Marocco del Sud

OASI MAROCCO - Posti magici. Testo di Alighiero Adiansi ****************** Ci sono posti dove passi e ripassi e neanche li vedi poi, improvvisamente, un giorno… forse e’ un giorno particolare, una situazione nuova, un’emozione latente, un richiamo irrefrenabile o, piu’ semplicemente, scappa l’occhio dove non era scappato mai e il...
Partenza il: 22/10/2000
Ritorno il: 06/11/2000
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 1000 €
OASI MAROCCO – Posti magici.

Testo di Alighiero Adiansi ****************** Ci sono posti dove passi e ripassi e neanche li vedi poi, improvvisamente, un giorno… forse e’ un giorno particolare, una situazione nuova, un’emozione latente, un richiamo irrefrenabile o, piu’ semplicemente, scappa l’occhio dove non era scappato mai e il posto e’ li’, e’ sempre stato li’, e non basta una foto o un’occhiata perche’ stavolta è una scossa, un brivido, stavolta e’ un posto magico, ma non tutti credono alle magie e non per tutti i posti magici sono gli stessi. 1- La capra del Todrha.

La leggenda narra che molti anni fa un pastore guidava il gregge verso i pascoli attorno ai laghi di Imilchil, al di la’ delle Gole del Todhra. A quei tempi il Todhra era un fiume impetuoso, impegnato a scolpire le pareti di roccia, e il padre di Abdul non aveva ancora ingrandito la sua bettola per trasformarla nell’hotel Les Roches (Abdul invece, nonostante la giovane eta’ allungava gia’ le mani sulle birre e sulle ragazzine!). Era in corso uno di quei temporali che si vedono raramente in Marocco, e se si vedono durante le vacanze siete piu’ sfigati di un becchino senza lavoro, e il fiume si stava gonfiando a dismisura, come se ci fosse finito dentro un camion di Viagra. Il pastore incitava gli animali ma le capre erano restie a buttarsi in acqua, sia per la corrente fortissima sia perche’ avevano mangiato da poco e la digestione andava per le lunghe. Tra urla, spinte, cornate e schizzi d’acqua che sembrava di essere nel Masai Mara, finalmente si buttarono. Un grosso caprone bianco spingeva a testate la compagna per aiutarla ad uscire dalle acque vorticose e salvarla da morte certa, nonostante le corna. Spingi di qui, spingi di la’, arrivato nel bel mezzo della corrente scivolo’ tra i sassi del fiume e venne trascinato via, come del resto successe qualche anno dopo alla Peugeut 205 di Mariolina che tra l’altro non stava neanche cercando di salvare nessuno. La povera capretta sola e disperata comincio’ a belare come impazzita e travolta dalle compagne affondo’ tra le acque gelide. Si risveglio’ sul greto del fiume, fradicia, intontita ed abbandonata. L’acqua continuava a salire tra le gole e la capretta s’arrampico’ sulla montagna, saltellando pian piano da una roccia all’altra tenendosi in precario equilibrio sulle sporgenze della parete. Ogni tanto guardava disperata in basso nella speranza di vedere il caprone spuntare dietro di lei. Saltella, saltella raggiunse una piccola grotta, un anfratto dove a malapena riusci’ a sdraiarsi per recuperare le forze. Durante la notte, in sogno, le parve di sentire il caprone invocare aiuto, si precipito’ giu’ dalla montagna ma nonostante la luce della luna non riusci’ a vedere nessuno. Quando’ si sveglio’ il sole aveva spazzato i nuvoloni e una fetta di cielo azzurro si rifletteva nelle acque finalmente tranquille del fiume. Qua e la’ tra le rocce spuntavano ciuffi d’erba e qualche cespuglio, muovendosi con molta attenzione la capretta riusci’ a raggiungere le foglie e cibarsi. Ebbene, non ci crederete ma, ancora oggi, se alloggiate all’hotel Les Roches e provate a guardare le rocce di fronte a voi all’alba, potreste vedere la capretta bianca e marrone saltellare sulla parete a strapiombo, a piu’ di 50 metri di altezza senza scendere mai a terra. Di notte, quando solo le stelle e la luna rischiarano il canyon del Todhra, la capretta scende fino al fiume, vicino al ponticello di legno di fronte all’hotel, e infila il muso nell’acqua con la certezza di dissetarsi e la speranza di ritrovare il compagno. Appena comincia ad albeggiare ritorna al rifugio per sfuggire ai raggi del sole e ai flash delle macchine fotografiche. Sono ormai piu’ di cento anni che la cosa va avanti e solo una volta, mentre stavo seduto fuori dal ristorante a guardare le stelle, ho intravisto una piccola sagoma scura saltare giu’ dalle rocce e abbeverarsi al fiume… ma non ci scommetterei che fosse proprio una capra.

