esattamente dove portarci e non rimaniamo delusi, così vediamo, fra l’altro, diverse murene, alcuni strani invertebrati ed una bellissima aragosta, poi, soddisfatti, torniamo alla spiaggia. Il sole continua a farsi desiderare mentre accompagno il piccolo a fare un bagno prima che si faccia l’ora di lasciare l’isola.

Intorno alle 15:00 salpiamo facendo rotta sul tratto di costa dal quale eravamo partiti, con la rocciosa sagoma della vicina Ile Ermitage sulla destra ed il sole, dispettoso, a far capolino fra le nuvole per poi uscire, subito dopo, prepotentemente allo scoperto.

Attracchiamo e torniamo a bordo del pulmino che ci riporterà all’hotel: seguiamo la solita strada che passa per il centro dell’isola e accompagniamo a casa i vari componenti dello staff, mentre Federico schiaccia un provvidenziale pisolino.

Arriviamo al Cotton Bay poco dopo le 16:00 e, pensandoci bene, si poteva rimanere almeno un’altra ora ad Ile axu Chats, in più stanno cambiando l’acqua alla piscina e non ci è permesso fare il bagno. Ci concediamo, allora, una buona crêpes ed una birra, poi ci sistemiamo sui lettini ad aspettare il tramonto. Quando ormai è buio torniamo in camera e, più tardi, dopo un’altra ottima cena, assistiamo ad uno spettacolino di sketch, purtroppo recitati tutti in francese, ma comunque simpatici.

Venerdì 4 Maggio 2001: Abbiamo rimasto ancora un giorno intero da passare a Rodrigues e la sveglia suona alle 7:00, visto che, alle 8:30, ci aspetta la partenza per un’altra escursione in barca nella laguna, l’ultima naturalmente.

Ci ritroviamo, assieme agl’altri partecipanti, nella hall della reception e siamo in numero decisamente superiore rispetto a ieri. Ci fanno di nuovo compagnia gli australiani, ma ben presto li perdiamo di vista: un pulmino non è sufficiente a caricare tutti, così noi finiamo sul primo e loro sul secondo.

Prendiamo il via e seguiamo, ancora una volta, la strada che si inerpica verso il centro dell’isola, per poi ridiscendere, a tornanti, praticamente in direzione del lato opposto. Arriviamo al mare nei pressi del capoluogo Port Mathurin, una tranquilla cittadina abitata da non più di qualche migliaio di persone, e proseguiamo lungo la costa verso la parte più occidentale dell’isola. Ad un certo punto svoltiamo a destra ed imbocchiamo una strada sterrata che termina in prossimità di una spiaggia, sulla quale sono ormeggiate alcune barche. Saliamo a bordo di una di queste e prendiamo il largo: in lontananza si intravedono le piatte sagome dell’Ile aux Sables e dell’Ile aux Cocos. Noi siamo diretti su quest’ultima, ma l’imbarcazione è lentissima e l’isola pare spostarsi nella nostra stessa direzione di marcia, senza mai apparire più vicina, così impieghiamo quasi un’ora per raggiungerla.

Quando, finalmente, sbarchiamo ad Ile aux Cocos le lancette dell’orologio sono ormai prossime a mezzogiorno e, subito, veniamo accompagnati in una breve visita guidata dell’isolotto che, lambito da un fantastico mare, fa parte di un’oasi naturalistica e ornitologica. Il piccolo lembo di terra, che per metà è anche inaccessibile e classificato come riserva integrale, è monopolizzato, in pratica, da una nutrita colonia di uccelli che, appollaiati un po’ ovunque, si lasciano relativamente avvicinare, abituati come sono alla presenza dei turisti.

Al termine della visita ci concediamo un rinfrescante bagno, poi pranziamo e torniamo in spiaggia, ma non per molto. Quasi subito ci dicono di salire a bordo delle imbarcazioni per raggiungere la vicina Ile aux Sables, almeno così ci sembra di capire, ma, evidentemente, non interpretiamo bene le parole e veniamo condotti al centro della laguna, dove il mare non è neanche troppo bello. Ci invitano a scendere in acqua per un bagno: io vado, assieme a pochi altri, ma è stata più una forzatura che non un divertimento, poi torno a bordo del piccolo natante che, subito dopo, fa rotta sulla spiaggia dalla quale siamo partiti.

