Los roques, il paradiso resiste
——————————————————- LE NOSTRE POSADE Dieci giorni a Los Roques, una settimana al Tropicana e tre notti all’Acuarela: l’idea era quella di provare due posade differenti di cui si era sentito parlare bene da conoscenti e amici.
La prima, più familiare e intima, è un’ex casa di pescatori ristrutturata con cura e gusto. Quattro stanze e tutta l’aria dell’autentica posada roquena. La seconda è molto bella, sfiora il lusso, ha nove stanze, atmosfera da piccolo hotel de charme e, alle pareti, quadri dipinti dal proprietario, Angelo. Alla TROPICANA sembra di essere a casa. Carolina e Matteo ci trattano come amici, nonostante non ci abbiano mai visti prima. Questo è il loro marchio di fabbrica. Quando gli ultimi giorni ci siamo spostati all’Acuarela, la sera ogni scusa era buona per passare al Tropicana a far due chiacchiere e bere un bicchiere in compagnia.
Carolina è una padrona di casa perfetta, una donna di una simpatia, di una purezza e di una cura rare. L’ottimismo è la forza che la muove. Anche nei giorni del fatto, “chevere“*, era la sua parola d’ordine, il suo modo di andare avanti. Per non parlare della sua strepitosa cucina, in cui si mescolano la competenza di donna venezuelana con quella di moglie di un italiano mosso da gastronomica passione. Con tutte queste posade gestite da italiani, a Gran Roque la cucina si evolve di conseguenza in un morbido mescolarsi di sapori mediterranei e “criolli”. E anche se in genere, quando viaggio , mi piace dimenticare l’Italia e sperimentare sapori diversi, ho mangiato ottime paste laggiù. Certo, il pesce era ingrediente fondamentale.
Nella mia mente, e non solo lì, ci sono le cene e i dopocena in terrazza in compagnia di Carolina, le nostre chiacchiere sull’arcipelago, Caracas, l’Italia e la vita, il vento nell’aria, la costellazione dello scorpione alta nel cielo alla mia sinistra e la laguna con le mangrovie sulla destra. Non scorderò la gentilezza riservata di Giancarlo (che ha giurato di imparare l’italiano entro un anno, a settembre duemilaesette gli telefono e verifico) e la dolcezza di Maria che chiamava sia me che Tommy “mi amor” , teneva in ordine il caos della nostra stanza e lavava quasi tutti i giorni gli asciugamani da spiaggia che riducevamo a stracci insabbiati e bisunti (la crema era protezione cinquanta e trenta, praticamente colla). Sono appena tornata a casa eppure ho già nostalgia degli ultimi giorni in compagnia di Matteo, le chiacchiere su Terzani e il suo “Un indovino mi disse” , seduti in terrazza sotto la luna crescente, lo snorkelling con lui al largo di Crasquì.
Il positivo della posada: – Loro, Carolina e Matteo. La loro capacità di creare un rapporto con il cliente, il loro “essere presenti” e saper intrattenere con la naturalezza di chi ama il proprio lavoro: questo, il vero valore aggiunto della Tropicana; – la cucina curata e creativa, mai uguale a sé stessa: anche il pranzo al sacco, nelle famose “cavas” da spiaggia, era vario e preparato al momento, nessun residuo riciclato della sera prima, come ahimè accadeva altrove ad amici sventurati; – le camere. Belle, pulitissime e ventilate grazie alla laguna e allo spazio aperto di fronte. La migliore? La 2.
– i cuba libre di Carolina e anche quelli di Matteo; – il mojito di Giancarlo; – la musica al rientro dalla spiaggia; – la terrazza e il panorama sulla laguna al tramonto: dire romantici è riduttivo; – maschere e pinne in dotazione (grande, grandissimo servizio); – trasporto e ritiro della cava (il pranzo “al sacco”) fino al molo, dove viene caricata e scaricata dalla lancia con cui si fanno le escursioni; – snorkelling o sub con Matteo, che essendo istruttore propone escursioni e immersioni con cognizione di causa. Conoscere la persona con la quale ci si immerge, specie se in acque profonde, dà gran sicurezza ed è un’esperienza da non mancare.
Il negativo: – Dovendo proprio trovare un difetto, alla Tropicana manca l’aria condizionata, sebbene intendano metterla a breve. In tutta onestà, essendo la posada ventilata ed avendo la pala in camera, io non ne sentivo la necessità. Capisco però che averla sia un servizio in più da offrire.