2- Merzouga – “… no lever … no coucher…” Quando uscite da Erfoud, andate al bordj, appena fuori dall’oasi sulla sinistra; la stradina sterrata e’ molto ripida e qualche volta le macchine non ce la fanno a salire; a scendere non c’e’ problema: se rompete i freni finite giusti nel cimitero. Da sopra godetevi il panorama del palmeto e dopo aver posato per la foto di gruppo date un’occhiata al sole: se e’ lontano dall’orizzonte potete partire per Merzouga. Certo per chi e’ stato nel Tenere’ o nell’Hoggar o nell’Akakus o a Bergamo Bassa dopo le dieci di sera questo mucchietto di Sahara tra il Marocco e l’Algeria puo’ sembrare piu’ affollato di Piazza S.Pietro durante la Messa di Natale. Non scoraggiatevi! E’ ancora un posto magico a condizione di evitare le prime ore del mattino e le ultime del pomeriggio, in parole povere: il “lever et coucher du soleil”. D’accordo… Non avrete quelle belle diapositive che fanno sbavare i vostri amici, quelle con le ombre scure delle dune che si stagliano nel cielo infuocato, con la palla arancione del sole tagliata in due dalle nuvole, col profilo sinuoso dell’ amichetta sdraiata sulla cresta della duna (e son cazzi convincere vostra moglie che era un cammello nano passato di li’ per caso…). E’ un peccato non vedere le montagne di sabbia cambiare colore, dal viola sfiga al rosa culo-di-neonato, dal giallino polenta-taragna al giallo polenta e brasato mentre il sole si posiziona sempre piu’ in alto, dove per guardarlo ci vogliono gli occhiali da sole o le lacrime agli occhi.

E’ un peccato, ma sempre meglio che essere travolti da una folla invasata di donne vecchi e bambini, vomitati da jeep super lusso, minibus colorati, pullman semplici, doppi e di linea, camper e roulotte, moto, bici e dromedari, tutti parcheggiati ai piedi delle dune che viste da un aereo sembrano gli ingranaggi di un gigantesco orologio meccanico. I tramontisti salgono in formazione squadriglia, tutti con le scarpe in mano, il che spiega la mancanza assoluta di flora e fauna locale (i dromedari sono originari di Casablanca), bambini che rotolano su e giu’ dalle dune (anche su… anche su…), fidanzatini che si fotografano in pose “molto naturali” con lo sguardo perso nell’infinito (mirate precisi perche’ se spostate l’obiettivo come le spiegate le migliaia di persone sullo sfondo).

