MArocco: LA METEORITE MARZIANA

AMMADA JONES e LA METEORITE MARZIANA di Alighiero e Stefano Adiansi (un grazie di cuore a Roberto per la consulenza scientifica.) L’impatto fu terrificante, il piccolo asteroide si schiantò sulla superficie di Marte ad una velocità di 50 chilometri al secondo, trasformando l’energia cinetica in un botto da migliaia di bombe “H”...
Scritto da: Alighiero Adiansi
Partenza il: 08/11/2003
Ritorno il: 23/11/2003
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
AMMADA JONES e LA METEORITE MARZIANA di Alighiero e Stefano Adiansi (un grazie di cuore a Roberto per la consulenza scientifica.) L’impatto fu terrificante, il piccolo asteroide si schiantò sulla superficie di Marte ad una velocità di 50 chilometri al secondo, trasformando l’energia cinetica in un botto da migliaia di bombe “H” lasciando un cratere del diametro di tre chilometri. Frammenti di roccia marziana furono eiettate nello spazio infinito, se non infinito comunque bello grande. Uno di questi frammenti, un ammasso di cristalli multicolore grosso come una tanica da 20 litri, luccicando nel terribile vento solare, prese una direzione orbitale che l’avrebbe portato al pianeta di fronte, un bel pianeta, azzurro, verde, silenzioso, pulito, sereno. Proprio un bel pianeta, si parla di circa … hmmm… vediamo un po’, circa 20 milioni di anni fa, mese più mese meno. Adesso le cose sono un pò cambiate, adesso che la meteorite marziana precipita inesorabile in direzione dell’Africa, del Nord Africa, di un paesino sperduto del Marocco vicino ad Akka, dove diventerà un’acondrite Zagami, rarissima, introvabile. Quasi introvabile! … “Non esistono luoghi noiosi ma solo viaggiatori impreparati”, però bisogna riconoscere che ci sono posti dove non c’e’ niente da vedere, dove non val la pena fermarsi, dove anche una sola fotografia è uno spreco, dove ci si ferma solo per una foratura, una sosta ecologica (complicazioni batteriche intestinali varie…) o perché avete con voi un cercatore di sassi, di fossili o, peggio ancora, di meteoriti, e dico peggio perchè i primi due qualche volta almeno si trovano. Io ce l’ho, ho un cercatore di meteoriti, e questo, ve l’assicuro può sconvolgere qualsiasi programma di viaggio accuratamente preparato, figuratevi uno non accuratamente preparato. Quando sale sull’aereo per Marrakech, Ammada Jones è un uomo felice, ha 48 anni, un buon conto in banca, un colesterolo sotto la media e grandi aspettative per il futuro. Sulla scaletta del volo Royal Maroc 401, il professore non immagina che il suo avvenire cambierà drasticamente nel giro di una quindicina di giorni, che il suo conto in banca scenderà sotto zero e il suo colesterolo salirà sopra quattrocento. Ammada Jones, detto anche “professore”, non è uno qualunque, è un cercatore di meteoriti, quelle pietre che arrivano dallo spazio a velocità pazzesche e se non si disintegrano in romantiche stelle cadenti, si schiantano restando li per anni, che dico anni, centinaia di anni, migliaia di anni, milioni di anni! Per terra, dove a tutti sembrano sassi qualsiasi. Non a tutti. Capita ogni tanto che un matto, armato di lente d’ingrandimento, microscopio portatile e supercalamita, le riconosca, le raccolga e le faccia sue. In fondo sono state stelle, magari per un attimo, il tempo di un desiderio, però lo sono state, cadenti e’ vero, ma se non cadessero nessuno le cercherebbe, non esisterebbe Ammada e sarebbe un peccato accidenti, un peccato per i suoi compagni di viaggio. In attesa di partire verso il Sud, Ammada gironzola spavaldo nel suk di Marrakech alla ricerca comunque di qualcosa di raro: il dattero nero “Bonito” da 35 dirham al chilo, non e’ facile, costano tutti meno, ma gira e rigira alla fine lo trova. Sarebbe quello da 32 ma contrattando con l’incredulo fruttivendolo riesce a strappare il prezzo “target” di 35 dirham. Ebbene, nonostante quanto riferito dalle biografie ufficiali è questo il momento catartico per il colesterolo di Ammada che nella mezz’ora successiva comincia l’ascesa inarrestabile verso valori mai misurati in nessuna sede dell’AVIS. La strada per Ouarzazate scavalca il Tizi nTichka, una barriera naturale di oltre 2000 metri tra le spianate digradanti verso l’Atlantico e le dune digradanti verso il Sahara. Il valico invece di essere coperto di