Dopo oltre un’ora di navigazione arriviamo al punto d’imbarco, ci trasferiamo sul pulmino, percorriamo, a ritroso, tutta la strada che passa per il centro dell’isola e, già alle 15:30, arriviamo al Cot ton Bay! … E’ incredibile! … Abbiamo passato tutte le ore migliori della giornata per strada e l’escursione è stata una piccola delusione, non certo per la bellezza dei luoghi, ma per la sua durata! Ci sistemiamo intorno alla piscina a trascorrere il resto della giornata e ad aspettare il tramonto, così vado a pagare le escursioni e colgo l’occasione per esprimere, in qualche modo, le mie lamentele, quindi andiamo in camera e cominciamo a preparare le valigie, vista l’imminente partenza.

Dopo cena assistiamo ad uno spettacolo di musica e danze tradizionali rodriguensi, messe in scena da un piccolo gruppo folcloristico locale composto da alcuni ballerini e da una caratteristica band, i cui componenti, dai tratti somatici particolarmente espressivi, sono il ritratto della simpatia. Al termine dello show torniamo in camera e cerchiamo di prendere sonno, visto che domani sera, in aereo, staremo certamente meno comodi.

Sabato 5 Maggio 2001: La vacanza volge al termine e le valige sono quasi pronte, ma ci resta ancora un po’ di tempo da passare in piscina, in considerazione del fatto che la partenza è prevista per mezzogiorno. Peccato che non sia una splendida giornata, anzi sono molti di più i nuvoloni grigi che non gli sprazzi di cielo azzurro ed il mare è mosso anche all’interno della barriera corallina. L’importante, però, è che non piova, visto che non è certo freddo e così passiamo una piacevole mattinata fino a quando Federico non ci vuol regalare l’ultima, indesiderata, sorpresa: mentre è in piscina comincia a dire di aver male ad un orecchio! … ancora! … e di antibiotico non ne abbiamo più! Saldo il conto dell’hotel e andiamo in camera a somministrargli un po’ di calmante, che fa subito effetto: speriamo solo gli basti per arrivare a casa.

Mangiamo qualcosa, facciamo una veloce doccia e chiudiamo le valigie, scattiamo un’ultima foto ricordo del Cotton Bay e, alla fine, ci bussano alla porta per ritirare i bagagli. E’ mezzogiorno: andiamo alla reception e poco dopo saliamo sul pullman che ci accompagnerà all’aeroporto, un intero pullman a nostra disposizione.

Percorriamo tutta l’isola e, dall’alto, ci godiamo i panorami delle verdissime colline che si stagliano sull’azzurro del mare delimitato dalla barriera corallina, con i colori che spiccano grazie al sole che è tornato, di nuovo, a splendere.

Arriviamo nel minuscolo aeroporto Plain Coral di Rodrigues, imbarchiamo le valige e ci mettiamo in attesa dell’aereo, che di lì a poco atterra, così, puntualissimo, saliamo sul volo Mk 131 e alle 14:10 l’Atr 42 prende quota diretto a Mauritius: sotto di noi un mare di nuvole, che si dirada solo più di un’ora dopo, quando atterriamo, in perfetto orario, alle 15:30.

Ritiriamo le valige, usciamo dalla porta degli arrivi, spingendo il carrello, e rientriamo, subito dopo, in quella delle partenze, cercando l’imbarco dei bagagli. Troviamo il banco, ma ci fanno capire che è ancora presto perché mancano ancora quattro ore alla partenza. Gli spieghiamo che siamo in arrivo da Rodrigues e che avremmo fatto volentieri a meno di aspettare tanto tempo, così accettano le valige, che partono già con destinazione Bologna (speriamo di vederle arrivare assieme a noi). Oltrepassiamo la dogana, ci mettono il timbro d’uscita e si meravigliano, di nuovo, per l’orario: allarghiamo le braccia e cerchiamo, ancora una volta, di spiegare il motivo, poi ci sistemiamo sulle poltroncine della sala d’aspetto, telefoniamo a casa e facciamo un piccolo spuntino.

Sono durissime da passare tante ore d’attesa e per fortuna l’orecchio di Federico sembra meno grave del previsto … salvo ricadute. Alla fine, però, scoccano le 20:00 e ci mettiamo in fila alla porta numero uno (la stessa di Rodrigues) per l’imbarco sul volo Af 3865. Saliamo sull’aereo, di nuovo il gigantesco Boeing 747. Siamo alla fila dieci, quasi sulla punta, ed i passeggeri non la smettono mai di salire, i minuti passano e comincio a smaniare per il ritardo, vista la coincidenza, in tempi strettissimi, da Parigi per Bologna.

