Luna di miele ai Caraibi: il sogno si avvera!

„Sposi… oggi si avvera un sogno e siamo sposi….” Così recitava il ritornello di una vecchia canzone. In realtà, per me e Alessandro si sono avverati due sogni contemporaneamente: il matrimonio e la luna di miele ai Caraibi! Ho trovato questo viaggio quasi per caso, navigando in internet, ma quando ho letto...
luna di miele ai caraibi: il sogno si avvera!
Partenza il: 04/06/2001
Ritorno il: 18/06/2001
Viaggiatori: in coppia
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„Sposi… oggi si avvera un sogno e siamo sposi….” Così recitava il ritornello di una vecchia canzone. In realtà, per me e Alessandro si sono avverati due sogni contemporaneamente: il matrimonio e la luna di miele ai Caraibi! Ho trovato questo viaggio quasi per caso, navigando in internet, ma quando ho letto “Crociera di una settimana nei Caraibi occidentali, con possibilità di settimana supplementare a Cayo Coco” (deliziosa isoletta dell’arcipelago di Cuba) mi sono detta: “Questo dev’essere il nostro viaggio di nozze…. E questo sarà, costi quel che costi!”. Alessandro, ovviamente, era d’accordo: era quello che avevamo sempre desiderato…. Ed ora poteva diventare realtà! Per inciso, la cifra è stata anche di gran lunga inferiore a quanto paventavamo… il che non guasta mai! Ci sposiamo il 3 giugno del 2001 a San Rocco di Camogli, sulla riviera genovese di Levante, in uno splendido pomeriggio di sole, rinfrescato da un piacevole venticello. Cerimonia suggestiva e ricevimento divertentissimo, che prosegue, tra canti, balli e scherzi, fino a notte fonda. Poi di corsa a casa, nella nostra nuova casa, dove, dopo una doccia veloce, ci tuffiamo nel letto…. Per dormire!!! Beh, come prima notte di nozze non sarà il massimo, ma tra poche ore dovremo partire alla volta di Milano Malpensa e siamo stremati! Ci addormentiamo a fatica, con addosso ancora il ricordo della splendida giornata trascorsa.

Abbiamo appena chiuso gli occhi (o, almeno, così ci sembra!), quando la sveglia si mette a suonare, ricordandoci che dobbiamo affrettarci: prima partiremo e più le strade saranno libere e si viaggerà con il fresco mattutino! In mezz’ora siamo pronti e, alle sette e mezza stiamo già viaggiando in autostrada. Siamo quasi soli. Che bello: arriveremo in anticipo e poi avremo tutto il tempo per rilassarci, una volta effettuato il check-in!…. “Ma…. Che succede???… Cosa sono tutte quelle auto ferme laggiù???” Faccio appena in tempo a finire la frase, ed ecco che ci ritroviamo invischiati in un ingorgo da paura, di quelli da cui non si esce nemmeno pregando!!! Dopo un po’ l’Onda Verde annuncia un incidente poco distante da Milano, che ha coinvolto un TIR, il quale ha ostruito la carreggiata, bloccando il traffico…. Ma Milano è ancora lontanuccia!…. Beh, magari tra poco interverrà la Stradale e farà defluire le auto…. Speranza vana. Passa mezz’ora… tre quarti d’ora… un’ora. La mia ansia è alle stelle! Allora, per “sdrammatizzare” me ne esco con un: “Se non riusciamo a prendere l’aereo, significa che era destino: magari l’aereo doveva precipitare!” Ma ci riusciamo, anche perché ci sono almeno altre venti persone nella nostra stessa situazione! Arriviamo di corsa all’imbarco e prendiamo posto. Ci aspettano nove ore di volo, durante le quali non riesco a pensare ad altro che a questo benedetto aereo, che avrebbe dovuto precipitare (almeno secondo le congetture della mia mente perversa!!!), e sobbalzo ad ogni vuoto d’aria e ad ogni minima turbolenza.

Finalmente, ecco che il comandante annuncia che stiamo per atterrare a l’Avana…. Che sollievo! Nonostante il cielo sia coperto e l’aria caldissima ed appiccicosa, mi sembra il posto più bello del mondo, un po’ perché è finito il “calvario” del volo, ma soprattutto perché il nostro sogno sta cominciando ad avverarsi! Sbrigate le lunghissime formalità burocratiche, usciamo dall’aeroporto e troviamo ad attenderci il pullman, che ci porterà alla nave. Il nostro accompagnatore si chiama Josè, ed è un ragazzone cubano simpatico ed abbronzatissimo, che si mette subito a parlare con noi, non appena scopre che anch’io sono laureata in giurisprudenza, come lui e che, come lui, ho scelto un lavoro diverso dalla professione forense. Ci parla di sua moglie e della sua bimba, di cui è perdutamente innamorato… Anche noi gli parliamo di noi e della nostra Genova: ci siamo simpatici “a pelle” e ci diamo appuntamento tra una settimana, al termine della crociera, quando avremo la possibilità di trascorrere un paio di giorni nella capitale cubana.

