Magica Malaga

Boomer e Figlia in una gioiosa cinque giorni strappata alla pandemia
Scritto da: ninfetta74
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Non mi puoi dire di no! Ho già comprato i biglietti, domani io e te andiamo a Malaga cinque giorni!

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Annunciano frementi i suoi occhioni azzurri. E io, cuore di mamma, cosa mai dovrei fare? Potrei io mai rinunciare in nome della prudenza? Ma scherziamo? Per infliggerle cotal delusione? Figuriamoci, io alzo le mani seduta stante: mi lascio contagiare! Nemmeno dodici ore dopo siamo già sul volo Ryanair Pisa-Malaga, in offerta a 4 euro all inclusive. Solo che al nostro arrivo Giulia sentenzia: una fregatura al giorno leva il medico di torno. Lei. La chiamavano la Sfinge. Lei lo dice in verità con un francesismo irripetibile. E tanto per cambiare ha ragione.

Lo notiamo immediatamente, all’autonoleggio dell’aeroporto autodefinitosi “barato”, ma dove invece tra caparra, assicurazione, assicurazione aggiuntiva per neopatentati, lasciarci un rene sarebbe abbondantemente più economico. Ergo abbandoniamo subito l’idea di noleggiare una macchina. Ma è gennaio ed è la nostra prima volta in Andalusia.

A nostra prima volta in Andalusia

È sera quando usciamo fuori dall’aeroporto, senza macchina, ma per nulla scoraggiate: siamo grintose e desiderose di nuove scoperte. Leggermente affamate, anche. Ancora non lo sappiamo, ma non avere la macchina ci spalanca la porta a un sacco di opportunità e risate per caso, ci consacra definitivamente turiste per caso. Leggermente affamate, anche. La cosa bella dei nativi digitali è che ti tirano fuori dal cilindro all day long risorse impensabili per boomer come noi, mamme native di un altro secolo, anzi, tecnicamente pure di un altro millennio. E la buona notizia è che mia figlia è una nativa digitale. E scopro che la loro specie conosce a menadito tutte le potenzialità di iPhone e web e le utilizza proficuamente con con fiducia cieca, in totale scioltezza e atarassia, con una naturalezza commovente, sfrutta funzionalità recondite di Maps: orari di bus affidabili al secondo, localizzazione millimetrica delle fermate. Non ne sbaglia una. Ogni poco ne tira fuori un’altra. Le telefonate. Naa. Il taxi? Macché, è roba giurassica, appartenente all’epoca della cabina telefonica. La mia. La trista era senza internet. Dunque niente taxi, lei si butta su Freenow o su Cabify. Tutto prenotato rigorosamente via APP.

È tutto rapido, intuitivo, talmente vorticoso che sembra impossibile, ma tu non fai in tempo a pensarlo che il taxi, cioè volevo dire il cabicoso è già lì, uno scintillante SUV nero con tanto di autista professionale gentilissimo, proprio comme il faut. Ultrasprint, ma impeccabile e pragmatico, simpatico e informale anche, e, attenzione, niente affatto marpione. Mica il tipo che mi ha aiutato a salire sull’aereo, che mentre mi aiuta salire sul bus intende non disdegnarmi una palpatina di coscia per caso, salvo essere istantaneamente pietrificato dal mio medusesco sguardo. Il nostro autista, dicevo, non è più ragazzo, ma si muove con la prontezza di una lepre, al volante, senza mai, occhio di falco, perdere di vista le APP, alias nuovi clienti, mentre ci porta al nostro spazioso ultraccessoriato fantastico appartamento Club Playa Flores a Torremolinos. 167€ per quattro notti. Eccerto che lo ha trovato Lei. Impossibile competere con una nativa digitale. Non c’è scozzo!

E io ne approfitto, con gusto. Mi rilasso. Mi godo il panorama. Non faccio in tempo ad esprimere un desiderio che Lei subito lo trasforma in realtà. È uno spettacolo mentre lo fa. A Playa Flores non incontriamo un umano manco a piangere, è tutto digitale, ultrasicuro e iperefficiente. Sa tutto Lei. Codice che apre la porta sul cassetto che contiene la chiave che apre la cassaforte che contiene la carta che apre la nostra camera che al mercato mio padre comprò. Sarà un bettolone, insinua la boomer. Ma Lei mica si lascia intaccare, sorride sardonica, mentre “Subiendo!” l’ascensore annuncia soave, portandoci al quarto piano: la porta si apre su un nuovissino appartamento con tanto di terrazza vista piscina. Spazioso luminoso tecnologico. Favoloso. C’è tutto, compresi microonde e doccia enorme. Tutto, tranne il docciaschiuma. Vabbè, poco male, provvederemo subito. Intanto ci arrangiamo con un paio di campioncini di sapone liquido che la boomer pessimista ha in valigia, giacché non si sa mai. Soffusa e gustosa la tardiva e subito divorata la nostra cena poké a lume di candela, nell’ incantevole ristorantino ad angolo, giù dalla collina.

