Maratona ad Atene
Partiamo in tre (mio fratello, un’amica e io) dall’aeroporto di Milano Orio al Serio. In poco più di due ore siamo ad Atene. Una volta arrivati, prendiamo la metropolitana e in mezz’ora siamo in pieno centro, zona piazza Syntagma. Da qui dobbiamo continuare verso il palazzetto dello sport in cui si regolarizzano le iscrizioni alla Maratona. Siamo qui non per semplice turismo, ma innanzitutto per partecipare ad una delle corse più appassionanti al mondo: la Maratona… di Maratona. Indicazione per chi dovesse seguire le nostre orme: una volta arrivati di fronte allo stadio del Panathinkaykos, chiedete, non è così facile trovare il TAE KWON DO Indoor Hall & Exhibition Centre (zona Olympic Faliro Coastal Zone), causa indicazioni assenti. I miei compagni di viaggio (che avevano comunque già effettuato l’iscrizione via internet mesi prima) ricevono chip e sacca con tutto l’occorrente per la corsa. Io non sono registrato, causa ginocchio dolorante che mi ha impedito di prepararmi al meglio, ho deciso che proverò a seguire il tracciato camminando. Al banco informazioni, mossi a compassione ed increduli dopo aver intuito le mie intenzioni, mi regalano un pass valido per l’utilizzo dei mezzi pubblici in città dall’8 all’11. Non poteva che andarmi meglio, in effetti. Arriviamo all’Hotel Dryades (consiglio vivamente: 55 euro a testa per 4 notti! http://dryades.hotel0.info/) piuttosto tardi, dopo esserci fermati lungo la strada a cenare col primo Pita Gyros del viaggio. La zona in cui alloggiamo è la vivissima Exarchia, quartier generale anarco-alternativo della capitale. I bar e i chioschi si susseguono nelle stradine in salita dello storico quartiere. Come è consigliabile fare il giorno prima di una corsa, andiamo a dormire tardi, rapiti dall’effervescenza degli edifici limitrofi, su cui writers ligi al dovere fanno a gara di bravura.
Domenica la sveglia è alle 5. Con un taxi ritorniamo in Syntagma, sede del parlamento, e prendiamo l’autobus che ci poterà direttamente a Maratona, nord-est di Atene. L’assembramento degli atleti è previsto all’interno dello stadio della squadra locale. L’organizzazione è davvero maniacale e non manca proprio nulla per poter attendere il proprio turno e partire al meglio.
Dopo aver effettuato un leggero stretching, parto ad affrontare i primi 30 chilometri di sola salita. Sulle spalle l’immancabile zaino in cui ho provviste (acqua, cioccolata, cracker) e in cui finiranno i vestiti in pile che mi sfilerò man mano che la temperatura si alzerà. Col senno di poi, consiglio a chiunque fosse interessato di non portare proprio nulla con sé, i vestiti meglio legarli in vita dato che i chili pesano sulle spalle; oltretutto lungo tutto il percorso i volontari distribuiscono acqua e ogni genere di viveri a chiunque ne abbia bisogno. Dopo aver abbandonato il paese, a circa 2-3 km c’è una leggera deviazione che ti porta verso il mare. Passato questo tratto, la strada è quasi totalmente dritta, la corsa si effettua sull’asfalto della tangenziale che collega Maratona con Atene. Non mi dilungherò oltremodo a descrivere la fatica di camminare – non oso immaginare il correre – a quasi 30°C, ricompensata però ampiamente dall’emozione di vedere paesi in festa (Rafina, Pikermi, Pallini) in cui l’intera popolazione lungo la strada incita i passanti a fare del proprio meglio: canti e cori, ballerini di sirtaki, bambini urlanti, dj con musica house a tutto volume, suonatori di tamburi. Sul tracciato, i partecipanti non sono da meno: genitori che spingono carrozzine correndo, centurioni romani scalzi, uomini in kimono, ragazze in gonna ed ex marines. Vengo inghiottito dalla ressa che man mano che ci avviciniamo a metà percorso inizia a distribuirsi in maniera più uniforme lungo la strada. Tra barrette energizzanti, banane atte ad evitare i crampi e litri e litri di acqua ed altre bevande, arrivo con gran fatica al 30° km. Qui inizia ad essere l’inerzia a non farmi fermare e crollare a terra. Verso la fine, già entrato in città, mi devo bloccare un paio di volte dai medici per applicare un gel contro i crampi e per medicare le vesciche. Avvicinandosi ai 40 si inizia a pregustare l’arrivo allo storico Stadio Panathinaiko, realizzato interamente in marmo bianco alla fine dell’800, e in grado di accogliere più di 80.000 persone. Dopo aver transitato sotto l’ultimo cavalcavia, si arriva ad un rettilineo che nasconde la visuale; fino a che non ci si capita dentro, lo stadio rimane misteriosamente nascosto. Chiudo con un tempo forse migliorabile: 7 ore e 40, ma con l’impressione di avere compiuto un’impresa. Dopo esserci sdraiati sugli spalti, a goderci gli ultimi arrivi e la gente festante intorno, decidiamo saggiamente di fare ritorno all’hotel a piedi. Alla sera una frugale visita ad un ristorante tipico a due passi dall’hotel, in cui suonano dal vivo.
