Lonely Vietnam ovvero donne che viaggiano da sole in Asia

Le principali città del Vietnam, i templi rimasti indenni ai bombardamenti, le colorate pagode khmer del delta del Mekong e un po’ di mare in terra di frontiera
Scritto da: egi2010
lonely vietnam ovvero donne che viaggiano da sole in asia
Partenza il: 28/12/2012
Ritorno il: 16/01/2013
Viaggiatori: 1
Spesa: 2000 €
Se avete lasciato in malo modo il vostro ultimo amante, se l’amore della vostra vita ha deciso improvvisamente di andarsene o se semplicemente siete felicemente single e avete voglia di un viaggio, è il momento giusto per il VietNam, nulla di impegnativo per il fisico e una miriade di spunti per la mente.

La stagione non è mai perfetta ma, nemmeno completamente sbagliata, visto che il VietNam si sviluppa per circa 1600 Km da nord a sud, troverete sicuramente una zona climatica adatta al vostro umore e un percorso compatibile con i vostri interessi.

Pur non trovandomi in nessuno dei casi sentimentali sopra citati, parto di pessimo umore e viaggio da sola.

Per non peggiorare il mio stato mentale, vorrei evitare le zone di guerra e tutti i musei che ne tracciano in modo più o meno oggettivo fatti e misfatti, dunque snocciolo un itinerario che include le principali città ed i templi rimasti indenni ai bombardamenti, le colorate pagode khmer del delta del Mekong ed un po’ di mare in terra di frontiera.

28-29 dicembre 2012

Volo Air France Parigi-Hanoi, un diretto di lusso che non ti fa perdere nemmeno un giorno di viaggio, caro arrabbiato ma ne vale la pena, arrivo ad Hanoi pimpante il 29 dicembre alle 6.30.

Coda per il VOA (Visa On Arrival – costo 12USD per Invitation Letter e 24 USD per VISA) e finalmente esco dall’aeroporto, non prima di aver cambiato un po’ di Euro in Duong e conservato in tasca USD in tagli piccoli che servono per le emergenze.

Clima grigio ma non freddo.

Qui in Asia è così facile verificare e prenotare tutto on-line che persino i più incalliti backpackers cedono alla tentazione di accaparrarsi le stanze migliori via internet. E dunque la mia stanza al Finnegans2 con vista sul parco cittadino include il pick up on arrival e l’autista con cartello in attesa al varco passeggeri. Quando si è da sole qualche coccola fa piacere.

L’hotel non è male, la stanza è in mansarda e dalle finestre del tetto si può dare un’ampia occhiata ad Hanoi, una città rumorosa, grigia ma molto animata, come inizio è perfetto.

Colazione con frutta e caffè offerta dall’efficiente gestore e parto per l’esplorazione della città.

Azzardo i primi attraversamenti pedonali da suicidio nell’intenso via vai di motorini e biciclette.

Si deve osare e procedere con decisione, loro tendono ad evitarvi, ma non dovete assolutamente fermarvi o rallentare il passo perché in quel caso il successo non è garantito.

LonelyPLanet alla mano raggiungo il lago Hoan Kiem, attraverso il Ponte Rosso – non perdete assolutamente il trash notturno delle sue lucine al neon multi colore – ed entro nel tempio Ngoc Son. Un luogo pacifico e ordinato. Turisti e fedeli locali si mescolano tranquillamente lungo le brumose rive dell’isolotto cittadino da cui si può intravvedere la Thap Rua ovvero la Torre della Tartaruga che emerge dalle acque.

Esco e mi avventuro a caso per le vie della città vecchia che sono tutte un banchetto ed un negozio.

Ci sono persino negozi di lapidi preconfezionate, manca giusto il dettaglio della foto e dei dati anagrafici.

Nonostante il fuso, l’appetito mi colpisce mentre transito davanti al Namaste, un ottimo locale indiano dove mi fermo per un breve pranzo. Lassi quasi identico all’originale.

Mi concentro nuovamente sulla città vecchia e dopo aver valutato un po’ i prezzi, mi iscrivo ad una delle numerose gite per la Pagoda dei Profumi: bus, barca, pranzo, salita in ovovia e discesa a piedi.