Naturalmente tra la folla si mescolano venditori di tutto, suonatori di tutto, fumatori di tutto … va beh… silenzio adesso, ci siamo quasi… Il sole tocca l’orizzonte e l’erg e’ scosso da un OOOOOOOHHHH !!!!!!!!!!! …BELLOOOOOOO!!!!!!! AAAAAAAHHHHHH… click… Click… click… flash… flesh… Flosh… via… tramonto finito, giu’ di corsa al parcheggio per non restare intasati nel traffico. Le guide urlano come pazzi… forza!…Veloci!…Salire…Salire… via! …Andiamo. Adesso bisogna stare ben chiusi dentro i recinti del Fibule, del Soleil Bleu, dello Yasmina, non attraversate il deserto che rischiate la pelle!. E’ un attimo, un momento di confusione, poi se guardate verso Erfoud vedete una specie di uragano scuro, e’ il polverone della mandria in fuga verso gli hotel e le docce calde. Pochi secondi e torna la pace, il silenzio si riaffaccia guardingo sull’erg Chebbi, l’aria torna limpida. Mi arrampico sul tetto del Fibule, sotto rullano i tam-tam e fuma la Kalia; il vento ci mette un po’ a cancellare le orme, il buio passa una mano di blu sulle onde sinuose. Ecco! Adesso si vede dove finiscono le dune e cominciano le stelle. Adesso Merzouga e’ magica! 3- Tagounite – il bivacco di Indiana Jones C’e’ un posto magico, piccolo, piccolo, sulla strada verso la fine del mondo, verso Mahmid. Ci sono andato per caso, perche’ a Zagora mentre posavo di fronte al commovente cartello dei 52 giorni di cammello per Toumbouctou, un simpaticone del negozio di fronte mi ha rifilato un biglietto da visita stropicciato e zozzo dove si riusciva a leggere: “bivac ait isfoul – Tagounite”. Visto che ci passiamo tanto vale andare a vedere. Appena fuori Tagounite c’e’ l’indicazione: un cartello scritto a mano e un falso uomo blu che colleziona biglietti da visita di coordinatori AnM. Ci buttiamo fuori dall’asfalto (speriamo che l’Europcar non legga questo articolo) e ci inoltriamo tra palme e sabbia; ogni tanto c’e’ un segnale che guida al bivacco: 50 m. A gauche, 30 m a droit, 35 m. A gauche, con la pista che ormai e’ un sentiero in mezzo all’oasi e qualcuno comincia a pentirsi di essere venuto a perdere tempo. Finalmente ci siamo, c’e’ uno spiazzo “lastricato” dove parcheggiare non e’ un problema, non c’e’ nessuno. In mezzo ad una vegetazione rigogliosa una gradinata di pietra sale, sale e sale, fino ad una porta ad arco, sempre di pietra, semisommersa dai cespugli. Grandioso, mentre salgo mi sembra di sentire una musica … tatatata .. Tatata … tatatata … tatataaa .. Ta..Ta..Ta…: “Indiana Jones e il tempio maledetto”. Una volta giunto sotto l’arco si apre un palcoscenico da fiaba: nere tende berbere sono piantate qua e la’ tra le palme, in mezzo una piscina (vuota) di pietra e in lontananza uno sfondo di bellissime dune ricamate da villaggetti che sembrano dipinti. Un susseguirsi affascinante di verdi, gialli e azzurri, un posto veramente magico. Sono magici anche i gabinetti, perche’ basta avvicinarsi a meno di mezzo chilometro per guarire da qualsiasi forma di diarrea. Se intendete pernottare qui, portate un tocco di magia in piu’: una confezione famiglia di Magic-Water, a quel punto diventerebbe questo il posto piu’ magico di tutti (pero’ vi rimarrebbe la diarrea!). 4- Amtoudi – Il magazzino delle nuvole.

A Foum el Hisn invece di andare giu’ ad Assa tirate diritto verso Bouzakarne. Non e’ una macelleria mussulmana ma il paese dove s’incrocia la strada che da Tangeri porta in Mauritania, se vogliamo prenderla larga, o da Agadir porta a Goulimine se la prendiamo stretta. Un centinaio di chilometri prima del bivio, dopo un bel po’ di panorama desolato, sulla destra vedete un mucchio di palme impolverate e sulla sinistra l’unico albergo-ristorante di Taghjicht. A scanso di equivoci l‘hotel si chiama Hotel e la hall, grande il doppio del parcheggio e‘ piu‘ spoglia di una pornostar sotto la doccia se non fosse per i quadri alle pareti. Il proprietario e‘ un vecchio d’impettita magrezza che si fa vedere un quarto d‘ora dopo che siamo entrati. Abbiamo avuto il tempo di imparare a memoria i quadri che, per inciso, sono i suoi. E non bastassero i quadri, le pareti del patio attorno al quale si aprono le camere, sono coperte da murales naif di pregevole fattura. – Spagnoli? – Mi fa il vecchietto, che ha la testa coperta da una berretta di lana col pon-pon spiovente sulla nuca. – Italiani. – sembra deluso. Cosa diavolo hanno gli spagnoli piu‘ di noi? – Come mai nel vostro paese la cultura sta sparendo? – domanda a bruciapelo strascicando un po‘ le parole per cui posso fingere di non aver capito.

