Ma che ce vai a fà?
In ogni modo parto. Visito prima Monaco di Baviera e Colonia da cui prendo il treno per Köblenz da cui c’è la coincidenza per il Lussemburgo. Il treno per Lussemburgo è piccolino: solo due vagoni, solo posti per non fumatori con la prima classe ridotta a due file di poltrone in prima carrozza. Arrivo a mezzogiorno circa e inizio le formalità d’orientamento: procacciarsi una cartina, cambiare i soldi, barcamenarsi con i mezzi pubblici per raggiungere l’ostello. Per il cambio non c’è niente in stazione, né uffici di cambio nelle vicinanze: tocca andare in banca e pure alla svelta perché sta per chiudere. Vado, cambio 150.000 Lire e mi danno circa 3.000 Franchi BELGI! Come immaginavo! Che delusione, c’ero venuto a posta! I Lussemburghesi usavano la moneta belga, ma la chiamavano Franco Lussemburghese. Perché? Boh! Vabbè, non ha importanza, ormai ci sono, meglio godersi le meraviglie artisticoculturalturistiche di questa amena località, anche se nel cervello mi risuonano i commenti dei miei amici «Ma che ce vai a fà? Nun ce sta un cacchio!». Arrivo in ostello (2, rue du Fort Olisy L-2261, Luxembourg – www.Youthhostels.Lu/f/auberges/luxembourg/auberge.Html), un casermone di quatto piani brutto brutto che sembra una fabbrica, addossato alla “Passerelle”, il viadotto ferroviario. Le camerate sono da una ventina di letti divise per sesso, con bagni e docce nel seminterrato. Le docce sono come quelle delle palestre: senza box! L’ambiente è pulitino e ordinato, il prezzo è di circa 15 Euro attuali, colazione inclusa. Un po’ inquietanti, però, sono i cartelli appesi ai muri che, abbastanza maniacalmente, ti dicono di stare attento ai ladri. Non me lo aspettavo in Lussemburgo.
Comunque, aspetto l’ora del check-in con una certa fame placata in minima parte con un cappuccino lussemburghese preso alla macchinetta automatica coi pochi spicci che avevo; salgo in camera, mi rassetto un minimo ed esco alla scoperta di Lëtzebuerg-Stad (Città del Lussemburgo – lì la chiamano così). La prima cosa da fare è scalare la salitona che dall’ostello porta alla città, una strada con una pendenza micidiale che l’indomani avrei dovuto affrontare con lo zaino in spalla (a scendere era stata tutto sommato più umana). La prima cosa che si incontra dopo la salita è il Promontorio Boch dove ci sono i resti delle fondamenta del primo castello di Lussemburgo, da cui si gode un bel panorama della città. Scattate un paio di foto, vado oltre, passo alla chiesa di S. Michele, in stile misto tra il romanico, il gotico e il barocco, e mi avvio verso il centro vero e proprio della città. Arrivo al Palazzo Granducale, un edificio in uno stile particolare, massiccio e severo, affiancato dal Palazzo della Camera dei Deputati un palazzo piccino piccino con una mucca colorata piazzata proprio davanti all’entrata. Il paragone col palazzo della nostra Camera dei Deputati mi spiazza un po’: rispetto a Montecitorio, quello loro sembra una villetta monofamiliare, con la porticina e le finestrelle. Di fronte al Palazzo Granducale, dopo aver percorso Rue de la Reine, si apre Place Guillaume II (pure detta Knuedler), dove si affaccia il Municipio. Dalla piazza, passando attraverso una galleria coperta, si sbuca sulla Groussgaass o Grand Rue, la via principale, su cui si affacciano alcuni negozi tra cui un fornaio dove ho pranzato con un buon panino al formaggio (prezzi modici e buon cibo a conti fatti). Alla fine della Groussgaass si apre la Place d’Armes, il vero cuore della Lëtzebuerg-Stad vivaiola, piena di ristorantini, bar e fast-food, dominata dal Cercle Municipal, palazzotto ora adibito a sede di numerose esposizioni, tra cui quella fotografica sulla Famiglia Granducale che visito anch’io trovandomi lì. Al centro della piazza c’è un gazebo su cui suonano vari complessini e orchestre per ravvivare la vita.
