Madrid e le sue tabernas

Avevo da poco festeggiato la notte di San Silvestro in una casa tra le colline abruzzesi di Gessopalena (Ch) affittata con gli amici più cari, quando la sera del 1 gennaio 2003 partii per Roma, visto che la mattina del 2 sarei volato alla volta di Madrid. Raggiunsi con l’autobus la capitale e passai la notte a casa della mia cara amica Ivana,...
Scritto da: Nicola 71
madrid e le sue tabernas
Partenza il: 01/01/2003
Ritorno il: 06/01/2003
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
Avevo da poco festeggiato la notte di San Silvestro in una casa tra le colline abruzzesi di Gessopalena (Ch) affittata con gli amici più cari, quando la sera del 1 gennaio 2003 partii per Roma, visto che la mattina del 2 sarei volato alla volta di Madrid. Raggiunsi con l’autobus la capitale e passai la notte a casa della mia cara amica Ivana, visto che alle 6,45 avrei avuto l’aereo per l’aeroporto Barajas. Andai a Madrid con un pacchetto della Futurviaggi che comprendeva albergo abbastanza centrale per quattro notti e volo Thai Airlines ( € 320,00 ) che faceva scalo da Bangkok proprio a Roma per poi riprendere il volo fino a Madrid appunto.

Giovedi 2 Gennaio 2003 Il volo sembrò abbastanza tranquillo e mi faceva sorridere che molti italiani saliti insieme a me erano infastiditi dal colore della tappezzeria, sedili e perfino dagli abiti delle hostess in perfetto viola. Giunti all’aeroporto, chiesi all’ufficio informazioni che mi confermarono ciò che già sapevo, ossia prendere l’autobus dal Terminal 1 ( gli autobus partono ogni 12 minuti e la corsa costava 2,50 € e impiega 20 minuti ) fino ad arrivare a Placa de Colòn, passando da calle Serrano. Da qui presi la metropolitana e quattro fermate dopo con la linea blu direzione Colonia Jardìn ed ero quindi di fronte al hotel Florida Norte.

Avevo deciso prima di partire che Madrid andava divisa in tre parti e ad ogni parte avrei dedicato una giornata e al quarto giorno avrei fatto quel che si poteva chiamare un ripasso. Quindi uscito dall’albergo mi dedicai alla vecchia Madrid con la consapevolezza che l’ultimo giorno non avrei fatto altro che il bis del primo giorno. La temperatura stazionava sui 8° e si capiva da questo particolare che Madrid è la capitale più alta d’Europa con i suoi 650 metri sul livello del mare. Mi incamminai lungo Paseo de la Virgen del Puerto, costeggiando i giardini del Palazzo Reale, e poi calle Segovia fino ad entrare a Calle Mayor per giungere a Plaza de la Villa.

In questa zona si vede che pullula la vita madrilena per la vicinanza del mercato de San Miguel, per la casa de Cisneros (1537) e il Municipio, ma come ho saputo poi dal portiere dell’albergo, che essa è una zona molto ricca di significato, perché sorge in questo spazio la torre de Lujanes, risalente al 1600 che ha un raro portale mudéjar, mentre l’Ayuntamento (municipio) è unito alla casa de Cisneros da un ponte e il municipio stesso presenta innumerevoli correzioni, date per esempio da guglie, abbaini e adornamenti e prima che fosse ultimata la costruzione fu dotata di portali ed un balcone per fare assistere dallo stesso alla processione del Venerdì Santo ai reali di Spagna.

Al di là di questo, il quartiere si presentava suggestivo con la basilica pontificia de San Miguel che era stata eretta su una vecchia chiesa romanica dedicata due bambini martiri giustiziati dagli antichi romani e poi è stata resa famosa dal fatto che la chiesa è amministrata dall’Opus Dei. A conferma di questo è visibile la cappella laterale dedicata al fondatore spagnolo dell’Opus stesso, José Maria Escrivà de Balaguer. Uscito dalla chiesa senza aver potuto scattare foto, perché severamente vietato, continuai fino a girare a sinistra per l’arco de Cuchilleros, la strada è zeppa di mesones per mangiare a un prezzo onesto e superatole a malincuore, entrai a Placa Mayor dall’entrata ovest.

Questa piazza è molto bella, forse per me troppo teatrale, infatti molti dicono sia proprio lo stile castigliano a spingersi all’estremo. Sulla mia guida era riportato che la piazza fu testimone di innumerevoli esecuzioni dell’Inquisizione dettati da Torquemeda e addirittura corride e parate militari. C’è un detto in Spagna che sentii dire addirittura dalla fidanzata asturiana di un mio amico, inerente a Rodrigo Calderon, che nel 1621 entrato a Placa Mayor per essere impiccato, si comportò con una tale dignità che rimase fin’oggi il detto appunto” fiero come Rodrigo sulla forca”.

Questa piazza, un po’ come i Campi Elisi a Parigi, fu costruita dopo la demolizione di case abusive di proletari e fu ultimata in un paio d’anni. Oggi è piena di café e quasi tutti i turisti si fanno immortalare sotto i portici de la Panaderìa, mentre io forse avrei scelto sicuramente la statua di Filippo III al centro della piazza.

Uscii dalla porta sud di Calle de Toledo, sullo sfondo è suggestivo vedere la Collegiata de San Isidro, che è stata per anni la cattedrale provvisoria di Madrid, finché non fu scalzata dalla cattedrale de Almudena. La Colegiata de San Isidro ha in sé una storia particolare legata al santo patrono di Madrid, visto che un paio d’anni dopo la sua costruzione, ospitò le ceneri del patriarca, custodite in una altra chiesa: quella di Sant’Andres. Uscito dalla chiesa mi imbattei in un gruppo di turisti italiani e mi mischiai a questi percorrendo Salvador Duque de Rivas e in fondo alla strada ascoltai tutto quello che disse la guida riguardo al Palacio de Santa Cruz, che era stato costruito come prigione nel XVII secolo, e molti in attesa di giudizio vennero trasportati qui, prima di essere giustiziati pubblicamente dalla Santa Inquisizione di Plaza Mayor. I più illustri che trascorsero l’ultima notte tra quelle mura furono Gorge Barrow, Lope de Vega e Candelas, che secondo me, la guida erroneamente paragonò al bandito nostrano Salvatore Giuliano. Li seguii ancora rientrando a Plaza Mayor da Plaza Provincia, ma quando loro scelgono un Cafe, io saluto ed esco di nuovo dalla piazza e attraversando Calle de Postas arrivo a Puerta del Sol.