Dedichiamo il giorno successivo alla visita del Pireo, penisola appena fuori città. Arrivati al porto, ci perdiamo prima nei confusionari viali centrali – un tempo era zona popolare di fabbriche – poi riusciamo a raggiungere una spiaggia oltre il golfo. Qui ci riposiamo sotto un sole quasi estivo, brandendo una lattina di Fix Hellas, la birra che non ci ha abbandonato neppure per un istante. La cordialità della gente del posto è notevole, ovunque ci si sposti qualcuno ci offre da bere; più tardi, in un’osteria nelle vicinanze, qualcuno ci offre pure da mangiare. Non siamo abituati a cotanta cortesia, restiamo davvero colpiti. Dopo aver girato per un po’ nel Pireo, verso sera riprendiamo la metro (utilissima, pulita ed efficiente, assolutamente consigliata per gli spostamenti, molto più dei tram) e arriviamo in uno dei quartieri più turistici e pittoreschi, Monastiraki, decisi a fare la spola tra qui e la Plaka. Appena usciti dalla metro, la visione dell’acropoli in notturna è davvero d’effetto. Giriamo tra i negozi di artigianato artistico e arriviamo a Bretto, una distilleria antica “a centimetro zero”, in cui producono dall’ouzo (liquore all’anice) al brandy, passando per il fortissimo raki. Se andate, attenzione alle quantità che servono: un aperitivo veloce qui può farvi vivere in un’esperienza alla Big Lebowski: da provare assolutamente.
Una delle cose che più mi ha colpito, è che la tradizione da queste parti non solo è rigorosamente rispettata, ma è anche perpetrata in modo del tutto naturale: in moltissimi locali ogni sera suonano musica rebetika. Non che gli altri generi musicali siano osteggiati o censurati, ma dato che chiunque da queste parti suona uno strumento tradizionale, resta poco spazio a tutto ciò che non è locale. Questo forte attaccamento alle proprie radici, nonostante la crisi economica (che peraltro non si respira molto più che in Italia, da quanto abbiamo potuto vedere nel nostro piccolo) mi fa apprezzare ancora di più i tratti del popolo greco: valoroso e resistente. Una faccia una razza, dicono qui, in italiano; sostengono che siamo uguali, noi italiani e loro greci: francamente non so quanto questo accostamento renda giustizia a questa gente meravigliosa.
Dedichiamo l’ultimo giorno al percorso turistico per antonomasia: Partenone e Acropoli, poi Lycabetto. Se avete partecipato alla Maratona, oltretutto il prezzo del biglietto scende da 12 a soli 6€. Inutile soffermarsi sull’emozione di rivedere con i propri occhi qualcosa che ci è da sempre famigliare (dai tempi della scuola). La cosa migliore è prepararsi prima con una buona rispolverata alla storia antica, e poi inerpicarsi lungo viali e teatri millenari, perdersi fra le sue favolose rovine. Cercare di memorizzare nozioni sotto il sole di novembre – e non voglio neppure immaginare quanto caldo e quanta gente affolli questo sito in estate – è un’impresa da eroi mitologici. Restiamo a passeggiare sulla rossa terra ateniese per alcune ore, poi ci incamminiamo reflex al collo verso il Lycabetto, monte da cui si gode la migliore vista panoramica sulla capitale. Una funicolare sotterranea, al modico prezzo di 7 euro, ci traghetta sulla sommità della collina, sede peraltro anche di un ristorante, oltre che di una delle chiese ortodosse più caratteristiche della città. Restiamo fino a tramonto completo per godere dell’accensione delle luci sulla sconfinata piana ateniese: panorama davvero mozzafiato.
Una volta scesi, prendiamo la metro per vedere un altro paio di posti, tra cui Omonia, ma la bellezza della zona in cui siamo alloggiati è una sirena che ci richiama a sé. Ceniamo in un ristorante meraviglioso (ΝΑΥΑΓΙΟ ΤΩΝ ΑΓΓΕΛΩΝ, , la proprietaria parla inglese: qui chi non lo conosce, parla italiano, magari per ragioni famigliari. Mi consente di provare a suonare un buzuki, poi mangiamo lumache, mussaka con melanzane chiare di rodi, stoccafisso fritto con puré d’aglio. Nel dopocena ci sediamo ad un bar nelle vicinanze a sentire musica rebetika: tre musicisti funambolici si esibiscono di fronte a pochi avventori, come fosse la normalità. Credevo che un’atmosfera così fumosa e malinconica, ma allo stesso tempo meravigliosamente fiera, si potesse respirare soltanto nei film, nell’“In debito” di Andrea Segre e Vinicio Capossela. E, invece, Atene è così: una vecchia signora acciaccata che non perde occasione di sfoderare il suo antico fascino.