Marocco, la laguna delle ostriche
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MAROCCHINI IN VACANZA
Oualidia è una delle principali mete balneari dei marocchini del nord, che coniugano cultura araba, origini berbere e desideri di europeizzazione magari un po’ celati agli occhi di Allah e che, quindi, le vacanze le fanno eccome: gente di città, di Casablanca, Rabat, Marrakech. Le strutture ricettive ci sono, perché la cittadina d’estate passa da 10 mila a 30 mila abitanti, ma di concezione ben diversa da quelle studiate per noi europei. Molte case da affittare con vista oceano e piccoli alberghi e locande. C’è un’aria di semplicità ed essenzialità, una sorta di comfort di base, ma pur sempre comfort. Per intenderci, se temete di soffrire il caldo non preoccupatevi: in primis perché la clime, il condizionatore, è un lusso che volentieri i marocchini sfoggiano e, poi, perché le brezze di mare serali sull’Atlantico sono una cosa seria (qui la famigerata corrente del golfo non lambisce) e le coperte di lana pesante che trovate sempre ai piedi del letto hanno un loro perché.
ONDA SU ONDA
La costa atlantica è bella, selvaggia e le onde lunghissime e poderose sembrano volersi ingoiare la strada costiera. Si alternano spiagge sabbiose che, con il vento, vanno a formare grandi dune, contrappunto marittimo in uno dei paesi sahariani e affioramenti di roccia che formano alte falesie stratificate. Unico segno umano, a parte qualche pastore di pecore su un asinello lungo la strada, sono le vaste saline sul mare e, verso l’interno, le serre dove si coltivano ortaggi, fra cui un particolare tipo di cipolla locale a cui il salso da un sapore molto apprezzato. A Oualidia l’acqua dell’oceano entra effettivamente nella terra a formare una laguna. E qui inizia l’incanto del soggiornare in questa piccola località. La spiaggia di Oualidia costeggia la laguna, aperta sull’oceano a nord e a sud attraverso due bocche rocciose: 11 km di lunghezza per circa 600 metri di larghezza sono una dimensione considerevole. Un’alta lingua di roccia chiude l’orizzonte sul mare, che anche dove non si vede si intuisce in qualche sbuffo di spuma. All’interno lo specchio d’acqua increspato dal vento e dalla corrente, piuttosto forte, gioca una continua alternanza con la sabbia, che appare e scompare con le maree, ondulata e scolpita dalla corrente. Il colore alla mattina presto e al tramonto è di un rosa acceso, quasi salmone. Vi sembra un ambiente troppo contemplativo? Provate a fare surf, o windsurf, o kite surf sull’oceano e vedrete che botta di adrenalina! Se, invece, siete più pigri o poco acquatici, il bird-watching comporta meno sforzo muscolare, ma offre comunque emozioni. Oualidia si trova nel centro di uno dei più ricchi habitat per le avifaune marocchine e la laguna è una importante zona di riposo per gli uccelli migratori sia in primavera sia in autunno. A seconda del periodo e con un po’ di pazienti appostamenti si possono osservare fenicotteri rosa, trampolieri, cicogne, sterne, garzette, upupe e molti altri uccelli. Un passaggio a volo radente sull’acqua è emozionante come osservare una pattuglia acrobatica naturale. Sulla costa è possibile anche fare un po’ di trekking sui sentieri che regalano paesaggi indimenticabili e spunti fotografici interessanti. La laguna è la vera fonte di ricchezza di quest’area non solo dal punto di vista turistico. E’ infatti conosciutissima per l’allevamento delle ostriche giapponesi o del Pacifico (Crassostrea gigas Thunberg), iniziato nel 1957. Oggi la produzione arriva a 200 tonnellate all’anno, in gran parte per consumo locale. Da queste parti orgogliosamente affermano che siano le migliori del mondo, quindi vanno assolutamente provate.