A qualsiasi ora essa è il cuore pulsante di Madrid! Essa è una piazza a forma di emiciclo e si caratterizza perché sul lato meridionale si affaccia la Casa de Correos in mattoncini rossi che è stato durante il regime franchista teatro delle atroci crudeltà ai danni dei sovversivi, infatti si dice che Grimau, capo dei rivoluzionari, fu defenestrato dai poliziotti di regime e questo nonostante si salvò, fu giustiziato poco dopo. Poco vicino c’è il km zero, dove si fanno partire tutte le strade della Spagna e si dice porti buono calpestarlo (come feci del resto) e all’angolo de la Calle de Carmen si trova quello che per i madrileni potrebbe rappresentare la lupa coi gemelli a Roma: l’orso che annusa l’albero di modroño.

Resto a fotografare in bianco e nero l’insegna di Tio Pepe, fissata sulla cima di un edificio e altri scorci di strada che portano a Calle de Alcalà, e poi verso le 14,00 torno quasi al punto di partenza per pranzare da El sobrino de Botin. Questo locale mi era stato consigliato da una mia amica che era stata a Madrid per l’Erasmus e anche la guida che consultavo parlava di questa taberna fondata nel lontano 1725 che ha visto anche Hemingway come proprio cliente a Calle de los Cuchilleros.

Mangiai un ottimo cuchinillos (maialino da latte arrosto) con peperoni e patate, preceduto da una sopa de ajo e scolai una intera bottiglia di rosso (Marques de Caceres), dolce e caffè per un prezzo vicino ai 33 €.

Nel pomeriggio feci un giro che mi portò da Plaza Callao, dove ho trovato una forte presenza di cinema e tutte le locandine dei film apparivano in pannelli poggiati di fronte ai vari Imperial, Avenida o Cine Callao. Il palazzo Capitol, invece raffigura uno stile retrò che mi piacque molto.

Alle 18,00 poi mi recai a Placa de España per aspettare un ragazzo di nome David che era stato convivente Erasmus di Giovina, una mia amica, la quale mi aveva raccomandato a lui per il mio soggiorno a Madrid. Riconobbi subito David, visto che si sarebbe presentato con un quotidiano sotto il braccio e con una sciarpa del Real Madrid appesa ad uno zaino a strisce. David è un galiziano 28enne che lavorava a Madrid come portiere d’albergo. Insieme andammo ancora un po’ in giro e poi lentamente ci avviammo in metro verso lo Stadio Santiago Bernabeu. Alle 21 si sarebbe tenuto l’incontro di recupero della Liga tra Real Madrid – Sevilla. Fui molto fortunato perché il Real, dopo aver vinto a Tokio la coppa Intercontinentale contro l’Olimpia Asuncion, recuperava in casa appunto di giovedì la gara e la domenica avrebbe rigiocato di nuovo in casa!. Prima del fischio d’inizio notai che in Spagna non si entra nello stadio se non a gara ormai iniziata e che l’attesa si uccide gomito a gomito con gli altri tifosi negli innumerevoli bar che circondano lo stadio per di più in pieno centro di Madrid! Non avevo mai assistito ad una partita di calcio, se non la finale di ritorno di coppa Uefa a San Siro, dove l’Inter alzò la coppa ai danni del Casinò Salisburgo, quindi anche se dal terzo anello, la partita mi sembrò veramente uno spettacolo straordinario, soprattutto dopo le segnature di Raul, Flavio Conceicao e Zidane che fecero letteralmente tremare le fondamenta dello stadio.

Dopo la partita vinta 3 a 0 dalle merengues, David ebbe la bella pensata di raggiungere i suoi amici in una birreria de La Latina e ricordo che fecimo tantissima strada a piedi. Giungemmo stremati nel locale e fu molto strano essere attorniato e subito messo a proprio agio insieme ad altri ragazzi e ragazze che bevevano e chiacchieravano con me. Ricordo che riuscì a farmi capire bene e ricordo che mandai giù parecchia sangria, mentre si parlava di politica, calcio e storie di vita vissuta. Poi verso le tre, fu bizzarro il fatto, che prima di uscire dal locale, dagli altri tavoli nonostante non ci conoscessimo, tutti salutavano visto che ormai di vista si era almeno conoscenti, quindi perché non congedarci con un gesto della mano o del capo? La cosa mi stupì oltremodo! Mi riaccompagnarono al hotel dandomi appuntamento con David per il giorno seguente allo stesso posto, ma alle 22.

Venerdi 3 Gennaio 2003 Mi svegliai abbastanza tardi per essere in visita in una capitale e per di più tutto ciò che feci immediatamente dopo fu compiuto in modo abbastanza lento, ma comunque il vantaggio di viaggiare soli e proprio quello di non rendere conto delle proprie azioni. Feci colazione al bar e verso le 10 misi fuori il naso dalla hall. Faceva freddo, ma oggi mi aspettava la perlustrazione della Madrid borbonica. Mi diressi in metro, che è addirittura strabiliante per il livello di pulizia, nonostante il pavimento sia bianco! Scesi alla fermata Sevilla. Tornai sulla Gran Via e dopo aver guardato tutte le attrattive mi diressi piano verso Calle de l’Alcalà ed entrai nella Iglesia de San Josè. Questa chiesa fu un tempo prima convento poi addirittura convertito in teatro, per poi tornare chiesa. Era un tempo munita di grandi tesori che sono poi stati trasferiti nel museo de Il Prado. E’ ricordata negli annali di Madrid come la chiesa che fu colpita con un piccone da Alfonso XIII nel 1908 che con questo gesto volle dare il là alla parziale demolizione messa in atto dal progetto Gran Vìa. Continuai la passeggiata per arrivare a Plaza de Cibeles. Questa è una piazza che mostra parecchie attrattive di una caratura media superiore. Qui mi fermai e con calma olimpica montai il mio treppiedi, lo piazzai e poi aspettavo che il sole si affacciasse dalle nuvole per illuminare bene i soggetti che dovevo poi immortalare. Non nego che parecchi passanti mi hanno squadrato curiosamente nel mentre facevo questo rito. Al centro della suddetta piazza c’è la Fuente de Cibeles ed essa prende ovviamente il nome dalla dea greco-romana madre Natura che è stata rappresentata, dai due realizzatori Hermosilla e Rodriguez, seduta su un carro con due leoni intenti a trainarla. Oltre a questa statua ci sono poi i quattro edifici che chiudono questo angolo più unico che raro: ossia il Banco de Espana costruito in perfetto stile veneziano accademico, dove si ha l’impressione che sia un palazzo senza la porta d’ingresso, il Palazzo de Linares, che ha una storia particolare, ossia quella nel quale si volle ricompensare il banchiere madrileno Josè de Murga per il suo sostegno finanziario, offrendogli il titolo di marchese e lo stesso pretese immediatamente la costruzione della più sfarzosa residenza nella Madrid del tempo. Poi troviamo el Palacio de Comunicaciones costruito nei primi anni del novecento. Ha un aspetto candido e viene confidenzialmente chiamato Torta nuziale dai madrileni. Nella sala centrale si trovano gli sportelli di servizio e dei preziosi leggii in legno, ma è caratteristico per le collezioni di vario genere postale: come francobolli ovviamente, biciclette e uniformi da postino e lettere tra cui una di pane scritta da un soldato in guerra sprovvisto di carta. L’ultimo edificio è il Palacio de l’ejercito de Tierra, che non ho avuto il piacere di visitare. Successivamente al dettagliato studio della piazza, continuai la passeggiata fino ad arrivare alla Puerta de l’Alcalà. Questo è nato come arco trionfale voluto da Carlo III, perché desideroso di abbellire la parte est della sua capitale. La Puerta realizzata in granito presenta uno stile riconducibile espressamente al classico dettato anche dagli angeli scolpiti e dai cinque archi: due rettangolari esterni e tre centrali. Ebbi modo di ammirarla più volte nel mio viaggio a Madrid e posso dire che di notte offre una suggestione unica soprattutto quando guardando attraverso la stessa verso ovest, si vede in lontananza la cupola del Metropolis. Decisi allora di andare a pranzo, visto che era ormai passata l’una. Mi incamminai lungo Paseo del Prado e alla fine del vialone intrapresi Calle del Prado e dopo aver camminato per un po’ girai a Calle de Echegaray e lì mi aspettava la taberna Los Gabrieles.

