Mare e safari in Kenya

Due settimane alla scoperta di questo paese meraviglioso, cercando di carpire l'essenza di un luogo ormai estremamente turistico
Scritto da: Lara B
mare e safari in kenya
Partenza il: 22/11/2011
Ritorno il: 07/12/2011
Viaggiatori: 2
Spesa: 3000 €
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1° giorno – ARRIVO

E’ mercoledì mattina quando atterriamo all’aeroporto di Mombasa rinvigoriti dal caldo sole africano. Ieri, dopo una giornata lavorativa come tante altre, invece di sprofondare tra le lenzuola, abbiamo caricato armi e bagagli e ci siamo diretti all’aeroporto di Bologna, dove in tarda serata siamo partiti per il Kenya, un Paese che ci aspetta da tanto tempo, il sogno africano troppo a lungo rimandato. Ma ora siamo qua a sbrigare le formalità doganali districandoci tra maglioni e magliette, addosso ancora i pensieri dell’ufficio, davanti una settimana di relax in un rifugio per turisti e poi un’altra in cui non abbiamo ancora ben chiaro cosa fare, di sicuro un safari, non un mordi e fuggi di due giorni, abbiamo a disposizione sette giorni e per il momento nessuna agenzia…. più in linea con il nostro stile! Saliamo sul pulmino del tour operator e partiamo alla volta di Watamu, gli ultimi ricordi sono di una Mombasa sporca e confusionaria, poi la stanchezza prende il sopravvento… due ore dopo mi sveglio nel momento in cui il pulmino varca la soglia del Barracuda Inn Resort e rimango a bocca aperta. Ci accoglie una costruzione in legno aperta sui lati con il tetto in foglie di palma intrecciata, una piscina con idromassaggio, divanetti candidi, persone sorridenti e piante fiorite. Un po’ spaesati raggiungiamo il bungalow che ospita la nostra camera, attraverso i placidi sentieri del resort adornati di bouganville rosse, ci cambiamo e immediatamente andiamo ad esplorare la spiaggia. E’ divisa in due zone, quella privata del resort arredata con lettini matrimoniali con materasso e cuscini, palme e zona relax e quella vicina al mare fatta di sabbia bianca talmente fine che al tatto sembra di affondare le mani del bicarbonato. Ci sembra di essere in paradiso, non è nostra abitudine viaggiare in questo modo ma penso ci abitueremo presto! Dopo pranzo, squisito e a buffet, ci avviciniamo per vedere meglio questo mare, ma ben prima di raggiungere l’acqua siamo assaliti dai Beach Boys. Lo sapevamo e ce lo aspettavamo. Conosciamo subito Peperone e Dasha, che diventeranno i nostri angeli custodi per tutta la settimana, e non perdono tempo a illustrarci le escursioni. Ci fanno ridere definendoci “mozzarelle nuove”, soprannome di tutti i turisti bianchi. Ci sono subito simpatici e ci informiamo bene su quello che offrono. I Beach Boys sono un fenomeno molto particolare con pro e contro. I pro sono presto detti: hanno la possibilità di offrire le stesse escursioni degli alberghi a prezzi inferiori anche del 20-30%, sono assolutamente affidabili anche perchè alla fine i loro circuiti sono gli stessi degli hotel: a noi è capitato di ritrovarci sulla stessa barca, per la stessa escursione con persone alloggiate al nostro resort che l’avevano prenotata alla reception…solo che loro avevano speso 20 euro in più! I contro… ci sono anche dei contro, parecchi. Sono estremamente insistenti, non sei libero di fare un giro in spiaggia senza che arrivino a volerti vendere qualcosa, che si tratti di escursioni, di suppellettili o treccine per i capelli, non per niente ogni resort ha una propria spiaggia privata separata in cui loro non possono entrare. Insomma, addio passeggiate romantiche mano nella mano, qui per poter mettere i piedi a mollo nelle calde acque dell’oceano indiano occorre pagare il dazio di un crogiolo di persone attorno che vogliono attirare l’attenzione. Non è sempre facile far finta di niente, talvolta diventano piuttosto irritanti. Inizia anche a squillare il telefono, le agenzie che avevamo contattato dall’Italia già ci stanno cercando per organizzarci la prossima settimana. Prima di sera, se abbiamo voluto aver pace, abbiamo già incontrato due di queste agenzie e dopo aver visto, contrattato e discusso con entrambe, facciamo le ultime ricerche su tripadvisor con il pc del resort e decidiamo di fidarci di Safari Kenia Top. Stremati, andiamo a letto, con più certezze del previsto: abbiamo un’agenzia che ci organizzerà un bellissimo safari e una settimana davanti di relax e mare guidati da due Beach Boys simpatici che, perlomeno, ci salveranno dagli assalti degli altri, e non è male.

2° – 7° giorno – WATAMU

La settimana trascorre lenta e sorniona, cullati dal mare, baciati dal sole, saziati dagli infiniti aperitivi, arricchiti dagli sensazionali luoghi che ogni giorno visitiamo. Già con le idee chiare su cosa vedere, diamo istruzioni precise a Peperone e Dasha di giorno in giorno, in modo da riuscire a gestire le uscite senza esagerare e contrattare sempre il prezzo sul momento, perché i kenioti sono notoriamente di memoria corta..mai nessuno che si ricordi di darti il resto, ad esempio, o che il prezzo fatto due giorni prima era più basso rispetto a quello odierno. Cerchiamo di moderare la lunghezza delle uscite in modo da ricavarci ogni giorno qualche ora di puro relax nel nostro splendido resort, coccolati dal meraviglioso personale mai sazio di sorrisi e parole gentili.