ghiaccio e neve (come previsto da Ammada che è vestito come per una sciata a Livigno) è una piccola Hong-Kong di negozi che espongono tutti le stesse cose, in particolare le stesse pietre: quarzi scintillanti di vernice, fossili color cemento, cemento color fossile e forse, forse rovistando tra le casse piene di cianfrusaglie potrebbe anche nascondersi una … no non e’ possibile. Ammada prova a chiedere; chiedendo si trova qualsiasi cosa. Dimmi quanti soldi hai e cosa cerchi, non c’è problema (a spenderli tutti) non c’e problema, amico. Nessun problema. Mentre passa di fianco ad uno scaffale Ammada sente qualcosa che tira nei pantaloni. Non può essere che la calamita, la impugna e comincia a far passare le mensole fino alla fatale attrazione magnetica, poi esce dal negozio stringendo tra le mani un pacchetto, lo deposita nello zaino con una delicatezza esagerata per un sasso che ha resistito milioni di anni in giro per l’universo e dovrebbe resistere anche alle sospensioni della Uno e alla guida paris-dakariana di Ammada. – Quanti anni avrà? – – Penso una trentina. – – Trent’anni?! Ma se hai detto che le meteoriti… – – E’ una teiera per mia madre, gliel’avevo promessa. Non c’era niente d’interessante, qualche fossile… i soliti quarzi dipinti. Pero’ il tizio del negozio mi ha raccontato di uno ad Erfoud, uno che ha trovato delle… cose rare. Non so … Ho qui l’indirizzo: signor Mohammed del negozio “Les Turistes”. – – Mohammed eh!? Non dovrebbe essere difficile trovarne uno.– Ammada inforca gli occhiali da sole, tira su il collo della giacca multitask, di quelle che ci vuole mezz’ora a trovare le chiavi della macchina, calca in testa il cappello da esploratore, una passata di crema protettiva in faccia, fazzoletto tirato sul naso, guanti da autista di autobus e via sparati per Ait Benhaddou. Solito tramonto e solita alba alla casba del Gladiatore, uno spettacolo da finale proiezione di diapositive, ma meteoriti neanche l’ombra. Sulla strada delle cento casbe, facciamo scorta di creme alla rosa e datteri da 32 dirham per la dose quotidiana di colesterolo. Ammada è già col pensiero nel deserto di Merzouga. Un’occhiata distratta alle casbe rosse della Valle del Dades, alle pareti nere del Todhra, al verde polveroso del palmeto di Tinerhir, alla foggara di Jorf, al sedere di Michela (che soffre di meteorismo) ed ecco Erfoud: la porta del deserto, il punto di partenza per le dune, la sede della festa dei datteri (e dei ditteri), che pero’ e’ finita da una paio di settimane, accidenti! Dunque … vediamo, Les Turistes… Les Turistes … Niente. Dopo un’ora a girare per il paese trascinandoci dietro una trentina di guide, tutte Mohammed e tutte amiche di qualche capogruppo di Avventure, decidiamo che e’ meglio chiedere. Ne approfittiamo per far benzina alla stazione Ziz dove con un colpo di tergicristalli ci liberiamo dei Mohammed sbagliati e con un colpo di culo troviamo il Mohammed giusto. Le Turistes infatti e’ proprio di fianco al distributore. Ammada scompare all’interno del negozio mentre il resto della truppa si ferma ai tavolini del ristorante Dunes per fare il pieno di omelettes e patatine alla faccia del Ramadam che qui svuota le strade e gli stomaci, due cose che invece da noi son fin troppo piene, specialmente in Quaresima. Mentre tagliamo l’anguria riappare Ammada avvolto in un mantello azzurro da tuareg, confabula con due brutti ceffi che l’aspettano fuori dal negozio e poi tutti e tre scompaiono nelle stradine. Ne esce da solo circa mezz’ora piu’ tardi, mentre ci stiamo leccando dalle mani i residui mielosi dei dolci del Ramadam. Ammada salta in macchina senza toccare cibo. Non si è convertito all’Islam, ha solo fretta di ripartire:”mangiare è un’abitudine!”