Marocco, il Paese delle cicogne

Viaggio in moto dalle città imperiali al deserto
Scritto da: cristiana62
marocco, il paese delle cicogne
Partenza il: 02/07/2014
Ritorno il: 17/07/2014
Viaggiatori: 2
Spesa: 2000 €

MAROCCO: IL PAESE DELLE CICOGNE

Questo viaggio è dedicato a mio fratello Alessandro, grande viaggiatore, e a mio marito Marco, che ha realizzato con me questo sogno.

2 luglio – Partenza

Marco ed io abbiamo cominciato a pensare al Marocco in moto molti anni fa, senza mai passare alla fase esecutiva; quest’anno rispolveriamo il vecchio sogno e dopo qualche settimana di organizzazione (tappe, riad per dormire, biglietti, messa a punto della moto) finalmente il 2 luglio si parte. Prima tappa di avvicinamento: roma-genova. Imbocchiamo l’Aurelia, costeggiando l’Argentario, le Alpi Apuane sventrate dalle cave di marmo, su fino alle 5 terre e trascorriamo la notte in un albergo vicino al porto.

3 luglio – Traversata 1

Ci svegliamo emozionati, carichiamo la moto e alle 11 siamo al porto. Ci imbarchiamo subito, parcheggiamo accanto ad un container puzzolente e sistemiamo il necessario per la traversata in cabina. Dal ponte vediamo una ventina di moto pronte all’imbarco, ma tutte “tagliandate” Barcellona: ci sarà qualcuno che arriva a Tangeri? E’ il mio compleanno e la sera ci concediamo una bella cenetta nel ristorante della nave: auguri Cri!

4 luglio – Traversata 2

Sveglia al porto di Barcellona, seconda tappa di avvicinamento a Tangeri: o si scende adesso o si va fino in fondo! Un momento di sconcerto e sconforto ci assale quando realizziamo che tutti i motociclisti scendono irrevocabilmente qui e così restiamo gli unici europei a bordo. Parola chiave di questo viaggio: Ramadan. Siamo nel mese sacro dell’Islam, che significa digiuno, astinenza e ritmi lenti fino alla sera, quando il muezin chiama e una folla di ragazzini si riversa nei corridoi della nave, le donne sfoggiano abiti eleganti, gli uomini nelle loro belle jallabah profumano ancora per le abluzioni della preghiera e le famiglie si riuniscono per rompere con una ricca cena il digiuno della giornata.

5 luglio: Thè alla menta

Verso l’una siamo in vista della costa: eccola, è Africa! Abbiamo attraversato le colonne d’Ercole, il limite del conosciuto nel mondo antico, metafora del superamento dei propri limiti fisici, conoscitivi, culturali e siamo in vista della terra “hic sunt leones”. Si sbarca, pochi controlli di polizia con qualche banale intoppo, la gendarmeria marocchina si dà qualche aria ma è gentile. Intanto però si è fatto tardi e così decidiamo di evitare la statale che passa per Chefchouen (noto luogo di spaccio di marijuana) e la sua famosa medina blu e imbocchiamo l’autostrada, bella, veloce e ventosissima, che lasciamo solo per una cinquantina di chilometri (“maddai però, dall’autostrada non vedi il Paese vero!”), giusto il tempo per beccarci il Marocco duro, un bel pugno nello stomaco fatto di villaggi poverissimi con file di improbabili botteghe, carne appesa a quarti e case che sembrano bombardate. E poi, seconda parola chiave del viaggio: muli. E sì, perchè se pensate come me di arrivare in Marocco e arruolarvi nelle truppe cammellate, di cammelli o dromedari nemmeno l’ombra: questo mondo si sposta a dorso di mulo! Il nostro mulo, anzi l’elefante, la nostra fedele Varadero 1000, fa il suo dovere e ci porta a Fez, dove arriviamo abbastanza sconvolti dopo 3 giorni di nave, 500 Km e quarti di carne in bellavista. E’ tardi, per strada non gira anima viva e incrociamo solo bande di ragazzotti in motorino che si offrono insistentemente di accompagnarci in hotel. Quando la speranza di trovare il nostro riad è esaurita e il sospetto che saremo finiti rapinati ormai una certezza, si materializza al telefono Ali’, che in italiano perfetto invia un ragazzo a recuperarci. Eccolo, il nostro tè alla menta con i biscottini al pistacchio e sesamo, visto e rivisto su tutte le guide, finalmente ci rilassiamo.

