Matrimonio in grande stile nella Costa Blanca
Slow-life, vita quotidiana, relax ed edonismo
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Note linguistiche di spagnolo, inglese e slang. Boda = Nozze. Vino tinto = vino rosso. La peluqueria= il parrucchiere. Niño =bambino. Spigozzare = dormicchiare. Toppare = sbagliare clamorosamente. Scofanare = mangiare un sacco. Polleggio = stato d’animo rilassato. Junk-food = cibo spazzatura. Finally friends and pets = finalmente amici e animaletti. Mon Petit Vulcan= è una strofa di Possibly maybe di Bjork. Lap-top= portatile. Kurko Kurko Kurko quieres bailar con migo non so se è spagnolo corretto, comunque la canzoncina diceva così, vuol dire tipo Kurko Kurko Kurko vuoi ballare con me. Beauty Queens = reginette di bellezza. Fashion Victims = vittime della moda. The Bride = la Sposa, che però non è quella di Tarantino. Gestalt: teoria psicologica “della totalità”. En travesti =vestito da donna. MON PETIT VULCAN Eyafjallajokull. Tutto questo viaggio nasce sotto la sua egida. La sera prima di partire, dopo esserci visti il dvd di La prima cosa bella, costringo il mio fidanzato Davide a fare un balletto tribale molto idiota nella penombra della taverna. Per scongiurare la nube nera di Eyafijallajokull, il vulcano islandese che minaccia di bloccare i voli in territorio spagnolo. Alla partenza a Bologna ci sono rovesci di pioggia, ma i cieli per la Spagna sono aperti. Il balletto ha funzionato. Il Marconi è un aeroporto piccolo, la struttura fuori è color mattone. Dentro c’è una nera con zeppe a infradito che parla a voce spiegata. Una bionda con i jeans, la camicia bianca, la collana rossa, la borsa rossa e i tacchetti in pendant, rossi. Due tipi con un cappellino da tirolese/alpino. Davide, che ha fatto la dieta per due settimane, decide che è ora di ricominciare a fare le porcate. Si prende tre barrette di cioccolato, due pacchetti di Pringles, due sacchetti di caramelle della Haribo, un pacchetto di M&M’s, e una Coca Zero. Gli rubo un Kit Kat, una decina di tossicissime Pringles, ed alcune M&M’s che fanno lo stesso effetto delle Pringles, una tira l’altra. Il resto se lo fa fuori lui nel giro di pochi minuti, in un liberatorio attacco di bulimia da junk-food post-dieta. Sul volo dell’Iberia hanno occhi solo per la prima classe. Poco prima di arrivare ci servono noccioline e soda, e stop. Finisco di rileggermi Spiriti, di Stefano Benni. Hacarus ed Enoma vengono sconfitti. Gli spiriti vincono, ma poi se ne vanno. Il presidente americardo, pur avendo cantato con Elvis, alla fine non si redime, ma muore, in un’ecatombe generale da teatro elisabettiano. “Sono lo spirito della parola, del silenzio e dell’eco”, disse Poros. E poi “Gli spiriti non esistono, però ci guidano.” NUOVO UMANESIMO E NON LUOGHI Arriviamo a Madrid di corsa, in teoria avremmo la coincidenza per Alicante dopo un quarto d’ora. Di corsa, di corsa. L’aeroporto è incredibilmente grande, ma non riusciamo a trovare nessuno che ci dia informazioni almeno per dieci minuti. Davide perde la carta d’imbarco. Camminiamo un sacco, facciamo la fila all’ufficio dell’Iberia, scopriamo che tutto è slittato in avanti, e che il nostro volo parte dopo due ore. L’architettura del posto è articolata in due enormi corridoi paralleli, alti una ventina di metri, lunghi un paio di chilometri. I soffitti sono di legno chiaro, ondulati, in stile Nuovo Umanesimo. Della serie colori chiari, impressione accogliente pseudo-new-age, per migliaia di alberi abbattuti. A misura d’uomo. Le due arcate sono rette da poderose colonne biforcute. La particolarità di queste colonne è che sono ognuna di una tonalità diversa. Nella fuga prospettica si va dal blu al verde al giallo, all’arancione, fino al rosso che si intravede in fondo. L’aeroporto è pieno di negozi di tutti i tipi e di punti di ristoro, da Mc Donald’s ai ristoranti salutisti, con un sacco di persone che fanno le chiacchiere, bevono birra, leggono libri e scrivono sui loro lap-top. Ma quando noi ci mettiamo tranquilli, i locali stanno tutti chiudendo. Guardo la gente. I non luoghi sono luoghi di passaggio ed attesa, che non hanno una storia. Perciò tutte le volte che mi ci trovo, in attesa, guardo la gente e mi interrogo sulle loro storie. C’è la ragazzina un po’ punkabbestia, con grosse cuffie Sony fucsia, pantaloncini Carhartt, e tre zaini da skater griffati, che dormicchia sdraiata di fianco ai finestroni. Poi si alza, sorride, parla con qualcuno. È giovane e sottile. C’è un