Il clima, come previsto, è grigio e freddino ma sopportabile. Mi ributto tranquilla nel caos commerciale fino a che fa buio, non sono nemmeno le 19.00.

Esco nuovamente per cena e mi dirigo verso la Cattedrale di San Giuseppe, un bel neogotico francese, e in zona trovo un ristorante vietno (lei) – francese (lui) con un divino Magrè de Canard prodotto localmente.

30 dicembre 2012

Il mattino dopo parto per un lungo giro a piedi per la città. Lentamente seguo la cartina e faccio tappa alla TRang Quoc Pagoda e poi lungo il West Lake (Tay Ho) fino al Tay Ho Pagoda. Quest’ultimo tempio a differenza di quelli intravvisti fino qui è molto suggestivo, architettonicamente niente di che, ma frequentato esclusivamente da vietnamiti. Nel braciere dedicato alle offerte bruciano migliaia e migliaia di Duong finti e sull’altare vengono depositate offerte variopinte acquistate nelle bancarelle fuori dal tempio o preparate amorevolmente con cibi e bevande casalinghe. La Bia Ha Noi la fa da padrona nei cesti votivi.

Rientro verso il centro storico con un passaggio nei pressi del mausoleo di Ho Chi Min che a quest’ora è chiuso e concludo la giornata con il Tempio della Letteratura, complesso dedicato a Confucio, ben conservato ed interessante dove sono allineate le lapidi di che commemorano gli studenti che passarono gli esami con merito.

Uscendo mi inoltro nel parco e ammiro i lenti esercizi ginnici serali di coppie di amiche e di agili pensionati.

Con le gambe doloranti per questo ciondolamento cittadino, tento di prendere il biglietto per lo spettacolo delle marionette sull’acqua – acqua contenuta in una moderna piscina all’interno di un altrettanto moderno teatro, se vi interessa il genere vi consiglio un analogo spettacolo nel palazzo reale di Ubud a Bali. Qui è tutto sold out fino al 4 gennaio, già, sta arrivando Capodanno, quindi mi preparo per la cena dal francese.

31 dicembre 2012

Il mattino successivo ecco il bus turistico per la Pagoda dei Profumi. Non è enorme e la variegata compagnia sembra tranquilla e simpatica.

Breve tappa ad un centro di artigianato locale, perlopiù manufatti in seta, e poi si riparte. Arriviamo alla cittadina di My Duc, sulle rive del Fiume dei Profumi, che risaliremo con una piccola flotta di barche a remi condotte da donne. Lo spettacolo è delizioso, l’acqua è calma e punteggiata di fiori di loto, le rive tranquille e verdeggianti, barlumi di sole fanno capolino tra le formazioni calcaree che occhieggiano dalla riva.

In circa 1 ora arriviamo all’approdo, un po’ squallidino. Sembra che sia una sorta di bassa stagione perché molte delle bancarelle sono chiuse, ci inoltriamo verso le formazioni calcaree e dopo una breve scalinata tra la vegetazione visitiamo un primo tempio. Come al solito è il risultato di una sovrapposizione di stili e di epoche, un misto di antico e moderno, di colori e dove ormai il cemento prevale sul teak.

Usciamo e ci fermiamo per il pranzo in uno dei ristoranti turistici ai piedi della funivia.

Tavoli lunghissimi e predisposizione per una massa di turisti che oggi non c’è. Il cibo comunque è meno peggio del previsto: riso con carne, pesce e verdure, te e si riparte per il tempio/grotta in vetta.

Funivia. Si sorvola una foresta un po’ infreddolita e segnata da una scalinata in pietra costeggiata da banchetti di souvenir per pellegrini vietnamiti. Fortunatamente al momenti sono chiusi sebbene mestamente circondati da immondizia e macerie. L’alta stagione sta per arrivare e ci sono lavori in corso per ripristinare e talvolta ampliare queste baracche dove i pellegrini andranno a rifocillarsi durante il cammino per la grotta.

Arriviamo in cima, scendiamo dal nostro ovetto, sembra di essere nella Via Lattea eppure siamo in Vietnam, ma la seggiovia è la stessa delle nostre montagne.

