Marsa Alam, diario di un viaggiatore con permesso di viaggiare
L’intenzione era dunque quella di lasciarsi riscaldare dal sole egiziano, forse non equatoriale, ma sufficientemente lontano e caldo da concedermi l’illusione che tutti quei pensieri che non aiutano, lì, in quello spazio caldo, potessero in qualche modo evaporare. Vivere per una settimana come in un acquario dalle dimensioni perfette e protette per il tempo di sette giorni: bellissimo, coloratissimo e caldo acquario, senza orologi, implacabili, in bella vista a scandire i tempi; senza orologi, neppure uno in tutto l’acquario, dai quale essere risucchiati e incollati alle dimensioni precostituite e rigide della giornata.
Lasciamo l’aeroporto e ci ritroviamo immediatamente a costeggiare una superficie ruvida di sabbia e rocce.
Arenaria, Granito rosso, sabbia bianca. La polvere vulcanica depositata sulla sabbia e sulle rocce regala alla vista insistenti sfumature brune che esaltano i rilievi del paesaggio. Il sole egiziano, così come desideravo, emana un calore avvolgente, penetrante, di quelli che si sentono fin dentro le ossa, scongelare i nervi, dilatare i vasi sanguigni. I miei compagni di viaggio trovano insopportabile questa temperatura, li comprendo. A me dà, invece, conforto. L’acquario è meglio di quanto immaginassi, spettacolare: bouganville fucsia, gelsomino, “Johanmia”, “Sif saf”, profumatissimo “Rehan”, palme, acqua limpida, riflessi morbidi negli sguardi della gente del villaggio. C’è poco del resto del mondo, il mio in particolare.
Sguardo da viaggiatori clandestini, eccitati ed ansiosi, affamati di dimensioni da acquario. Sguardi e atteggiamenti che prendono distanza da sé. Le cautele ragionate, all’interno di questo luogo, perdono i fili delle loro trame che si confondono e presto si dissolvono. Rimane sempre meno del resto del mondo. La possibilità che si rompa improvvisamente il vetro: una paura dai contorni vaporosi, che perde immediatamente consistenza e si allontana.
Fame di quiete soddisfatta. Cielo terso, azzurro profondissimo e imperturbabile, calore, profumi, voci lente che rimbalzano in circolo, prive di rapidità e ipnotiche, creano una sorta di alone di stabità che mi permette di rimanere in una dimensione contemplativa rispetto a quello che mi si dà nell’immediato. La possibilità è l’hic et nunc. Straordinario. Rimango nell’acquario, senza troppi sforzi, a galleggiare su una realtà costruita anche per me, morbida, densa, buona come panna montata.
Marsa Alam, che in arabo significa “il porto delle bandiere”, perché era abitudine degli abitanti, per la maggior parte pescatori e agricoltori, issare delle bandiere per consentire alle imbarcazioni di avere dei punti di riferimento per fare ritorno a casa. Non perdersi. Segnalare il porto sicuro a cui attraccare. Salvifico.
Mar Rosso. Al cospetto del mare, mi fanno ombra intrecci elaborati di migliaia di piccoli rami e paglia che odorano vagamente di curcuma e umidità. La struttura di quella che potrebbe essere una sorta di chaise longue sulla spiaggia, costruita con legno e foglie di palme, sembra confortevole e il telo morbido che profuma di lavanda confonde e placa l’odore di legno bagnato. Una leggerissima, quasi impercettibile brezza, si insinua in modo molto discreto in uno scenario spettacolare che è quello di un mare limpido, che si estende in gradazioni di colore che partono con il verde acqua dalla sabbia bianchissima della spiaggia e si protendono fino all’orizzonte alternando fasce parallele che vanno dal verde smeraldo fino al blu profondissimo.