Tra le escursioni con partenza al mattino presto e rientro a metà pomeriggio, la più meritevole è sicuramente l’atollo di Sardegna 2. La giornata parte con un po’ di snorkeling nel Parco Marino di Watamu, in un acqua meravigliosamente calda e pulita, prosegue con l’avvistamento dei simpatici delfini che giocano e saltano per farsi vedere bene. L’ora di pranzo è annunciata da una barchetta simile alla nostra che si avvicina e trasborda profumatissimi tegami e contenitori pieni di pesce fresco, ma per mangiare dobbiamo raggiungere l’atollo vero e proprio che dista ancora un oretta di navigazione. Il viaggio è lungo, la barca è piccola, ma l’attesa è ampiamente ripagata dallo spettacolo della meravigliosa lingua di sabbia bianca che emerge dal mare trasparente. Camminiamo fino a riva, chi è arrivato prima di noi ha già sistemato le griglie e sta cucinando il pesce, anche i nostri Beach Boys si apprestano a farlo così noi ne approfittiamo per una passeggiata e per un bel bagno in questo posto meraviglioso. La marea cambia a vista d’occhio, ad ogni onda il mare guadagna qualche centimetro, abbiamo circa 40 minuti prima che l’isola venga completamente sommersa e i nostri ragazzi si danno un gran daffare per preparare la griglia, sistemare e apparecchiare la tavola sulla barca. Li guardiamo ammirati, sono organizzatissimi. Il quadro d’insieme è semplicemente stupendo: sabbia bianca, mare trasparente, una griglia, pesce fresco e ragazzi dalla pelle scura che cucinano mentre l’acqua sale a coprirgli i polpacci. Nemmeno le gocce di pioggia che iniziano a cadere riescono a rovinare quest’incanto e in pace con il mondo ci godiamo il gustoso pranzo a base di riso e verdure al cocco, aragosta, barracuda e gamberi. Al momento della frutta rispunta il sole, il mare si rivela in una bellezza spaventosa, esaltati e in piena digestione ci buttiamo in un’acqua da sogno che ci accoglie placida, raggiante e vellutata. Ananas e banane rimangono abbandonati sulla barca, mentre sguazziamo urlando eccitati in questo angolo di paradiso, ma vengono prontamente spolverati durante il rientro. Costo dell’escursione, 45 euro a testa compreso gita all’Isola dell’Amore da fare in un momento diverso.

Una seconda impegnativa e un po’ più deludente escursione è quella all’insenatura di Mida Creeck, che parte sempre con lo snorkeling al Parco Marino di Watamu, già visto, ma pur sempre una bellezza. Durante il tragitto, altra tappa da non perdere è l’isola di Garoda, più vicina alla riva rispetto a Sardegna 2 ma con lo stesso scenografico effetto da atollo caraibico: acqua calda e trasparente, lingua di sabbia bianca, mare di tutte le gradazioni dal blu al verde. E nuvoloni neri in cielo. Un paio di bellissime stelle marine sono lì ad aspettarci, evitiamo di torturarle troppo e dopo un paio di foto nel loro habitat naturale facciamo quattro passi per l’isolotto, un bagnetto e inizia a piovere. Rintanati in barca ci muoviamo alla volta di Mida Creck, manteniamo una velocità molto bassa perchè la visibilità è poca e costeggiando la riva ci avviciniamo all’isola di Waka Waka, i ragazzi nel frattempo hanno chiuso i due lati della barca con dei teli di nylon, con esperienza e calma hanno guidato la barca anche in mezzo al diluvio universale, bagnandosi come pulcini pur di riparare noi, la loro pelle così nera e lucida sembra più impermeabile della nostra, le gocce di pioggia sono nitide sulle loro schiene e scivolano giù intatte come fossero su olio. Smette di piovere. Attraverso un mare di mangrovie attracchiamo nei pressi di un sentiero che ci conduce ad uno spiazzo di sabbia bianca contornato da vegetazione con una grande capanna coperta di foglie di palma sotto i quali guastiamo un ottimo pranzo simile a quello di Sardegna 2. A fine pranzo c’è lo spettacolo-trappola-per-turisti della popolazione locale con l’imbarazzante coinvolgimento finale di noi turisti e mancia dovuta. Non riusiamo a convincere i nostri beach boys ad accompagnarci a visitare il loro villaggio all’interno, qualche tentennamento, tante scuse, ma nessuno ha interesse a farci uscire dagli ovattati itinerari turistici attraverso i quali la povertà di questo paese è solo lontanamente intuita. Costo dell’escursione 45 euro a testa compreso altra gita ancora da definire nei prossimi giorni. Costo dal resort, 60 euro senza altre gite.

Vale la pena di dedicare una mezza giornata all’Isola dell’Amore, che rispetto al nostro resort è proprio molto vicina, per questo Peperone ce l’aveva inserita nel conto di Sardegna 2. Ci andiamo a piedi, siamo in compagnia di altre due ragazze italiane e l’atmosfera si rilassa subito perchè Peperone ha una gran chiacchiera e sempre voglia di ridere. Attraversiamo i sobborghi di Watamu, seguiti dai sorrisi dei bimbi incuriositi, fino a sbucare nella baia accanto, la Cristal Bay, dove la bassa marea crea una grande piscina naturale con un acqua caldissima e limpidissima. Trascorriamo una piacevole mattinata intervallando bagni a riposo all’ombra di un grande sasso, perchè il sole picchia fortissimo. Cerchiamo di indovinare l’età dei ragazzi e delle donne che nel frattempo ci si sono avvicinati. Una ci racconta di essere la zia di Peperone, ha 35 anni e 7 figli… Bisogna aguzzare gli occhi mentre si nuota in queste piscine naturali… a volta capita di incontrare un pesce palla tutto giallo rimasto intrappolato, gonfio di paura. Un ragazzo ce lo porta a far vedere, lo scuote e si sgonfia facendo uscire acqua dalle orecchie e dalla bocca. Povera creatura, glielo facciamo rimettere giù e il pesce torna in una piscina abbastanza grande da poterlo ospitare fino al ritorno dell’alta marea.