Una breve scalinata tra gli alberi e poi si discende in questa grotta al cui interno tra stalattiti e stalagmiti, che essendo aperta hanno terminato la loro millenaria crescita, si intravvedono le prime statue dei sacri budda. Il percorso dei pellegrini si snoda tra scalinate, stalattiti e piccoli altari adorni di offerte e psichedeliche luci al neon verdi, si inchinano, sussurrano qualche mantra, toccano le stalattiti di forme antropomorfe e poi procedono.

Gironzoliamo incuriositi. Parte del nostro estemporaneo gruppo risulta ammaliato dalla scena, io un po’ meno, sembra un po’ un super market della spiritualità, niente a vedere con le laotiane grotte di Pak Ou dove ogni passo era religiosamente scandito da preghiere e mantra.

Qui c’è persino una ruota della preghiera a pile e lucine.

Comunque tutto è tranquillo e pacifico, si scende e si risale. Usciamo alla luce , tra le verdi piante che ci riaccompagnano fino alla scalinata che lentamente ci riaccompagna alla lercia civiltà.

Arriviamo nuovamente all’approdo e le nostre signore remano lentamente fino al paese dove ci aspetta il bus che ci riporterà con calma ad Hanoi.

Hotel, doccia, cena dal francese e preparazione della valigie, domani volo per Huè.

Dal francese è tutto pieno e io mi sono dimenticata che era Capodanno, viaggiare da sole aiuta e con un gioco di incastri mirabile mi trova un tavolino in un angolo dove mi concedo una ottima cena a base di prodotti locali cucinati in stile francese ed innaffiati con un bianco d’oltralpe fresco al punto giusto, chiudo in bellezza questo 2012 con un caffè Gourmand – 3 piccoli bocconcini di caffè, cacao e vaniglia per accompagnare un meraviglioso caffè espresso.

1 gennaio 2013

Sveglia con calma e abbondante colazione sul trespolo del Finnegans 2, passeggiatina veloce fino al lago Hoan Kiem per un salutino ad Hanoi prima di prendere il taxi per l’aeroporto.

Evito la crociera nella baia di Halong e altre escursioni in quella zona per evitare coppie più o meno felici di turisti che se la spassano mentre io sono qui da sola ed evito il trekking nella zona di Sapa perché non ho voglia di dormire 2 notti in treno per andare e tornare da Hanoi, ma se volete farlo non c’è nulla di pericoloso ed il clima nella zona di montagna è comunque sopportabile anche in questa stagione.

Questa zona del VietNam si può comunque combinare piacevolmente con un itinerario in arrivo o partenza da Cina, Laos o Birmania.

Si decolla ed eccomi a Hue, l’antica capitale dei re Nguyen.

All’aeroporto scopro un economico bus turistico che ferma più o meno in tutti gli alberghi. Lo prendo, un’occhiata agli alberghi dove scendono via via i turisti e mi convinco del pernotto al Backpackers dove, per scaramanzia, ho prenotato un posto (singolo) nella Female Dormbed passando per la sede del medesimo ostello ad Hanoi. E’ un edificio coloniale giallo con reception e bar open air al piano terra vista strada e un paio di piani con stanze che si aprono su un grazioso terrazzo comune.

Cambio il mio Dormbed con la stanza Alices da 2 con bagno al primo piano, veramente piccola di un indaco quasi indiano, letti immacolati a castello. Carina ma soprattutto economica e comoda.

Mollo tutto lì, faccio un veloce pranzo al ristorante Carambole di fronte e lì prenoto già per cena. Rapida mi incammino verso la cittadella nonostante il grigiore foriero di pioggia. E’ un po’ lunghetta, si attraversa il vecchio ponte inglese sul fiume dei Profumi e si arriva sull’altra sponda dove, dopo il periplo delle possenti mura di fortificazione, riesco a trovare l’ingresso della cittadella imperiale.

Entro e mi accingo ad una visita frettolosa perché l’orario di chiusura si avvicina, ma scopro che gli altri turisti se la prendono comoda e quindi rallento il passo e mi godo il posto.