L’ACUARELA è diversa. La posada è più lussuosa, quindi dipende un po’ da voi e dai gusti che avete. Se volete un ambiente curato ma autentico, meglio il Tropicana. Per un ambiente più raffinato, tipo piccolo albergo, meglio l’Acuarela. All’Acuarela ci sono nove stanze di cui quattro suite che però non abbiamo visto né tanto meno abitato. Purtroppo non abbiamo avuto il piacere di conoscere Angelo il proprietario, che in quei giorni non c’era. Matteo ci aveva raccontato meraviglie sulle sue doti da gran chef e devo dire che è riuscito a trasferirle molto bene al cuoco venezuelano che se ne occupava nei giorni del nostro soggiorno e che ci deliziava con piatti di una ricercatezza estetica e di un gusto deliziosi. Gran cucina davvero, quella dell’Acuarela.
Belle anche le stanze, impreziosite dalle tele dipinte da Angelo stesso. Alcuni dettagli però ci lasciano perplessi. Soprattutto perché, una posada con posizionamento alto come questa, dei dettagli dovrebbe fare il suo credo e la propria differenza.
Il positivo della posada: – la cucina: gli italiani amanti della pasta, troveranno più di quello che cercano: spaghetti , linguine e tagliatelle degne di un ristorante italiano di livello. Per non parlare del pesce, freschissimo, cucinato e presentato in modo impeccabile. Squisita anche la gentilezza dei ragazzi che servono ai tavoli; – la terrazza con il pavimento di legno, i puff fantozziani e le sdraio; – la piacevolezza estetica dell’ambiente nella sua totalità , le stanze , i pavimenti, le sculture, le tele; – internet a disposizione. Grandissimo pregio soprattutto se l’ “apagòn” (blackout) dura tre giorni e il punto internet non funziona! – aria condizionata. Anche se, con il blackout sull’isola come nel nostro caso, è come non averla.
Il negativo: – poco posada e molto albergo: in luoghi semplici come Los Roques, preferisco ambienti più “umani” , non impersonali, ambienti in cui ci sia maggior contatto e condivisione. Vero è che quello che per me è un difetto potrebbe invece risultare un pregio per chi è timido o ama la riservatezza; – se le escursioni in barca partono dal primo molo (e spesso è così), che è dall’altra parte del paese rispetto all’Acuarela, la cava riempita con ghiaccio, bottiglie, lattine e pranzo te la devi portare tu con le tue braccine. Ora, a) essendo la cava ingombrante e pesante b) arrivando da una posada dove la portavano regolarmente senza storie, c) trattandosi di posada di livello, pareva stonato; – vini e alcolici non inclusi. Nessun problema, se fosse stato chiarito subito all’arrivo e non il giorno della partenza. Tanto più che il voucher non lo specificava.
– niente maschere e pinne a disposizione dei clienti. In effetti questo è un servizio che offrono poche posade, ma in una realtà di livello come questa, è un dettaglio che fa la differenza; – La nostra stanza era bella e spaziosa. Alcune stanze dove alloggiavano altri ragazzi, erano molto più piccole. Una di queste, aveva il bagno allagato tutti i santi giorni. Dettaglio non trascurabile.
DUE PAROLE SULLE ISOLE PRINCIPALI I “cayos” accessibili dell’arcipelago sono accomunati da spiagge bianche , acque cristalline e assenza quasi totale di vegetazione. Parlo di cayos accessibili perché, essendo los Roques un parco naturale, ne esistono altri a “proteccion integral”, dove l’uomo e in particolare il turista non può accedervi. MADRISQUÌ: la più vicina a Gran Roque, una delle meno belle. Teniamo presente comunque che la coppia di aggettivi “meno bella” ha valore solo se la pietra di paragone è Los Roques. Il valore diventa relativo se presa in senso assoluto. Per intenderci, se Madrisquì fosse in Italia, con lei potrebbero competere solo alcune spiagge della Sardegna e le calette di Capo Vaticano. Bel par terre di stelle marine sui fondali. FRANCISQUÌ alto medio e basso: anche lei vicina a Gran Roque ma di grande bellezza. Acque cristalline dalle sfumature verdi chiaro e turchesi. Nell’interno di Francisuì medio c’è una piscina di acqua naturale dove fare snorkelling. Cinque minuti da Gran Roque.