Simpatica anche la visita alle Rovine di Gede, che organizziamo in autonomia. Contrattiamo il trasporto con un taxi chiamato dal resort per l’allucinante cifra di 2000 scellini (circa 18 euro), aver saputo che era così vicino saremmo andati in strada e avremmo fermato un tuk tuk per un quinto della cifra. Giunti alla biglietteria si materializza un ragazzo che parla un buon italiano disponibile a farci da guida per 500 scellini, oltre ai 500 a testa per l’ingresso. Accettiamo pensando che così avremmo molte più informazioni rispetto a quelle della nostra guida Lonely, in realtà non è che si prodighi proprio a raccontarci tanti dettagli ma si impegna molto a richiamare le scimmie imitando il loro verso e urlando “banana!”. Giriamo per il sito immerso nella giungla in mezzo a versi di uccelli sconosciuti. Verso metà percorso finalmente fanno capolino le scimmie, quando tiro fuori le banane, si avvicinano dapprima timide poi iniziano a saltare per prenderle dalle mani. Sono cercopitechi, hanno delle belle faccine dolci, corpi esili, lunghe code e manine ruvide e infangate che usano a meraviglia per sbucciare le banane. Finite le banane, finita l’amicizia e continuiamo il nostro giro che ormai è concluso con poche e generiche spiegazioni. Prima di uscire visitiamo anche il “farfallario” un piccolo giardino chiuso in cui vengono allevate delle farfalle che poi vengono esportate in Europa, l’intero progetto pare sia finalizzato a raccogliere fondi per la salvaguardia della foresta. Siamo perplessi: distruggono la foresta raccogliendo le crisalidi allo scopo di salvaguardarla, è un controsenso. Mah…

Potevamo mai far passare una settimana nel dubbio di cosa si nascondesse dietro al fenomeno della bassa marea? Di mattina il mare si ritira di un centinaio di metri lasciando nella baia cumuli di alghe e piscinette naturali solo in apparenza vuote. Dedichiamo una mezza giornata alla scoperta dei dintorni in compagnia di due ragazzi incontrati casualmente che alla fine per una modica cifra (5 dollari a testa) ci accompagnano per diverse ore alla scoperta di questi acquari in miniatura che sembrano sterili pozze in realtà pullulano di vita perfettamente mimetizzata. Stelle marine, cetrioli di mare, pesciolini, ricci, tutti rifugiati in attesa del ritorno dell’acqua alta, bisogna fare molta attenzione a dove si mettono i piedi. E farsi accompagnare da loro: i nostri occhi fanno un gran fatica a scorgerli!

Per le escursioni più lunghe l’ora del rientro non va mai comunque oltre le 16,00. Dalla barca ci accolgono nuvole di bambini che ci corrono incontro gridando il nome di mio marito, come mai sarà diventato famoso tra questi bambini? Semplice, lui fa foto a tutti e loro si divertono a rivedersi nel display della macchina fotografica. Si arrampicano ai lati della barca per prendere le bottiglie di coca-cola lasciate a metà e ci accompagnano alla spiaggia dove le nostre giornate proseguono prendendo il sole o seduti in riva al mare guardando bambini bianchi e bambini neri che giocano. E’ bello vedere con quale spontaneità i bambini riescono a giocare tra loro pur non parlando la stessa lingua. Si capiscono con il linguaggio universale dei bambini, quello fatto di giochi e corse, cadute, risate e baruffe. Pelli chiare, pelli scure, tutte differenze azzerate dalla comune passione per un pallone, per un peluche. Alcuni arrivano da noi e senza mezzi termini ci chiedono cosa gli abbiamo portato. Niente, diciamo. Ovvio che qualcosa in valigia abbiamo, ma mi infastidisce questo modo di fare in cui hanno già associato il turista bianco a un distributore automatico da cui ottengono cose in maniera dovuta. Butterebbero da una parte quello che abbiamo portato loro, in attesa che il prossimo turista dia loro qualcosa di più bello, e non è giusto, perché fuori da qui, con quel poco che abbiamo, faremo felici tanti bambini. Sono la generazione subito dopo a quella degli onnipresenti e asfissianti Beach Boys, che più o meno considerano il turista bianco alla stessa maniera, forse anche peggio, a cui non serve dire che ormai abbiamo già comprato tutto, ti senti solo rispondere che se hai comprato da un altro devi comprare anche da lui perchè non è giusto fare qualcosa per uno e non per gli altri. Con le mani affondate in questa sabbia bianca che sembra bicarbonato rimaniamo ogni sera in spiaggia a guardare i tramonti che accendono il cielo e la spiaggia dei caldi colori rosso, giallo e viola, seduti sui gradini del ristorante, dietro all’immaginaria linea di confine oltre alla quale i Beach Boys non possono accedere. Ma ormai a quest’ora la giornata finisce anche per loro. Alcuni si incamminano verso casa, altri si spogliano dei vestiti e si immergono in acqua. Nella controluce del tramonto spiccano i loro fisici asciutti e scolpiti.

8° giorno – Un assaggio di Kenya

Il nostro ultimo giorno sulla costa riusciamo a convincere Peperone a portarci nel villaggio prima di fare visita all’orfanotrofio, riscuotendo così anche la gita extra promessa con Mida Creek. Partiamo a piedi, lasciamo la strada principale di Watamu e ci inoltrimo all’interno. Lontani dalla confusione e dal rumore, camminiamo su un sentiero di terra pieno di sporcizia e rifiuti, andiamo incontro alle prime capanne di paglia e fango e la gente non ci assale, ma ci saluta da lontano. Iniziano a fare capolino anche i bambini, inizialmente un po’ timidi, sono diversi da quelli della spiaggia, sono sporchi e malconci, mocciolosi, graffiati e stracciati, ma tutti sorridenti. Ci fermiamo davanti ad una capanna, una giovane donna è seduta a terra e ha in braccio un bimbo con la testa piena di poco invitanti pustole, ci osserva silenziosa con uno sguardo triste e rassegnato, accanto a lei altri tre bimbi piccoli stanno lentamente intrecciando con le loro manine le foglie di palma, le stesse di cui è composto il tetto del nostro resort. Con infinita dignità mettono da una parte le matite e le penne che diamo loro e continuano nel lavoro senza fiatare. Abbasso la testa umiliata, mi rendo conto solo ora di quanto misero sia stato mio gesto: questa donna potrei essere io e questi bimbi i miei figli, cosa me ne farei di qualche penna se fossi costretta a far lavorare i miei bambini? Tutti i turisti che vengono qui e consigliano di portare penne e matite hanno mai guardato negli occhi una donna come questa? Proseguiamo con un tuk tuk fino all’orfanotrofio di Timboni. Si aprono i cancelli del God Our Father Centre for Needy Children, e già ci vengono incontro i primi bambini che ci prendono per mano e ci abbracciano le gambe. Ne prendo in braccio una, per mano un altra e mi trascino una gamba con un terzo bambino attaccato per seguire la visita ai locali. Entriamo in una sala da gioco dove stanno i bimbi più piccoli. Sento due braccine che mi avvolgono le gambe, è una bimba di capelli ricci cortissimi che avrà si e no un anno. Si allunga verso di me e la prendo in braccio, è molto affettuosa, mi abbraccia e appoggia la testa sulla mia spalla. La coccolo un po’ ma quando provo a metterla giù inizia a piangere e mi si aggrappa con disperazione, la sento arrampicarsi con le gambine sulle mie ginocchia e scoppia in singhiozzi. E’ un attimo, le sue lacrime diventano le mie e per qualche lunghissimo secondo piangiamo abbracciate. Me la porterei a casa, ma non posso. Un ultimo bacio e la porgo alla volontaria italiana che molto discretamente mi tiene una mano sulla spalla. In braccio a lei si calma. Qui le mie penne e le mie matite colorate vengono accettate con sincera riconoscenza e facciamo anche una donazione. Con le spalle curve raggiungo il mio tuk tuk sentendomi estremamente inutile in mezzo a tutto questo.