La parte centrale sembra uno dei palazzi imperiali di Pechino, si tratta di una semplice struttura in legno fatta di grandi corridoi coperti ma ariosi. Niente di chè, eppure la LP ne parlava come un must.

Poi finalmente tra i numerosi giardini scopro una serie di edifici che sono in parte templi e in parte residenze Nguyen.

Edifici infiniti che si susseguono in un dedalo di cortili di piastrelle di terracotta. Con la pioggetta e l’umidità sono muffose e scivolose. Draghi e leoni di bronzo solo apparentemente pacifici si ergono a protezione di ingressi le cui porte conducono verso tempietti rossi e oro pieni di cimeli, statue, immagini di budda, antenati, saggi e imperatori. Una piccola città proibita, delicata ed elegante.

I visitatori sono pochissimi, gli ultimi convergono lentamente verso i bastioni dell’uscita.

In fondo questo luogo ha un suo fascino sebbene difficile da comprendere.

Esco, è l’ora della chiusura 18.00, ho sfruttato al massimo tempo e biglietto.

Rientro lentamente verso l’albergo in parte costeggiando il fiume e poi esplorando una strada interna parallela. La città non è bella, gli ampi viali sono bui e piuttosto trafficati. Non sembra pericolosa ma sono sempre una donna occidentale in giro da sola e quindi mi riporto alla via turistica del Backpackers. Cena al Carambole. Si scatena una serata musicale al Backpackers ma, non so come, si dorme ugualmente.

2 gennaio 2013

L’indomani mi sveglio bene, colazione a base di pancake e frutta inclusa nel modico costo della camera, affitto un motorino con driver – purtroppo non me la sento di girare da sola e mi tocca appiccicarmi a Charlie – e partiamo per visitare le tombe reali nei dintorni di Hue.

Parto un po’ titubante per via del caos di motorini che affolla la città, ma una volta imboccata la parallela al fiume mi sento già più sicura.

Ci fermiamo spesso per verificare la corretta direzione sulla mia mappa scaricata sul cellulare visto che il driver a poche centinaia di metri dal centro è già confuso dal mio programma fuori standard, qui non si trovano mai mappe sufficientemente dettagliate e nemmeno indicazioni chiare sui siti.

Raggiungiamo vittoriosamente la prima tomba quella di Tuc Duc e poi brillantemente il seconda quella di Dong Khan che però è chiusa. Ci addentriamo per una sterrata per visitare alcune tombe minori e poi seppure un po’ incerti, percorrendo una stradina di campagna un po’ fangosa, riusciamo a raggiungere la strada asfaltata e riprendere il percorso classico verso la nuova meta. Un’altra tomba quella di Thieu Thi.

Visito anche una delle tombe più recenti dedicata a Khai Dinh, niente di chè, biglietto very expensive e ingresso in cima ad uno scalone insolitamente cocente.

Non piove più ed il caldo umido è fastidioso. Scendo e ripartiamo, l’ultima visita è la migliore. Il più interessante tra questi complessi è quello dedicato a Minh Mang, ha numerosi giardini e laghetti dorati, pagode, fiori e pavoni che si aggirano indisturbati e tanto più gli edifici somigliano a strutture hindu è più mi piacciono.

Questa volta mi segue anche il driver , ci sediamo lungo le sponde di un bel lago artificiale. Sereno e piacevole. E’ quasi il tramonto e quindi riprendiamo il motorino per rientrare in città.

Solito giro, doccia, cena dal Carambole di fronte e a nanna presto.

3 Gennaio 2013

Il mattino riprendo per 10 USD motorino e driver tramite le sveglissime ragazze della reception del Backpackers, il tempo non è più bello come ieri. Partiamo lo stesso alla volta della striscia di sabbia di circa 15 km che va da Thuan An fino a Vinh Hien parallela alla costa e che si affaccia sul mare del Tonkino.

La sabbia è bianca e il mare rabbioso. Ogni tanto dalla strada che percorre questa specie di isola per tutta la sua lunghezza si dipartono stradine sabbiose che conduco al lato del mare aperto attraverso villaggetti minuscoli, sporchi e un po’ depressi.