. Ha avuto notizia di ritrovamenti nella zona del deserto nero, sulla strada per Taouz. Io a Taouz non ci volevo neanche andare. La pista per Merzouga comincia una decina di chilometri fuori da Erfoud; non servono guide, basta seguire il traffico: dove e’ più intenso siete sulla strada giusta. Ammada da il meglio di sè alla guida della Uno, finalmente una pista. I segnali non sono facili da seguire, e’ vero che ci sono i pali della luce, ma mica per tutto il tragitto, gli altri segnali sono piu’ difficili da interpretare. Ecco un cartello tra la nuvola di polvere lasciata dalla jeep davanti: hotel Jasmine, diritti, proprio dietro la Nissan, un altro segnale, hotel Soleil Bleu, a sinistra, accidenti alla sabbia, ce n’e di piu’ in aria che in terra. L’orizzonte è increspato dalle dune rosa dell’erg, come si arriva fin là? Altro cartello, hotel ksar Sania, speriamo bene. Ammada e’ tesissimo, concentrato, la pista e’ battutissima, sembra asfalto, poi finalmente un avvallamento, un mucchio di sabbia, una dunetta, Ammada si esalta, gli occhi fissi sull’ostacolo, le mani strette sul volante. E’ solo un mucchietto di sabbia ma ce la facciamo: insabbiati. Tutti a spingere, con calma che dobbiamo fare la foto di rito. Quelli davanti hanno visto nello specchietto, parcheggiano e tornano indietro, quelli dietro scendono dalle jeep e dai bus e si precipitano a guardare, decine di macchine fotografiche puntano sulla ruota semi sommersa della Uno e sul suo pilota imbacuccato nello cheche azzurro, col gomito appoggiato al tettino dell’auto, il piede sul cofano, lo sguardo fisso verso il Sahara, il sorriso beffardo di che ce la fatta. Dieci minuti e siamo al Toumbouctou, un hotel tra i più cari, ma anche tra i meglio tenuti dell’Erg Chebbi. Ammada non capisce la smania di andare a dormire al bivacco tra le dune per sorbirsi uno scontato tramonto rosso sangue e un cielo che più stellato non si può, troppi romanticismi. Lui preferisce farsi portare al “deserto nero”, laggiù, verso Taouz, dove corre voce di “sassi strani” e da dove tornerà a piedi, solo, occhi a terra e calamita in allerta. Ma il deserto nero, lo dice la parola stessa, e’ troppo nero per distinguere le meteoriti, bisognerebbe aspettare la notte e scoprire se al buio in mezzo a tutto quel nero, non emerga qualche debole bagliore di radioattività extraterrestre. A forza di camminare guardando per terra, Ammada perde l’orientamento, la bussola non l’aiuta e nemmeno la tempesta di sabbia che impolvera l’orizzonte lontano e anche l’orizzonte vicino. All’improvviso nella nebbia emerge un bagliore giallastro, forse ci siamo, non verrà da Marte che altrimenti sarebbe rossastro, nè da Saturno, che sarebbe azzurrino, non viene neanche da Mercurio, che sarebbe gassoso e nemmeno da Venere, che sarebbe tutta curve, in realtà viene da Taouz ma la calamita impazzisce lo stesso vicino al faro del motorino Suzuki di Assam, il cuoco del Toumbouctou. Ammada accetta un passaggio dopo aver tirato sul prezzo come se fosse lui a fare un favore al motociclista, che potrebbe piantarlo li’ a passare la notte tra la sabbia e i sassi. Il giorno dopo l’insaziabile professore trascina il gruppo nel Deserto Bianco dove i sassi dovrebbero risaltare in mezzo a quel candore piatto. In effetti prima dei siti rupestri si attraversa il fondo screpolato di un lago preistorico, bianco come neve e liscio come un biliardo. L’autista della jeep, che gia’ aveva una scarsa considerazione per questo gruppo che vuole andare nei posti piu’ deserti del deserto, guarda rassegnato e sorpreso chi, invece di fotografare le onde dorate dell’erg, passeggia a testa bassa prendendo a calci i sassi e, qualche volta, raccogliendone uno per portarlo al professore che senza neanche guardarlo lo butta via. Ma in fondo cosa credono questi qui, che noi si lasci le meteoriti per terra quando sappiamo benissimo che c’è gente disposta a pagarle a peso d’oro? Ritornare da Merzouga e’ più complicato del previsto perchè non ci rassegnamo alla nuova strada asfaltata fino a Rissani e per ripicca restiamo fuori dall’asfalto fino alla quarta foratura poi ci pieghiamo al progresso illudendoci di correre sopra una grande meteorite nera, lunga quasi trenta chilometri. A Rissani saccheggiamo La Maison Tuareg mentre Ammada affoga la disperazione in un cesto di datteri mielosi, un pò li mangia, la maggior parte se li spalma sulle guance e sulle braccia cercando di assorbirne la polpa per osmosi. Quando lasciamo le invisibili rovine di Sijilmassa spinti da una violentissima tempesta di sabbia, del “professore” si vedono solo gli occhi e i denti, unici segni di vita in mezzo ad un disgustoso impasto di sabbia, zucchero e cocci di ceramica romana. Sulla strada per Tazzarine la sabbia viene spazzata via da un temporale scatenato come non si vedeva da anni. Non abbiamo incontrato anima viva da quando siamo partiti