Durante la settimana parliamo molto con i nostri nuovi amici, Beach Boys e dipendenti del resort, per capire cosa c’è oltre alle barriere invisibili di questo paese estremamente turisticizzato, ma pur sempre africano. Come siamo diversi. In Italia è la generazione dei genitori che aiuta quella dei figli a costruirsi una famiglia, in Kenia è il contrario perchè non esiste un sistema previdenziale che dia una pensione, finchè si lavora si guadagna, dopo non si guadagna più e si fa affidamento sui figli. Per questo se ne fanno tanti, più figli ci sono, maggiori sono le possibilità per i genitori di godere una vecchiaia serena, e siccome si diventa anziani a 40 anni, bisogna iniziare presto a farne. Il loro concetto di guadagno è decisamente diverso dal nostro, il guadagno prodotto dal lavoro è il minimo indispensabile che serve per sopravvivere, quindi qualsiasi cosa in più, non possono pensare arrivi dal lavoro, ma da qualche altra parte, dal governo ad esempio. E così, ai loro occhi, se noi siamo qua in vacanza dobbiamo dire grazie al politico di turno, mentre agli occhi dei venditori possiamo distribuire ricchezza a chiunque con leggerezza. E’ fatica far capire che anche i nostri soldi sono guadagnati e che quindi riteniamo giusto valutare bene se e cosa comprare, o farlo in modo che i nostri soldi vadano, almeno in parte, a beneficio della collettività e non ad ingrassare le tasche di un solo venditore da spiaggia, che dopo aver venduto una cosa a noi a prezzi italiani, con il guadagno avuto può permettersi di non far più nulla per la settimana successiva. Ecco perchè abbiamo scelto per i nostri pochi acquisti Zebra Shop, dove i prezzi sono statali, non trattabili e dove speriamo che le tasse onestamente pagate vadano ad aiutare l’intera comunità keniota. I ragazzi parlano delle mogli come se fossero oggetti, serve prenderne una perchè lavare i vestiti è faticoso, una moglie li lava lei e fa anche da mangiare. Poi non deve essere una ragazza di città, perchè le ragazze di città, soprattutto quelle che lavorano, incontrano tanti uomini e “ci vanno a letto”, per essere brave mogli devono venir dalla campagna. Sorrido quando sento chiedere a mio marito da dove vengo io. La crudeltà di queste parole è mitigata dall’innocenza con cui vengono pronunciate, fa tenerezza la banalità dei ragionamenti e non mi scandalizzo, solo mi rattristo. Quest’ultimo pomeriggio, mentre tengo le mani affondate nella sabbia, i miei pensieri sono tutti per loro. Le donne. Colorate, sorridenti, invecchiate, seni cadenti, spalle vissute, braccia appesantite dal lavoro. Mamme sfiorite, vinte dalla miseria, eppure così giovani. In diverse parti del Kenia è ancora in pratica la mutilazione genitale, chissà quante di queste donne che ridono sulla spiaggia hanno subito queste torture. Fiori recisi, appassiti in un vaso. E’ con questi pensieri che faccio l’ultimo bagno in mare, l’acqua scotta, le alghe ci vedono e si sentono, ma fanno parte del paesaggio, sono scure, ma non sporche né viscide, non tolgono nulla alla trasparenza e al fondale del mare, a me personalmente piacciono, mi ripugna di più il colore marrone uniforme del nostro Adriatico. Un ultimo tramonto sui gradini del ristorante mentre attorno a noi i ragazzi dell’hotel accendono le candele.

Se mi sento in colpa in tutto questo lusso in un paese dove le persone vivono nelle baracche? Solo fino ad un certo punto. Fuori dai cancelli di questo rifugio per turisti europei (anzi, in verità mi pare siano tutti italiani…) non c’è solo miseria e povertà, ci sono, purtroppo, anche tante persone che, in piena consapevolezza, aspettano i turisti per mungerli come mucche, e campare sulle loro spalle senza aver la voglia, più che la possibilità, di lavorare onestamente.

9° giorno – IN VIAGGIO VERSO NAIROBI

Partiamo da Watamu alle 6.00 con un pulmino da 11 posti, conosciamo i nostri compagni di viaggio, mamma e figlio, che si rivelano persone alla mano. Siamo con Abu, la guida, e Amos, l’autista, che ci accompagneranno per tutto il safari. Trascorriamo la giornata in pulmino con solo qualche fermata tecnica. Fuori dai resort della costa, il Kenia si mostra in tutta la sua bellezza ma anche povertà. Durante la scorciatoia percorriamo una strada sterrata tutta buchi e avvallamenti, passando accanto a case di fango e anche qualche vera e propria capanna. La gente qui non ci assale, vediamo tutti molto calmi, nessuno ha molto da fare tranne guardare chi passa e così abbiamo puntati addosso gli occhi di tutti, ma pochi si avvicinano. Le donne sono le più indaffarate, portano le cose in bilico sulla testa e i bimbi piccoli avvolti nel kanga appesi sulla schiena. I bambini più grandi ci salutano a distanza, ma durante una sosta mentre cerchiamo di avvicinarci uno si spaventa. Non è abituato alla nostra pelle bianca, la madre lo invita ad avvicinarsi, noi anche tendiamo le mani, ma niente, strepita e si tira indietro terrorizzato. Undici ore dopo arriviamo all’hotel Jupiter, valido, anche se si trova in una zona degradata della città che non invoglia per niente a fare due passi. Cena in hotel.