BOCA DE SEBASTOPOL: lontana una cinquantina di minuti da Gran Roque, è forse lo spettacolo più suggestivo dell’intero arcipelago. Segna il confine tra l’oceano e il mar dei Caraibi, il blu delle onde che si infrangono sul reef e il verde azzurro irreale del Caribe. Lo snorkelling fatto dalla parte dell’oceano è eccezionale ma se si è inesperti, meglio non lanciarsi in esplorazioni in solitaria. Due atolli minuscoli di sabbia bianca sono gli unici punti dove piantare un ombrellone. Una cartolina non saprebbe fare di meglio.
CAYO DE AGUA: acque verdi azzurre limpide e una doppia spiaggia bianco accecante che diventa lingua di sabbia per poi continuare fino al faro. La più bella. Anche lei, a cinquanta minuti di lancia da Gran Roque. Sulla spiaggia alle spalle si può fare un buono snorkelling ESPENQUÌ. Un Cayo de Agua in miniatura. Si fa il bagno con i pellicani e i boba, ma non è la sola. A venti venticinque minuti da Gran Roque, consente un discreto snorkelling. Bella la passeggiata sulla spiaggia dietro la caletta.
CRASQUÌ. A Crasquì c’è un ottimo ristorante sulla spiaggia che fa langostinas y pescado a la plancia per pochi bolivares (l’equivalente di circa dieci dollari). L’arcipelago è molto ventoso ma Crasquì in genere ha acque tranquille. Attraccando davanti al ristorante, meglio proseguire sulla destra fino alla punta e fermarsi da quella parte: la spiaggia è più bella, l’acqua cristallina (parliamo sempre di standard altissimi). Dalla parte opposta poi c’ è la fascinosa Playa Norte. boca de cote. (una cinquantina di minuti) Non siamo riusciti ad andarci perché il mare era mosso. Ma a detta di tutti è uno dei posti migliori per lo snorkelling. Non esistono spiagge, per cui, una volta finito snorkelling o immersione, si torna indietro verso una spiaggia più vicina.
CARENERO Bella baia di acqua cristallina con conformazioni suggestive fatte di conchiglie di fronte alla spiaggia. E? uno dei rari cayos dotati di qualche palma.
Cayo Muerto, Cayo Fabiani, Cayo Sardina, Cayo Corazon: sono piccoli, microscopici atolli. Ci si può far portare al rientro da Sebastopol.
… E SU COME RAGGIUNGERLE Due parole sui lancheros, le loro barche e la loro musica.
Trovare una buona barca e un buon capitano che ti scarrozzi per le isole è fondamentale per un’ottima riuscita della vacanza. Se si riesce ad andare sempre con lo stesso, meglio. Si instaura un buon clima di fiducia, si fa un programma sensato, si evita di andare cinque volte a Francisquì due a Crasquì e zero altrove, ci si organizza per vedere tutte le perle dell’arcipelago.
Meglio se la barca è nuova e munita di cuscinetti sui sedili. Questo per evitare la mattanza degli ossi sacri durante le traversate quando il mare non è esattamente una macchia d’olio. In questi frangenti, se la buona barca è dotata di buon capitano che sa come prendere le onde e come infilarsi tra una e l’altra , il gioco è fatto. Ricordo ancora con disappunto il giorno in cui John, il nostro lanchero di fiducia, aveva rotto un pezzo del motore e siamo stati costretti ad arrangiarci con una soluzione di ripiego: il capitano supplente era dotato di imbarcazione molto, troppo spartana, ignorava l’evolversi delle maree e navigava secondo leggi elementari di matematica pura: dato il punto A, mettiamo Espenquì, e considerato il punto B Gran Roque, l’importante era, secondo lui, passare da un punto all’altro con una navigazione sparata in linea retta. Le onde? Fastidiosi dettagli. Le chiappe? Tanto non erano sue, lui guidava e lo faceva stando in piedi. Sulla sua barca era scritto ZG touring. Lasciate perdere, evitatela come il Tavernello caldo.