da Rissani, non ne incontreremo fino a Nekob. Le montagne del Saghro si intuiscono tra la pioggia, rosse, viola marroni, sembra di essere su Marte, sarà per questo che Ammada ferma la macchina e scende a scrutare la pianura sassosa, non si sa mai. In questo modo sgombriamo ogni dubbio sul fatto che ci fermiamo nei posti più assurdi, avremo foto che nessuno ha mai fatto, anche foto di niente, soprattutto foto di niente. Una volta risalito in macchina, Ammada, bagnato fradicio, confessa che durante il tragitto in moto, Hassan ha parlato di uno strano personaggio, un cercatore di meteoriti professionista che lavorerebbe in un hotel di Tamegroute, e di una meteorite straordinaria ritrovata nel deserto oltre Mahmid, una condrite. Ammada non e’ certo che il motociclista abbia detto una condrite o un’acondrite, mentre si viaggia in moto su una pista del deserto e’ difficile percepire un apostrofo, a meno che questo coincida con un calo di potenza del motore, ma non e’ facile comunque. Sembra che con questo apostrofo la meteorite acquisti un valore incommensurabile. Un conto e’ una condrite, un’altra storia sarebbe un’acondrite. Laura dal sedile posteriore azzarda una terza ipotesi, cioè un acondrite, senza apostrofo, maschile. Ammada sbuffa, dice che se la “a” e’ attaccata alla condrite va bene lo stesso, maschile o femminile per lui e’ uguale. Incrocio lo sguardo attonito di Laura e capisco che per noi c’e’ una bella differenza! Ne discuteremo meglio dopo la Valle del Dra che e’ cosi’ bella da assorbire completamente l’attenzione. Qualcuno scatta delle foto, poche, tanto per inserirle quando sarà il momento tra quelle dove non si vede niente. Vorremmo trovare dei point-view di nostra iniziativa, ma i migliori sono quelli dove aspettano i venditori di pietre, di pugnali, di piatti, di gioielli berberi e di datteri; quelli dove i bambini aspettano nascosti sotto il bordo della strada per piombare attorno alle macchine appena si fermano. Scorci fantastici si susseguono, a Tinzouline, alle gole dell’Azlag, terrazze ricavate sui tornanti affacciate a palmeti immensi, verdi e impolverati; quest’anno ha piovuto pochissimo. I palmeti riempiono le pianure dalle rive del Draa fino ai piedi delle montagne, montagne gialle, rocciose, s’intuisce che dietro c’e’ il deserto, che sono le ultime pieghe della terra prima del nulla. I paesaggi sono stupendi e ci aspettiamo un rifiuto di Ammada a fermarsi e invece… invece dovete sapere che il prodotto tipico della valle del Draa sono i datteri, che la stagione e’ appena cominciata, che sono quasi meglio di quelli di Erfoud e che per tutta la strada scatole e cestini vengono infilati nei finestrini. Nella foga degli acquisti Ammada paga i consueti 35 dirham sia per il cestino da un etto che per la scatola da un chilo. Arriviamo a Zagora con la macchina piena di nocciolini, i denti pieni di carie e il colesterolo di Ammada oltre i quattrocento, senza contare il volante e i sedili cosi’ appiccicosi che non riusciamo a cambiare posizione per i successivi tre giorni. Raggiungiamo Tamegroute, il villaggio con la biblioteca coranica, i laboratori di ceramica, la medina sotterranea e l’hotel della condrite (o dell’acondrite). Abbiamo scoperto la differenza: il professore ha spiegato che una condrite ha le condrule, piccole gocce di minerali condensati dal raffreddamento dei roventi vapori di materia nebulosa solare, mentre un’acondrite è un pezzo di pianeta, dove le condrule si sono fuse fino a diventare magma. Ora si tratta di sapere il motivo per cui i sassi senza palline valgono più di quelli con le palline, ma qui si tratta di complicate regole di mercato. In cambio Ammada ha svelato il mistero per cui la salinità degli oceani sia rimasta costante nel corso degli ultimi milioni di anni, una cosa che mi chiedevo dai tempi in cui imparavo a nuotare sulla spiaggia di Bellaria. Tamegroute è un paesotto a pochi chilometri da Zagora, sulla strada per Mahmid. Nel villaggio c’e’ una biblioteca coranica cosi’ famosa che molti negozi hanno preso il suo nome “biblioteque Coranique”. Quella vera e’ dopo la piazzetta, sulla destra; a sinistra c’e’ un buon ristorante il Jnane-Dar con alcune tende berbere e mezza dozzina di camere, oltre ad una simpatica proprietaria bionda. Dopo mangiato ingaggiamo un paio di