Questo è un ristorante totalmente piastrellato che dona una atmosfera unica.

Dopo aver pranzato veramente bene a base di agnello alla brace condito con cavolo e carciofi ripieni e aver bevuto una intera bottiglia di vino rosso contemplai in pace la gaudente aria che traspirava dai tavoli vicini al mio. Ad un tratto la sorpresa: il cameriere si avvicinò e mi chiese se volevo accettare l’invito di sedermi ad un tavolo di altri commensali per dialogare con loro e mangiare insieme un flan. Rimasi con loro fino alle 15,45 per consumare la sombremesa, ossia la lauta conversazione su tutto e niente che segue il pranzo iberico.

Pagai il mio conto e salutai questi impiegati madrileni che furono miei amici di chiacchiera e che vollero offrirmi il dolce, perché si erano rattristati nel vedermi solo a pranzo.

Mi diressi al museo El Prado, immerso in una dimensione gassosa, dato dal vino e da un paio di bicchierini di anice offertimi. Entrai nel museo e uscii dallo stesso tre ore e mezza dopo con le gambe di legno! Il museo vanta la più grande collezione del mondo di pittura spagnola, soprattutto capolavori di Velàzquez e Goya, ma sono complete anche le esposizioni di pittura italiana e fiamminga.

Tanti furono gli affreschi che mi affascinarono, ma sicuramente quelli che ricordo con maggior piacere sono Le tre Grazie di Rubens, l’Annunciazione di Beato Angelico, la Maja vestida e la Maja desnuda di Goya, il Martirio di San Filippo di José de Ribera, Davide vince Golia del mio preferito Michelangelo Merisi alias Caravaggio, ma soprattutto la intera collezione Velàzquez, tra cui Las Meninas, che mi ha letteralmente sconvolto e l’apollineo Cristo crocifisso.

Sapevo dentro di me che il motivo che mi aveva portato a Madrid era riconducibile a quest’ultimo affresco. Volevo vederlo dal vivo e fotografare dettagliatamente una sezione del quadro stesso a cui attribuivo una importanza esistenziale. Questo viaggio a Madrid era nato nella mia mente anni prima e tutto era poi stato finalizzato all’ingresso al museo madrileno per un forte e profondo motivo personale che negli ultimi anni mi aveva avvicinato alla lingua aramaica, passando per la lettura dei Vangeli, vari testi sui viaggi in Terra Santa di Elena madre dell’imperatore Costantino e poi per la visita alla chiesa di Santa Croce in Gerusalemme a Roma, nonostante tutto continuando fermamente a rimanere ateo.

L’iconografia del dipinto si riallaccia a modelli sivigliani di Francisco Pacheco della metà del ‘Seicento, con i “quattro chiodi” (come ricordava il suocero-maestro di Velazquez) al posto dei anticonvenzionali “tre chiodi” e il volto reclinato, che tiene presenti anche i modelli italiani. Si racconta che a ordinare l’opera sia stato Filippo IV per espiare la passione sacrilega per una monaca e dove galeotta fu la casa vicina al convento.

Uscii soddisfatto dall’imponente struttura per incontrare David verso le 21,30 gli raccontai tutto quello che avevo fatto in giornata, mentre a piedi tornammo verso Puerta del Sol. Camminammo parecchio e un poco per la concentrazione che dovevo sviluppare nel capire il suo spagnolo e un po’ perché lo seguivo senza preoccuparmi di controllare mappe e incroci, ci ritrovammo sotto l’orso col modroño simbolo di Madrid. Sentii che confabulava parecchio al cellulare con gli amici che gli rifilarono il bidone e allora da soli andammo a cena a La Taurina, un locale della vicinissima Carrera de San Jeronimo, n° 5 e mangiammo una paella con sangria, spendendo relativamente poco e dialogando molto con il cameriere boliviano che, a singhiozzo per tutta la sera, in modo sarcastico e simpatico mi prendeva in giro sul fatto che noi italiani avevamo assunto l’arbitro Byron Moreno in una trasmissione della televisione nazionale statale. Il locale era semplice, ma particolarissimo perché tutte le pareti presentavano foto rigorosamente in bianco e nero di eventi legati alla corrida e tutti i personaggi che con essa avevano avuto modo di affermarsi. C’erano delle foto straordinarie, una in particolare che immortalava Manolete che addirittura dinnanzi ad un toro morente gli mordeva un corno, un’altra di Che Guevara sugli spalti, altre di Hemingway, di Picasso e altre ancora sui virtuosismi di Joselito. Passammo una serata molto bella e dopo un paio d’ore ci raggiunsero anche gli altri amici di David e in macchina mi portarono al quartiere Malasaña verso la mezzanotte.

Manuela Malasaña era figlia di Juan Malasaña, eroe della rivolta del 1808 e questa ragazza morì appena sedicenne battendosi contro le truppe napoleoniche. Era una sarta, che secondo la leggenda fu sorpresa dai francesi con delle forbici e fucilata per possesso illegale di armi. Tutta la zona, che prendeva il nome di questa ragazza negli anni Quaranta e Cinquanta andò in rovina, ma i residenti riuscirono a bloccare la demolizione. Negli anni ’60 poi arrivarono gli hippies attratti dagli affitti ridicoli, e tutto il quartiere divenne una bohemien city , mentre oggi sulla spinta artistica di alcuni personaggi dello spettacolo come Manu Chao, Bigas Luna e Almodòvar, la zona è sempre affollata di nottambuli, artisti e scrittori di sinistra. Tutto questo mi fu raccontato da Nacho e Lorena e fui contento di dialogare senza problemi con loro denotando una mia buona padronanza dello spagnolo, lingua che invece con David avevo difficoltà ad afferrare vista la sua cadenza celtica-galiziana.