6 luglio: Un dattero per tre

Non avete visto niente se non avete visto la Medina di Fez. La più antica Medina del Marocco ci inghiotte vorace nei suoi vicoli e veniamo risucchiati in un vortice indescrivibile di colori, profumi, sapori, voci… Botteghe di ogni tipo, montagne di dolci tipici ricoperti di miele e vespe, banchetti di datteri, macellai, ramai, incisori di legno, tessitori, orafi, profumieri, abiti da sposa, baldacchini kitsch per matrimoni ricchi, venditori di tappeti e tesori bellissimi nascosti nelle viuzze strette: la madrassa Bou Inania, completamente decorata con incisioni a mano su legno di cedro, la moschea Karaouine, il mausoleo del Mullah Idriss sulle scale del quale donne velate vendono candele votive e rosari. Bambini scalzi e vecchi spingono carretti carichi di erbe aromatiche, menta, origano, dragoncello, che piacevolmente assalgono le narici. Ed un bel rametto di menta diventa indispensabile nella visita alle concerie Chauwara, dove le pelli grezze provenienti direttamente dai macelli giacciono ammucchiate in attesa della lavorazione. Durante il Ramadan le concerie lavorano a regime ridotto, vengono utilizzate solo poche tinte e ci perdiamo il colpo d’occhio sulle vasche multicolori che sono la caratteristica del luogo molto apprezzata dai turisti. Basta, lasciamo Fez, la strada ci chiama. Meknes ci accoglie con la spettacolare Bab Mansour, la piazza El Hedim e la gentilezza di Simon, percussionista inglese sposato con una marocchina e trapiantato in Marocco, proprietario del riad dove pernottiamo. Recluta velocemente una guida che ci conduce per la Medina. E’ pomeriggio, i negozi sono quasi tutti chiusi per Ramadan e assaporiamo la straordinaria esperienza della medina semideserta, dove fervono le attività della vita quotidiana: il forno comune dove cuociono i piatti per la cena, la fornace che scalda l’acqua per l’hammam accanto, dove si usa ancora l’acqua nei secchi, la casa “vera” marocchina, dipinta di azzurro, povera e pulita, che ozia nell’attesa di fine Ramadan. Risuona il richiamo del muezin, nelle stradine si offrono datteri per segnare la fine del digiuno. La nostra guida ne prende uno e, nonostante sia affamato, lo divide con noi facendone tre pezzetti.

7 luglio – Il Tappone

Partiamo presto da Meknes perchè ci aspetta il “tappone”: Azrou, Midelt, Er Rachidia, Erfoud, Merzouga. 460 Km e poi il deserto! Una tappa faticosissima che ci regala panorami mozzafiato. La N13 è un nastro d’asfalto strisciato tra le sconfinate distese del Medio e Alto Atlante, che incrocia villaggi affollati di bambini e cicogne appollaiate su enormi nidi (sarà un caso?), accampamenti berberi, oasi verdissime, canion profondi quando si passa per le gole dello Ziz sotto il tunnel del Legionario, scheletri fossili di dinosauri….ma non si arriva mai! 10 ore con poche soste per vedere delinearsi, finalmente vicine, le dune di Merzouga, Erg Chebbi. Siamo letteralmente stravolti, le magliette bianche del sale perso per il caldo, saranno almeno 45 gradi. Scotta tutto, l’acqua del bagno, i pavimenti, le sedie, i muri, mi stupisco come la moto non si sia ancora liquefatta. Però siamo arrivati! Le dune color oro possiamo toccarle quasi con mano, il cuore del nostro viaggio batte davanti a noi.