10°-11° giorno – MASAI MARA

Ripartiamo da Nairobi alle 6.00, appena fuori città facciamo una tappa per vedere la Rift Valley dall’alto, è impressionante. Ci vogliono poi altre quattro ore di viaggio per raggiungere il Livingstone Lodge nei pressi del Masai Mara, dove soggiorneremo le prossime due notti. E qui nasce un incomprensione con l’agenzia: secondo noi non sono stati sufficientemente chiari nel spiegarci che non avremmo visitato il Masai Mara vero e proprio ma una sorta di riserva naturale che lo circonda, il cui biglietto di ingresso costa meno. Rimaniamo un po’ delusi, ma poi un ragazzo gentile del lodge ci dice che il paesaggio e gli animali sono sostanzialmente uguali e che comunque non siamo al centro, ma siamo sempre all’interno della riserva del Masai Mara. Entrambi i giorni purtroppo la pioggia ci sorprende nel pomeriggio e ci costringe a rientrare, ma comune i safari nella savana sono semplicemente meravigliosi! Con il pulmino ci addentriamo anche nei fuori-pista, che sono un estremo danno per la natura: infatti dove passano le ruote poi non cresce più l’erba e con le piogge si creano dei canali di scolo che provocano un erosione innaturale. Purtroppo vedo che nessuno si pone il problema. Tiriamo su il tettuccio e ci affacciamo fuori a vedere, gazzelle di Thompson (tantissime), zebre, gnu, facoceri, giraffe, elefanti. I nostri occhi ci mettono un po’ ad abituarsi a scorgere gli animali, anche i più grossi infatti sanno mimetizzarsi benissimo, ma Abu ci indica tutto quello che vede. Il manto erboso è di un verde brillante come un prato all’inglese e c’è una vegetazione fatta principalmente di grandi cespugli. Nonostante tutti questi nascondigli gli animali non si lasciano certo desiderare, ogni curva è una continua sorpresa, gli animali non sono spaventati da noi e si lasciano ammirare da vicino. Incontriamo una famiglia di giovani leoni in attesa del ritorno della madre con il pasto e una iena con una testa di gnu insanguinata in bocca…è la natura! Avvistiamo anche i terribili sciacalli dall’apparenza ingenua e diversi struzzi, enormi. E poi simpatiche manguste, waterbuck, impala. Una delizia per gli occhi! Il secondo giorno facciamo anche una passeggiata a piedi che dura circa un’ora e mezza, un ranger fa un giro perlustrativo in moto poi viene a prenderci e, caricato il fucile, ci accompagna in mezzo alla savana. Siamo un po’ intimoriti perchè comunque si tratta pur sempre di animali selvatici, ma notiamo che ci stanno tutti molto alla larga, mentre del pulmino non hanno paura, dell’uomo a piedi si. Il silenzio della natura ci avvolge, ci coccola e ci rilassiamo. Incontriamo diversi teschi e mandibole, e il ranger, di poche parole e solo inglesi, cerca di illustrarci a chi appartenessero. Il Livingstone Lodge è grande e bellissimo, contornato da filo elettrificato per non far entrare gli animali e c’è la corrente elettrica solo per qualche ora al mattino e alla sera. Sorge su un ansa del fiume Mara e dalla sala da pranzo possiamo ammirare la colonia di ippopotami dalle enormi bocche che trascorrono le loro giornate pigramente immersi nell’acqua, soffiando e sbuffando. Ogni pomeriggio viene a prendere il sole su un sasso anche un enorme coccodrillo, mentre durante i pasti occorre stare attenti alle scimmie che vengono a rubare il pane dai tavoli, anche se i camerieri sono tutti armati di fionda, loro sono ben più veloci! Oppure vengono a guardare dalla finestra mentre si è in camera, bisogna fare attenzione a non innervosirle, diventano perfide. Alle 22 si spegne la luce e il silenzio della savana è interrotto solo dai rumori degli ippopotami e del vento. Watamu e il Barracuda Inn sono già lontani anni luce.

12° giorno – LAKE NAKURU

Partenza alle 6.40 torniamo verso Nairobi per poi proseguire verso Nakuru. Di strada facciamo una tappa al lago Nahivasha, dove c’è la possibilità di fare un giro con una piccola barca. E’ un extra molto salato, 5000 scellini a coppia per un’ora, ma accettiamo. Il lago è abitato da orde di pellicani, cormorani, cicogne, ibis, ippopotami, acquile perscatrici e svariati altri volatili. L’acqua è scura e piena di piante galleggianti dai fiori viola di cui Abu non mi sa dire il nome, o per lo meno non in italiano o inglese. Il contorno è tutto collinoso e i colori sono bellissimi. Ripartiamo per Nakuru, dove arriviamo in ritardissimo, alle 14. Alloggiamo al Merica Hotel, in città, lussuoso albergo per turisti e kenioti ricchi, dove pranziamo e alle 15.15 siamo già pronti per partire di nuovo. L’ingresso del parco è ad appena 3 chilometri dall’hotel e arriviamo in pochi minuti, mentre aspettiamo di entrare facendo alcune foto davanti all’ingresso, il pulmino viene preso d’assalto dalle scimmie che trovano di loro gradimento un sacchetto con dentro due parei acquistati da Abu e lo portano via…sono furbissime, non ci siamo neanche resi conto che erano entrate che già erano in cima all’albero a studiare i parei, ma poi li lasciano cadere annoiate. Entriamo. La pista si snoda tutt’attorno al lago, qui a differenza del Masai Mara non si fanno fuori pista e non si scende nemmeno dall’auto. Percorreremo tutto il giro del lago in una o più stradine di terra che a volte sono piuttosto distanti altre volte sono più vicine. La pioggia sembra che non voglia darci tregua anche oggi ma per fortuna è solo a tratti e molto leggera. Iniziamo quindi gli avvistamenti di animali: zebre, antilopi d’acqua, gazzelle, bufali, e cormorani, purtroppo niente fenicotteri, in questo periodo non sono qui, ma miriadi di pellicani e cicogne anch’essi con un colorito rosato. Finalmente avvistiamo un rinoceronte nero lontano e nascosto e dopo poco altri quattro bellissimi bianchi che, molto calmi, mangiano la loro erba. Compare alle spalle una iena che molto guardinga e zoppicante si fa un giretto fino alla riva…vicino, ma non troppo alle jeep degli uomini, vicino, ma non troppo ai rinoceronti e ai bufali. Rimaniamo 15 minuti a guardare mentre i rinoceronti si muovono lentamente verso di noi così possiamo fotografarli da vicino. Parliamo poco e a bassa voce, siamo incantanti da questi bestioni, così imponenti eppure così fragili tanto da essere a rischio di estinzione. Si portano appresso, oltre al loro peso i soliti uccellini , che gli puliscono la schiena dagli insetti. Via di nuovo, pochi metri e Abu punta il dito. Leone. A circa a 200 metri di fianco ad un albero perfettamente mimetizzati ci sono quattro leoni, come abbia fatto Abu a vederli…noi facciamo fatica a vederli anche con il binocolo. Rientro e cena in hotel.