Mi fecero vedere un paio di locali e in uno di questi mi indicarono El Tomate, un famoso chitarrista di flamenco, padre delle Las Ketchup, ossia le tre ragazze spagnole che qualche anno fa imperversavano con una orecchiabile canzone estiva intitolata “A-sé-re-jè”. Dopo qualche giro di birra Mahou di troppo, andammo a vedere le stradine lastricate del quartiere e in fine anche la chiesa de San Ildefonso, dove a fianco c’è una vecchia latteria che i madrileni considerano molto, ma che a me non destò grande entusiasmo. Mi riportarono in hotel poco prima delle 4,00.

Sabato 4 Gennaio 2003 Uscii dal hotel verso le 9,00, visto che dormii male forse per aver mangiato troppe tapas e bevuto forse troppo la sera prima. Avevo intuito che gli amici di David si divertivano a farmi bere, molte volte anche offrendomi a turno le consumazioni. Decisi di andare in metro a Sol per fare colazione alla migliore pasticceria della città: La Mallorquina! Questa pasticceria è conosciuta da tutti i residenti, perché sforna una specialità dolciaria differente per ogni giorno dell’anno, ma la qualità dei suoi dolci è ormai una istituzione. Appena si esce dalla stazione metro Sol, la pasticceria è all’incrocio tra Calle Mayor e Calle del Arenal, appena entrai era troppo affollata da togliere il respiro e nella estenuante attesa vidi in esposizione tanti oggetti legati alla dolciaria e altrettante caffettiere. Appena giunse il mio turno senza apostrofare la benché minima parola, il signore alla cassa mi disse “¿Que tal italiano? ¿Que desea?” rimasi stupito da con quanta facilità mi riconobbe, ma disse che era per come vestivo. Presi la mia fetta di dolce (roscones de reyes) e poi un buon yogurt bianco con miele liquido caldo e poi dopo aver assaggiato quella crema chantilly, ne comprai un’altra fetta e me la misi nel marsupio! L’avrei mangiata dopo come pranzo. Questa pasticceria mi sorprese per quanto fosse semplice, sembrava uno di quelli empori anni ’70 che popolava tutti gli angoli di una Italia che non c’è più. Scoprii che l’ex centrocampista di Milan e nazionale Demetrio Alberini, passò diverse volte di qui ad assaggiare le specialità, quando militava tra le fila dell’Atletico Madrid.

Ripresi la metro e andai di proposito nelle zone di Plaza de Colon e presi l’autobus n° 27.

Questo autobus è particolare perché viene considerato una sorta di taxi panoramico permanente, visto che attraversa Madrid da nord a sud. Per chi conosce Madrid o per chi avesse una mappa della stessa tra le mani, il 27 va da Plaza de Castilla fino a la estacion de Atocha. E’ stato un viaggio nel viaggio vedere la città comodamente seduti sull’autobus ad ammirare a naso all’insù tracce di architettura imperiale, liberty e art-noveau! Mi piacque così tanto che prima feci tutta la corsa da partenza-capolinea-partenza senza scendere e poi lo ripresi affinché mi portasse a vedere i due palazzi opposti, convergenti ed inclinati di 15° di moderna concezione architettonica che sono stati costruiti a Plaza Castilla. Risalii sul 27 e ridiscesi alla stazione de Atocha.

Ad Atocha partì il primo servizio ferroviario di Madrid nel 1850 inaugurato da Isabella II, adesso la nuova stazione è un esempio di nuova concezione architettonica, visto l’orto botanico che vive nella stessa struttura. Un esempio di grande impatto positivo sui viaggiatori, che ogni giorno passano di qui. E’ da ricordare che purtroppo l’11 marzo 2004 la stessa stazione è stata teatro di un attentato terroristico di matrice integralista musulmana che contò 200 vittime e la cosa mi lascia costernato, visto che sono stato lì di persona a passare del tempo entrando ed uscendo dalle gallerie ed esposizioni.

Ripresi poi la metro linea 1, scesi a Sol e poi mi diressi con la linea 2 al capolinea Ventas. Uscii fuori e mi sorpresi nel vedere l’arena della famigerata Plaza de Toros. In Spagna la maggior parte delle persone non gradisce le corride e ho avuto l’impressione che è per molti anche un argomento scomodo, ma c’è una minoranza che ha una passione insanabile e morbosa per questo tipo di attrazione. Dietro questa pratica ci sono persone che si esaltano ed esaltano qualsiasi nuovo talento come fosse un nuovo dio del firmamento delle corride per poi abbandonarlo appena ne nasce un altro. Questa impressione è testimoniata che ogni notizia riguardo i matadores viene riportata sui quotidiani o come terza notizia dei telegiornali nazionali. I toreri sono considerati alla stessa stregua dei calciatori! L’arena de Las Ventas è stata costruita nel 1929 in stile neo-mudejar e sostituì l’arena della città che sorgeva in prossimità de la Puerta de Alcalà. Questa struttura riporta archi a ferro di cavallo attorno a gallerie esterne ed elaborate decorazioni di piastrelle. Non potei entrare perché le corride si tengono solo da Maggio ad Ottobre, ma fotografai questa costruzione storica in modo meticoloso.

Poi ebbi l’incontro più genuino e significativo dell’intero viaggio. Mi si avvicinò un signore ben oltre la cinquantina e cominciò a chiedermi perché fotografassi con questa estrema dedizione i particolari neo-mudejar con il treppiedi e con i filtri speciali. Capì inoltre che viaggiavo da solo e se ne stupì parecchio, perché a suo avviso era malinconico visitare un posto in perfetta solitudine. Parlammo del più e del meno e dopo gli chiesi lumi su cosa ne pensasse del mondo dei toreri. Probabilmente non attendeva altro e mi spiegò con una dedizione assoluta ogni cosa di questa”setta”. Era proprio un signorotto pane e salame, infatti parlava con tutta l’enfasi di questo mondo della colpa delle “delicate”nuove generazioni” che stava mandando in rovina la corrida, buttando al macero una cultura ispanica che si perdeva nella notte dei tempi.

Era così affranto, che per un attimo dovette fermarsi di parlare per la commozione. A questo punto lo invitai a prendere un bicchiere insieme e allora lui fiero ed impettito mi disse che mi avrebbe riservato un trattamento da amico. Riordinai la mia attrezzatura fotografica e imboccammo insieme calle de l’Alcalà in direzione Placa Manuel Bacerra ed entrammo a Los Timbales, un locale che prende il nome dai tamburi che avvisano dell’entrata del toro in arena. E’ inutile sottolineare che tutto l’arredamento e quant’altro richiamasse la corrida e poi al bancone, il senor Sebastian ed io pranzammo a base di rabo de toro, ossia la coda di toro bollita e condita con sugo, spezie, patate, carote e zucchine.