nero di mezza età, vestito con eleganza, occhi violacei, rasato, uno stile molto Obama. Un tipo alto, palestrato e rapato, che guarda fisso tutte le ragazze con aria malandrina e sembra un po’ un attore porno. C’è una coppia di giapponesi sui quarant’anni. Lei ha capelli brizzolati, occhiali da vista Ray Ban con montatura verde e stivaletti di Margela di cuoio nero, con tacco e infradito. Dopo averla vista, comincio la rilettura di Luce Virtuale, di William Gibson. “Qualche ora prima alcuni missili sono caduti in un sobborgo settentrionale; settantrè morti, ancora nessuna rivendicazione. Ma qui, sulle ziggurat coperte di specchi lungo il viale Lazaro Cardenas, scorre la carne luminosa dei giganti, urlando la sua litania di sogni notturni alle avenidas in attesa: gli affari come al solito, il mondo non finisce questa sera.” È mezzanotte. Rifiuto il tramezzino al salmone preso alle macchinette, e, memore delle zozzerie del Marconi alla fine decido di non prendere il Magnum. Ho fame, ma l’unica cosa che avrei voglia di mangiare è della frutta. Bevo dell’acqua gasata. Leggo. Ci imbarchiamo. La ragazza di fianco a me ha paura di volare. Vorrei dirle che per rilassarsi dovrebbe premere con forza i pollici contro la punta dei medi, respirando profondamente. È una cosa che ha a che fare con i meridiani elettrici del corpo, e funziona davvero, ma ho paura che mi scambi per pazza. Arriviamo ad Alicante alle due meno un quarto di notte, con un’ora e mezza di ritardo. In fondo, Eyafjallajokull è stato clemente. FINALLY FRIENDS AND PETS C’è Federica, con Silvia, ed Aida, la nostra ex coinquilina spagnola dei tempi dell’università. Sono passati cinque anni da quando Aida faceva l’Erasmus a Bologna. Ora è veterinaria, e fra due giorni si sposa. È per questo che siamo qui. Per il matrimonio di Aida. Subito chiacchiere. Polleggio. Carichiamo i bagagli sulla sua Qashqai rossa, e partiamo. Il lungomare notturno è pieno di palme. Vedo anche qualche ficus, che avevo già visto a Palermo. Un albero da foresta primordiale. Arriviamo a casa di Aida e di German, e subito due musi pelosi si infilano nel vano della porta. Un husky bianco ultra-pettinato e ciccione a macchie nere muccate. Un cagnino color panna magro e alto, probabile incrocio fra un levriero nano e l’Aiutante di Babbo Natale dei Simpson. “Ehi, non toccate Pepe, perchè si emoziona e si piscia addosso.” Aida prepara un piatto di melone bianco tagliato a tocchetti, e i cani vengono in salotto a conoscere i nuovi venuti, cioè noi. “Ma non mi avevi detto che l’avevi perso due anni fa, l’husky?” “Sì, ma due mesi fa mi ha chiamato una mia amica, che l’aveva visto con degli zingari. Siamo andati con l’apparecchio per controllare i chip e dopo un po’ ce l’hanno ridato. L’ho perso che pesava ventitrè chili, ora ne pesa trenta. In due mesi sono riuscita a fargli perdere solo ottocento grammi!” Gli husky sono cani strampalati e magici, a cui capitano storie folli. Lo so perchè ce l’avevo anch’io. Neanche un mese fa Volk, il mio husky, è partito per i boschi incantati dell’Estremo Nord, dove non valgono le leggi della gravità e del tempo. Ora gira con due lupe ungheresi dal pelo argentato e gli occhi verdi, e quando mi accompagna in bici vola da un albero all’altro, lasciandosi dietro profumo di menta e una scia di glitter. Volk aveva dieci anni, quando è partito. L’avevo preso per il mio ventunesimo compleanno. E insomma mentre io mangio il melone e Davide un piattino di paella, Pepe il piscione prende coraggio e inizia a leccarci le mani, le scarpe, il tavolo di fianco a noi. “Pepe non si chupa!”, lo sgrida Aida. Davide gli soffia in faccia, e Pepe lecca l’aria. Aida ci racconta che Pepe è gay, e che gli piace Kurko, l’husky muccato. Kurko, a sua volta è innamorato di Lupe, la gatta, che già si è installata nel nostro letto. Federica canta delle canzoncine a Kurko. “Kurko Kurko Kurko, quieres bailar con migo!”, e lui si sdraia pancia all’aria con il dentino Lamù di fuori, per farsi grattare la pancia. Mi bevo un Baileys con ghiaccio e una spruzzata di cacao in polvere. La nostra stanza è lo studio di Aida. Un tempo c’era un balcone, che poi è stato rivestito di vetro. La postazione computer è di fronte al Castillo di Santa Barbara di Alicante. Anche di notte, i gabbiani planano sopra al forte. Chissà se vanno mai a letto. Noi sì. Sei piani sotto le auto viaggiano veloci. Sogno Pepe che si fa la pipì addosso. LA SPAGNA COI BAFFI Alle dieci ci alziamo. Colazione con succo