Eccoci al porto. Dobbiamo nuovamente mostrare i passaporti, prima di imbarcarci, e anche qui ci fanno il “terzo grado”, come in aeroporto, continuando a guardare prima noi e poi la foto del passaporto, e ancora noi e le foto, noi e le foto (oddio, qualcosa non va???), ma poi, tranquillissimi, ci dicono di passare pure. E’ semplicemente la loro procedura.

All’imbarco veniamo accolti da un gruppetto composto da tre musicisti, piuttosto bravi, e quattro ballerine, con le cosciotte e le calze smagliate, che mi mettono un po’ di tristezza e mi ricordano i racconti di infanzia di mio padre, quando nei cinema la proiezione del film veniva preceduta da spettacoli di varietà “caserecci”, con le ballerine con la cellulite di ordinanza e le loro brave calze smagliate, e gli artisti squattrinati che non avevano altro da mangiare che caffelatte e cornetto, sia a pranzo che a cena….. Ma qui è diverso, qui hanno una loro dignità e non si sentono poveri: avrò modo di rendermene conto.

Appena saliti sulla nave, ci dirigiamo in cabina, dove facciamo una doccia ristoratrice e ci cambiamo per la cena. Sono già quasi le sette, e mi accorgo che, fino a questo momento, non mi sono posta il problema di che ora fosse…. Si vede che sono entrata nello spirito della vacanza! Saliamo al bar per l’aperitivo, ma poco dopo la testa prende a girarmi vorticosamente e mi si annebbia la vista: colpa della tensione che ho accumulato durante il volo e che ora mi piomba addosso all’improvviso. Comunque, nonostante i miei sforzi per rimettermi in piedi, il mio fisico non ne vuole sapere, e sono costretta a tornare in cabina, prendere le gocce di Gutron e riposare, perdendomi così non solo la prima cena a bordo, ma anche la partenza, a mezzanotte! Prego mio marito di godersi almeno lui cena e partenza, ma nonostante gli assicuri di stare ormai bene, non ne vuole sapere di lasciarmi sola, per cui si sdraia accanto a me e ci addormentiamo, per risvegliarci poi, in piena navigazione, alle otto del mattino seguente.

Il secondo giorno comincia molto meglio. Ora siamo davvero riposati e, dopo un’abbondante colazione a buffet a base di pane, marmellata e squisita frutta tropicale, ci dirigiamo verso il salone delle feste, dove, dopo averci illustrato la vita di bordo e le possibili escursioni previste per ogni tappa, l’equipaggio ci istruisce sulle manovre di emergenza da compiere in caso di affondamento della nave: si tratta di una vera e propria esercitazione, durante la quale viene simulato un affondamento e dove ognuno deve indossare il proprio giubbotto di salvataggio e salire ordinatamente sulle scialuppe. Sembriamo tutti molto diligenti, ma non so se lo saremmo anche in caso di reale pericolo! Comunque, il mare non mi spaventa, neanche se si tratta dell’Oceano Atlantico! La giornata trascorre in navigazione, in quanto l’arrivo a Calica (Messico) è previsto verso le sette di sera. In piscina familiarizziamo con gli altri ospiti della nave e scopriamo che, con noi, viaggiano altre quaranta coppie in luna di miele, e che quasi nessuno ha cenato, né assistito alla partenza da l’Avana (troppo stanchi!), e questo ci fa sentire decisamente meno sfigati! Un altro punto a nostro favore è dato dal fatto che, nonostante il mare ci stia sballottando senza troppi riguardi, non abbiamo il benché minimo sintomo di mal di mare (lo sapevamo già!), mentre quasi tutti i bagni della nave sono occupati da persone che stanno dando di stomaco, equipaggio compreso!!! E infatti, alla lezione di balli caraibici ci siamo solo io, Alessandro e una ragazza tedesca, che viaggia sola, nella speranza di fare incontri interessanti, oltre, naturalmente, all’istruttrice di ballo, una mulatta piccolina e bruttina, ma simpaticissima e con un corpicino dalle forme perfette! Grazie alla collaborazione dell’onda atlantica, dondolii ed ancheggiamenti ci vengono naturali e, in poco tempo, salsa e merengue ci diventano piuttosto familiari! Il resto della giornata trascorre tra chiacchere, una corsa sul ponte ed un giro di “perlustrazione” della nave e, ben presto, è ora di cena. Che sia finalmente la volta buona? Il ristorante è magnifico: un trionfo di ottoni e marmi lucidati a specchio e mazzolini di fiori su ogni tavolo…. Ma stiamo sognando??? Ci sediamo al tavolo che ci è stato assegnato e, in un attimo, compare il “nostro” cameriere, Jusvany, cioè Giovanni, anche lui cubano e anche lui cordiale e aperto. Ci parla di sé, con quello stile che abbiamo constatato essere tipico di questa gente: un po’ lamentandosi della povertà, dell’embargo e della mancanza di libertà, ma subito dopo magnificando la loro terra e la loro gioia di vivere, come a voler fare intendere che, sì, è vero, a loro è proibito lasciare Cuba, ma che dopo tutto, anche se hanno mille problemi, in nessun posto potrebbero stare meglio di quanto stiano nella loro bella isola! Anche Jusvany ama Cuba e ci dice di essere contento, perché tra una settimana sbarcherà, e potrà tornare a casa dalla sua famiglia per qualche mese…. E intanto i suoi occhi azzurro mare brillano al pensiero di riabbracciare sua moglie, che lo aspetta a casa.