Ammetto che fu abbastanza buono e fui contento di lasciare dopo quasi due ore questo amico di un pranzo, offrendogli il pasto stesso. In cambio lui ridiede lustro al mio seppur ottimo spagnolo, ma mi insegnò, con una passione viscerale che trapelava dai suoi gesti plateali e dai suoi occhi lucidi, la vera essenza della Spagna dei toreri. Mi stupì molto come mi raccontò del glaciale Joselito che fu il più spietato “cecchino” che in tutta la sua carriera non sbagliò mai un colpo grazie ad una innaturale capacità di anticipare le mosse dei tori, poi mi ricordò il migliore di tutti i tempi, Manolete, che toreava ritenendo il pubblico una sua naturale protuberanza e faceva tutto solo perché la platea si struggesse dinnanzi ai rischi gratuiti che amava inseguire. Il signor Sebastian, però, sembrava raccontasse la morte di un fratello quando mi citò Cubero. Lo chiamava affettuosamente Yiyo e la Spagna non fu mai così unita nel tifare per un solo uomo, senza creare asfissianti dualismi nazionali.

Yiyo, da giovanissimo, era il più grande talento mai visto prima, si diceva che anche una persona, che non avesse mai visto toreare, ritenesse le sue movenze tanto aristocratiche, quanto lineari e leggère. Era spaventosamente eccelso e il tutto incorniciato né dall’esagerato senso della missione di Joselito, né dalla incoscienza di Manolete El Cordobes. Neanche fosse stato un film, il 30 Agosto 1985, giorno del giubilo e del suo esordio a Plaza de Toros di Madrid, dove il biglietto di ingresso all’arena costava una somma vicina ad uno stipendio, Yiyo fu infilzato da Burlero il cui corno gli entrò da sotto la costola più bassa e sfilò fino al cuore! La cosa assurda fu che il toro fece un movimento anomalo, non colpì con la rincorsa, ma da fermo diede un colpo corto, roteando solo la testa dal basso verso l’alto in senso circolare e la potenza del collo fu così esplosiva che Yiyo fu scaraventato in alto in posizione eretta come se prendesse l’elevator! C’è per questo a Plaza de Toros una statua in bronzo di José Yiyo Cubero a due metri da terra in plastico volo d’angelo a ricordare il nefasto giorno dell’esordio del Maradona in traje de luces y banderillas! Molti passano davanti a questa statua e alzando lo sguardo al bronzo fanno il segno della croce neanche fosse la rappresentazione di Cristo! Sacro e profano.

Andai via alle 16 e Sebastian mi lasciò il suo indirizzo e numero di telefono se un giorno fossi tornato a Madrid con una novia (fidanzata).

Contentissimo tornai in metro ad Atocha per visitare il vicino museo Reina Sofia, pensando che se fossi entrato nel museo stesso (come del resto sarebbe stato logico fare per questioni di vicinanza) subito appena uscito dalla visita di Atocha, non avrei conosciuto il señor Sebastian. Nel museo c’è la famosa Guernica di Picasso, forse l’opera più famosa del XX secolo che è un dipinto di protesta contro la guerra civile, che venne commissionato dal governo repubblicano spagnolo nel 1937 per una mostra a Parigi. L’artista si ispirò al violento attacco aereo sulla città basca di Gernika, effettuato dai piloti tedeschi. Nel 1992 fu trasferito dal Prado al Reina Sofia.

Altre opere mi ispirarono molto come per esempio l’inquietante Minotauromaquia dello stesso Picasso e soprattutto Figura ad una finestra di Salvador Dalì. Anche da qui uscii quasi tre ore dopo e quindi mi diressi stancamente verso l’appuntamento con David e Lorena.

Girammo molto in metro e sentii che volevano portarmi al Caffe Gijon nella zona della Castellana. Era pieno. Poi andammo a prenotare per il giorno dopo alla Casa de l’Abuelo, perché avevo espressamente richiesto di mangiare lì, vista la fama del locale della Vecchia Madrid, ma le prenotazioni erano ormai fissate già fino alla prossima settimana, allora loro mi accompagnarono alla taverna ¡Viva Madrid! per prenotare, ma avrei dovuto stare a tavola con altre persone a me sconosciute. Mi sembrava comunque bizzarro che chiedessero a me se accettavo, piuttosto che contattare quelli che avevano già prenotato. A Madrid non sembra sia un problema aggiungere persone appena arrivate in un ristorante ad un tavolo già occupato con sedie ancora libere.

Uscimmo e rimanemmo all’aperto, nonostante la temperatura, per le zone di Plaza de Santa Ana completamente satura di giovani madrileni, si vedeva chiaramente che non c’erano turisti.

Dopo l’una e 30 tornammo a Sol e rimanemmo un’altra ora a bere birra seduti alle panchine e a parlare con gente conosciuta lì per lì. Fu paradossale il fatto che rimasi ad un certo punto con un’altra loquace comitiva, visto che Lorena parlava con altra gente seduta su un gradino del marciapiede e David non c’era più! Alla fine esausto salutai e pensai di andare via a piedi, ma un amico di amici in scooter mi riaccompagnò al hotel. Scesi che ero quasi ibernato.