13° giorno – AMBOSELI NATIONAL PARK

Partenza alle 6.30 anche oggi, come tutte le mattine fa molto freddo e siamo coperti bene, poi man mano che proseguiamo viene fuori il sole, almeno di mattina. Di nuovo siamo sulla strada di Nairobi e proseguiamo fino all’Amboseli National Park. Man mano che ci avviciniamo incontriamo diversi villaggi masai, ma passiamo oltre e raggiungiamo l’ingresso mentre la nostra nuvoletta di Fantozzi ci segue e copre tutto il cielo. Del Kilimangiaro neanche l’ombra, sono tutte nuvole nere. Attraversiamo il parco e inizia a piovere, come sempre, quindi facciamo pochi avvistamenti, più che altro cicogne e un bel gruppo di elefanti prima di essere costretti a chiudere il tettuccio per evitare di inzupparci. Usciamo dall’uscita opposta del parco e raggiungiamo poco lontano il nostro Kibo Safari Resort, campo tendato non di lusso, ma rispettabilissimo. Sbrighiamo tutte le formalità sotto la pioggia scrosciante e con l’ombrello ci accompagnano alle nostre tende: sono vere e proprio tende simili a quelle militari coperte da un tetto in makuti, con una verandina con due poltroncine, due letti singoli con zanzariere e dietro ad una parete di stoffa, il bagno con la doccia calda. Anche qui abbiamo la luce solo per qualche ora, ma è più che sufficiente. Dopo pranzo attendiamo che la pioggia passi per ripartire, ma dobbiamo aspettare le 16.00. Però l’attesa è ampiamente ripagata dagli avvistamenti del pomeriggio: tanti gruppi di elefanti, veramente enormi con diversi cuccioli (i più piccoli saranno giusto 2-300 chili…), appena ci fermiamo le madri protettive gli si avvicinano e si frappongono tra noi e il cucciolo, ma sanno anche che non faremo loro del male e non sono aggressive. Ma lo spettacolo del giorno ci viene regalato da quattro bellissimi leoni, due maschi e due femmine se ne stanno tranquilli a poche decine di metri da noi. Ad un certo punto una femmina si alza e pian piano raggiunge un maschio, gli si sdraia a fianco e attende. Lui coglie il messaggio, si alza e… incredibile, si accoppiano davanti ai nostri occhi! Rimaniamo a guardare increduli, il tutto dura pochi secondi, poi lui si sdraia dov’era prima mentre la leonessa si rotola sulla schiena a zampe all’aria. Dopo qualche minuto il tutto si ripete anche con l’altra leonessa. E’ la natura! Pensare che il tutto è avvenuto sullo sfondo del Kilimangiaro e che le nuvolo coprono tutta la parte alta! Come al Nakuru, anche qui per fortuna si gira esclusivamente nelle stradine segnalate, in certi punti le strade sono completamente allagate ma il nostro pulmino prosegue come se niente fosse schizzando acqua dappertutto e facendoci sballonzolare un po’. Vediamo le “solite” gazzelle, bufali, cicogne, maribù, anatre, scimmie. C’è un odore di buono, di pulito, di umido, di verdura appena raccolta, di piselli appena sbucciati, lo stesso odore che sentivo da bambina addosso a mia nonna quando rientrava dai campi dopo una giornata di lavoro nei campi con il grembiule macchiato. Nonostante la pioggia anche il safari di oggi è stato bellissimo e alla fine possiamo ritenerci relativamente fortunati. Rientrati al Kibo ci facciamo una doccia, un’esperienza nuova dentro una tenda! Fa un po’ freschino e facciamo in fretta a svestirci e rivestirci, ma abbiamo pure l’acqua calda. Aspettiamo l’ora di cena davanti al focolare acceso all’aperto.