L’isola è lunga e la sua principale attrattiva è costituita da elaborate e colorate tombe di famiglia. Alla fine della giornata non ne posso più di tutti questi cimiteri.

Unico posto carino è il villaggio dei pescatori a circa metà dell’isola. Un po’ desolato, ma la luce è affascinante mentre si riflette sulle calme della laguna verso la costa e le reti da pesca sono stese ad asciugare. Sembra che tutti gli abitanti siano ad una festa visto che dall’estremità nord del paese arriva una forte musica, forse un matrimonio o un funerale, il driver non è in grado di dirmelo.

Facciamo dietro front, la nuvola che incombe da questa mattina sulla nostra testa si sta pericolosamente addensando e il tramonto si sta avvicinando. Via con il motorino. Saltiamo, anche al ritorno il ponte giapponese coperto…tanto ce ne un altro da vedere a Hoi Han, saltiamo la pagoda Thien Mu lungo il fiume dei Profumi e vediamo soltanto velocemente la Torre della Bandiera.

Il driver mi riporta al Backpackers dopo più di 70 Km, doccia, valigia e cena.

Il mattino dopo, è già il 4 gennaio.

4 Gennaio 2013

Seguendo il mood dei giovani backpackers, al Backpackers di Hue ho prenotato un posto sull’Open Bus per Hoi An. Arriva e parte puntuale ma poi il viaggio è di una lentezza innaturale.

I bus da tempo non passano più per il famoso Van Pass ma transitano lungo la nuova strada che si infila in una lunga galleria che riduce drasticamente i tempi di percorrenza. Per disincentivare l’uso di questo economico autobus turistico da parte dei locali, il tempo di percorrenza viene mantenuto uguale all’originale riducendo la velocità e rendendolo così poco appetibile ai frenetici Vietnamiti.

Va beh, in ogni caso, arriviamo a Hoi An passando per Danang. Forse il panorama era meglio dal treno della Riconciliazione.

Scesa a Hoi An cammino veloce oltre il ponte che conduce alla zona dove ho prenotato una stanza alla Windbell Guest House.

E’ un po’ lontana dalla zona centrale ma carina, ha una piscina che in questa stagione è assolutamente inutile visto che piove continuamente.

Il bungalow è enorme e il bagno gigantesco, c’è anche una piante tropicale piantata nei pressi della doccia. A questo punto doccia e via con bici a noleggio per scoprire come è fatta Hoi An.

Tra una goccia e l’altra esce un sole rabbioso e l’afa è servita.

Decido di rallentare l’esplorazione della città vecchia e fermarmi a mangiare qualcosa nei pressi del mercato di fronte alla fermata dei battelli che percorrono la laguna che circonda la città.

Entro al ristorante Blue Dolphin, un locale giallo e fresco con 2 piccole loggette che nascondono i tavolini esterni. L’interno è spazioso e famigliare. Si mangia bene, succhi strepitosi e involtini primavera adorabili. Ne farò la mia base gastronomica per tutta la permanenza qui.

Il menù è così vario che ogni giorno assaggio qualcosa di nuovo e qui il cibo è veramente saporito e interessante, ormai il nord con le sue minestre è lontano. C’è anche la scuola di cucina e progetti solidali per incentivare l’imprenditoria femminile.

Le figlie del proprietario mi accudiscono amorevolmente e ogni volta che mi siedo al solito tavolino accompagnano da me qualche turista solitario per farmi passare un po’ il tempo con le chiacchiere, ma anche no, grazie!!.

Spuntino e poi riprendo la bici per vagare un po’ tra le viuzze del centro e verificare se trovo una sistemazione meno costosa e più centrale del mio attuale alloggio. Tentativo fallito, rimango lì per tutto il tempo previsto e ammiro la piscina incastonata nel giardino tropicale tra uno scroscio di pioggia e l’altro.

Ascolto i Doors e penso al comandante Kurtz, ma lui dove è finito? Praticamente qui c’è stata l’invasione dei McDonald.