– Scusi…? Non … – non ero preparato! – Da quanti anni non fate piu‘ un film decente, dove sono finiti i Fellini, i Pasolini, i DeSica…? – Ehmmm… beh effettivamente … – Non ho il coraggio di dirgli che sono tutti morti.

– E leggete anche voi quei romanzoni americani scritti dai computer? Dove sono i Pavese, i Fenoglio, i Calvino, i Pirandello… – Tutti morti anche questi! – Beh qualcosa di Pavese…- – La televisione ha rovinato tutto, non c‘e‘ piu‘ tempo per pensare, per sognare… brutta storia, solo politica, comici, calcio, e‘ una rovina.

– Eh si… a ragione. – Metta almeno la acca… – Eh si… ha ragione! – ma quella parabola sul tetto… lasciamo perdere – senta noi vorremmo andare… – All‘agadir. Lo so, lo so, tutti vengono per l‘agadir. – Si avvicina ad uno dei quadri, quello di fianco alla reception, non e‘ un quadro ma la cartina della zona, pero‘ fatta a mano, per cui e‘ come un quadro. – Ecco… adesso siamo qui … dovete tornare indietro una decina di chilometri, c‘e‘ una deviazione a sinistra, la seconda non la prima. C‘e‘ il cartello, seguite la pista per 26 chilometri e arrivate sotto l‘agadir.- – Ho capito grazie. Ci vediamo all‘ora di cena! – dopo potremmo vedere qualcosa alla tivu‘, che ne so Carramba.

Quattordici chilometri dopo ecco la deviazione per Amtoudi. La pista e‘ larghissima, l‘impressione e‘ che siamo tra gli ultimi a trovarla sterrata. E‘ una corsa contro il sole, i sassolini della pista sembrano una grandinata sulla carrozzeria della Uno. Zigzaghiamo tra le pietre piu‘ grosse evitandole quasi tutte, gli occhi fissi nello specchietto per controllare che l‘avversario non ci preceda all‘orizzonte. A circa meta‘ strada … un paese, lo intuiamo piu‘ che vederlo: due mesi dopo gli abitanti si stanno ancora spazzolando i vestiti con la certezza di aver visto la Parigi-Dakar. Il paesaggio e‘ deludente: sassi, pietre e qualche increspatura all‘orizzonte. Abbiamo percorso piu‘ di venti chilometri si dovrebbe vedere qualcosa, il sole sembra scendere piu‘ veloce del solito. Pian piano l‘increspatura s‘ingrandisce, s‘innalza, diventa una roccia, una montagna di roccia, una costruzione su una montagna di roccia, lo sguardo vaga dallo specchietto alla montagna, cosi‘ passo sopra una pietra in mezzo alla strada e ci troviamo senza marmitta, ma la strada e‘ finita, e la marmitta non e‘ indispensabile. Parcheggiamo fuori dal campeggio e ci buttiamo dietro la guida, Ali, che e‘ gia‘ sul sentiero verso l‘agadir con due ragazze olandesi che viste da dietro sembrano due tramonti. Davanti a noi, sull‘altra riva del wadi, un mucchio di case di pietra e una piccola moschea si confonderebbero tra le rocce se non fosse per la gente incuriosita. Appena imbocco il sentiero, un po’ in ritardo rispetto agli altri, una bambina mi offre un mazzetto di fiori profumati e la mano per farmi da guida. Attraversiamo il villaggio; alcuni uomini osservano seduti per terra fuori da un edificio che potrebbe essere la moschea o il bar, tre donne avvolte in ampi grembiuli neri con scialli colorati, chiacchierano sedute sul muretto: una sferruzza, una allatta, una allunga la mano, tutte sorridono. Sopra i tetti il sentiero s‘impenna verso il cielo dopo un ampio tornante; sotto e‘ un paesaggio bellissimo, il sole e‘ basso (l‘abbiamo fregato in volata), la falaise, le case, la montagna e la valle sono rossi, il canyon ornato di palme si perde nel buio tra le montagne. In cielo s‘allunga l‘ombra dello sperone con l‘agadir sospeso nel vuoto, davanti la valle sfuma infinita nel tramonto. Non e‘ magico?! Il panorama mi blocca a meta‘ del sentiero; è inutile arrivare in cima. La bambina guarda con aria interrogativa, non capisce cosa ci sia di bello nelle case diroccate, nei fiumi secchi, nella miseria di ogni giorno; si siede accanto a me e con un francese stentato, ma comunque migliore del mio inglese, racconta che lassu’ nel granaio sono racchiuse tutte le nuvole, per questo il cielo e’ sempre sereno. Quando la siccita’ esagera, il vecchio custode dell’agadir, va su con la pesante, enorme chiave, spalanca le porte del granaio e lascia uscire un po’ delle nuvole che vi sono ammucchiate, quanto basta per innaffiare la valle, poi richiude per non farle scappare tutte. – Ora andiamo su? – No, ormai e’ quasi buio, e da qui e’ molto bello…