VITA DA SPIAGGIA
Due passi sulla lingua di sabbia finissima rosa tenue che abbraccia la laguna consentono di scoprire la vita marocchina vacanziera. Famiglie intere azzardano un bagno. Un’attività piuttosto impegnativa, dato che l’acqua, anche quella interna, è decisamente fredda e perché le donne musulmane si avventurano coraggiosamente in performance natatorie impedite da un abbigliamento piuttosto zavorrante, compreso di hijab (velo islamico). Uno spettacolo piuttosto curioso per un’occidentale come me, che azzardo il bikini solo quando sono distesa, ma appena mi metto a sedere mi copro pudicamente con un pareo. Ma siamo in un paese musulmano molto tollerante e aperto all’occidente, quindi nessuno si scandalizza. Anzi riesco pure a fare conversazione. Attacco bottone con Abdellatiff, sorriso smagliante (si scopre che è un dentista!) e atteggiamenti da uomo di mondo. Mi dice che frequenta Oualidia appena può per i weekend, sfruttando la villetta al mare di sua sorella, per sfuggire alla vita stressante cittadina, di Marrakech. La versione locale di un nostro professionista milanese o romano in relax a Santa Margherita o Fregene. Qui, però, la spiaggia è libera, niente bagnini, nessun lettino conteso in prima fila. Invece, un’altra sorpresa. Si aggirano uomini con una cesta. Se volete il bombolone o il cocco fresco, cadete male. Qui, per pochi dirham, la moneta locale, si possono avere ricci di mare appena pescati. Mi metto d’accordo con uno di questi pescatori: oggi crudités, ricci e ostriche, domani arriverà con un piccolo barbecue per cuocermi sotto il naso sardine appena scaricate dalle barche da pesca, che riposano adagiate sulla rena. Pranzo alle 12.30. Arriva tutti i giorni puntuale e porta anche uno di quei meravigliosi pani tondi marocchini, tiepido e fragrante, appena uscito dal locale forno a legna. Io mangio, lui continua a preparare frutti di mare così dolci da sembrare di un’altra specie e a darsi da fare intorno alla griglia, finché non ce la faccio più. È un uomo di mezza età, si chiama Nasser, è di Ifrane, quindi un montanaro. Se stare seduti sulla sabbia compromette la vostra capacità di gustarvi il pranzo e volete che provenga da una vera cucina, non c’è problema: granseole (araignée), aragoste, astici, gamberi, orate, rombi, triglie, sardine, che una cinquantina di pescatori locali portano, rischiando a volte la pelle su piccole barche da pesca, vengono serviti in graziosi ristoranti lungo la spiaggia. La cucina è semplice, come il pesce appena pescato richiede. Gli appassionati del crudo e dei crostacei sono nel loro paradiso: a prezzi abbordabili, potete togliervi la voglia di ostriche, scampi e gamberi “trattati” solo con una goccia di limone, e di aragoste, astici e fantastiche granseole (araignée) bolliti e alla griglia. Da non perdere la soup de poisson che qui è alla francese, con il pesce passato in un brodo denso e saporito in cui immergere i crostoni di pane croccante spalmati di salsa aioli e rouille e coperti da formaggio filante.
PASSATO, PRESENTE E FUTURO
Oualidia non è solo mare e spiaggia. L’origine è del XVII secolo, fondata dal sultano saadiano El Oualid che ne fece una città portuale. L’importanza era strategica: faceva da contrappunto a El Jadida, 78 km più a nord, tenuta dai portoghesi. La posizione e la conformazione geografica, infatti, la rendevano, secondo quanto documentato nel 1875 da un geografo francese, “il porto più sicuro dell’intera costa marocchina, se dragato”. Ancora oggi, nella parte alta della città, si vedono i resti della kasbah risalenti al 1634. Dell’inizio del 900, invece, è la villa affacciata sulla laguna, tristemente abbandonata, di Mohammed V, ultimo sultano e primo re del Marocco, padre dell’indipendenza nazionale e liberatore dai vincoli del protettorato francese. Qui il sovrano, nonno dell’attuale Re Mohammed VI, fino alla metà del secolo scorso riuniva la famiglia, mostrandosi non solo lungimirante politico, ma anche uomo democratico, che faceva il bagno sulla spiaggia insieme ai suoi