Dopo cena, ci trasferiamo sul ponte principale, dal quale potremo vedere le operazioni di attracco, ma non a Calica, bensì all’isola di Cozumel (ecco spiegato il ritardo sulla tabella di marcia!), perché le condizioni del mare avrebbero reso troppo pericoloso l’ingresso al porto di Calica, la cui imboccatura è piuttosto stretta. Comunque non tutto il male viene per nuocere: pare, infatti, che Cozumel sia un bel posto, soprattutto la notte…. E allora, appuntamento alla reception con Fabio e Roberta, una coppia di San Gimignano, anche loro in viaggio di nozze, che abbiamo conosciuto nel pomeriggio e da cui non ci separeremo più, tant’è vero che ci frequentiamo ancora, a più di un anno di distanza! Effettivamente Cozumel è bellissima, molto messicana, con i suoi colori sgargianti e la musica che esce da tutti i locali che si susseguono, uno accanto all’altro, sia sul lungomare, sia nell’interno. Ci fermiamo in un locale dall’aria vagamente Western e dal nome vagamente allusivo di “Kiss my Cactus” (anche se l’avrei preferito in versione spagnola, piuttosto che inglese!), dove c’è un gruppo di musicisti che fa cover anni settanta-ottanta e dove si beve e si balla fino a notte fonda. Naturalmente qui incontriamo altri ospiti della nave, e ci buttiamo tutti insieme nelle danze, finché le gambe ci reggono. Anche stanotte dormiremo poco (chi ha detto che in crociera si ozia???): l’appuntamento per l’escursione al sito Maya di Tulum e al parco naturale di Xel-Ha è alle cinque e mezza del mattino, il che significa che dovremo svegliarci almeno un’ora prima! Siamo tutti un po’ assonnati, ma tutti presenti, armati di telecamere e macchine fotografiche. Le aspettative sono grandi, ma la realtà sarà ancora meglio! Dopo la traversata sul traghetto che dall’isola di Cozumel porta a Playa del Carmen (tragitto durante il quale molti stanno male!), ci dirigiamo al bus, dove ci attende Juan, un messicano d.O.C., sulla cinquantina, che mi ricorda tanto Speedy Gonzales e che si unirà a noi per il resto della crociera. Juan è una fucina di informazioni: ha una risposta a qualsiasi domanda e, se non ce l’ha, si documenta e fa in modo di dartela in breve tempo: non per nulla è una guida ufficiale, di Stato, professione che qui sembra molto prestigiosa e per cui è richiesta una notevole cultura. Ma Juan non sale mai in cattedra: ha un modo di spiegare le cose come se stesse conversando tra amici e riesce a catalizzare la nostra attenzione (anche se qualcuno si lamenta delle sue spiegazioni troppo lunghe!), tanto che ci fermiamo a parlare con lui anche nei momenti “liberi” e simpatizziamo rapidamente. Gli piace il fatto che veniamo dalla città che diede i natali a Cristobal Colòn e, in breve, diventiamo per lui “I Genovesi”, mentre noi lo chiamiamo Giuàn…. In genovese, appunto! Passando attraverso la foresta, tra l’umido delle piante e l’odore della puzzola (ebbene sì, abbiamo sentito anche questo!), giungiamo, a piedi, al sito archeologico di Tulum, un villaggio Maya che, insieme con altri siti analoghi, si dice sia stato visitato (o addirittura fondato!) dagli extraterrestri. Ma Juan non crede a queste storie e si sofferma, invece, sulla genialità dei Maya, che costruiscono tetti perfettamente impermeabili, utilizzando solo foglie di palma, senza cemento né collanti, e che nessuno, che non sia un Maya, è in grado di riprodurre. La nostra guida ci illustra, poi, le tattiche di difesa del villaggio dai nemici provenienti dal mare, complice la barriera corallina, che presenta un solo varco accessibile alle imbarcazioni: in pratica, se la nave avvistata era amica, i “custodi” del villaggio provvedevano ad illuminare con gli specchi il punto in cui si trova il varco, mentre per i nemici la luce degli specchi veniva proiettata un po’ più a destra o a sinistra rispetto al varco, con il risultato di far squarciare le chiglie dai coralli. E infatti quel luogo è ancora pieno di antichissimi relitti. Tulum, comunque, è anche natura… e che natura! Il sito sorge direttamente su una spiaggia di sabbia fine e bianca, dove scorrazzano libere le iguana, assolutamente incuranti dei turisti, che le avvicinano e le fotografano (l’abbiamo fatto anche noi… sono irresistibili!).