8 luglio: Deserto

Stanchi dalla tappa di ieri ci concediamo una giornata di relax bordo piscina nel riad berbero, in attesa della grande notte. Siamo completamente soli, non ci sono turisti e così sarà per tutto il viaggio, privilegiati del silenzio e della calma, delle usanze per noi nuove nel periodo più importante dell’Islam. Il programma “notte in bivacco” prevede: giro dell’Erg Chebbi in 4×4 (no, dopo tutti ‘sti chilometri in sella alla moto sul dromedario non ce la posso fare!), visita al sito fossile, giro nel bazar berbero, visita alle kashbah abbandonate, spettrali con i loro muri di fango sgretolati e, soprattutto, la notte nel deserto. Campo tendato in esclusiva per noi e cena sotto le stelle del Sahara, tramonto e alba sulle dune. Il nostro accompagnatore ci propone di dormire a cielo aperto, fuori della tenda: bellooo! già mi vedo arrotolata in un tappeto ricoperta di sabbia e scorpioni, ma va bene! Ci allestiscono invece un enorme letto matrimoniale direttamente sotto le stelle… il silenzio è talmente assoluto che posso sentire la sabbia scricchiolare al vento e quando mi risveglio, nel cuore della notte, la luna è calata e un cielo blu profondo mi lascia senza fiato per tutte le stelle che si possono contare. All’alba un sole bianco si alza veloce e inonda le dune dorate: oggi è un altro giorno di viaggio e, con il cuore grande, lasciamo il deserto e torniamo alla moto.

9 luglio – Pink Floyd a Tinejdad

Oggi tappa di spostamento, da Merzouga a Ouarzazate, 366 km di strada che attraversa interminabili spazi semidesertici, costeggia qualche bottega touareg vicino ai pozzi d’acqua, attraversa misteriose porte sul nulla. Prima tappa a Tinejdad. Nel bar saccheggiamo il frigo e il gentilissimo proprietario ci rifornisce di dolcetti gratis e un telo bagnato per rinfrescarci. Viene a sedersi con noi un signore che, dopo qualche chiacchera, ci racconta di essere un amante della musica, conosce Umbria jazz, Muddy Waters, Path Metheny ma soprattutto, è un grande amante dei Pink Floyd e ci declina tutti gli album e la formazione fino alla reunion. Penso a quanti sogni riposti forse in quella musica, in un piccolo villaggio nel sud del Marocco! Si và. Salutiamo e riprendiamo la strada, breve deviazione alle Gole del Todra, costeggiamo l’oasi di Skoura, attraversiamo la valle delle rose e arriviamo a Ouarzazate, trovare il riad stavolta è facile. Tajine di pollo, qualche pagina di diario….a domani.

10 luglio – Totti for ever

Ouarzazate è una città abbastanza grande e tranquilla, con una bella kashbah antica e strade ampie e moderne. A colazione lunga chiacchierata con Marika, italiana appassionata di Africa nomade, che gestisce il riad dove alloggiamo e ci racconta del Grande Sud, il Sahara occidentale, la terra dei Saharawi, dove batte ancora il cuore vero del Marocco. Visitiamo kashbah Taourirt e nel pomeriggio facciamo un divertente giro nelle locations cinematografiche per cui Ouarzazate è famosa: gli studios e la kashbah Ait-Ben-Haddou, sito del mitico Gladiatore, dichiarata patrimonio dell’umanità dall’UNESCO. Quando usciamo dalla kashbah un ragazzino, saputo che veniamo da Roma, ci grida dietro: “forza Roma! Francesco Totti!”

11 luglio – Polli da spennare

Se vogliamo arrivare a Marrakech dobbiamo attraversare il famigerato passo Tizi ‘n Tjchka, 2260 metri di altitudine, 500 curve, protezioni ridicole, croce e delizia dei motociclisti. Partiamo adrenalinici, pronti ad affrontare l’impervio e l’imprevisto ma, convinti che il peggio debba sempre arrivare e che il prossimo sarà il tornante terrifico (come da vari blog), non ci accorgiamo nemmeno di aver superato il passo e così saltiamo la foto di rito. Riusciamo anche a beccarci una assurda multa per eccesso di velocità, rilevata senza verbale che, dopo lunga trattativa con i gendarmi, ci costa 200 drm. Sì, in Marocco si contrattano anche le multe! Dopo Taddert il paesaggio cambia ancora, pareti montuose rosso fuoco e fondovalle rosa di oleandri, la temperatura è più fresca e la gente più smanicata rispetto alle riservate popolazioni berbere del sud. Marrakech! ed è subito caos! Dalla nazionale a quattro corsie ci si incunea verso il centro per passare in una porta stretta che rappresenta l’accesso alla Medina, incastrati tra motorini, carretti e macchine di epoca imprecisata. Troviamo miracolosamente in tempi brevi la moschea Doukkala e il riad e, dopo una veloce doccia, decidiamo che siamo ormai pronti per il battesimo con Jemaal El Fna, l’ombelico del Marocco e del Nord Africa, la piazza più pazza del Mediterraneo, patrimonio mondiale dell’umanità. E subito: foto con venditore d’acqua e incantatori di serpenti, 12 Euro!