Domenica 5 Gennaio 2003: Mi alzai che non stavo molto bene, avevo forse un po’ di febbre, ma non volli misurarla per non condizionarmi. Rimasi completamente al buio nella vasca immerso nell’acqua fumante per più di un’ora. Decisi poi di uscire. Andai a piedi al Palacio Real, che dal mio hotel non era affatto lontano. Scelsi quella destinazione perché era già predestinata sul mio taccuino e perché non era distante dall’albergo se avessi avuto sintomi di influenza. Entrai nel giardino del Palazzo Reale da Cuesta de San Vicente e quindi visitai in un surreale silenzio il Jardines de Sabatini. Il Palazzo Reale è posto su un alto promontorio affacciato sul Riò Manzanares, fu per secoli una fortezza reale, ma a seguito di un incendio avvenuto nel 1734, Filippo V ordinò che venisse trasformato in palazzo. I lavori durarono 26 anni e videro il regno di due monarchi borboni. La famiglia reale abitò nel palazzo fino all’abdicazione di Alfonso XIII, nel 1931. L’attuale re, Juan Carlos I, vive nel più modesto Palazzo Zarzuela, fuori Madrid, ma a Palazzo Reale si tengono ancora cerimonie di Stato. Non entrai nel Palazzo perché lì per lì non ne sentii l’esigenza e dai giardini mi ritrovai in un bellissimo posto nelle vicinanze dell’Opera di Madrid, ossia Placa de Oriente. Ebbi la sensazione di una conciliante atmosfera, passeggiando su per questa strada ricca di fascino e di suggestione data da il Cafe de Oriente con tavoli all’aperto per godersi la vista e di alcuni artisti di strada che nonostante la loro radice popolare non toglievano il benché minimo piglio di aristocrazia insita nel posto. La piazza era un importante punto di incontro per le occasioni di Stato: re, regine e dittatori fecero le loro apparizioni in pubblico sul balcone del palazzo che si affaccia sulla piazza. Su questa strada si consumò il 2 Maggio 1808 una pagina triste della storia spagnola, visto che furono fucilati a sangue freddo i madrilenos che si rivoltarono contro le truppe francesi e questo episodio oltre ad essere ricordato con una targa commemorativa sul vialone stesso, ma lo si tramanda ai posteri attraverso un affresco di Goya, chiamato appunto La Fucilazione (1814). Questa dei madrilenos fu una insurrezione decisa, perché una volta che il primo ministro Godoy favorì la Francia di Napoleone nell’attraversamento della stessa Spagna per conquistare il Portogallo, i francesi occuparono anche la Spagna. I madrilenos, quindi, si accanirono contro i reali e contro l’odiato consigliere Godoy e nel marzo 1808 diedero inizio ai moti contro gli stessi francesi che governavano di fatto dietro alle spalle del fantoccio Ferdinando VII. Continuando la passeggiata giunsi che mi trovai nel posto che ritengo il più significativo di Madrid, dove su un lato avevo Plaza de Armas circoscritta da un sontuoso cancello e dall’altro lato la Catedral de l’Almudena. Plaza de Armas forma l’ingresso della Farmacia, del Palazzo e dell’Armaria reale e il primo mercoledì del mese a mezzogiorno si può assistere al cambio della guardia, mentre la Catedral di Madrid, la cui costruzione iniziò nel 1879, fu completata soltanto nel 1993 e successivamente inaugurata dal Papa. I lavori procedettero con estenuante lentezza e si arrestarono del tutto durante la Guerra civile. La facciata neogotica bianco-grigia è simile a quella del Palacio Real, che si trova di fronte. Poi decisi di andare a El Rastro visto che era domenica mattina. El Rastro è il centro del famoso mercato delle pulci di Madrid. Lo trovai pieno zeppo di gente intenta ad acquistare di tutto. Trovai interessanti alcune bancarelle di antiche monete e capii quanto è importante la numismatica in Spagna, tale che addirittura in alcuni matrimoni reali, la sposa accoglie tra le sue mani delle monete d’oro che lo sposo gli dona e sembra che siano le stesse monete ad essere passate di generazione in generazione, ogni volta arricchite da un’altra nuova di zecca. Anche il matrimonio tra Felipe di Spagna e la giornalista Laetitia Ortiz fu ufficializzato con questo rito. In ultimo entrai in Calle de Embajadores, che fiancheggia la Chiesa de San Cayetano. El Rastro è proprio un bel posto, dove si vedono molti giovani che acquistano anche abiti di seconda mano e si vede che è un posto che ha visto la storia oscura e quotidiana di Madrid. Per alcuni versi mi ricordò molto la nostrana Napoli dei Presepi a dicembre. Vista l’ora, era opportuno che mi avvicinassi al ristorante e quindi a piedi giunsi dinnanzi alla taverna ed entrai a ¡Viva Madrid! Ammetto che fu uno spettacolo solo guardare gli interni. C’erano molti quadri e specchi e da terra fino ad una altezza di 1 metro e cinquanta dappertutto era coperto da piastrelle decorative, mentre tutti gli archi che sormontavano le colonne erano rivestiti da capitelli di legno scuro. Mi ricordava quasi uno stile arabo o addirittura quello manuelito del vicino Portogallo. A questo punto mi sedetti, ma nonostante fossero le 14,00 i miei compagni di tavolo a cui ero stato destinato non erano ancora arrivati, quindi decisi di iniziare il pranzo. Il cameriere mi si avvicino e mi propose il cocido madrileno, visto che era stato ordinato dalle due famiglie sedute poco dinnanzi al mio. Il cameriere mi sembrò entusiasta per me per quanto mi stava proponendo e vista la sua enfasi accettai. Effettivamente mangiare il cocido è difficile se al tavolo si siedono in pochi. Il cocido richiede una preparazione molto lenta, forse addirittura quattro/cinque ore e mi stupii ancor più quando mi servirono prima il brodo e poi la verdura mista alla carne trita .