d’arancia, biscotti Digestive all’avena e un caffè fatto con la macchina per espresso, pieno di schiuma, buonissimo. Mi faccio doccia, capelli e Silkepil, poi mi metto sul divano e continuo a leggere Gibson. Kurko e Pepe vengono da me a pavoneggiarsi con una specie di salame di peluche fucsia con il sonaglio. Un po’ se lo litigano, con ringhi gutturali e urletti isterici, un po’ improvvisano accoppiamenti spensierati fra loro. Silvia e Davide vanno a fare un po’ di spesa. Per me prendono delle piccole banane, che si chiamano platani di Lanzarote. Per loro birra, una marea di salumi, formaggi e baguette. Assaggio le cozze sottolio, e le mandorle ricoperte di cioccolato. Mi metto d’accordo con Aida per una seduta in peluqueria il giorno del matrimonio. Parliamo di fantascienza. Dei vicini di casa, che non si sono mai lamentati per i cani. Fuori spioviggina. Federica e Silvia sono venute in Ryan Air, 80 euro andata e ritorno, però senza bagaglio in stiva, solo bagaglio a mano. Quindi non si sono potute portare dietro la pinzetta. Federica si lamenta. “Che palle, io mi devo togliere i peli sul mento. Aida, secondo te le tue amiche spagnole in albergo ce l’hanno una pinzetta, che mi devo fare la barba? Come faccio a chiedergliela in spagnolo?” “Tienes unas pinzas para hacerme la barba?” CAMERA CON VISTA Carichiamo le nostre cose in macchina e ci mettiamo in viaggio verso Santa Pola, dove c’è l’albergo in cui si farà il matrimonio. Aida ascolta Geri Halliwell e Lady Gaga. Ci racconta che il comune di Elche (la città con più palme d’Europa) paga delle sovvenzioni per le palme, perchè c’è la tradizione che a ogni nuovo nato se ne pianti una. Macchia mediterranea. Il paesaggio è pieno di argilla, una gamma di colori che mi ricorda le nuances dei fondotinta e delle ciprie. Le case e gli edifici non sono tanto belli, ma hanno tutti gli stessi colori della terra. Basso impatto ambientale. E con un sacco di graffiti. Stiamo al JM Hotel’s, uno stabile sulla strada, color giallo chiaro e bordò. Mobili di vimini intrecciati, nei toni del verde. Una vista stupenda sul mare, la città, le saline. Davanti a noi una teoria di casette in stile finto vittoriano, con piscina. Sulla destra un vecchio mulino eolico, senza pale, con il tetto rosso scuro. A sinistra vegetazione che spunta in mezzo alla sabbia. Capannoni. Palazzi. L’onnipresente M gialla. Nello skyline cittadino ci sono almeno otto gru da costruzione. La Spagna soffre di saturazione edilizia. Si costruiscono un sacco di case che poi spesso rimangono invendute. QUELLO DI CUI AVEVO BISOGNO Alle quattro andiamo a pranzo, all’Antonio Ruiz. Qui in Spagna si può fare, tutto è molto più lento e dilatato, e quindi andare a pranzo al ristorante alle quattro di pomeriggio non ha nulla di strano. Siamo una tavolata di una ventina di persone, noi e i parenti di Aida. La mamma Paqui ha capelli biondi meschati, e una parure, anello e braccialetto, di pietre dure nere e zirconi. L’anello è grande e ovaleggiante. Mi piacciono molto, entrambi. Ha la voce roca da spagnola fumatrice di Malboro, e una gran classe. Fa la prof di matematica. Pablo, il papà, lavora in banca, ma porta lo stesso i capelli lunghi e brizzolati, raccolti in una coda. Ha una chiacchiera meravigliosa, anche se capisci poco lo spagnolo, e il dono di fare sentire tutti a proprio agio. Beviamo birra e un vino bianco fermo secco e fruttato, che si chiama K-naja. Io e Silvia parliamo dei suoi cortometraggi, e poi ci chiediamo se Bukowski fosse o non fosse un maschilista. Secondo me no. Secondo me Bukowski non cercava di schiacciare le sue tipe. E, anche se loro erano delle prostitute devastate dall’alcol che vomitavano sangue a colazione, lui riusciva a vedere la loro bellezza, la loro carica erotica, il loro fascino. Tutti ce l’hanno, in fondo, basta saperlo vedere. Arrivano gli anelli di totano e le alici fritte. Io tentenno, perchè il fritto mi uccide. Alla fine arriva la paella di pesce e la crema catalana. A fine pasto fioccano i gin tonic. Mettiamo su il cd di Caterina Caselli, che tutti qui adorano. Pablo ci regala le due bottiglie di K-naja che volevamo comprare. Ci racconta che sono sette anni che il martedì ha un tavolo riservato all’Antonio Ruiz, assieme ai suoi colleghi. Quando finiamo di pranzare sono le sette, e il ristorante è rimasto aperto solo per noi. Il tempo è grigio, il paese semi-deserto. Compro le cartoline per mia nonna Jadwiga, che abita in Polonia. In albergo scopriamo che c’è una Spa con un ingresso compreso nel soggiorno. Mentre Davide spigozza, io vado, e sotto il getto della cascata mi rendo conto che erano mesi che avevo bisogno di una cosa del genere. Faccio la sauna per smaltire il vinello, e poi mi incremo dalla testa ai piedi. Mi faccio portare un te caldo in camera, poi vado in balcone, ed inizio a scrivere il resoconto. SPIRITI La sera verso le dieci e mezza io e Davide andiamo a mangiare al Narcea, un ristorante asturiano. Insalata mista, grigliata di pesce, ananas e cheese-cake, che qui si chiama tarta de queso. 