Tutto è addomesticato, americanizzato, velocizzato, pulito ed efficientato. Gli altri backpackers sono giovani e digitali, leggono e-book e messaggiano continuamente, il wireless è ovunque per connettersi sempre con l’altro e l’altrove. Io continuo con il mio quaderno sdrucito e voglio vedere la stanza prima di pagare, casomai la foto su internet non le rendesse giustizia.

5 Gennaio 2013

Oggi gita fuori porta.

L’efficiente signora della GH mi prepara la colazione e sforna un motorino con driver, gli impartisce le direttive in lingua locale e gli dice di assecondare le mie bizzarre richieste relativamente ai luoghi da visitare ma soprattutto sui posti tappa per le foto, ma io non ho nemmeno la macchina foto!! E’ perplesso come gli altri ma partiamo lo stesso.

La destinazione finale è il complesso templare dei Champa vicino a My Son, dichiarato patrimonio dell’Unesco ed imperdibile nella mia collezione di templi indo-asiatici.

Viaggiamo lungo una specie di asse mediano vietnamita, trafficatissimo e con le uscite tutte da un lato tant’è che arrivati a My Son, in prossimità del sito Champa, il driver si butta con decisione oltre la striscia doppia continua, evita sapientemente gli enormi camion che viaggiano nell’altra direzione e almeno un miliardo tra bici e motorini e quando riapro gli occhi e sfilo le unghie dalla sua carne siamo sani e salvi sulla rampa di uscita sulla carreggiata opposta. Mai più!

Scendendo dalla superstrada rientriamo in Asia, ecco risaie e palmizi, banani e frangipane, una stradina tranquilla e bucolica ci porta fino al sito. Entro, il driver aspetta all’ingresso anche se potrebbe girare gratis, ma dice che sono solo old bricks. Il regno Champa fiorì tra il II e il XV secolo ed adottò la religione Hindu, sono infatti chiari questi influssi nella forma dei templi e nella iconografia tuttora visibile. Il sito religioso di My Son che risale al IV secolo, fu scoperto e restaurato dai francesi e poi bombardato dagli americani. Oggi è sito dell’UNESCO e lo stanno rimettendo in sesto spedizioni archeologiche tedesche e italiane. Accanto ai templi eretti per la terza volta nella loro vita, rimangono le voragini delle bombe a memoria della insensatezza di quella guerra. Il sito è mal conservato ma carino anche per la sua collocazione verdeggiante e tranquilla, c’è qualche cartello con le spiegazioni e una piccola raccolta di oggetti e bassorilievi. Il resto lo vedrò nel museo di HCMC dove furono stoccati i manufatti principali prima dell’insediamento dell’esercito vietnamita nella base di My Son.

Faccio la passeggiata circolare del sito e ripartiamo, questa volta l’ingresso in superstrada è meno drammatico perché siamo dal lato giusto. Riguadagnamo lentamente Hoi An. Oggi niente pioggia, per cena vado a piedi fino al solito Blue Dolphine e assaggio la specialità del luogo, la Rose Delight, che è una sfoglia leggerissima di riso cotta al vapore con un cuore di gamberi rosa di fiume. Buona.

A nanna presto, qui tutto si spegne prestissimo, non c’è vita mondana se non quella dei turisti in birreria o ristorante.

6 Gennaio 2013

Terzo giorno ad Hoi An, sole e pioggia si alternano come sempre, dedico la giornata alla visita alle case della città vecchia, prendo il ticket multi-entry alla biglietteria nei pressi del ponte giapponese coperto e individuo le case più promettenti. Tra quelle free e quelle a pagamento decido per le case di Tan Ky, Tran Duong, Quan Thang, per la Cappella della Famiglia Tran, il Tempio cinese di Quan Cong e la pagoda di Chuch Thanh, visito il museo del folklore che è in una delle case più belle e lì mi lascio attirare dagli acquisti, un paio di sciarpe in seta di Hoi An. Tutto completato prima del tramonto anche se non esattamente in quest’ordine, bello, tanto oggi pioveva.

Dimenticavo, uno degli ingressi sarebbe stato per il ponte coperto giapponese, ma chiacchierando durante il pranzo scopro che facendolo il direzione opposta, ovvero dalla periferia verso il centro l’attraversamento è gratuito, aggiro quindi l’ostacolo usando il ponte nuovo e attraversando il mercato turistico che precede il vecchio ponte coperto che passo rapidamente, ma è così piccino!!!