– Capito! Tu un po’ vecchio … io salgo dieci volte al giorno… – Senti bimba… non sai con chi stai parlando, dai… dai… aria, scendere… scendere muy rapidamente che vien buio… forza…Parlare di meno e camminare… – Troppo vecchio…- borbotta sghignazzando fino alla fine del sentiero.

– Bimba! Ehi bimba!? dieci dirham se dici a tutti che sono arrivato in cima… Oui..Oui… venti va bene, venti… Veramente magico, un posto magico! 5- Essaouira, il Taros.

Essaouira è tutta magica, e’ sempre magica, è cosi’ magica che la metto alla fine del viaggio per paura di mettere radici. Dov’è la magia?!? E’ ovunque: nella piazzetta piena di vita, nel porto pieno di barche e di bandierine colorate, nella pasticceria Chez Driss piena di croissants, nel mercato pieno di …Di tutto. Come e’ inebriante andare a zonzo in quei vicoli stretti e nei cortili che si aprono improvvisi a destra e a sinistra! Quando a gomitate e spinte si schizza fuori dalla calca si rimane li’ un po’ attoniti, carichi di profumi, di puzze, di olive, di arance, di spezie e di lividi, con le orecchie piene di saluti e inviti, la bocca piena di datteri e bestemmie e gli occhi pieni di polvere e lacrime. E che dire delle vecchie mura, l’antica Skala con gli artigiani del legno, i cannoni puntati su Mogador e improbabili pirati, gli spruzzi di acqua e tramonto, il fragore delle onde sugli scogli, lo stridio dei gabbiani che bombardano senza tregua i fotografi insensibili al vento, agli spruzzi, al freddo, ai pittori naif , alla voglia di romanticismo delle ragazze e al paesaggio.