45 euro in due. A fine pasto, gli avventori di fianco a noi si fanno portare delle coppe enormi di Cuba-libre, e stabaccano il sigaro. Durante la cena mi chiama Francesca, un’altra amica dei tempi dell’università, che sarebbe dovuta esserci. Mi racconta che Volk – il mio husky – le è apparso in sogno. C’eravamo io, lei e Federica in un bosco norvegese, ed arrivava Volk facendo i suoi soliti balletti, in compagnia di un bambino di otto nove anni, biondo. E lei gli diceva: “Volk, cosa fai qua?! Per te è tempo di andare” Lui le annuiva, e andava via col bimbetto. Al ritorno vediamo un giardino pubblico di sole palme, che di notte col vento fanno molto Mulholland Drive. È un periodo di incubi notturni. Forse è l’influsso di Eyafjallajokull. BEAUTY QUEENS La mattina ci svegliamo intorno alle dieci e facciamo colazione in albergo. Davide uova e pancetta, io due paste, muesli con yogurth, e tre caffè americani. Il caffè che fanno in Spagna mi piace molto. Sia l’espresso che l’americano sono pieni di spuma cremosa. Dopo colazione andiamo alle terme. Faccio tre saune, alternate a tre sedute di idromassaggio in piscina. Davide si fa fare un massaggio ayurvedico: 28 euro, in Italia l’avrebbe pagato il triplo. La ceretta ai baffi sta a 4 euro. Potrei farmela, dato che stasera mi metterò il rossetto rosso (che fa risaltare il baffo), ma forse la farò dopo dalla parrucchiera estetista. Alle due è tempo di andare in peluqueria, alla Mavi di Grand Alicant. Partiamo io e Federica con due amiche di Aida, che sono venute anche loro per la boda. Le parrucchiere parlano spagnolo fluente con le clienti, ma fra loro in tedesco. La mia parla anche molto bene in inglese. C’è Paqui che si sta facendo fare un elaborato chignon assimetrico, da portare con un cappello rosso di tulle. Aida arriva con una marea di bigodini rosa shocking. La parrucchiera mi stira i capelli a spazzola e phon, con tocchi veloci, senza insistere sulle punte. Li vorrei raccolti, con una ciuffa avanti il più alta possibile. Ma dopo avermeli phonati, le parrucchiere concordano che sarebbe meglio tenerli sciolti dietro, dato che sulle punte sono rimasti un po’ boccolosi. E io decido, come sempre in questi casi, di lasciare loro carta bianca. L’estetista sentenzia che non ho bisogno di farmi il baffo, e se lo dice lei, ci devo credere. Ho fame, perchè in vista della mangiata pantagruelica della boda ho deciso di saltare il pranzo. Quando Pablo arriva con quattro cabaret di tartine e alcune bottiglie di vino tinto, sono molto contenta. In Spagna si fuma anche dal parrucchiere. Federica ha chiesto di farle un taglio che non sia nè da hombre nè da mujer. Il risultato è un incrocio fra un emo e un cartone animato giapponese, tipo Mila di Mila e Shiro. Andiamo a bere qualcosa, e poi a cercare un drappo per coprire il nostro regalo di nozze, in modo da confezionare una specie di pacco. LISTA DI NOZZE Questo è un regalo molto travagliato. L’ho preso in un negozio di oggetti di design a Sassuolo. Un carillon alto una cinquantina di centimetri, a forma di giostra: una base a forma di stella, una struttura metallica tipo Tour Eiffel illuminata da una serie di lucine gialle al led, e cinque paracaduti rossi e bianchi che fanno su e giù al suono di varie melodie (con eventuale silenziatore). Sui paracaduti e alla base ci sono varie personcine in abbigliamento tardo ottocentesco, e varie immagini di attrazioni stile stampa vittoriana. Dovevamo spedirlo col corriere, ma al momento della spedizione il preventivo era lievitato di dieci volte, perchè la signorina della Mail-Boxes evidentemente aveva pensato che Alicante fosse in Italia. Quindi abbiamo dovuto lasciare la scatola in Italia, impacchettare la giostra col pluriball, e farla figurare come bagaglio a mano. La giostra non piace a nessuno. “E’ un regalo da bambini, non va bene per un matrimonio.” Decidiamo di vendergliela dicendo che è più che altro un regalo per un eventuale futuro niño. Sia