14° giorno AMBOSELI N.P. – TSAVO EST

Sveglia alle 5.30 con uno strepitoso cinguettio di uccelli. Usciamo dalla tenda speranzosi di vedere il kilimangiaro, ma se ne intravede solo una fascia vicina alla cima innevata, possiamo dire di averlo visto a pezzi. Per raggiungere la nostra prossima meta, lo Tsavo Est, dobbiamo riattraversare l’Amboseli e lo facciamo nella luce del mattino che rende tutto luminoso e ovattato, ma purtroppo con la pioggia che è caduta durante la notte il parco è tutta una palude e avvistiamo solo qualche elefante. Usciti dalla parte opposta ci fermiamo per una visita ad un villaggio masai, dove ci accolgono chiedendoci 10 euro a testa, oltre che cantando a ritmi tribali, nella loro tipica danza di benvenuto. Gli uomini, a rotazione, saltano a ginocchia tese e le donne fanno salti più piccoli a gruppi. Un masai ci guida poi verso l’interno del villaggio, dove le capanne, disposte a cerchio, ospitano 170 persone, facenti parte di 4 diverse famiglie perchè viene praticata la poligamia. Ogni moglie ha una sua manyatta, fatta di sterco di mucca e infatti ci riempiamo subito di mosche dappertutto. Ci illustrano la funzione curative di alcune piante e l’arte di fare il fuoco, poi ci conducono all’interno di una piccolissima manyatta dove rimaniamo alcuni minuti affumicati dalle braci che servono per tenere lontani gli insetti e scaldarsi. Chiariamo subito: loro vivono di questo, dei 10 euro che chiedono ai turisti per le visite e anche se non credo sia vero che non si siano evoluti agli accendini per accendere il fuoco, è pur sempre vero che ci vivono proprio in queste condizioni! Ci sono tanti bambini piccoli, sporchi e mocciolosi, che ci guardano incuriositi, ma appena ne saluto uno con la mano, lui scappa dentro la sua manyatta. Usciamo e c’è l’immancabile mercatino tenuto dalle donne dove acquistiamo qualcosa piuttosto innervositi dall’insistenza della nostra guida. A questo punto ci aspettano altre ore di viaggio per arrivare allo Tsavo Est, per fortuna man mano che procediamo esce il sole e la temperatura sale notevolmente. Attraversiamo la cittadina di Voi e raggiungiamo il Lion Hill Lodge, abbarbiccato su una collina. Dal balconcino della nostra camera abbiamo una vista straordinaria sulla savana. Dopo pranzo ripartiamo per un altro safari. Il parco si presenta subito in tutta la sua bellezza: terra rossa e vegetazione rigogliosa verde brillante. Veramente splendido. Finalmente poi c’è un bel sole cocente che dona una luce meravigliosa che ancora non avevamo visto. Qui sembra che ci siano molti meno animali, è anche vero che c’è molta più vegetazione e riescono a nascondersi e mimetizzarsi meglio, ma gli avvistamenti sono comunque decisamente meno, elefanti, qualche sciacallo, qualche gazzella-giraffa, alcune faraone. Non si fanno assolutamente fuori pista e ci sono parecchi altri pulmini di turisti. Proviamo a imboccare stradine poco battute, ma il risultato è lo stesso, noi comunque siamo contenti di goderci finalmente questo bel sole africano che ci scalda le ossa e l’anima. Ammiriamo i colori e inspiriamo i profumi che ci circondano, ma anche un po’ di polvere! Continuiamo a girare finchè il cielo non si tinge di un bel giallo e poi del rosa del tramonto. Il nostro primo (e ultimo, ahinoi) vero, meraviglioso tramonto nella savana. Ci riempiamo gli occhi di questa bellezza mentre ci avviciniamo all’uscita, dove assistiamo ad una scena simpatica: avvistiamo tre dik dik da un lato della strada, poco dopo due sciacalli dall’altro lato. I dik dik si mettono subito in allerta e rimangono immobili a fissarli, guardiamo in direzione degli sciacalli, poi di nuovo in direzione dei dik dik e ops…non ci sono più, spariti nel nulla senza alcun rumore. Non contenti rimaniamo a guardare la notte che cala dal terrazzo del ristorante e continuiamo a guardare il primo cielo stellato nella savana, ma un filo di foschia c’è e non abbiamo quella sensazione di “prendere le stelle con una mano” di cui ci hanno parlato tutti. Rientro in camera in compagnia di un simpatico geco e altri insettucci non ben definiti.

15° giorno TSAVO EST – MOMBASA

Sveglia alle 5.30. Partiamo però un po’ in ritardo a causa di un disguido, lo stesso a causa del quale la nostra guida Abu questa mattina non sarà con noi. Solo con l’autista Amos rientriamo allo Tsavo Est, ma capiamo subito che purtroppo non ha lo stesso occhio di lince di Abu, anche perchè deve pur guardare la strada. Più che altro dobbiamo contare sulle nostre forze e qualcosa riusciamo a vedere: elefanti, gazzelle, qualche zebra, tanti dik dik, faraone, falchi, due aquile e un bellissimo gruppo di giraffe con due piccoli, di cui uno particolarmente indisciplinato. Niente leopardo nè ghepardo anche stamattina, Amos parla alla radio, ma pare che nessuno l’abbia ancora visto. Giriamo due ore e ci riempiamo gli occhi dei colori e degli odori della savana, qui c’è profumo di fiori freschi, anche se non ce ne sono tanti. Una tartaruga ci attraversa la strada. Alle 9.30 usciamo dallo stesso ingresso da cui siamo entrati dove ci aspetta Abu con un’altra auto e un altro autista che dovrà prelevare noi due per tornare a Mombasa, mentre i nostri compagni di viaggio proseguono per Tsavo West e Taita, così salutiamo tutti e ci prepariamo al rientro. Il nuovo autista ci fa un gradito regalo: anziché raggiungere Mombasa dalla statale, rientriamo a Tsavo Est per uscire poi da un altro cancello più avanti, quindi con nostra immensa gioia, ci facciamo un altro game-drive! Giriamo così altre due ore con Omar che è un po’ più attento di Amos, ma non ci sono tanti animali in vista. Però è bello lo stesso, la vegetazione è ricca e rigogliosa grazie alle piogge di questo periodo, decisamente fuori stagione, anche qua il clima sta cambiando, come in tutto il mondo. Dopo pranzo imbocchiamo la statale, è un sollievo, un po’ di strada asfaltata! Ma purtroppo alla periferia di Mombasa troviamo un lungo incolonnamento di camion, che ci fa passare un’ora di paura: Omar, come le altre auto, supera da destra e da sinistra e si crea un mega ingorgo in cui però, fortunatamente, non rimaniamo mai completamente bloccati…cerchiamo di tenere i finestrini chiusi per via della polvere ma a queste temperature non è facile e l’aria condizionata non c’è. In mezzo a questo frastuono di clacson, polvere, sudore, calore e la gente continua come se niente fosse a girare su e giù con i carretti e la merce. Anche la polizia che incontriamo più avanti, davanti a tutto questo, non fa una piega. Ci mettiamo un bel po’ ad uscire dall’ingorgo e passiamo direttamente al caos cittadino di Mombasa. Procediamo lentamente tra auto, tuk tuk, pedoni, carretti, sporcizia, venditori, smog, coas, fa un gran caldo. Aiuto, dove sono le zebre, le gazzelle e il loro bel silenzio? Arriviamo al Sapphire Hotel verso le 14.45 e dopo alcune peripezie prendiamo possesso della camera. Siamo stanchi ma è l’ultimo pomeriggio in Kenya e non possiamo partire senza aver visitato, almeno velocemente, la città. Facciamo chiamare un taxi dall’hotel e alle 16.00 siamo già operativi a zonzo per Mombasa. Il nostro nuovo autista Cristian ci porta a vedere la coppia di zanne di elefante in alluminio che formano due M all’imbocco della Old City, il traghetto che collega le due rive del canale, l’oceano, il faro e infine il maestoso Fort Jesus, fatto dai portoghesi in roccia corallina. E’ un po’ in decadenza ma fa il suo effetto così a picco sul mare blu. Ci sono pochissimi turisti e molti locali, ma incredibilmente ci assalgono in pochi, solo qualche guida per la visita al forte, che rifiutiamo. C’è una sensazione di pace e magnifica lentezza. Facciamo due passi a piedi senza entrare, poi decidiamo invece di farci accompagnare da una guida dai denti tutti storti all’interno della Vecchia Città. Ci inoltriamo nelle stradine strette e luride e ci illustra tutti i più bei balconi, su cui sorgono antenne artigianali fatte da due padelle accostate, portoni ed edifici della città vecchia, visitiamo il mercato del pesce pieno di mosche proprio davanti ad una discarica a cielo aperto nel mezzo di una piazza dove vanno a cercare cibo gatti magri e malati, polli e corvi. E’ affascinante scoprire questi vicoletti con in sottofondo il gracchiare dei corvi, intravedere le donne dietro alle grate, incontrare musulmane coperte dal burka, uomini indaffarati e bambini sorridenti, soprattutto tranquilli visto che nessuno ci tampina e ci invita a comprare qualcosa. Frughiamo con gli occhi nelle vetrine, salutiamo i bimbi e respiriamo profumi, a volte gradevoli altre meno. Di spezie e di fiori, di oceano e di polvere, di fritto e di rifiuti. Proseguiamo per il mercato delle spezie e la guida ce le fa annusare una per una, zafferano, cumino, curry, limone, tè, chiodi di garofano, finchè i sensi si anestetizzano per l’intensità dei profumi. Chiede se vogliamo comprare e al nostro rifiuto non insiste, anzi mi rovescia in mano un paio di profumatissimi chicchi di tè che conservo in un piccolo contenitore per rullini. Giriamo per il mercato in mezzo a tutti neri, nessun turista in vista, eppure mi sento abbastanza sicura, nessuno mi fissa, nessuno mi considera, sono tutti impegnati a guardare e fare i loro acquisti in un tripudio di colori e di odori. Una spontanea autenticità, molto difficile da trovare normalmente. Torniamo all’hotel in taxi molto soddisfatti, siamo contenti di aver usato le ultime energie per questa visita.