Gira e rigira la serenita’ sembra ancora sul tavolino in piazza, tra un the alla menta e un venditore di cappelli, ma la pace vera e’ due passi piu’ in la’. Da fuori non t’immagini neanche che ci sia, sull’angolo della piazza, prima della banca, sopra la pasticceria, dove quei tre barboni spacciano sorrisi e “cioccolata”. La porticina e’ accanto alla libreria, un paio di rampe abbastanza buie che sembra di finire in soffitta e invece … Non si capisce subito cosa sia: una casa, una biblioteca, un bar, una sala da the, un piano bar, un ristorante, un salotto, un santuario, un pub, una galleria d’arte, un fiorista… poi capisco: è un po’ di tutto. E’ il Taros. Ambiente irreale ed etereo, dove si intrecciano teorie sociologiche e sardine ripiene, musiche di Buddha Bar e storie di Tuareg, vapori di menta e fumi di canne ,vecchie foto e nuovi re. C’e’ un’atmosfera cosi’ strana, cosi’ delicata, sembra di essere dentro una bolla di sapone sospesa sopra un mare in tempesta, fuori e’ colore, movimento, rumore, confusione e il Taros galleggia sopra tutto, il vento capriccioso lo allontana e lo avvicina al resto del mondo, il sole disegna arcobaleni trasparenti sulle pareti sottili. Dentro la bolla nessuno ha fretta, nessuno urla, nessuno rutta, nessuno chiama, per paura di rompere l’incantesimo, il delicato equilibrio che impedisce al Taros di trasformarsi in sottile rugiada e diventare una piccola macchia umida, ignorata e calpestata sulla piazza di Essaouira. 6- Paliano, la signora dei fiori di campo. C’è un posto magico che non sta in Marocco, ma ha comunque qualcosa a che fare. State un po’ a sentire. Questo posto e’ in Italia, in un paese cosi’ piccolo che per vederlo bisogna entrarci dentro, e quando siete dentro dovete guardarvi in giro finche’ trovate un angolo che sembra la tavolozza di un pittore e invece e’ un negozio di fiori, ma un negozio cosi’ piccolo che i fiori sono sui gradini perche’ dentro non ci sta niente. E fuori e’ uno spettacolo di colori, profumi e composizioni delicate cosi’ belle che la Natura in persona, a volte come soffio di vento, altre volte come raggio di sole, certe mattine come gocce di rugiada e alcune notti come filo di luna, viene a cercare ispirazione per i suoi capolavori. Ora bisogna dire che questo negozio non vendeva nulla e rischiava di chiudere, perche’ i clienti convinti di potersi portare a casa un cesto di fiori, infilavano la testa nel negozio, e niente altro si potrebbe infilare, e non vedevano mai nessuno. Guardavano, sbirciavano, qualche colpetto di tosse, qualche pssst…Psssst… Niente, nessuno: la “signora dei fiori” lavorava al piano di sopra cosi’ assorta nei colori e nei profumi da non accorgersi di quello che succedeva intorno. Un giorno, capitata non si sa come in un gruppo di Avventure nel Mondo, giro’ e rigiro’ tra le bancarelle di Marrakech finche’ trovo’ quello che serviva: una campanella, una campanella non antica ma vecchia, non scintillante ma semi-arruginita, non squillante ma stonata, non normale ma speciale. Eh si’! proprio speciale, perche’ era una campanella magica, anzi, due volte magica: magica per chi l’ha venduta e magica per chi l’ha comprata. Ora se andate nella medina di Marrakech, non troverete piu’ la bancarella dei ferrivecchi perche’ coi soldi della campanella magica Ibrahim ha aperto un’elegante gioielleria sulla via Mohammed V, di fronte alle poste centrali. Se invece passate da Paliano, andate al negozio dei fiori di campo, salite i gradini coperti di foglie e bacche e tirate la catenella alla vostra destra. Si diffondera’ un suono argentino, i fiori si apriranno regalandovi colori e profumi , ma la magia piu’ grande e’ lassu’ in alto dove, come d’incanto, nella finestrella sotto il tetto, vedrete sbocciare il sorriso di Catia, la signora dei fiori di campo. 7- Marrakech, il bambino dello Chegrouni. L’atmosfera e’ quella di un viaggio che finisce: risate, ricordi, nostalgie e progetti. In piazza i turisti colorati e vocianti si raggrumano attorno alle bandierine delle guide. Allo Chegrouni si finiscono i dirham mangiando come veri routards, contando le monetine col timore di non starci e la sicurezza di poter pagare in franchi. Il bambino entra incerto e spaesato, ha gli occhi grandi e neri, i capelli ben pettinati, i vestiti puliti e i piedi nudi nei sandali gommati GoodYear; stringe forte la mano di suo padre. L’uomo ha i baffi lunghi sotto un naso da pugile suonato, gli occhi tristi e un maglione largo abbastanza da farlo apparire grosso, si guarda in giro e sceglie l’angolo piu’ buio del ristorante. I due passano davanti al cuoco ignorando le pietanze fumanti e saporite allineate sul banco. Siedono al tavolino vuoto, tra la sala interna e la terrazza, guardandosi negli occhi, senza parlare. Il cameriere indaffarato a distribuire pietanze, sbuffa e brontola perche’ i due ingombrano il passaggio, loro si alzano, aspettano in un angolo e quando tre biondi e voluminosi turisti decidono di andarsene li sostituiscono ad un posto di quelli affacciati sulla piazza. Sul tavolo sono rimaste un paio di bottiglie, quella di Coca Cola e’ piena per meta’. Il bimbo guarda il cameriere, il cuoco e infine suo padre poi versa la bibita in un bicchiere, lo stringe tra le mani, lo fissa a lungo, beve piano, ad ogni sorso chiude gli occhi e si passa la lingua sulle labbra poi li riapre e sorride a suo padre. L’uomo osserva la gente sulla piazza, negli occhi ha una tristezza infinita, sulla fronte una ragnatela di rughe racconta una vita disperata. Tutto intorno continua la sarabanda di risate e spiedini, omelettes e patatine fritte, soldi da finire, da buttare, da regalare, camicie colorate e t-shirt false, cazzate per gli amici, regali che finiranno in un cassetto e poi nella spazzatura, strombazzate di clacson, fumate puzzolenti di grandi bus e piccoli taxi, Nikon e lettori di CD, guide EDT e facce abbronzate. Il cameriere pulisce il tavolo senza degnare i due di uno sguardo o di una domanda. L’uomo e il bambino rimangono a guardarsi davanti al tavolo vuoto e al mondo pieno. Elio consuma gli ultimi spiccioli comprando una fetta di torta, torna al suo posto passando davanti al bambino col dolce in bella vista; io non riesco a staccare gli occhi da quel tavolino, il bambino dalla fetta di torta, il padre dal suo bambino.