Davide che Federica mi hanno sgridato un bel po’ per la mia scelta, in maniera tanto convincente che ora ho il terrore di aver toppato. Eppure, mi dico, la griffe preferita di Aida è Custo. Cercando il drappo per coprire la giostra, andiamo in un emporio cinese. C’è lo stesso odore di plastica tossica che hanno i negozi cinesi in Italia. Compro due collarini da cane rosa e azzurri con gli strass, per la Louise, il cagnetto che ho lasciato a casa. Prezzo totale 4 euro. FASHION VICTIMS Quando torniamo in albergo sono le cinque e mezza. Costringo Davide a farsi la barba di un paio di giorni, e lui poveretto si scanna. “Ma perchè ti do retta?!” è una delle sue frasi preferite. Ci aspettano giù alle sette e mezza. Davide indossa pantaloni di Armani e una t-shirt bianca di Mangano con cravatta e bretelle stampate. Io decolletè di vernice nera, e tubino color ghiaccio dalle linee decostruite, di Malloni (il top del mio guardaroba, regalo di Davide). Federica si mette sneakers lilla e bianche, pantaloni da uomo della Diesel, camicia a quadrettini bianchi, neri e lilla, e bretelle vere. Le diciamo che sembra la versione dandy di Buddy Holly. Silvia, più punkeggiante, indossa jeans a cavallo ultra-basso, maglia con strass rosa e fiori finti nei capelli. In tivù c’è un programma che fa vedere delle case incredibili: una con un mulino a vento incorporato, l’altra costruita intorno ad un faro. C’è una coppia gay che organizza serate in discoteca, che vive in un appartamento high-tech a Barcellona, attraversato da un sipario rosso recuperato in un teatro. Un altro gay che colleziona stampe di Rembrandt e giocattoli meccanici del Diciannovesimo secolo. Prima di scendere vediamo un altro programma tipo Domenica In, in cui una tipa si scopre le tette e fa un balletto zozzone. Agghiacciante. In ascensore incontriamo Paqui, con una super toilette rosso fuoco, lunga. Sembra uscita da un film di Pedro Almodovar. Fuori ci sono tutti gli invitati. Gli uomini sono tutti in giacca e cravatta, le donne con vestiti appariscenti e colorati. Tutte con bellissime borsette gioiello, e scialli di seta o lino. Vediamo German da lontano, elegante ed elettrizzato. Incontriamo Alba, un’amica di Aida ai tempi dell’Erasmus, che veniva spesso a casa nostra. Alba abita a Barcellona, ha una marea di ricci a molla, e parla l’italiano da dio. Chiacchieriamo del conflitto d’interessi del nostro premier, e della legge sulle intercettazioni. Raccontiamo ad Alba della D’Addario e della signorina con le zizze di fuori che abbiamo visto in tv. THE BRIDE Ad un certo punto da lontano si vede arrivare una carrozza con cavalli grigi, bardati con sonagliere. I palafranieri hanno cappelli neri a tesa larga e rigida, e pantaloni a vita alta grigi con doppia fila di bottoni. Sopra ci sono la sposa e il padre della sposa. Aida ha un vestito stupendo, dalle linee lunghe e fluenti stile primi del Novecento, che copre tacchi vertiginosi. Fra i capelli ha piccoli fiori bianchi, veri, molto hippy. Camminano sul tappeto rosso fino al gazebo in cui avrà luogo la cerimonia civile. AIDA E GERMAN Queste nozze sono qualcosa di completamente diverso dai matrimoni a cui siamo abituati in Italia. Per primo parla un giovane assessore che fa le veci del sindaco, Fidel, sorriso che ricorda Stefano Dionisi e completo stra-figo di Hugo Boss. Introduce la celebrazione con un discorso, e poi passa la parola ad altri quattro, due persone per la sposa e due per lo sposo. Amici e parenti, che parlano liberamente, raccontano aneddoti, fanno auguri e riflessioni sulla cerimonia in corso, sulla natura dell’amore e dell’unione coniugale, e varie ed eventuali a loro piacere. In questo modo la cerimonia risulta unica, personalizzata, non uniformata come nei matrimoni civili italiani, nei quali te la cavi nel giro di cinque minuti recitando un copione standard. Questo è un matrimonio evento. In questo modo si marca una bella differenza fra la cerimonia cattolica e quella civile. Non capisco molto dei discorsi. Fidel tira in ballo la gestalt, dicendo che gli sposi devono essere un’unione di due elementi che valga di più della somma delle singole parti. E Gibran, con la storia del cipresso che non deve fare ombra alla quercia, e della quercia che deve ricambiare il favore al cipresso. Rodrigo, il fratello di German, fa il discorso più lungo, acclamato, e brillante. Racconta come ha conosciuto i due sposi. German gli era stato portato sotto forma di fagotto neonato, e l’incontro era stato traumatico: non appena Rodrigo l’aveva preso in braccio, German gli aveva fatto la pipì sulla sua magliettina preferita. L’incontro con Aida invece era stato più roseo. German aveva invitato Rodrigo a mangiare con questa ragazza che “gli piaceva molto”. La sorella maggiore di German e Rodrigo si trovava lì e aveva chiamato la nonna e la madre, e insomma la povera Aida si era ritrovata ad una cena di famiglia, invece che a una cena con il fratello del moroso. Io invece Aida l’ho conosciuta nel nostro appartamento di via Marconi a Bologna, in mezzo all’andirivieni dei mille coinquilini che hanno abitato lì con noi. Ma Aida ha lasciato il segno. Voce roca come la madre, chiacchiera lenta, non l’ho mai vista incazzata. Molto cool. Molto mondana. In cucina giocavamo spesso al Duro, un gioco che aveva inventato lei, a base di bicchieri di vino, monete con cui centrare i bicchieri, e una canzoncina, quando facevi centro: “Bevilo tutto bevilo tutto bevilo tutto tutto tutto. E l’ha bevuto tutto, e non gli ha fatto male. L’acqua fa male, il vino fa cantare!” E il giorno dopo, mentre tutti erano in preda a postumi ontologici, Aida, fresca come una rosa, se ne andava a lezione ad Ozzano. German invece l’ho conosciuto questo Natale, quando Aida è venuta a trovarci in Italia. È una di quelle persone, con cui riesci a fare le chiacchiere pur parlando due lingue diverse. Abbiamo fatto una cena per la Befana, e abbiamo rispolverato il Duro. Aida è la terza delle mie amiche a sposarsi. La prima è stata Francesca, che ha fatto una festa di matrimonio con tanto di foto e abito bianco, senza però sposarsi di fatto né in chiesa né in comune. La seconda è stata Gudrun, che ha chiamato a fare una performance Domino, un nonnetto en travesti che sembrava un po’ William Burroughs e che cantava delle canzoni francesi, e che abbiamo scoperto essere il mimo della Dolce Vita di Fellini. Aida è quindi la terza. Durante la sua cerimonia il vento soffia forte nei microfoni e negli amplificatori, creando fischi ed effetti di feed-back. La cosa forse più bella delle unioni civili in Spagna è che le promesse di matrimonio le scrivono gli sposi. German rischia di mettersi a piangere. Aida parla a voce bassissima. L’unica cosa che capisco è “Ti amo, perchè sei il mio complice”. E insomma è fatta. Gli sposi si baciano. Un bacio da film, full of love. Poi scompaiono a fare le foto, mentre gli invitati si fiondano sul buffet. SUPER PAPPE Ci sono delle sfogliatelle ripiene di formaggio cremoso e acciughe. Altre con i funghi. Dei cucchiai neri di plastica col manico incurvato tipo coda di scorpione, con una rosellina di salmone affumicato, una spruzzata di salsa e un pomodorino fritto. Dei flute pieni di insalata con ananas e cocktail di gamberetti. Crocchette di patate. Spiedini di calamari. Ci diamo tutti dentro, con cibo e vino. Traslochiamo in un giardino d’inverno in cui avrà luogo la cena. Siamo in duecento invitati. Su ogni tavolo ci sono degli involucri argentati, che contengono macchine fotografiche usa e getta. È un’idea molto buona, in questo modo buona parte delle fotografie non vengono fatte con apparecchi digitali individuali, ma con queste macchine usa e getta a disposizione di tutti. E alla fine rimangono agli sposi. Un complesso jazz suona pezzi di Billy Holiday. Fidel ci racconta di adorare Raffaella Carrà e Loredana Bertè. Noi gli raccomandiamo la Rettore. Gli raccontiamo dello spogliarello trash che abbiamo visto in tele all’ora del tg, e lui ci spiega che è un programma popolarissimo, presentato da un tale che è ritenuto il re dei talk show della televisione spagnola. Ma noi non lo conosciamo, esattamente come nessuno al tavolo conosce la De Filippi. Discutiamo sull’eventualità di fare conoscere il re dei talk show spagnoli alla De Filippi, che di sicuro in seguito all’incontro importerebbe la tetta nuda sulle reti Finivest. È la prima volta in Spagna che ci troviamo in un posto in cui è vietato fumare. Inizia ad arrivare il cibo. Cruditè di gamberi. Trancio di tonno con zucchine marinate. Involtini in foglia di vite di cereali e uvetta. Formaggio fuso con salsa di pinoli e verdure. Parliamo di monogamia, e dei diversi tipi di poligamia. Quella compulsiva basata sull’assoggettamento e sulla sofferenza dell’altro, e quella edonista fondata sul rispetto e sulla complicità. La torta è un semifreddo alle noci, coronata da un candito verde e da una pallina di gelato al torrone. Fidel mi dice che sono rossa e che è meglio che ci dia un taglio