16° giorno MOMBASA – RIENTRO

Dopo una rumorosa nottata, ci svegliamo nel frastuono di Mombasa ed è il giorno del rientro. Tra qualche ora decolleremo per l’Italia, lasciandoci alle spalle questo paese meraviglioso. Siamo un po’ stanchi per il tour de force del Safari, per la sporcizia e soprattutto per l’insistenza dei kenioti, per il poco rispetto che hanno verso di noi checchè ne dicano. Però siamo felici di aver visitato anche quest’angolo di mondo, il Kenia con il suo mare da cartolina, le savane sconfinate, i bambini, gli animali, ha trovato il suo pezzettino di posto nel nostro cuore e lì rimarrà per sempre. La valigia è pronta, ci chiudiamo dentro un pezzettino di Kenia, quel sapore di viaggio ancora vivo e pulsante che si sprigiona sempre da una valigia piena quando la si riapre una volta giunti a casa. Una valigia piena di vestiti e ricordini, ma anche di emozioni che si librano nell’aria dell’intimità della propria casa. Se esiste il mal d’Africa? Credo che esista, si, come esiste il male di un qualsiasi bel viaggio che lascia un segno nella nostra anima, in uno dei tanti bei luoghi di questo meraviglioso mondo che abbiamo l’onore di abitare.

Riepilogo: > Voto 10 All’ Africa, ai suoi animali e ai suoi bambini > Voto 9 All’ autista che trasforma i safari in veri e propri rally tra le pozze andando in zone impossibili. Guida un pulmino dove si impantanano le jeep e lo fa con una mano sul volante perche’ con l’altra è al telefono

Al Barracuda INN – Bellissima settimana di relax > Voto 8 Alla vista della Guida Abu . Incredibile. Vede due orecchie della iena nascosta sotto una duna a 70 metri di distanza. > Voto 7 Ai beach boys, indispensabile strumento per visitare l’Africa che volevamo visitare. Occhio pero’ sono dei grandissimi venditori e spesso ci si trova a spendere piu’ del dovuto per degli extra improvvisi. > Voto 6 Ai nostri compagni di viaggio. Sempre pronti e senza problemi, ma alla fine sono rimasti attaccati ai loro posti comodi davanti… > Voto 5 Alla mancanza di alcune informazioni (agenzia nei nostri confronti) che non ti permettono di scegliere con cognizione le cose che vuoi fare (vedi Masai Mara) > Voto 4 Alla pioggia che ha provato a rovinarci la vacanza > Voto 3 Alle centinaia di risposte diverse ottenute facendo una domanda alla guida Abu > Voto 2 Al ricarico che autista più guida fanno per le escursioni extra > Voto 1 Alla carne di capra dura come un sasso > Voto 0 A tutto ciò che costringe i bambini a non studiare o giocare, ma che sono costretti a lavorare nei campi fin da piccolissimi.

Consigli per la scelta dell’Agenzia: La nostra scelta alla fine non si è rivelanta malvagia. Ci sono stati dei disguidi pero’ nel complesso sono persone affidabili. Il primo consiglio che mi sento di dare a chi come noi ha contattato via internet le agenzie locali per un safari e’ il seguente: fatevi fare un preventivo da ciascuna agenzia ma chiedete tutto nello specifico sino alla noia sino a che non avranno scritto quello che sara’ il vostro itinerario. Fatevi scrivere gli orari (chiaramente un po’ elastici, siamo in Africa), i lodge dove soggiornerete, i parchi in cui entrerete e per quante volte entrerete. Soprattutto al Masai Mara (di come sia strutturato ormai ne abbiamo avute dieci versioni), le agenzie giocano sul farvi stare in una zona adiacente da quella universalmente riconosciuta come “Parco”, che va bene per via dei costi, ma poi accertatevi che al parco ci entrerete! Controllate i lodge su internet per evitare che siano fuori zona e che siano di vostro gusto. Per il resto ci sono un sacco di venditori e procacciatori e il consiglio e’ quello di prendere un precontatto dall’Italia e pagare solo dopo aver visto l’agenzia ed essersi resi conto del metodo di lavoro (la prima agenzia dove eravamo stati ci ha dato realmente una sensazione aleatoria) e confrontate su internet le recensioni (noi utilizziamo molto tripadvisor).

Detto questo, un po’ di hakuna matata non guasta! Jambo a tutti!

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