bambini per visitare la medina sotteranea, intricato dedalo di stradine buie e strette che conducono sempre in un negozio di ceramiche. Ammada lo perdiamo alla seconda galleria ma lo ritroviamo nella piazzetta della Zaouia dove sta mostrando al posteggiatore il biglietto col nome dell’hotel, quello col cercatore di meteoriti. L’hotel si chiama Repos Des Sables e con le indicazioni di Ammada non l’avremmo mai trovato se non fosse sulla strada per Mahmid, cinque o sei chilometri dopo Tamegroute. L’hotel e’ davanti alle tre dune di Tinfou che si possono raggiungere a piedi in dieci minuti, ma solo se non avete niente da fare perchè sono molto deludenti per chi e’ stato a Merzouga. Molto meglio il panorama lungo la strada verso sud sulla quale si rivedono dune vere e si attraversa la graziosa oasi di Oulad Driss prima di arrivare alla fine della strada. Insieme a Michela e Laura, aspetto davanti all’ennesimo cafe’-au-lait che Ammada si faccia turlupinare da un altro venditore di sassi. La notizia dell’arrivo del professore corre più veloce delle Uno e appena ci fermiamo c’è un sassista che ci viene incontro a colpo sicuro. Non credo stia già circolando la foto di Ammada, quindi e’ probabile che lo riconoscano dalle tasche della giacca piene di pietre e dai datteri appiccicati alle dita. A Mahmid viene organizzata una delle più grandi truffe meteoritiche nella storia del Marocco. Ammada ci raggiunge felice come una Pasqua, ma dobbiamo pagargli il the perche’ non ha più una lira. Davanti al bar passa un pick-up strombazzante pieno di luci e festoni multicolori, stracarico di gente in festa nonostante il Ramadan. Ammada saluta l’autista e un paio dei passeggeri. Sono i mercanti di meteoriti che gli hanno appena venduto un pezzo “… molto… molto raro”. Guardo le ragazze e nascono i primi dubbi sull’affare concluso da Ammada che, passata la baraonda, rimane con la mano destra alzata in segno di saluto e lo sguardo fisso sulla sinistra che stringe la meteorite. Il dubbio disegna sul suo viso una ragnatela di rughe mentre nel palmo della mano luccica un sasso troppo, troppo simile a quelli dei marciapiedi… Al Repos des Sables, una volta riusciti a venir fuori dalle camere che hanno le serrature Dogon non perfettamente lubrificate, troviamo Ali, il cercatore. Lo troviamo in quella che potremmo chiamare sala da pranzo, ma potremmo chiamare in qualsiasi modo perchè lì dentro si fa di tutto. Sui divani attorno a due tavolini alti una spanna sono stravaccati tre ragazzi, una ragazza e un cercatore di meteoriti berbero. Come l’ho riconosciuto? Semplice, gli altri sono tutti biondi-nordici. Ali sta chiacchierando in berbero con Ammada che risponde in veneziano. Il berbero lavora in hotel come cameriere-cuoco-portiere-di-notte-cercatore di meteoriti; e’ un bel tipo, alto quasi due metri, occhi neri, pelle olivastra, lo cheche attorno alla testa. Ha un sorriso accattivante che biancheggia tra il nero della barba e dei baffi e un’aria così rilassata che vien voglia di stare ad ascoltarlo, anche senza capire una parola, sarà per gli occhi, per il sorriso, per la voce o sarà per le canne che distribuisce a destra e a manca. Stanno fumando tutti, sia i ragazzi sul divano di fronte, sia le ragazze sul divano di fianco, che poi sono le mie compagne di viaggio, mie e di Ammada, l’unico che non fuma. Oddio, non fuma direttamente, ma da come inspira direi che assorbe completamente il fumo passivo della camerata. Ali guarda Ammada con una divertente espressione a metà tra l’incredulo e il curioso, più verso l’incredulo. Ci accatastiamo in otto sul divano e con la scusa del freddo mi stringo abbastanza da strusciare le tette di Laura ma senza perdere un attimo della scena di fronte. Ammada e’ eccitatissimo mentre il berbero continua ad arrotolare una canna dopo l’altra passandole alla prima mano tesa.

– Acondrite o condrite? – sta bisbigliando Ammada sul naso del berbero.

– Acondrite. – ripete Ali con calma. – Acondrite, vera acondrite. Sicuro.

– Sicuro? – – Sicuro. Acondrite. – ripete paziente Ali, poi sussurra nell’orecchio del professore qualcosa di straordinario, perche’ Ammada spalanca gli occhi, spalanca la bocca, spalanca le orecchie e spalanca le narici per tirare su un’altra nuvolata di fumo.

– Cosa tè ga dito?!?!? – urla sotto voce.