col vino, e che non devo mettermi in posa nelle foto. Alba bacchetta Fidel perché dice che Gibran è molto sensuale benchè libanese. Dopo la torta le luci si abbassano. Rimangono accesi dei grossi ceri bianchi dentro a bicchieri da Martini alti mezzo metro, pieni di palline bianche e rosse e di orchidee. LE BOMBONIERE Iniziamo a vedere delle braci di sigaretta che sfrigolano nel buio. Dopo un po’ arriva Rodrigo con una grossa cesta piena di pacchettini bianchi con sopra la foto degli sposi, i loro nomi e la data. Quelli lunghi e stretti sono per gli uomini, e contengono un sigaro. Quelli più piccoli e piatti sono per le donne, dentro ci sono due Malboro e due sigarilli aromatizzati a cioccolato e vaniglia. Siamo entusiasti di questa prima parte della bomboniera. Io di solito non sopporto il sigaro, ma questi non puzzano. Pablo più tardi ci spiega che sono stati scelti apposta, non troppo aromatici, adatti per una boda. Ci facciamo un sacco di foto con sigari e sigarilli. Stabacchiamo felici, in mezzo a un tripudio di drink. Io ho mangiato tanto che mi fanno male le vene del collo, e per digerire prendo un’acqua tonica con ghiaccio e limone. Arriva un altro cesto con diffusori di profumi ambientali per le ragazze e cavatappi e tappo cromato per il vino, per i ragazzi. La bomboniera dei maschi è dentro a una scatolina nera con sopra scritte calligrafiche. LET’S DANCE Mettono su musica da ballo spagnola, e tutti si lanciano in pista. Le signore fanno roteare i fianchi, Alba balla veloce scuotendo le spalle, Aida alza le braccia tipo ballerina di flamenco. Ricordo bene il suo modo di ballare, lento, minimale, molto aggraziato. Davide intercetta German e gli fa vedere la foto di Aida con i bigodini lilla e rosa, che le ho fatto oggi pomeriggio in peluqueria. Io e Alba facciamo le chiacchiere. Parliamo dei rapporti che durano e di quelli che si deteriorano. Della gente che se ne va. Dei rapporti che finiscono non si sa per quale motivo, e uno non se la può prendere. Soprattutto quelli di amicizia, più che quelli d’amore. Parliamo di Aida e di German. Di come Aida abbia sempre catalizzato una marea di persone che le vogliono bene, e di come si vede che suo marito la adora. Ad un certo punto mettono su una musica classicheggiante, lenta e solenne, a metà strada fra un pezzo strumentale della Carmen e il Bolero. Gli invitati formano due file che si fronteggiano, e German arriva con una spada, e sfila in mezzo a loro facendola volteggiare. Gli invitati muovono il bacino avanti e indietro, nella versione lenta del Time Warp, il balletto del Rocky Horror Picture Show. Silvia corre a prendere la telecamera. German fa un paio di sfilate fra gli invitati ondeggianti, con la spada e Aida sottobraccio. Un numero incantevole. Aida, a proposito, mi scriverà : ” Quel balleto si chiama “Paquito el Chocolatero”, é un balleto tipichissimo delle feste tradicionali. Sempre lo mettono alla fine di la sera, perchè`é quando tutti siamo umbriachi, se no nessuno lo balla.” E subito dopo Paquito el Chocolatero la versione spagnola di Com’è Bello Far l’Amore da Trieste in Giù, a cui non riesco a resistere. Intorno alle quattro io e Davide torniamo in camera, e becchiamo un canale che trasmette un cartone animato favoloso, Sandra detective de cuentos. In questo cartone c’è una bimbetta con un pastrano celeste a campana, la frangetta assimetrica e due crocchie viola, in compagnia di un elfo verde con le alucce da moscerino e le orecchie da Andreotti. Questi due personaggi finiscono negli intrecci delle fiabe tradizionali, in veste di problem-solver. I disegni sono molto grafici e bidimensionali in stile anni Sessanta, un po’ alla Josh Eagle, tipo Kid Vs Kat. Nella favola di Hansel e Gretel c’è una cornacchia meravigliosa che fa da spalla alla strega, e un bosco in stile Liberty. LO SHOPPING E IL MARE La mattina dopo siamo abbastanza freschi da andare a fare shopping. In un negozio che si chiama Renatta mi compro delle scarpe di foggia maschile ad ali di rondine, di un bianco perlato introvabile in Italia e molto estivo. Prezzo 49 euro. Troviamo un negozio di articoli di design per la casa, dove prendiamo un porta-candele, un porta-oggetti piatto e oblungo di acciaio con l’interno color zaffiro laccato, e una tazza con Homer Simpson che fa la pubblicità della birra, per la modica cifra di 20 euro. L’ultima cosa che mi compro è un set di girandole, da un cinese: una doppia e enorme, una argentata a fiori, e due piccoline viola e giallo uovo