Purtroppo, è ora di ripartire… vorremmo fermarci ancora… ma non sappiamo che ciò che ci attende sarà ancora meglio! Durante il viaggio Juan ci racconta ancora un po’ dello stile di vita dei Maya e, in poco tempo, arriviamo al parco naturale di Xel-Ha, dove un fiume sotterraneo esce allo scoperto, formando una splendida laguna, prima di sfociare in mare. La natura qui è padrona assoluta e le costruzioni non sono che capanne di legno e foglie, decisamente ecologiche e perfettamente integrate nel paesaggio. Ci vengono forniti pinne, maschere e giubbotti salvagente, mentre i nostri abiti vengono messi in un sacco chiuso, e potremo recuperarli in un altro posto, al termine della giornata. L’acqua del fiume è piuttosto fredda e, nonostante la temperatura esterna sia molto alta, sono un po’ restia a tuffarmi, ma le zanzare che attaccano le mie braccia e le mie gambe senza pietà, e lo spettacolo delle mangrovie, con le radici che affiorano dall’acqua mi inducono a fare il grande salto. E’ sufficiente immergere un attimo il viso per trovarsi di fronte ad uno spettacolo mozzafiato: un’acqua di una purezza cristallina, popolata da una splendida fauna ittica, gli uccelli acquatici che svolazzano sulle nostre teste e, poco distanti, i delfini e i pappagalli, e le iguana che passeggiano sulle sponde. Stiamo in acqua quasi un’ora, e poi ci asciughiamo al sole, prima di consumare un pranzo veloce, seguito da siesta su amache regolamentari, tese a decine tra le palme appena fuori dalla capanna che funge da posto di ristoro. E poi ancora una lunga passeggiata a piedi nudi, nella natura, con le zanzare che continuano a banchettare sulla mia schiena, incuranti della lozione che dovrebbe tenerle lontane e che, invece, sembra abbia il solo effetto di rendermi ancora più saporita!!! Quattro chiacchiere con Juan ed è ora di tornare alla nave… è un vero peccato non poterci fermare un giorno in più! Dopo una notte di navigazione, la nave getta l’ancora davanti a Punta Frances, Isla de la Juventud, un tempo rifugio di pirati e corsari e oggi mèta di escursioni subacquee. La spiaggia è deserta, fatto salvo un rudimentale bar, costituito da un bancone di tavole di legno, sulle quali sono esposte noci di cocco e bottiglie di rhum, mentre su una griglia vengono arrostite piccole aragoste. Non appena scorge all’orizzonte dei possibili clienti, il tizio dietro al bancone prende ad urlare “Coco Locooooooo!!! Langostaaaaas!!!”, con l’intento di attirare la nostra attenzione. Ma non ha bisogno di urlare molto: farà pure molto “turista”, ma non so resistere ad una noce di cocco freschissima riempita di rhum… e poi costa solo un dollaro! Mi sdraio all’ombra di una palma e mi godo il mio “Coco Loco”…. Che piacere! Non sapevo che il latte di cocco fosse un po’ frizzantino, e non è il rhum, dato che ne ho sorbito un po’ prima che lo aggiungessero! Finita la bevanda, il cocco viene spaccato con un machete, e possiamo assaporarne la polpa dolce e morbida, che ci impiastra mani e viso, facendoci tornare bambini. Finito il cocco, facciamo il nostro primo bagno nel mare caraibico, nell’attesa che venga a prenderci la barca che ci porterà al largo, per lo “scuba diving”. In barca ci consegnano pinne, maschera e boccaglio e fatico un po’ a trovare una maschera che si adatti al mio viso, ma alla fine ci riesco. Mi lego al polso la macchina fotografica subacquea usa-e-getta e mi avventuro alla scoperta della barriera corallina. Senza quasi accorgermene, mi trovo a nuotare in mezzo ad una miriade di pesci dai colori vivi e brillanti, che si ammassano attorno alle formazioni coralline, in cerca di cibo, e scatto…. Scatto… scatto… Mi sembra di vivere in un sogno. E’ passata più di un’ora e non me ne sono resa conto: il fischio dei barcaioli, che ci chiamano a raccolta, mi riporta bruscamente alla realtà. In effetti, una volta riemersa, il mio stomaco comincia a brontolare: è l’una passata e l’aragosta ci aspetta! La gustiamo in un posto che non può certo definirsi ristorante: è una sorta di baracchetta in legno, che poggia su palafitte, al cui interno l’unico arredamento è costituito da un bancone e da un tavolaccio, con lunghe panche ai lati, sulle quali ci accomodiamo, pronti a gustarci quella prelibatezza dal profumo tanto invitante. E in effetti neppure l’aragosta ci delude: la presentazione è decisamente rustica, ma ciò che conta è il gusto e questa sa veramente di mare! Mentre mangiamo, si scatena un tipico acquazzone tropicale, ma noi siamo al riparo e il tutto dura solo pochi minuti, anche se l’intensità è notevole! E’ tempo di tornare alla nave, che salpa poco dopo e domani sarà…. Jamaica! Finalmente si può dormire un po’, infatti la nave non attraccherà prima di mezzogiorno. Ci svegliamo, quindi, con calma e, dopo la solita colazione pantagruelica (che, per me, resta il pasto più importante della giornata!), ci dedichiamo alla “dura” vita di crociera: giochi sul ponte, torneo di freccette (in cui mi piazzo seconda, dopo una spagnola, mentre Alessandro vince il torneo maschile) e balli con musica dal vivo. Ma ecco che, all’orizzonte si intravedono i primi palazzoni di Montego Bay; mi avevano detto che la zona del porto mi avrebbe fatto una brutta impressione, e infatti, vegetazione tropicale a parte, qui non sembra molto diverso da un porto commerciale italiano, cioè piuttosto squallido e grigio. Ma so già che quello che ci aspetterà poco distante mi farà mutare opinione, per cui non me ne preoccupo più di tanto e mi godo l’attracco a tempo di musica reggae. Scendiamo a terra e ci dirigiamo verso il bus dove ci attende Anthony, che si fa chiamare Antonio, un Giamaicano nerissimo e tarchiato, molto simpatico e di grande cultura, che parla un italiano perfetto, usando termini forbiti ed assolutamente appropriati (poi ci spiegherà che ha studiato italiano a Pisa!). Il bus sembra un carro funebre, con tendine ai vetri e lumini, e anche qui c’è l’immancabile aria condizionata gelida, il cui impatto su di me è sempre traumatico! Cominciamo il lungo viaggio (più di due ore) verso Ocho Rios, dove risaliremo le famose cascate del fiume Dunn, un’avventura degna di Indiana Jones! L’autista ha uno stile di guida che definire “sportivo” è riduttivo, ma noi cerchiamo di non pensarci e ci concentriamo sulle parole di Antonio. Dopo aver dato un’occhiata al grande prato che ospita ogni anno il Festival mondiale del Reggae, attraversiamo a tutta velocità il villaggio di Falmouth, con le sue case in stile coloniale, il Parco di Colombo, che sorge nel luogo in cui il nostro illustre concittadino sbarcò nel 1494 e passiamo davanti alla casa in cui nacque il “re” del Calypso, Harry Belafonte. Attraversiamo anche un villaggio semi-distrutto da un uragano, dove vediamo frotte di ragazzine alte e snelle con le divise della scuola e molte, molte donne che corrono: si vede che siamo in una società matriarcale! Antonio ci spiega che qui quasi nessuno si sposa: gli uomini passano e vanno, e i figli vengono allevati dalle donne, che li mantengono e se ne prendono cura, e per loro questo è normale!!! Inutile dire che noi “sposini” restiamo un po’ perplessi….