– Zagami. – – Xagami … con la xeta de xebra?!?!?! – Zagami, tu capisci italiano? – – Gò capio, gò capio, ti fa davero, xagami. – Ali si protende sul tavolo verso di noi, ci fissa uno a uno, si toglie dalle labbra la sigaretta ammosciata dalla saliva, e a bassa voce scandisce: – Za-ga-mi. – guardiamo la sua faccia misteriosa, tra il fumo e i resti del couscous, i nostri sguardi sembrano chiedere: “che cazzo e’ la zagami?”.

– Che cazzo e’ la zagami? – chiede Michela protendendosi anche lei sopra il tavolo e guardando Ali con occhi spiritati.

– Meteorite marziana! – Michela con movimeno lentissimo, prende la sigaretta ammosciata dalle dita di Abdul, la guarda disgustata e me la passa. Che schifo! Fingo una tirata e la passo a Laura. Ammada prende Ali e se lo tira di nuovo vicino: – Bikam fulus… Quanti schei? – – Tanti. – risponde il berbero.

– Dove xea? – chiede il professore speranzoso. – Lontano… molto lontano. – – Dove? – ripete Ammada deciso ad avere la preziosa indicazione.

– Akka.- – Accà dove? – – No qua, Akka. – ripete Abdul tranquillo. – lontano dopo Tata, dopo Akka, dopo Icht, verso la frontiera proibita, è un piccolo villaggio, si chiama Tizgui. – Ammada si rilassa, s’appoggia al muro, inspira profondamente, poi mi guarda.

– Ci passiamo? – Sfilo la mano da sotto il maglione di Laura, prendo la EDT e cerco nell’indice. Nessuna traccia di Tizgui.

– Boh, non e’ segnato. Vediamo la Polaris – niente, però c’è una nota di Gaudio che consiglia di contattare un certo Khalid, c’e’ il numero di telefono, c’e’ scritto che e’ il maggior esperto delle incisioni rupestri della zona, c’e’ scritto che abita in un paesino di nome Tizgui. Alle due Ammada e Ali stanno ancora chiacchierando, i nordici dormono sul divano, le birre sono finite, le canne sono finite. Fuori l’aria e’ fredda e limpida, c’è un cielo bellissimo, le stelle non finiscono mai. Vado a letto con la mente rintronata dal fumo e dalle meteoriti, non sono neanche sicuro che sia la camera giusta, non e’ sicura neanche Laura. Il giorno dopo è una corsa tra le meraviglie del Marocco. La valle del Draa sembra ancora piu’ bella al mattino. Ad Agdz attraversiamo la piazza e dopo la porta prendiamo una strada a sinistra che dopo una dozzina di chilometri diventa pista e sfiora un paio di villaggi intrufolati tra la terra rossa e il verde polveroso delle palme. A Foum Zguid pranziamo con formaggini, datteri e dolci del Ramadan. Mrihimina manco la vediamo e a Tissint cerchiamo un paio d’erbe miracolose per abbassare il colesterolo di Ammada. Solo dopo Tissint, il paesaggio lunare attira l’attenzione anche del professore. Sulla destra della strada si stende un un tavolato di roccia biancastra, tuttafrastagliata in canyon dendritici e pinnacoli pennellati dalla viva luce del sole e dalle relative ombre.. E’ un posto affascinante, ci fermiamo per forza perche’ il sole negli occhi impedisce di vedere la strada e un paio di volte ci troviamo contromano. Ammada vaga estasiato tra le insenature e le crepe del terreno lunare. Quando ripartiamo il sole è appoggiato sull’orizzonte, la sua luce fredda non da fastidio. Arriviamo a Tata la rossa che fa buio pesto. Al Renaissance stanze e cena ci ripagano dei quattrocento e passa chilometri sciroppati oggi. Ammada voleva tirare avanti fino ad Icht. Sul terrazzo dell’hotel mi accordo con Abdul della Maison Tuareg per la visita di domani. Ammada apre la Polaris e chiede ad Abdul se conosce quel Khalid consigliato da Gaudio. Abdul vede che sulla guida c’e’ anche lui e sorride soddisfatto. Proviamo a telefonare al numero indicato ma un operatore comunica qualcosa in arabo. Proviamo a rifarlo: niente da fare. Ammada si accascia sul tavolo. Abdul prende la guida e sparisce nel buio, vuole che lo raggiungiamo nel negozio tra mezz’ora. Percorriamo le strade animate dal dopo-ramadam, le flebili luci dei lampioni si riflettono sulle piastrelle di ceramica che tappezzano i portici. In piazza la gente e’ ammassata nei caffe’ a vedere una partita della coppa d’Africa. Abdul aspetta nel negozio, allineate ai suoi piedi una decina di pietre attirano per poco l’attenzione di Ammada. Oltre alle meteoriti, Abdul ha trovato qualcuno che conosce Khalid di Tizgui e ha recuperato