L’indomani colazione in terrazza in un risveglio bigio, ma tempo di giungere in centro e nel cielo terso splende già un sole poderoso. L’imprinting è romantico, scopriamo Malaga in carrozza, col bel cavallo fulvo di Gabriel, che ci racconta i monumenti che ci sfilano accanto, Plaza de la Constitución, municipio, piazze, fontane, Catedral de la Encarnación. E nel frattempo non manca di fare il filo a Giulia! La quale però non abbocca. E’ molto bellina Malaga.

Niente a che vedere con lo splendore tonitruante di Barcellona, plasmata e pelledicoccodrillata da quel pazzo visionario di Gaudì, ma è davvero accogliente, ci colpisce, in molti modi.

Non ci sorprende affatto notare che mediamente i 600.000 abitanti di Malaga sorridono più di quanto non si faccia in Italia. E in modo trasversale, no matter se autisti camerieri pittori postini impiegati giardinieri artisti di strada. Idem per le norme anticovid: sono tutti rigorosi ma molto meno stressati di noi. Tutti tranne l’inflessibile mujer autista del nostro bus che vomita il suo tuonante ‘Malo!!!! Tooooontoo!!!!’ al malcapitato passeggero, reo, à vrai dire, di aver indossato troppo calante la sua mascherina. E che ad occhi bassi zitto zitto se ne scivola istantaneamente giù dagli scalini, come una coda cattiva.

Andar por tapas al ristorante Picasso, in una suggestiva Plaza de la Merced, inondata di sole. Tutto rigorosamente innaffiato di sangría con buen vino tinto y mucha fruta colorata. Fa caldo anche se siamo a metà gennaio. Mai come nel nostro appartamento, mantenuto a costante temperatura subtropicale. Domani un classico sempre irrinunciabile, il Sightseeing bus, quello rosso con l’audioguida. Incurante della mia disabilità, mi arrampico senza esitazioni su per la scala a chiocciola, sotto gli occhi sgranati dell’autista. Arriviamo fino al castello di Gibralfaro, ma per noi di Ibrahimovìc, da ora in poi. E giù a ridere insieme. A ridere di nulla, ma quante risate ci siamo fatte a Malaga! Certo, paella e sangría hanno dato un decisivo contributo!

«Corri, mamma, corriiii!» diventa il ritornello dei nostri giorni spensierati, per vedere tutto, per vedere meglio e poi ancora e ancora. Maciniamo chilometri e non ci basta mai. Dopo pranzo la Malagueta è un must. Musica sole mare spiaggia. Rilassarci nel sole della Malagueta con la sempre gradita buona musica dal vivo che la contraddistingue, la condisce di pepe, di vita, la stria d’arancio e d’azzurro. La flaca e Stand by me. Sì, la Malagueta.  h bene. Ce la godiamo, essenzialmente.

Malaga è una città raccolta, ridente, baciata dal mare. Un filo troppo barocca, per i miei occhi, cresciuti a pane e romanico pisano, ma vivibilissima. Che poi, Mesdames et Messieurs, siamo nella città natale di Pablo Picasso! Ruíz era il cognome del padre. Ma no. No buono! A un cranio fosforescente come Pablo le robe comuni scatenano l’orchite, perciò Picazzo, come la mamma, che addolcisce in Picasso, saggia scelta, decisamente condivisibile! Forte la visita alla sua casa natale, ora sappiamo tutto su parenti, mentori, amici di pennello, compagni di merende. Invece al museo Picasso purtroppo due grandi, immensi assenti: il Guernica (a Madrid) e Les Demoiselles d’Avignon (al MOMA, New York City).

E alla fine, dopo due anni di restrizioni e confinamenti Covid, questo inatteso battesimo andaluso prende tutto il sapore di un dono. E sfrecciare sul lungomare di Malaga  stretta a Giulia a bordo di una vespa verde acqua di nome Piluca, di un’app che si chiama Yego (opportunità, chevvelodicoaffare, inventata di sana pianta da Lei…) cancella  definitivamente la mia minusvalía e i cinque lustri che ci separano. E per magia non siamo piú mamma e figlia, ma due diciannovenni sfrenate che ridono a crepapelle, mentre  Malaga corre intorno a noi, più ammaliante e fascinosa che mai.

E poi sì, arriva veloce anche l’ultima sera. Nel mio comodo letto andaluso, chiudendo gli occhi, poche parole giungono a coccolarmi, quasi a suggellare questo dono condiviso durato cinque giorni:

Io non viaggio per vivere, io viaggio per sentirmi viva.

Laura Gagliardi

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