Eccoci finalmente ad Ocho Rios. Scesi dal bus veniamo letteralmente soffocati dal caldo e dall’umido. Per fortuna si sente già il rumore delle cascate, dove potremo trovare un po’ di refrigerio. Ci dirigiamo verso la spiaggia, situata proprio alla foce del fiume, cioè alla fine delle cascate. Nonostante Antonio mi dica che i miei sandaloni con zeppa non siano adatti al percorso (ma sono di gomma!), mi avventuro ugualmente. L’inizio è piuttosto facile, ma poi ci sono punti in cui la corrente e molto forte e trascina via i piedi prima che si riesca a fare il passo! Poi ci sono pozze profonde qua e là, per cui bisogna saggiare il terreno, prima di appoggiare il piede… e, comunque, lascio un po’ del mio stinco su uno scoglio, ma proseguo, incurante del dolore, godendomi il fresco dell’acqua e l’ombra delle piante, che formano una sorta di galleria sopra il fiume. Arriviamo infine al punto oltre il quale non è consentito proseguire, con le gambe un po’ doloranti, ma appagati dall’avventura. Lungo il percorso che ci separa dal pullman c’è un mercatino, dove facciamo un breve giro, tra i commercianti che cercano di catturare la nostra attenzione con il loro: “Looky! Looky!”, che non è altro che un: “Look! Look!” in slang. Ne usciamo indenni e saliamo sul bus, dribblando un Giamaicano ubriaco (… solo ubriaco???) che blatera qualcosa sulla mafia italiana. Durante il viaggio di ritorno sono tutti stranamente silenziosi: sarà solo la stanchezza o staranno ripensando, come me, che a casa nostra non esiste nulla di simile? La serata in nave trascorre tranquilla. Nei nostri occhi ci sono ancora i colori della Jamaica, ma siamo già proiettati idealmente alle Isole Cayman, dove l’indomani vivremo l’esperienza unica di un bagno in mezzo alle mante! Arriviamo nella rada di Georgetown, capitale di Gran Cayman, verso le otto del mattino. La nave getta l’ancora e siamo già pronti a sbarcare…. Non stiamo più nella pelle! Bisogna viaggiare ancora un pochino in bus, prima di raggiungere il punto d’imbarco per Stingray City, ma Gran Cayman è stupenda: un vero paradiso terrestre, oltre che fiscale! Arriviamo al battello che ci porterà fino ad una secca, in mezzo all’oceano, dove l’acqua è bassa e dove potremo avere incontri ravvicinati con le mante, e dare loro anche da mangiare. Qui l’acqua ha un colore come non ho mai visto in nessun altro posto nemmeno ai Caraibi: è di una trasparenza cristallina, con riflessi verde chiaro (“Proprio come il colore del mio abito da sposa!”, penso io). L’imbarcazione si ferma e, in lontananza, si inizia a vedere una macchia scura, poi un’altra e un’altra ancora…. Ma quante sono? Intanto ci immergiamo e veniamo immediatamente attorniati dalle trigoni, che danzano attorno a noi e non esitano ad “abbracciarci”! Sono bellissime, alcune molto grandi, altre più piccine… dobbiamo stare attenti a non pestarle, a non fare loro del male! Sono animali dolcissimi ed assolutamente inoffensivi: non ho affatto paura di loro e, se non fosse che il loro manto un po’ viscido mi procura una sensazione vagamente sgradevole, starei qui per ore. Invece, dopo un po’, esco dall’acqua e salgo sulla barca a filmare le “prodezze” di Alessandro, che si avventura tra questi strani esseri e ne riceve anche qualche amichevole “succhiotto” (le mante non hanno denti), dovuto forse al fatto che qualcuno, che aveva dato del pesce ai trigoni, abbia poi scontrato mio marito con le mani “sporche”…. In pratica, le mante avrebbero scambiato Ale per un prelibato bocconcino!!! Dopo le mante è la volta delle tartarughe… Non per nulla, Colombo battezzò queste isole Tortugas, per l’abbondanza di questi animali! Una volta scesi nuovamente a terra, ci dirigiamo alla “Turtle Farm” una sorta di “nursery” di tartarughe marine, situata direttamente sulla spiaggia. Questa struttura, che ospita centinaia di esemplari, ha contribuito a salvaguardare specie in via di estinzione. Davanti alla vasca dei “cuccioli” non resisto alla tentazione di “prendere in braccio” una tartarughina…. E’ dolcissima, e per niente viscida!….. Posso adottarla????? E’ ormai ora di tornare alla base, cioè alla nave, che salperà nel primo pomeriggio. Faremo rotta nuovamente verso l’Avana, ultima tappa della nostra crociera. Il pomeriggio trascorre nuovamente tra balli ed altre amenità e oggi decidiamo di concederci tutti i vizi tipici del crocierista: merendina al pomeriggio e…. Buffet caraibico di mezzanotte, dove assaggerò per la prima volta il “platano fritto”, in versione “con pastella”…. Uhm… discreto…. La serata prosegue in discoteca, fino alle prime ore del mattino. Giunti in cabina, piombiamo in un sonno profondissimo.