il numero di telefonino. Proviamo. Niente da fare, non risponde nessuno. Riproveremo domattina, ormai e’ notte. Raggiunte le camere riesco a riposare nonostante le urla dei tifosi che scorrazzano per le strade festeggiando la vittoria del Marocco per tre a zero, i clacson sono pochi ma la gente e’ tanta e va avanti e indietro dalla via principale di Tata sbraitando e cantando Quando arriva l’ora della seconda cena post-ramadan ritorna la calma e il silenzio. Solo in città, perchè nella mia camera qualcuno russa cosi’ forte che i tifosi del Marocco erano un coro di voci bianche che cantavano una ninnananna. Dopo colazione finalmente Khalid risponde al telefono e ci fissa un appuntamento lungo la strada nei dintorni di Icht. Ammada freme d’impazienza, durante il giretto al mercato e all’oasi di Afra lui aspetta in auto, pronto al volante, sbuffando. Quando balziamo in macchina parte sgommando. Dopo cinque chilometri un segnale stradale piovuto dal cielo dice che stiamo andando nella direzione da cui siamo venuti ieri sera. Immediato testa coda, sfioriamo un frontale con la Uno che ci seguiva; Michela tira su il medio. Riattraversiamo Tata approfittandone per recuperare i bagagli che nella fretta avevamo dimenticato in hotel. Dovremmo incontrare Khalid a dodici chilometri esatti da Icht. Influenzati dalla tensione di Ammada, contiamo i chilometri sulle pietre miliari fino ad un bivio col cartello: Icht 12. Sulla strada c’è un barbone avvolto in un burnus marrone scuro, con in mano una borsa di carta tipo Iper e in faccia un’espressione da extracomunitario che fa l’autostop sulla A4. Ci fermiamo per chiedere se conosce Khalid allungandogli qualche dirham. Lo conosce. E’ lui. Dalla borsa dell’Iper vengono fuori fotografie e cartine dettagliate dei siti rupestri, ci andiamo al volo. Il silenzio rende suggestivo questo posto in mezzo al deserto, con l’Algeria ad un tiro di schioppo, e di tiri ne hanno tirati parecchi qui attorno. Le incisioni rupestri sono lungo una dorsale rocciosa e rappresentano gazzelle, struzzi, altri animali e un paio di cacciatori. Naturalmente Ammada ignora la zona delle incisioni ed esplora la pietraia circostante. Lo vediamo inginocchiarsi sulla sabbia, smuovere con delicatezza la sabbia e raccogliere una reliquia, adorarla sul palmo della mano e ridepositarla a terra. Quando lo raggiungiamo ha in mano frammenti di utensili e due punte di freccia: una in ossidiana è veramente bella, affilata e artisticamente lavorata, l’altra, del periodo “Ateriano” è una punta di freccia solo per lui, ma fingiamo di restare affascinati per non rovinare l’atmosfera magica del luogo. Ammada invita a rimettere le cose al loro posto, i siti archeologici non debbono essere depredati, se non dagli esperti. Riprendiamo le auto e facciamo un tour verso i paesini dei dintorni, alcuni soffocati nella sabbia, altri appollaiati sulle rocce, uno in riva ad una sorgente in cui i bambini sguazzano felici. Tornando verso Icht arriva il momento cruciale. Ammada chiede distrattamente a Khalid se nei dintorni si trovano meteoriti. Meteoriti? Pieno. Pieno come uno sciame di asteroidi. Che tipo? Tutti i tipi. La Uno sbanda, Ammada abbassa la voce. Non sento la conversazione, impegnato come sono a guardare la strada sperando che non arrivi nessuno dall’altra parte mentre l’auto prosegue a zig-zag. Sento bisbigliare e intuisco poche parole, una di sicuro è Zagami. Zagami, la meteorite marziana. Ammada annuncia una sosta fuori programma. Poco lontano c’è una piccola oasi dove possiamo organizzare un pic-nic all’ombra delle palme mentre lui va con Khalid ad incontrare un famoso cercatore di meteoriti, anzi un’intera famiglia di cercatori di meteoriti. L’oasi c’e’ davvero, un pugno di palme attorno ad una sorgente d’acqua fresca che alimenta una piscina naturale in mezzo a piccole dune dorate che ondeggiano fino alla striscia grigia dell’asfalto. La Uno di Ammada scompare nella polvere al di la’ della strada, verso l’orizzonte, verso il nulla, il suo ambiente preferito. Abbiamo il tempo di esaurire le scorte di pane, formaggini e banane, sdraiarci in relax sul bordo della sorgente, abbronzarci sulle dune. Abbiamo tutto il tempo per scottarci sulle dune, abbiamo