sudditi e consentiva il bikini alle figlie (i più vecchi ancora se lo ricordano). Oltre quarant’anni di abbandono hanno ammantato di malinconia questa residenza destinata a gioiose feste familiari: grandi stanze deserte, colonne di marmo, mosaici, una piscina e un ascensore sontuoso, tutto irrimediabilmente danneggiato e ingrigito dalla polvere. Le vestigia si visitano camminando, ma ce n’è una che vale una gita in barca di mezza giornata. Trovare il mezzo di trasporto non è un problema: molte barche di legno colorate sono a disposizione lungo la battigia per una cifra più che ragionevole. Si percorre la laguna per la sua lunghezza e si arriva, sulla stretta lingua che separa dall’oceano, al Marabout di Sidi Daoud, un santo venerato a mille chilometri di distanza. Specialità della casa: guarire i bambini e liberare le giovinette dall’onta dello zitellaggio. La tomba si staglia bianchissima sul cielo turchese sorvegliata da un gruppo di donne in djellaba di mille colori. Da edifici squadrati bianchi e azzurri tutt’intorno escono bimbi e bimbe saltellanti e insieme alle madri si recano ad una grotta sul mare (sono diverse quelle che i locali vi faranno visitare), portando chi un indumento, chi una ciocca di capelli delle ragazze in visione al Santo che, Inch’ Allah, le farà sposare in men che non si dica (i single incalliti sono avvertiti).
GITE FUORI PORTA
Dopo tanto stanziale relax, la curiosità di vedere può suggerire una gita. In giornata, 78 chilometri a nord, si raggiunge El Jadida. La medina, l’antica Mazagan risalente al sedicesimo secolo e dal 2004 patrimonio dell’umanità Unesco, più che il cuore di una città moresca, mantiene l’aspetto della cittadella fortificata portoghese. Venne in parte distrutta nel 1769 durante l’assedio del sultano Sidi Mohammed ben Abdallah, quando i difensori stessi fecero saltare gran parte dei bastioni prima di abbandonarla al suo destino. Le massicce mura di pietra affondano direttamente in mare e da esse si gode una vista mozzafiato, quasi vertiginosa sul porto e sull’oceano. La Citè Portugaise all’interno delle mura è piccolina e fascinosa. D’obbligo una visita in rue Mohammed Ahchemi Bahbai alla cisterna portoghese, del 1541, per la raccolta dell’acqua piovana. Le sue 25 colonne sostengono le volte e quel pelo d’acqua a terra rifrange e moltiplica i particolari architettonici in un’atmosfera sospesa dove i suoni si amplificano. La luce entra dall’alto, rompendo l’oscurità e contribuendo a creare una suggestione palpabile. La sentì anche Orson Welles, che nel 1952 qui girò la scena della rivolta del suo Otello. Per onorare la fama del Marocco di paese di grande artigianato, si possono percorrere i 66 chilometri verso sud che separano Oualidia da Safi, la città costiera capitale della ceramica. Già conosciuta in epoca fenicia, venne fondata nel XII secolo dai sultani almohadi. Anche qui, in ogni caso, non manca la firma dei portoghesi: la fortezza Qasr al-Bahr del 1508 che proteggeva il souq e il porto dalle minacce dal mare. Ma contrariamente all’uso delle città arabe, non è questa la zona dove fare shopping, bensì un quartiere collinare fuori dalla medina, intricato dedalo di laboratori di ceramisti, in cui i vecchi forni in mattoni spuntano ovunque come funghi roventi nell’aria satura di odori, anche sui tetti delle case. Provate a non tornare a casa con una fioriera o un servizio di piatti, se siete capaci! Ma la cosa memorabile qui non si vede, si apprende. A Safi (come a Tangeri) gli ebrei non vennero mai confinati in una mellah (versione marocchina dell’universalmente noto ghetto), ma è addirittura esistito un incredibile sincretismo religioso che ha espresso un culto misto giudeo-musulmano. Risale al filosofo e poeta del quindicesimo secolo Abraham ben Zmirou, fuggito a Safi dalle persecuzioni dell’inquisizione spagnola e profondo conoscitore della cultura araba che viene venerato come santo dai fedeli di entrambe le religioni. Un bell’esempio spendibile in tempi più recenti. Peccato non lo conosca quasi nessuno.