Gironzolo un po’ per la città, entro in un “grande magazzino” di quelli internazionali (si chiama C&A) che altrove è ospitato in palazzi megagalattici, ma che a Lussemburgo sta in una casetta di due piani. Tra le altre cose che esploro c’è la Cattedrale di Notre Dame, dove mi rifugio per più di un’ora visto che piove a dirotto e l’ombrello sta all’ostello, e la Place de la Constitution in cui svetta la Gëlle Fra, una statua d’oro su un obelisco (in memoria dei caduti della I Guerra Mondiale), da cui si gode un bel panorama. Continuo a girovagare, la pioggia riprende e mi rifugio nella chiesa dei Cappuccini; quando esco la città è cambiata. Sono le 19h00 e non gira più un’anima. Desolazione!!!! Che faccio adesso? Cenare è presto, visitare ancóra qualcosa: che? È finito tutto, ho visto tutto. «Cerchiamo un posto per la cena!», così con l’occasione perlustro un altro po’ Lussemburgo. Mi aggiro nella penombra del crepuscolo nuvoloso, solo solo, tipo un lupo mannaro. Non girano più neanche i Giapponesi che durante il giorno erano ovunque. Per mangiare ci sono un po’ di ristoranti mezzi vuoti di cui uno italiano (non mi pare il caso) e uno cinese (costosissimo!). Ultima spiaggia: un tristissimo Mac Donald sulla Place d’Armes. Mi siedo e mi mangio un “Gemüse Mac”, panino vegetariano (perché in Italia non li fanno?) e patatine, mentre fuori un complessino suona musica jazz ascoltata da numero 22 persone e un cagnetto. Che tristezza! Finita la lauta cena mi godo lo stesso tour turistico della mattina, ma illuminato dai lampioni (la zuppa è la stessa, ma la prospettiva è diversa). Finito il triste giro serale, sono da poco passate le 21h00, getto la spugna e ritorno all’ostello. Mi perdo, giro a vuoto, cado lungo per terra su un tombino bagnato sotto lo sguardo impassibile di una coppia di indigeni quarantenni che neanche mi dànno la soddisfazione di ridere di me, mi rialzo, imbrocco la strada giusta e torno all’ostello. L’indomani mi alzo e me ne torno in Germania.
Bilancio: Boh! Lo sapevo e me l’avevano detto che in Lussemburgo non c’era niente da fare, ma era da troppo tempo che ci volevo andare che alla fine ho ceduto. Dai miei circa due giorni in Lussemburgo ho scoperto che è un posto singolare. Intanto la storia della moneta non l’ho capita: la chiamano Franco Lussemburghese, ma poi non hanno neanche le monetine lussemburghesi, ma usavano quello belga; ora però hanno gli Euro lussemburghesi col profilo del Granduca Henri sugli spicci. La lingua: ufficiale è il Lussemburghese (Lëtzebuergesch), però i nomi delle vie e le cose ufficiali le scrivono in Francese, molti parlano il Tedesco, che è la lingua usata maggiormente da giornali e riviste e in cui sono scritti i libri. La gente è particolare: i lussemburghesi mi sono sembrati persone gentili e cordiali, molto disponibili ed educate; sono gente calma ed imperturbabile, ma soprattutto, dove vanno la sera i Lussemburghesi? Sicuramente non a Lussemburgo. Un’altra cosa bislacca è che nei mezzi pubblici non è permesso l’uso del cellulare: anche in Germania spesso è vietato sugli autobus (ma permesso nella metropolitana), ma non ho capito il perché.
Tirando le somme, non mi sento di consigliare a nessuno un viaggio in Lussemburgo; certo se ci si trova nei paraggi una visita male non fa: tra i monumenti della città e i paesaggi dei dintorni, che sono in effetti belli, si può conoscere un pezzettino di mondo in più, il che non guasta.