troppo tempo. Scalo la duna più alta sperando di scorgere la nuvola di polvere tornare verso l’oasi. Niente. Passa un’ora, passano due ore. Niente. Quando nel tardo pomeriggio un’increspatura annuncia qualcosa in arrivo, sono pronto a fare un cazziettone al professore per averci abbandonato nell’oasi sconosciuta aspettando un cercatore di meteoriti, sembra un titolo della Wertmuller. L’auto non e’ bianca, non e’ la Uno. Arriva nell’oasi e scende Khalid. Dov’e’ Ammada? Non possiamo aspettare i suoi comodi, non possiamo passare la notte qui! O possiamo? Khalid e’ agitatissimo, mi urla qualcosa in faccia, ma per me e’ arabo. E’ arabo anche per gli altri, in effetti e’ proprio arabo pero’ si capisce che c’e’ qualcosa che non va. M’invita a seguirlo, balzo sulla R4 color panna andata a male, gli altri seguono con le auto rimaste. Raggiungiamo l’asfalto, lo attraversiamo e ci inoltriamo nel deserto sassoso dove era sparito il professore. Corriamo in fila indiana per circa un’ora rischiando di scassare le macchine mentre Khalid è teso, si capisce che è successo qualcosa di grave. Superiamo un gruppo di tende marroni, e’ l’accampamento dei cercatori. Non c’è nessuno perche’ sono raggruppati una ventina di minuti piu’ avanti, con un paio di jeep e quattro cammelli, attorno ad un fuoco, anzi attorno ad un fumo, una colonna di fumo scuro e denso. Parcheggiamo e appena scendo mi viene incontro un santone con la testa in un lenzuolo blu che lascia vedere solo gli occhi, blu anche quelli. Mi prende per un braccio e mi tira lontano, verso i cammelli, parla bene francese. Ammada si e’ fermato all’accampamento e ha cominciato a discutere con i cercatori riguardo ad una meteorite, una meteorite rarissima, quella che Ammada non aveva neanche il coraggio di nominare. La Zagami ha preso il nome da una località nigeriana dove e’ stata rinvenuta per la prima volta, sembra che da analisi effettuate sia un frammento della superficie di Marte e più esattamente una roccia solidificatasi 1.300 milioni di anni fa nelle profondità di qualche vulcano. La banda di cercatori ha cercato di piazzare ad Ammada una Zagami falsa e lui s’e’ incavolato, ha preso la Uno e si e’ allontanato dall’accampamento per tornare da noi. Naturalmente ha preso la direzione sbagliata, lo hanno inseguito per avvisarlo e qualche chilometro dopo hanno visto l’auto ferma in mezzo alla distesa di sabbia e pietre. Mentre si avvicinavano improvvisamente è venuto giù qualcosa qualcosa dal cielo, in una scia infuocata, con un tuono spaventoso, ed è andato a schiantarsi, come se avesse preso la mira da milioni di anni, proprio sulla Uno. Non posso crederci, corro anch’io sul luogo del disastro. Della Uno è rimasto gran poco, giusto la carrozzeria, come se un missile l’avesse attraversata di netto sfondando il tetto, i sedili e il pianale. In corrispondenza dei sedili anteriori c’è un piccolo cratere fumante. In mezzo al cratere una pietra incandescente lancia sinistri bagliori rossastri come una grossa cicca di sigaretta che si spegne. Di Ammada non c’è traccia e non c’è neppure una goccia di sangue sul relitto. Un giorno Ammada aveva spiegato che una meteorite ritrovata dopo averne visto la scia si chiama “caduta”, se invece viene rinvenuta per caso si chiama “ritrovamento”, ma se è la meteorite a trovare il cercatore allora dovrebbe chiamarsi “sfiga”. Se fosse qui Ammada troverebbe il nome giusto, invece l’abbiamo perso per sempre. Forse riapparirà da qualche parte con un pezzo di meteorite marziana in mano, col sorriso beffardo sulle labbra, col colesterolo alle stelle, forse sarebbe riapparso quando meno ce l’aspettavamo, come succedeva ogni volta che esplorava da solo le pietraie deserte, testa bassa, lente e calamita in mano. Forse non sarebbe riapparso mai più. Nel silenzio suggestivo del deserto, guardo l’orizzonte nella speranza di vedere una piccola sagoma correre verso di noi, ma l’orizzonte è piatto e immobile. Adesso il problema sarà convincere l’Europcar a darci un’auto in sostituzione di due portiere e un cofano con in mezzo più niente. Di sicuro sarà un caso non previsto dalle assicurazioni full-optional. Bisognerà incrementare la cassa!



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