Il mattino seguente indugiamo un po’ tra le lenzuola, prima di andare sul ponte per la colazione, che oggi decidiamo di consumare all’aperto, facendo quattro chiacchiere con Juan, la nostra guida del Messico, che ormai è diventato un amico. L’attracco a l’Avana è previsto per le tre del pomeriggio e la nave arriva puntuale in porto. Usciamo alla scoperta della città ed incontriamo nuovamente Josè, la nostra giuda – avvocato mancato, che ci propone un giro con i Coco Taxi, nientemeno che Api (sì, proprio quelle della Piaggio!), rigorosamente diesel, camuffate da noci di cocco, con l’immancabile logo del loro rhum più famoso. Sappiamo che si tratta di un’iniziativa riservata ai turisti, ma decidiamo di fare ugualmente questa esperienza, perché ci darà modo di farci un’idea della città, che visiteremo, questa volta da soli, il giorno successivo. Il giro è divertente: percorriamo il Malecòn e le vie del centro storico, e ci fermiamo davanti al palazzo del Presidente e alla chiesa di San Francesco da Paola, recentemente restaurata. Durante le soste, il tassista ci invita a lasciare a bordo la telecamera, perché qui nessuno ruba nulla, specie ai turisti, che qui a Cuba sono considerati “sacri”! Al termine del giro abbiamo i polmoni pieni di gas di scarico e il viso unto e, tornati in nave, ci precipitiamo sotto la doccia, preparandoci per il gran gala dell’ultima sera.