Ci muoviamo con quasi mezz’ora di ritardo e sono 21:10 quando siamo in fondo alla pista, mentre lungo la strada, fuori dall’aeroporto, alcune automobili si sono fermate per vedere la partenza del grande aereo … poi il rombo, l’impressionante accelerazione e il decollo.

Sorvoliamo Mauritius e poco dopo ceniamo, ma Federico cede al sonno ancor prima di farlo. Sotto di noi si vedono solo nuvole … chiudiamo gli occhi e raggiungiamo il piccolo nel mondo dei sogni.

Domenica 6 Maggio 2001: La mezzanotte scocca sicuramente sul continente africano, sia la mezzanotte di Mauritius che quella italiana, distanti due ore una dall’altra. Sono le 4:20 e, ormai sintonizzati sul secondo orario, voliamo sopra al Mar Mediterraneo, mentre sotto di noi si vedono due isole separate da uno stretto braccio di mare, ed una più piccola al centro … toh chi si rivede: sono Malta, Gozo e Comino. Più tardi sorvoliamo Trapani e la Sicilia, quindi la Sardegna e poi tante nuvole, con il sole che sta sorgendo all’orizzonte.

Siamo in leggero ritardo e quando arriviamo sopra Parigi l’aereo, neanche a farlo apposta, fa un giro incredibile e ci fa perdere altro tempo, poi, finalmente, alle 6:45, atterriamo. L’aereo per Bologna parte alle 7:20 dalla zona “F” e noi siamo nella zona “A”. Scalpitiamo mentre guardiamo scendere per primi i passeggeri della business class, poi, con zaini e Federico in spalle, cominciamo la nostra corsa all’interno dell’aeroporto parigino: andiamo su e giù per scale mobili, prendiamo al volo una navetta, controlliamo i passaporti e i bagagli a mano, poi ci lanciamo nel rush finale e alle 7:10, un po’ accaldati, arriviamo alla porta d’imbarco … ce l’abbiamo fatta! … e speriamo che le valige non siano state da meno. Naturalmente, poi, l’aereo parte in ritardo ed il tunnel d’ingresso si stacca alle 7:35, dopo che altre persone, oltre a noi, sono arrivate.

Il volo Af 1228, un Boeing 737, ultimo dei sei aerei che dovevamo prendere, si avvia verso la pista e decolla una manciata di minuti prima delle 8:00. Saliamo subito sopra ad una spessa coltre di nubi e la terra si rivede solo quando appare, innevato, il versante italiano delle Alpi e poco più tardi ecco l’inconfondibile sagoma ramificata del Lago di Como, poi cominciamo a scendere verso l’aeroporto Marconi di Bologna, dove atterriamo alle 9:10.

Con un certo sollievo vediamo arrivare, sul nastro trasportatore, le valige, le ritiriamo e ci avviamo verso la sala degli arrivi, dove troviamo ad aspettarci i nonni. I baci e gli abbracci sono d’obbligo, poi usciamo dall’aeroporto, carichiamo i bagagli sul camper e partiamo in direzione di Forlì. Federico è un fiume in piena, parla a ruota libera, e lungo il tragitto raccontiamo tutte le avventure, poi esprimiamo i nostri consensi e le considerazioni sul bellissimo viaggio ormai prossimo alla conclusione: Mauritius e Rodrigues sono certamente due paradisi tropicali, ma bisogna muoversi per scoprire le loro bellezze, forse siamo rimasti un po’ troppo tempo in macchina a percorrerne le strade, ma era necessario farlo ed un giorno in più avrebbe reso meno frenetica la visita, ma non ci è stato concesso e alla fine ci è mancato. Siamo contenti: la vacanza è andata bene e, otiti a parte, torniamo a casa con dei bellissimi ricordi. Abbiamo ancora negl’occhi le verdi colline e le azzurre distese del mare, ma ben presto veniamo ricondotti alla realtà e oltrepassiamo il cartello stradale di Villanova … pochi minuti più tardi, alle 10:33, siamo, di nuovo, a casa.

Dal 21 Aprile al 6 Maggio 2001



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