12 luglio – Marrakech

Per visitare Marrakech, dato il poco tempo a disposizione, decidiamo di prendere una guida che, cominciando dall’alto minareto della Koutoubia, la torre dei librai, ci conduce in un bel giro dei luoghi più interessanti della città, Medersa El Youssef, palazzo El Bahia, il museo, le tombe sahadiane. Poi tuffo nella Medina, enorme, meno bella di quella di Fez perchè si percepisce un’anima più contaminata dal turismo, ma il susseguirsi di botteghe, arti e mestieri anche qui lascia a bocca aperta. Jemaal El Fna di sera si riempie di gruppi familiari che suonano e danzano al ritmo delle musiche tradizionali: accendo il registratore e fisso questo straordinario “sound of Marrakech”.

13 luglio

– 19.43 Il nostro viaggio sta prendendo inesorabilmente la via del ritorno. Lasciamo tristi Marrakech: diciamo addio al Sud, che è stato il centro del nostro tour e ci ha regalato sensazioni ed emozioni irripetibili. Raggiungiamo in autostrada Rabat, una bella città sdraiata sull’oceano, molto marinara con le sue case dipinte, un’antica kashbah e una piccola medina all’interno della quale ci muoviamo ormai disinvolti. Ceniamo in un bel ristorante sulla via principale dove ci portano il tipico piatto di fine Ramadan, uovo sodo, dolcetti, datteri e una zuppa speziata simile ad un minestrone: alle 19.43, quando il muezin chiama la fine del digiuno, si può cominciare a mangiare e bere. Condividere con la gente del posto questo rito collettivo è stato per me motivo di grande gioia, felice di portarmi a casa un altro pezzetto di vita vissuta.

14 luglio: Nostalgia

Rabat, la capitale, ci regala scorci bellissimi ed inaspettati. La kashbah Les Oudajas è la parte più antica della città, arroccata sulla scogliera che guarda l’oceano e immersa in un’aria limpida che esalta le viuzze bianche e azzurre punteggiate di porte variopinte e scorci fioriti multicolori. La piazza di segnalazione, sulla sommità, apre lo sguardo sull’oceano, sulla foce del fiume lungo il quale risalgono chiatte e piccoli pescherecci colorati, sull’antico cimitero ebraico addormentato sul fianco della collina e sul suggestivo faro che segnala il porto. Mentre ci riempiamo gli occhi del blu del mare e respiriamo la brezza profumata di sale, ci prende già la nostalgia delle atmosfere e degli spazi che questo Paese ci ha regalato. Carichiamo la moto, questa volta per l’ultima volta, lasciamo Rabat e maciniamo gli ultimi 365 km che ci separano da Tangeri. Il Marocco ci saluta con un tramonto di fuoco sull’Atlantico. Sbrighiamo tutte le procedure di dogana, incrociamo qualche motociclista sconvolto almeno quanto noi, ci imbarchiamo, sbraniamo un panino al volo ed entriamo in coma nella cuccetta della nave.

15/16 luglio: Ritorno

La navigazione scorre tranquilla, il mare è una tavola, leggiamo, sentiamo musica e dormicchiamo. Allungando lo sguardo si disegna chiaro il profilo della costa e io mi commuovo sotto il sole rovente che ancora sà di Africa, sulle note di un vecchio disco di Santana.

17 lugli: Casa

Concludiamo il nostro viaggio percorrendo a piccole tappe gli ultimi 500 km che ci separano da casa, calata l’adrenalina la stanchezza è invece salita tutta insieme. Alle 16.30 siamo davanti al garage, ce l’abbiamo fatta! Le valige sono cariche di souvenirs, che dovrebbero ricordarci qualcosa, un momento o qualcuno, ma quello che questo Paese ci lascia dentro non si paga e non si compra nei suk di Marrakech o Fez: la distesa dorata di Erg Chebbi, il profumo della menta e delle spezie, il suono dei tamburi berberi persi nel deserto, il volo elegante delle cicogne. Shoukran, El Meghreb!

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