I miei potenziali compagni di tavolo alla fine non vennero e rimasi purtroppo da solo per tutto il pranzo a capotavola di un tavolo da otto. Gustai tutto il brodo e poi tutto il resto fatto in pasticcio di ceci, carote, patate, rape, porri, cavolo e zucchine con prosciutto essiccato, pancetta, pollo, manzo e salsicce tutto insieme ad una intera bottiglia di vino tinto. Ovviamente non volli nient’altro e quando andai a pagare il conto, il cassiere mi consigliò di salutare il tavolo, che grazie al quale ebbi l’opportunità di gustare un cocido da quattro ore. Feci finta di non capire e andai via: non ne capivo il motivo e mi imbarazzava soltanto l’idea di avvicinarmi ad un tavolo di sconosciuti che neanche sapevano cosa avevo mangiato e che pagai io stesso! Una intera bottiglia di vino mi regalò l’impressione che le mie molecole compositive si fossero appena disunite, dandomi una piacevole sensazione soporifera. Andai quindi a zonzo fino a ritrovarmi sulla Gran Via e voltai in discesa a Calle de la Montera. Appena una decina di passi dopo mi sembrò di stare in un ambiente diverso, cominciai a vedere intorno a me solo donne e per di più vestite in abiti succinti nonostante la rigida temperatura. Mi guardavano negli occhi e mi sorridevano. Erano prostitute! Appena realizzai questa idea alcune di esse a turno, appena entravo nella loro area, mi avvicinavano proponendomi un incontro sulle camere al piano d sopra. Non riuscivo ancora a realizzare che nella strada più centrale di Madrid ci fosse questa realtà, era come se imboccata Via dei Condotti a Roma ci si imbattesse in un quartiere rosso illegale. Per intenderci Calle de la Montera collega la Gran Via a Puerta del Sol! Andai avanti, ma dopo la sorpresa iniziale, mi abituai alla cosa e arrivai fino in fondo a Sol. Va detto che le ragazze sono tutt’altro che avvenenti e la stragrande maggioranza ha una brutta cera con visi vissuti e scavati. Presi il caffè a Sol e dopo un’ora ripercorsi Calle de la Montera in senso opposto (in salita) e sull’altro lato. Tutto come prima, facevo finta di non capire lo spagnolo e al secondo tentativo di invito le donne me lo comunicavano in italiano! Una di loro, una ragazza di colore con le treccine ossigenate sulla ventina d’anni, ricordo che mi fermò parandosi davanti a me e mi disse se accettavo, le risposi che avevo mia moglie in hotel che mi aspettava e che non potevo e lei mi rispose “¡Te juro que no se lo deciré! ” (Ti giuro che non glielo dirò!), mi venne da ridere e andai oltre. Arrivato sulla Gran Via cominciai a rivedere una tipologia di gente diversa, circolavano cappotti e non vestiti maculati, scarpe comode e non tacchi a spillo e buste della spesa al posto di borsette, ma paradossalmente si rivedevano gli altri accessori appena mi giravo indietro. Decisi di andare al museo Thyssen-Bornemisza , infatti mi avviai, ma a Plaza de España mi distrassi con la imponente sfilata dei magi che si svolge il 5 gennaio con carri allegorici lungo le festanti strade di Madrid che ai madrileni è tanto cara e successivamente in un via vai tra negozi che esponevano suggestivi coltelli di Albacete e Toledo. Erano ormai le 17,30 quando ripresi l’autobus 27 di notte e mi assaporai tutta Madrid da nord a sud di notte questa volta e forse solo lì mi resi conto la prima volta di viaggiare da solo. Scesi e mi diressi allo Stadio Bernabeu con l’intento di visitare il Museo del Real Madrid. Entrai pagando 4 Euro e iniziai il giro. In quel contesto capii cosa significhi per un bambino entrare in un negozio di giocattoli sotto Natale, ma il colmo lo raggiunsi quando entrai nella stanza delle stelle. C’erano tutte e otto le coppe Campioni e le tre Coppe Intercontinentali e sopra ognuna delle quali c’era un monitor che mandava in onda la partita nella quale las merengues alzarono la coppa al cielo! Ebbi la fortuna di fotografare l’ultima coppa Campioni, ma soprattutto toccare la Coppa intercontinentale che il Real Madrid aveva vinto appena 22 giorni prima a Tokio con reti di Ronaldo e Guti. Vidi anche le due coppe Uefa, che probabilmente sarebbero potute essere dell’Inter, se il Real Madrid di Santillana e compagni non l’avesse eliminata in due struggenti semifinali consecutive degli anni Ottanta. Sarcasticamente il video sopra le coppe non riportava le finali del Real disputate con il Videoton e con il Colonia, ma le due semifinali con l’Inter! Uscii che erano le 20,30 e subito mi incontrai con David. Aveva già i biglietti di Real Madrid – Valencia e li aveva pagati 60 euro l’uno! Avremmo visto la partita dal primo anello, mentre il Valencia primo in classifica incontrava i padroni di casa secondi. Bevemmo un paio di birre alla spina (caña e non cerveza) ed entrammo. Tutto esaurito in ogni ordine di posto. Entrai ancora una volta in una dimensione atemporale, dove tutto sembrava rallentato, lo stadio così pieno mi esercitava una derubricazione ponderale. Sembrava fossi più leggero e ammetto che i miei occhi si gonfiarono, quando al fischio d’inizio telefonai a casa per comunicare a mio padre dov’ero. Certo quello era lo stadio dove l’Italia calcistica aveva vinto l’ultimo campionato mondiale nel lontano 1982, ma non ero mai stato così coinvolto per un evento sportivo. Tutto non era da attribuire ai vari Zidane e Roberto Carlos che erano in giornata di grazia, ma dalla folla trasbordante e da ciò che storicamente il Real rappresentasse, al di là del mero gioco espresso sul campo.

La partita finì 4 a 1. Il Valencia giocò bene fino alla espulsione di Ayala, quand’era ancora sul 1 a 1 a 30 minuti dal termine. Sul quarto gol dei madrileni, mi alzai e mi diressi vicino alla balaustra e iniziai con gli altri tifosi a pregare come gli arabi in segno di devozione alla corsa di 40 metri di Zidane con la palla al piede finita poi in rete. Fu simpatico, divertente e folkloristico.

Usciti dallo stadio, accompagnai David al hotel, dove doveva iniziare il turno notturno di lavoro e poi verso la mezzanotte tornai in hotel per preparare tutti i bagagli, visto che la mattina dopo ripartivo per l’Italia. Ci salutammo e lo ringraziai per quanto fatto, augurandoci di rivederci magari in Italia. Feci per restituirgli i soldi dello stadio, ma incredibilmente non li accettò. In segno di amicizia e rispetto gli inviai una cravatta una volta tornato in Italia. La mattina seguente dall’aeroporto di Barajas ripresi la via di casa con la Thai Airline che faceva scalo a Roma alla volta della Thailandia.

Conclusioni. A Madrid sono stato troppo poco per poter dare un giudizio e un consiglio a chi magari desidera saperne di più. Sono andato a Madrid perché avevo il desiderio di definire meglio la rincorsa che avevo iniziato anni prima nella ricerca di alcuni tasselli importanti per completare le mie conoscenze sul Titvlvs Crucis, ossia la targa che era stata apposta sulla croce di Cristo dai suoi aguzzini al momento del suo imminente trapasso. Andando a Madrid avrei potuto quindi fotografare le scritte che pittori come Velazquez, Rubens, Goya, Francisco de Zurbaran e Chagall dopo le loro estenuanti ricerche avevano apposto sui loro affreschi raffiguranti la crocifissione stessa.

Va detto, che ancor prima di partire per Madrid, ero già cosciente che non avrei riportato con me la consapevolezza di essere il depositario indiscusso della verità cosmica sul momento storico che a mio parere ha condizionato, se non cambiato, l’intera cultura, filosofia, costume e religione dei popoli dell’Europa occidentale, ma sicuramente nel mio piccolo ho raccolto dell’importante materiale su quelle scritte aramaiche, greche antiche e latine e da lì partire per altri approfondimenti.

Inoltre ho scelto di fare un viaggio in perfetta solitudine, perché desideravo sdoganare l’epilogo di una intensa storia d’amore durata oltre tre anni, ma che si era interrotta in sole 48 ore e pensavo che completare un viaggio da solo avrebbe potuto contribuire ad esorcizzare lo spettro della mia passata compagna, almeno per un breve lasso di tempo e per uscire un po’ dal cliché della mia città di provincia, che ad ogni angolo sapeva riportarmi alla mente un ricordo o un aneddoto consumato con chi non condivideva più con me spazi e tempi.

Questa mia doverosa premessa vuol far intendere al lettore che io, spinto a monte da suggestioni così strettamente personali e per di più viaggiando da solo, ho percepito una città che in condizioni diverse potrebbe sublimare giudizi differenti e i pareri, quindi, potrebbero variare diametralmente, nonostante si parli della stessa città.

