Maldive: pesci per un giorno

Il doni punta dritto verso la secca di Mufshimas Mingilitilla che traspare nel blu. Ad un cenno di Lele la barca ruota inaspettatamente di poppa fino a compiere un arco di centottanta gradi. Il ragazzo s'affretta a raggiungere la prua e comincia a gesticolare senza mai alzare lo sguardo dall'acqua. Il fondale è blu, poi azzurro,poi verde fino...
Scritto da: Giovanni P.
maldive: pesci per un giorno
Partenza il: 07/05/1997
Ritorno il: 21/05/1997
Viaggiatori: fino a 6
Spesa: 3500 €
Il doni punta dritto verso la secca di Mufshimas Mingilitilla che traspare nel blu. Ad un cenno di Lele la barca ruota inaspettatamente di poppa fino a compiere un arco di centottanta gradi. Il ragazzo s’affretta a raggiungere la prua e comincia a gesticolare senza mai alzare lo sguardo dall’acqua. Il fondale è blu, poi azzurro,poi verde fino a colorarsi di anice. Le nubi si cimentano con il sole cangiando in continuazione i cromatismi della laguna. Macchie di zafferano tremano sotto lo scafo mentre in lontananza affiora e scompare una lingua di sabbia di un bianco accecante.

E’ giunto il momento di fermare il motore e di gettare l’ancora. Il silenzio -rotto solo dal sibilo improvviso delle guarnizioni- ora è anche dentro di te mentre con la massima concentrazione assicuri al giubbotto bombola ed erogatore -perchè anche il minimo errore potrebbe costarti la vita. Solo Lele riesce a scherzare e quasi non ti accorgi che invece sta passando in rassegna ogni gesto, ogni nostro movimento, per assicurasi che nessuno abbia commesso errori. A vederlo mentre s’infila in quella sua seconda pelle graffiata dai coralli ti da un senso di sicurezza e di buon umore, che sott’acqua -t’accorgi presto- sono più utili dell’ossigeno. Finalmente ci si può immergere. Una mano a spingere sulla maschera e poi via,uno alla volta. Eccoci pronti ad affrontare nostra prima vera immersione in mare profondo: per scendere basta sgonfiare il giubbotto,svuotare bene i polmoni e lasciarsi precipitare compensando quel poco che basta.

Subito i colori del corallo si rivelano in tutte le sfumature del rosa, del turchino e del verde. Sono i raggi del sole a manovrare quell’enorme caleidoscopio vivente, illuminando uno degli ecosistemi più vari e completi del mondo:anemoni urticanti con i loro pesci pagliaccio,tridacne come bocche affamate da cui spuntano lingue che sembrano uscite da un campionario di Armani,cavità di coralli che offrono riparo ai pesci più strani,come lo squalo nutrice o il labbro pulitore, dedito persino alla pulizia delle tue orecchie.

Lele gioca con un grosso pesce Napoleone come con un vecchio amico, poi ci conta ad uno ad uno facendoci cenno di attenderlo e di rimanere uno vicino all’altro. Ci prendiamo per mano, scherziamo tra noi in quell’esilarante palcoscenico dove squattine,chirurghi,pesci rondine e pesci pappagallo si rincorrono tra loro.

Richiamo l’attenzione di Anna per scattargli una foto e lei colta di sorpresa mi fa cenno di attendere che abbia finito di aggiustarsi la pettinatura. I capelli si ribellano alle mani come risucchiati da un finestrino di un’auto lanciata a duecento all’ora. Eppure tutto è immobile la sotto.

Maria Romana rompe le consegne. Pinneggia alla ricerca di uno specchio per vedere se è proprio lei quell’Alice nel mondo delle meraviglie: si avvita,volteggia,fa cenno di guardare a destra e a sinistra, spalanca gli occhi da dentro la maschera davanti ad un giardino di coralli dove tra i pinnacoli,i ventagli e le colonne nuotano pesci di una freschezza celestiale. Lele è di ritorno. Ci fa cenno di uscire dalla barriera e di lasciarci risucchiare dal blu.

Mentre scendi qualcosa dentro di te ti riporta ad antiche ed inappagate sensazioni, quasi una solitudine preistorica che ti paralizza il respiro. Nel lambire le pareti da dove,immobili come idoli,ti scrutano le guglie di roccia,ti accorgi di essere pesce per un giorno. Quanto più ti allontani dal bassofondo corallino tanto più ti senti sorvegliato. Lassù la presenza celata del sole -non più disco ma vaga impressione di luce- è corrosa dalle bollicine dell’ossigeno. Controlli il manometro. Misuri la profondità. Sembrerebbe tutto a posto. Ma all’improvviso,dalla tenebra che ti ammicca sotto i piedi passano delle ombre. Saranno i compagni? O predatori itineranti di ignote profondità? Mentre tenti di dare una risposta a quella domanda il cervello sussurra una soluzione inaccettabile:squali? Sì,squali -almeno due- che ti ruotano intorno. Hai perso di vista i compagni. Ma non ce tempo per recriminare. Ecco che attingi all’ossigeno come un assetato alla fonte. Se ne accorge Lele che ti spunta all’improvviso da dietro le spalle e ti fa cenno di ristabilire la cadenza del respiro. Poi avvicina le mani una all’altra come per dire …Piccoli. Piccoli? Gli gridi addosso con lo sguardo. Ma tu l’hai sentito un rumore che veniva da di là? Domandi sempre con lo sguardo. Lele sorride,come avesse compreso la domanda. Ti posa debolmente la mano sotto il braccio e con l’altra si toglie l’erogatore da dove esce un torrente di ossigeno. E’ il suo modo per darsi le arie. E ti scappa da ridere -sempre con lo sguardo- e ride anche lui,ma a bocca aperta. Lele sarà un pesce? Ti domandi.

Il silenzio è ristabilito sulla colossale massa d’acqua,sulla vita misteriosa e feconda dell’abisso,un silenzio di piombo che si affaccia dalle pareti fino all’ignoto,dove gli esseri pinnati non hanno occhi perché laggiù non saprebbero che farsene. Lele è parte di quel silenzio,ora. Si muove pochissimo. Cerchi di imitarlo ma non ti riesce. Ha assunto una posizione buffa: pancia all’aria,con le braccia congiunte ed il collo storto per controllare meglio gli spostamenti della brigata. Ora fai cenno di sì,che tutto va bene,come se qualcosa ti vesse restituito il coraggio perduto. Guardi il cielo e consideri che è alla portata del tuo ossigeno. Sorridi ai compagni,riprendi a scherzare con Isabella,con Anna,con Roberto, intenti ad osservare una piccola manta che sta planando sopra di loro. Al ritorno disteso sul legno del doni Lele ti dice: non sai quello che ti sei perso a non essere nato pesce. Ci pensi un pò e poi gli rispondi che una cosa la sai: sai finalmente cosa ti ha spinto oltre i limiti delle tue aspirazioni lecite,oltre la terribile intensità della stolida dimensione umana.



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