John è un buon lanchero . La sua barca si chiama Papagui, è bella, pulita e curata e lui la guida bene. John è giovane, professionale e preciso, sa come trattare il mare e i clienti ed è molto simpatico. Un difetto? Eccolo. John ama il “regetòn” e sulla sua barca, durante le traversate, lo grida a tutto volume. Il regetòn è una musica che va per la maggiore in Venezuela, accompagnata da movenze sensuali e un filo maschiliste ma lasciamo perdere. Diciamo che è a metà tra l’unz-unz da discoteca e il latino americano, il tutto inframmezzato da sonorità zaure (o come dicono a Roma, coatte) che nemmeno alle Rotonde di Garlasco il sabato sera. Allora, in questi casi che fare? Basta dirglielo. Non è che smetta, quello mai. Però abbassa il volume, ti alterna il regetòn a Madonna, Pet Shop Boys e Pink Floyd e vi assicuro che ascoltare l’incipit incalzante di “Another brick in the wall” cavalcando le onde un po’arrabbiate in direzione di Cayo de Agua, è da brividi.
Quando poi si arriva alle isole basta chiedergli di abbassare il volume. Lui lo fa, perché è un ragazzo intelligente. La sera a volte ci offriva rum Santa Teresa (ottimo, fatene grande scorta all’aeroporto) o Canela, liquore allappante al gusto stucchevole di cannella, trenta gradi di zucchero alcol e sciroppo.
Altro lanchero valido è Julio. La sua barca è leggermente più piccola quindi le onde si sentono di più ma lui è capace e quanto a musica non fa problemi. Le sue traversate hanno per colonna sonora Sting, Red Hot Chili Peppers e Jamiroquai, si sta bene. Quando arriva all’isola, spegne la musica.
Le escursioni costano dai venti ai sessantamila bolivares a testa. Per intenderci dagli undici ai ventotto dollari, a seconda della distanza. Includono ombrellone e mini sdraio di ordinanza.
Non lasciatevi imbesuire da posade che offrono le incursioni comprese nel pacchetto: le escursioni incluse sono quelle alle isole più vicine, quindi le meno care e in genere sono con barche non sempre comode. Se siete a Los Roques, è perché volete vedere l’arcipelago, esplorarlo e conoscerlo. Tutto. Molto meglio essere liberi, allora, individuare un lanchero che fa al caso vostro e decidere il proprio itinerario con lui, giorno per giorno. RICORDATE SEMPRE Non fate gli eroi. Anche se a Pinarella di Cervia o a Rimini diventate neri come gianduiotti in meno di una settimana, qui non siete sulla riviera romagnola, siete in Venezuela, qui ci si ustiona con tutti i crismi. Per i primi giorni meglio una crema protezione cinquanta. Poi magari passate alla trenta. E ricordatevi sempre di ri-ungervi , una volta usciti dall’acqua. Dall’una alle due, state sotto l’ombrellone, tassativo.
Gli occhiali da sole. Fondamentali, quando andate in barca e non solo.
Se volete una maschera subacquea dalla visione perfetta, lavatela con del dentifricio.
A volte quando si fanno le escursioni, capita che vi offrano di assaggiare il Botuto. Il Botuto è un mollusco che vive in quelle splendide conchiglie di cui Los Roques è piena. E? una specie protetta, mangiarlo è vietato. Se poi lo vedete, è una creatura tenera, ucciderlo non ha senso. Rimpinzatevi piuttosto di barracuda, dorada, tonno e polipo.
Sappiate che in tv vi hanno raccontato una balla. Il rum piú bevuto nei peggiori bar di Caracas non è il Pampero. E? il Santa Teresa. Prima di partire, compratelo. Il Santa Teresa 1793, è il miglior rum venezuelano e costa 23 dollari all’aeroporto, mentre il Santa Teresa Gran Reserva è ottimo e costa un’inezia. Lo trovate anche alla Distribudora di Los Roques, specie di distilleria che vende superalcolici e schede telefoniche, i cui gestori sono sostenitori accaniti di Chavez. Tanto che hanno anche il suo pupazzetto (con braccio meccanico che saluta a mano tesa) in bella vista, affianco al poster di Che Guevara. Non credete a chi vi dice che per andare a Los Roques dovete dormire per forza una notte a Caracas. Se volete farlo e visitare la città, fatelo. Ma se il vostro obiettivo è andare direttamente all’arcipelago, sappiate che è possibile. Ci sono compagnie aeree che hanno orari tali da permettervi di prendere tranquillamente un volo per Los Roques in giornata. Anzi, se contattate direttamente le posade, spesso sono proprio loro a indicarvi il volo ideale dall’Italia.
Che altro dire ? Io proverei con un bel “chevere”*.
* Chevere in latinoamericano è un modo per dire “molto bene “.
Pepa C.