Ho avuto modo di capire che viaggiare in perfetta solitudine rende la persona molto più attenta e soprattutto esageratamente percettiva ai fattori esogeni. Si ha l’impressione di filtrare tutto e girando in perfetto silenzio, senza essere “distratto” dai comuni dialoghi coi compagni di viaggio, ci si sente parte integrante dell’ambiente in cui ti trovi. Paradossalmente in tanti mi hanno notato e questo ha suscitato curiosità che per alcuni magari è rimasta sopita, altri hanno tentato un contatto che non è andato oltre il tempo di una fermata di autobus, due giovani donne di un gruppo di impiegati sedute a pranzo, hanno spinto un cameriere ad invitarmi a finire il pranzo al loro tavolo, mentre con il señor Sebastian ho addirittura mangiato senza sapere chi fosse! Al di là delle mie soggettive sensazioni, Madrid mi è sembrata una città molto curata e ben tenuta e subito mi è balzato agli occhi il prepotente desiderio di questa città nel voler essere considerata una delle grandi e organizzate capitali del mondo. Nello stesso tempo non la colloco minimamente alla stessa stregua di metropoli come Londra e Parigi, ma sinceramente non so se questo possa apparire come un difetto o complimento. Mi ha stupito molto la tenuta degli spazi pubblici e mi riferisco soprattutto alle stazioni della metropolitana che si permettono il lusso di ostentare un pavimento bianco, e che tutte le mattine successive torna di nuovo immacolato. Per l’appunto una citazione di rigore va rimandata alla stazione di Atocha, dove attraverso l’orto botanico annesso, ho avuto l’impressione di passeggiare in un tentativo postmoderno di esprimere forme artistiche di architettura più che in una mera stazione ferroviaria. Lo stesso discorso vale per la tenuta dei marciapiedi e delle aree verdi, dove le guardie pattugliavano per non permettere ai senza tetto di accamparsi abusivamente.

Altra cosa che mi ha colpito di Madrid città, è come il Municipio abbia saputo utilizzare l’illuminazione per rendere ancora più maestosi i palazzi e le fontane, infatti dai balconi delle strutture maggiormente carismatiche della città, alcuni faretti dalla luce arancione, vengono puntati contro la stessa struttura dal basso verso l’alto e questo gioco luminoso crea un effetto di grande sontuosità. Dal famigerato autobus 27, rigorosamente di notte, ho potuto coglierne appieno l’essenza attraverso la raggiante acqua delle fontane illuminate.

Della gente e abitudini di Madrid non capisco cosa ci trovassero di così naturale, mangiare a pranzo in piedi dinnanzi al bancone e sistematicamente buttare sul pavimento tovaglioli arrotolati, noccioli di olive rosicchiate, gusci di arachidi, stuzzicadenti e addirittura la cenere delle sigarette e il mozzicone ultimato e poi con estrema naturalezza pagare il conto e andare via calpestando fino all’uscita i resti delle tapas dei precedenti commensali. Sembra addirittura che per valutare la qualità del locale “mordi e fuggi” bisogna guardare per terra appena entrati. Trovo invece molto suggestivo l’aneddoto storico inerente alle tapas. Esse prendono il nome dal coperchio che il cameriere era solito porre sul bicchiere di vino rosso per parare le mosche e le rare gocce d’olio che colavano dai prosciutti messi a seccare proprio sopra le teste degli avventori che volevano spezzare la fame prima del pranzo. Insieme al vino ci accompagnavano poi anche acciughe, prosciutto e frittata.

Avendo appena superato i 30 anni, ho gradito la bizzarra abitudine dei giovani ragazzi madrileni di portarsi da casa alcune bottiglie di rhum, succo di pera, lattine di coca cola e bicchieri in plastica e improvvisare sulle panchine, sui cofani delle loro auto e sulle selle dei motorini, delle vere e proprie feste private in piazza (a Sol in particolare) e questo denotava una nota di grande colore alla stessa piazza. Poi ho notato che poi a notte fonda, il potere che l’alcol ha nell’allentare le maglie inibitorie, dava luogo a comunioni di gruppi festanti e a nuovi cocktails metropolitani. Mi dissero che questo tipo di festa, nella quale cercai invano di infiltrai abusivamente, veniva comunemente chiamato Botellones. Tra i quartieri ho preferito La Latina e di questo ho gradito l’idea che nei locali notturni non ci siano molti tavoli e questo penso che permetta una maggiore presenza e soprattutto maggiore socializzazione. Standoci pochissime sedie, i giovani si muovono da un capo all’altro e si è inconsciamente molto più propensi ad imbattersi e a toccarsi l’uno con l’altro e quindi a conoscersi, magari grazie ad un galeotto piede pestato e con le susseguenti scuse di rito. Penso che questa usanza permetta ai più di uscire dal locale non sempre in modo desolante solo con chi si è entrati due ore prima. Ammetto che la mia situazione da lupo solitario mi spingeva inevitabilmente ad essere più disponibile a sorridere o a passare gli eventuali tovaglioli o portacenere richiestomi, ma un po’ la mia perfetta padronanza della lingua spagnola, un po’ la stranezza che suscitavo negli altri, mi fecero piacevolmente ritrovare al centro di gruppi festanti nel bel mezzo di un fragoroso brindisi. Ironia della sorte spesso suscitavo curiosità nelle ragazze che dopo avermi studiato, a mezza serata si abbandonavano alle domande sul come mai mi trovavo lì.

Oltre alle impressioni pratiche, invece, considero Madrid una città imbevuta di cattolicesimo, dove c’è la presenza ad ogni angolo della religione cristiana, quasi tutte le strade e le piazze portano nomi di santi o di persone che con il cattolicesimo sono stati in forte simbiosi, anche molti locali sono dedicati a uomini di fede e si capisce da subito che si vive in una città dove la domenica mattina ci si alza con il suono delle campane. Va detto comunque che nonostante questa neanche tanto celata spiritualità, Madrid non è sicuramente profonda e mistica come La Mecca, Gerusalemme o Benares, ma sicuramente si respira la religione che è sintomatica dalle croci in oro che spuntano dai colli delle camicie dei madrileni e dal Prado, dove gli affreschi non sono sicuramente quelli del Rijskmuseum di Amsterdam. Anche l’Opus Dei penso che stia prendendo sempre più vigore e José Maria Escrivà de Balaguer ha lasciato in questa città parecchi adepti che lo considerano ancora un padre putativo.

Sicuramente non tornerò a Madrid entro breve, anche se Gilda, la mia attuale compagna, spinge per visitarla dopo quanto ho saputo raccontarle e dalle impressioni ed emozioni che ha trovato riportate sul mio dettagliato diario di viaggio (lo stesso che ha contribuito a redigere questo resoconto). Ammetto candidamente però, che desidererei stringere nuovamente la mano a David, che si è rivelato uno “sconosciuto” con un forte senso di altruismo e di generosità verso il prossimo, come anche riabbracciare il señor Sebastian, che forse come me, si sentiva solo quella mattina a Plaza de Toros di Madrid! Per il sito Turisti per caso ho già scritto due resoconti intitolati – Parigi e i gargoyles de Notre Dame – e – Amsterdam e le sue tre X.

Nicola – Lanciano (CH)



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