Al ristorante il buffet è superlativo: lo chef ed i suoi assistenti, questa volta, si sono superati! Corriamo a prendere la macchina fotografica per immortalare delfini e pesci di ghiaccio, sirene, conchiglie e caimani di pane, tartarughe intagliate nel melone e sculture di burro, per finire con una grande torta a forma di libro aperto.… ed è tutto delizioso!!! La notte si conclude con spettacoli acrobatici e festa in discoteca. E’ l’ultimo giorno a l’Avana, ma oggi decidiamo di girarla per conto nostro: abbiamo visto quali sono i posti più belli, e li esploreremo come vogliamo noi! Siamo appena usciti dal porto, e cominciamo ad avventurarci tra i vicoletti, quando un ragazzo cubano, ben vestito e con un sigaro in mano, ci avvicina, ed attacca bottone. Sulle prime, pensiamo ad uno scocciatore, e cerchiamo, cortesemente ma fermamente, di tagliare corto. Ma lui continua a seguirci, chiacchierando vivacemente, e ci dice che gli piace parlare italiano e che il contatto con i turisti lo aiuta a migliorare la conoscenza della nostra lingua. A questo punto, le nostre fragili barriere crollano, ed accettiamo la sua compagnia in giro per la città. Ci dice di chiamarsi Elias, di avere ventidue anni e di essersi diplomato in lingue: l’istruzione, si sa, è molto importante per loro, nonché completamente gratuita. Scopriamo che questo ragazzo, così giovane, è un grande appassionato di melodramma e di musica classica in genere e cita anche Bartolomeo Cristofori, l’inventore del pianoforte! Con lui percorriamo le vie dell’Avana Vecchia, con le case colorate in fase di restauro, il duomo, dove si mescolano cattolicesimo e santeria, il Capitolio, il teatro dell’opera e tutti i locali frequentati da Hemingway (anche se, essendo mattina, troviamo chiusa la Bodeguida del medio!), compresa una terrazza panoramica dove il romanziere veniva a scrivere e a bere Mojito, dalla quale si gode uno splendido panorama della città. Mentre camminiamo, Elias ci dice di essere disoccupato e di doversi inventare il lavoro di guida “fai da te” per potersi permettere qualche sfizio, perché la vita qui è molto cara e le ragazze vogliono soldi, per cui vanno con i turisti, lasciando soli i ragazzi cubani. Lo sapevo, ma detto da chi questa situazione la vive ogni giorno fa tutt’altro che un bell’effetto! Elias ci annuncia poi, forse solo per intenerirci, che tra pochi giorni sarà il suo compleanno, e che vorrebbe comprare un paio di scarpe da Benetton, che però costano quaranta dollari e non può permettersele…. Ma, un attimo dopo, ci parla in termini entusiastici della loro libertà interiore e del loro spirito godereccio, proprio come avevano già fatto tutti gli altri cubani che abbiamo conosciuto. Alla fine della mattinata gli diamo una mancia di trenta dollari e lui ci ringrazia, dicendo che però avrebbe preferito una maglietta (ma le nostre valigie sono già chiuse ed etichettate…. Perché non ci abbiamo pensato???!!!) e che, comunque, quei soldi gli serviranno per le scarpe…. O forse li spenderà prima, per andare a ballare con una ragazza!… Sì, questo ragazzo è proprio un cubano d.O.C.! Lo salutiamo un po’ a malincuore e lui ci lascia il suo indirizzo, nella speranza che, un giorno, qualcuno lo inviti in Italia.