L’acqua salatissima, 40 grammi di sale per litro, e piatta mi sostiene a galla, mi lascio trasportare, mi affido alla sua corrente lenta. Mi sento protetta su questo cristallo liquido, allento le difese. I suoni diventano sordi e tutto è ovattato quando tento di sciogliermi nell’acqua. Respiro dal boccaglio lentamente e in maniera circolare; non faccio pause fra l’aria che entra e quella che esce. Respirare, come vivere, sembra semplice e naturale qui, in questo angolo di paradiso e questo modo calmo e regolare di ossigenare la mente e il corpo mi permette di stare nell’acquario. I movimenti sono lenti, a tratti un po’ faticosi, ma non servono, l’acqua, il sale e lo strano incantesimo di qualcosa di sufficientemente lontano fanno tutto da sé, non c’è bisogno che io intervenga. Sono libera. I pensieri diventano sempre più liquidi ed evaporano velocemente. Le uniche cose che mi toccano, qui nella Spiaggia delle Perle, Sharm El Loli, sono le carezze dell’acqua, i pizzicori dei piccoli pesci e i raggi del sole. Galleggio sulle sensazioni del mio corpo: calma, quiete e silenzio. Ciò che contemplo dalla superficie dell’acqua è un mondo sommerso che brulica di vita, una coperta di splendide onde arricciolate e dai colori incredibili, che esprime una magnificenza inimmaginabile e forse anche inenarrabile, e per quanto si possa insistere nel cercare le descrizioni più appropriate, difficilmente, temo, si riesca a renderne fedelmente la bellezza e la sensazione di puro incanto. Ne ho rispetto, non provo nemmeno ad allungare le braccia, anche se è forte la tentazione di sfiorare, di toccare, di catturarne anche la sensazione tattile. Coralli morbidi, mobili e viola si lasciano cullare dalle correnti del fondale e si alternano e sovrastano o si nascondono sotto coralli rosa, aranciati o lavanda.
Pesci coloratissimi in uno scenario trasparente, screziato di topazio, bianco perla e dai riflessi verdi e azzurri del cielo, che si concede alla vista pur mantenendo lo straordinario fascino misterioso di un mondo che non si scopre facilmente. Nuvole di piccoli pesci gialli, fucsia, grigio-argento, intenti a beccare plancton, rimbalzano lenti contro le estremità arrotondate della barriera e non si lasciano minimamente distrarre dalla mia presenza, né dai miei movimenti rallentati. Questo mi fa sentire ancora più parte dell’acquario, nessun pensiero, sono completamente assorbita da ciò che vedo e dal suono ovattato e circolare del mio respiro, l’aria che entra e l’aria che esce. Non c’è più spazio per niente se non per quello che sento, che vedo adesso, in questo momento. Qui, certe magie sono possibili.
Esiste un posto abbastanza lontano? Forse l’ho trovato…
Il tramonto, in questa parte di deserto non è infuocato e lento come lo immaginavo, ma piuttosto veloce, il sole sembra enorme. La pashmina è ruvida sulla pelle del viso, però è utile ad evitare che ingurgiti e mi riempia i polmoni di polvere, mentre viaggiamo verso sud, squilibrando con le grosse ruote del quad le dune di sabbia. E’ spaventoso pensare di poter perdersi su una superficie così priva di punti di riferimento; forse solo rare e insospettabili tracce, ma interpretabili solo da chi fa parte del deserto. Raggiungiamo un accampamento beduino, sembrano preparati alla nostra visita. Ci accolgono con ammiccamenti, modi di dire tipicamente e banalmente italiani… L’escursione con i quad in pieno deserto è stata emozionante, ma certamente faticosa. Cerchiamo riparo dal sole sotto una tenda e ci sediamo su tappeti fatti di un tessuto intrecciato con lunghi pezzi stoffa arrotolati grossolanamente e molto colorati. Sorseggiamo karkadé, infusi di fiori africani, fumiamo narghilè e mangiamo pane arabo quando ci viene servito da una bimba che mi guarda con occhi neri arricciati per i riflessi del sole ed esclama: “Yalla, yalla”! Rientriamo di notte e ho la sensazione di ingoiare il deserto intero e il suo silenzio eccitante, di sentirlo arrivare fin nelle viscere.
Il tempo si dilata in questa parte di mondo per noi viaggiatori con permesso di viaggiare… Si vive nella totale mancanza di consapevolezza dei momenti del giorno e della notte. Forse è troppo presto, forse troppo tardi, tutto ciò non importa, perché per una settimana si ha il privilegio di vivere all’interno di un mondo perfetto, dentro l’acquario. Attenzione, però, perché non basta pagare, è necessario stare lì… e ci sarà sempre qualcuno che impedirà di saltare fuori dal gioco quando si può ancora rimanere dentro. Sono riuscita a rimanere dentro fino al viaggio ad El Shalateen, ma questa è un’altra storia…