cangianti. Le girandole sono i miei souvenir preferiti dei posti in cui vado, mi piace piantarle in giardino e nei vasi come se fossero fiori, e vederle frullare nel vento. Il tempo si è fatto finalmente soleggiato, e io e Davide andiamo a zampettare sul lungomare. Torniamo a pranzo da Antonio Ruiz, dove incrociamo Rodrigo, i genitori di Aida e Fidel. Rodrigo ci racconta che quando noi siamo ce ne siamo andati, gli sposi sono andati all’after-hour, che sono rientrati alle dieci di mattina, e sono ancora a letto. Proprio come pensavamo, orario di rientro compreso. Sul lungomare ci sono due vecchi fricchettoni che hanno costruito due sculture di sabbia, fra cui una coppia di leoni, maschio e femmina, che si fanno le coccole. Intorno alle tre andiamo in una pasticceria che avevo già adocchiato il primo giorno, Mariboles, con la facciata esterna rivestita di mattonelle colorate. Hanno dei dolci meravigliosi. Prendiamo due espressi belli alti e piattino di mignon che sembrano le torte di Barbie. Poi torniamo in albergo, a spigozzare un po’. Sulla via del ritorno vediamo un negozio di mobili, fichissimi, sul modello Ikea. C’è un salotto bianco a 250 euro e io e Davide conveniamo che si dovrebbe proprio venire qua in vacanza con un furgone e tornare a casa belli carichi. Alba, in partenza, passa a salutarci. Ci fa vedere delle foto che ha fatto a Roma per capodanno, in una casa di ragazzi prevalentemente gay che affittavano posti letto a prezzi modici. Ci sono installazioni con le foto di papa Ratzinger di fianco all’albero del Bene e del Male, con un corteo di Barbapapà. Davide le racconta di quella vacanza che ha fatto a Barcellona negli anni Novanta, quando il fiume era straripato portandosi via la sua tenda. IL VERDETTO Poi becchiamo Aida e German, ed è giunto il momento di dar loro il regalo. Di solito si capisce dalle facce delle persone quando un regalo piace oppure non è gradito. Quando accendo i led e metto in moto il carillon e i paracaduti, Aida mi dice che i suoi genitori (che fra parentesi hanno una casa bellissima), hanno un congegno simile, solo che è a forma di giostra di cavalli. German invece mi racconta che quando sono stati insieme a Venezia ne avevano visto uno molto simile, e se lo volevano comprare perché era “muy precioso”, solo che alla fine avevano preso in considerazione la fragilità del meccanismo, e avevano rinunciato. Io racconto tutte le peripezie del trasporto, e di tutte le infamate che mi ero presa per la mia scelta, ma Aida mi assicura: “Tu lo sapevi che mi sarebbe piaciuto”. IL MIGLIORE AMICO DELL’UOMO La serata prosegue tranquilla. Io e Davide andiamo a scofanare in un ristorantino sulla strada, Venta Vista Alegre, a cui non daresti due lire e che invece ci offre una cena di pesce spettacolare. Il Barcellona ha vinto, e ci sono i fuochi di artificio. In albergo ci facciamo l’ennesima tonica. In tv c’è un programma sul taglio reality/inchiesta, montaggio veloce e alternato. Fanno vedere le vicissitudini di una pornostar, di uno studente all’Accademia di Belle Arti appassionato di kick-boxing, di un gruppo di abitanti di un barrio, di un paese in cui c’è la tradizione di macellare pubblicamente un maiale. Ci sono ferventi carnivori che sfoggiano cappellini con le orecchie da porco. Intorno all’una e mezza fanno una televendita in cui pubblicizzano un allungatore del pene. Un affare verde fluo, che sembra una pistola per il silicone. Il presentatore definisce l’allungatore del pene come “il migliore amico dell’uomo.” RITORNO A NASHVILLE La mattina dopo torniamo da Mariboles a fare colazione con i muffin ai mirtilli (superlativi!). In aeroporto ad Alicante c’è un franchising spagnolo di patatine e hamburger, con un cartellone pubblicitario molto pulp, a cui Davide non riesce a resistere. Io mi prendo un magnete con geco giallo e nero, e spedisco le cartoline a mia nonna. Durante le ultime fasi di atterraggio Davide, che ha un senso dell’orientamento molto sviluppato, riesce per la prima volta a vedere Sassuolo dall’aeroplano. La riconosce dai pallett azzurri di mattonelle. L’Iberia trasmette una versione orchestrale di Moonriver, il pezzo che cantava Audrey Hepburn in Colazione da Tiffany. E miracolosamente a Bologna ci sono venti gradi, e una splendida luce primaverile. Finalmente maggio è arrivato, nonostante Eyafjallajokull. In macchina ascoltiamo Johnny Cash, e vediamo che il suo country torbido e brillante si sposa da dio con il ritorno in pianura padana. Luiza Samanda Turrini