Siamo al momento dello sbarco. Lasciamo la nave e l’equipaggio con un po’ di tristezza…. Chissà se troveremo persone altrettanto simpatiche a Cayo Coco….

Atterriamo all’aeroporto di Ciego de Avila in tarda serata. L’aeroporto ha l’aspetto di un bazar e ci sono pure le tendine ai vetri! Qui è tutto più bucolico e la natura è decisamente particolare e selvaggia. Partiamo in pullman per Cayo Coco… ma come, non era un’isola??? Sì, lo era, in effetti, però l’uomo ha pensato di costruire un istmo artificiale, che ha trasformato questo Cayo in una penisola, più agevolmente accessibile agli approvvigionamenti. Viaggiamo, quindi, su una stretta lingua di terra in mezzo al mare, ed il buio, che qui è assoluto, ci impedisce di vedere la natura che ci circonda e che vedremo solo una settimana dopo, al momento del ritorno a casa.

Arriviamo al resort Tryp Cayo Coco a notte fonda, ma pare che al buffet ci sia ancora qualcosa per noi, ormai affamatissimi (non tocchiamo cibo da mezzogiorno!). Il cibo del self-service è orrendo, nulla a che vedere con i manicaretti della nave, e neppure la frutta è buona come ci saremmo aspettati! Il complesso è comunque enorme e bellissimo, ed è pieno di Canadesi (pare che da lì il viaggio costi pochissimo!). La vegetazione è lussureggiante e ci sono fiumiciattoli e laghetti pieni di fenicotteri e, purtroppo per me, di zanzare voracissime! La camera è enorme, con letti “queen-size”, cioè almeno una piazza e mezza ognuno. Anche qui l’aria condizionata è polare e ci affrettiamo ad abbassarla. Il bagno è discretamente pulito, anche se un po’ rovinato (ho portato le “ferite” della tavoletta del water spaccata per mesi!) e il terrazzino ha una piacevole vista sulla piscina.

La settimana a Cayo Coco trascorre piacevolmente tra relax, bagni in un mare caldissimo (sembra di stare nella vasca da bagno!), corse a rotta di collo sul trenino dell’hotel (con lauta mancia all’autista, per convincerlo ad emulare Schumacker!), pallavolo, canoa e cene caraibiche (l’unico tipo di cucina decente!). Stringiamo rapporti di amicizia sempre più stretti con le altre coppie italiane e ci godiamo questa atmosfera da “viaggi di nozze”, ma io e Alessandro, pur apprezzando questa seconda parte del viaggio, siamo concordi nell’affermare che la crociera, con le sue escursioni, è stata di gran lunga migliore rispetto a questa settimana, bella ma troppo “stanziale” per i nostri gusti! Arriva il giorno della partenza, ma siamo stranamente contenti di tornare, perché sappiamo che, una volta a casa, si aprirà un nuovo capitolo della nostra vita…. Siamo ansiosi di sapere come sarà l’essere sposati, per cui, per la prima volta in vita nostra, il rientro non ci pesa affatto! Raggiungiamo l’aeroporto passando nuovamente attraverso il “ponte” artificiale, ma ora vediamo bene il paesaggio: l’acqua è bassa e cristallina, e popolata da ogni sorta di uccelli acquatici. Vediamo le case dei “campesinos”, dove la “civiltà”, intesa nel senso negativo del termine (sinonimo di stress ed inquinamento), sembra non essere arrivata affatto. In mezzo a tutto questo, gli hotels sembrano vere e proprie cattedrali nel deserto, isole felici o… infelici, a seconda dei punti di vista.

L’aereo decolla. Lasciamo l’aeroporto, con le sue tendine e l’arredamento anni Cinquanta, sapendo già che, un giorno, torneremo a recuperare quel pezzetto di cuore che abbiamo lasciato in questi posti e tra questa gente meravigliosa!



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