L’uomo ha con se’ una borsa di stoffa dello stesso indefinibile colore del maglione; comincia a frugare, toglie un fagotto di stracci poi affonda di nuovo le mani, rimescola, cerca e ricerca finche’ porta alla luce una manciata di terra e foglie secche; soffiate via la polvere e le foglie sul palmo restano un paio di monete, le stringe nel pugno e con l’altra mano ripone gli stracci nella sacca e la rimette a tracolla. Si alza, va verso il bancone interno, quello dei dolci, sceglie una fetta di torta margherita spolverata di cacao e la fa tagliare in due. Il bambino segue i piattini che nelle mani incerte del padre attraversano tutta la sala; con gli occhioni spalancati guarda incredulo la torta sul tavolo, avvicina il piattino, piega ordinatamente il tovagliolo di carta e aspetta che suo padre cominci a mangiare. Fissa il dolce come se potesse sparire da un momento all’altro, come un sogno; lo gusta piano, attento a non soffiare via il cacao, a non far cadere le briciole. Alla fine pulisce le mani e la bocca col tovagliolino e di nuovo, guarda suo padre. Quello sguardo e’ il mio ricordo di Marrakech, anno 2000. Questa volta non e’ il tramonto dal Glacier, non gli incantatori di serpenti, i giocolieri, gli acrobati, gli stregoni, le maghe, non il cielo infuocato dietro alla Koutoubia e al Med. Carico le valige sul taxi, poi sull’aereo, torno a casa, a casa mia, alla mia vita piena di pioggia e di fretta, ai miei bambini pieni di vestiti, di dolci, di giochi; mi chiedo se avranno mai, per me, uno sguardo cosi’ pieno di gratitudine, di orgoglio, di fiducia… lo sguardo che aveva il bambino di Marrakech mentre usciva dallo Chegrouni stringendo la mano di suo padre.



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