Dopo tanta attesa rimango un po’ delusa.

7 gennaio 2013

Taxi per l’aeroporto e volo per HCMC. Sull’aereo 4 chiacchiere con un’altra italiana che viaggia da sola, lei arriva dalla Cambogia e sta cominciando con il Vietnam, ha ancora negli occhi la visione di Angkor.

Appena atterrata recupero il mio bagaglio e mi organizzo per raggiungere la stazione degli autobus per il sud. Tutto è così veloce, appena chiedo info all’aeroporto mi acchiappano per un braccio e mi issano sul numero 5, arrivata al capolinea mi buttano giù e mi accompagnano sapientemente alla biglietteria per il primo autobus in partenza per Can Tho e un attimo dopo sono seduta accanto all’autista di un bus stipatissimo in viaggio per il delta del Mekong, questo sì che è viaggiare.

Ci vogliono circa 5 ore e io non ho nemmeno avuto il tempo di prendere un po’ d’acqua, qui a differenza del nord fa caldissimo, afa e sole.

L’autista e il mio vicino fumano, l’aria è irrespirabile e ho valigia e zaino sotto i piedi, niente di comodo ma almeno mi sento viva. Bella sensazione. Il problema dell’acqua viene presto risolto da una sosta collettiva per pasto e pipì. Dal fondo del bus sbucano fuori due ragazzi Moldavi che stanno facendo un giro in Laos, Cambogia e VietNam , mi chiedono quanto ho pagato di extra per il posto in cabina io dico il prezzo e loro capiscono che sono solo stata tempestiva e fortunata, ho pagato come loro. Si riassembla la confezione dei viaggiatori e ripartiamo. Il bus procedere lentamente per rispettare i rigorosi limiti di velocità, l’andatura è surreale, siamo circondati da motorini che sfrecciano a velocità supersonica!

Passato un maestoso e recentissimo ponte sospeso sull’acqua entriamo finalmente ed ufficialmente nel delta del Mekong è meno impressionante del previsto, i canali sono regolari e puliti, tutto è coltivato in modo asettico e ordinato, ma dove sono le palme e gli elicotteri di Apocalypse Now? Qui la guerra non si vede più, lo sviluppo economico è in piena accelerazione e nemmeno un centimetro di questa fertile terra viene lasciato a se stesso.

In tarda serata arriviamo a Can Tho, è una città enorme costellata di grattacieli e di viali alberati, adagiata lungo uno dei canali principali del Mekong in prossimità di importanti ponti che la collegano alle diverse aree di questa regione terracquea.

Scendo con i Moldavi che si dirigono verso la zona delle GH a basso prezzo, mentre io mi muovo verso l’hotel prenotato dalla signora della GH di Hoi An che non mi poteva sapere qui in questa zona di perdizione senza una stanza decente. Alla reception sono imbranatissimi, fanno finta di sapere l’inglese ma non capiscono quasi nulla, mi danno la chiave di una delle stanze VIP sul tetto, salgo, bella, con terrazzo e vasca dei pesci rossi, amaca e salottino in bambù. Troppo. Leggo il prezzo sulla porta della stanza, mollo lì i bagagli e scendo a chiedere nuovamente conforto. Confermano di nuovo 28USD colazione sul tetto inclusa, era per via della raccomandazione della signora altrimenti faceva 38USD.

Mi convinco definitivamente dell’ottima scelta e risalgo. Doccia, cibo ai pesci rossi di cui una è sicuramente Wanda, foto dall’alto alla megalopoli e scendo per un primo giro.

Vado verso il fiume e mi attardo un po’ nella zona delle rematrici dove una signora mi aggancia per propormi un giro dei canali in barca per il giorno dopo. Sono un po’ titubante per il clima e per l’alzataccia che mi propone, ma alla fine cedo e le lascio un anticipo di 1 USD, è quello che chiede, e mi accordo per partire alle 5 del giorno dopo.

Bighellono ancora un po’ e poi mi siedo per cena al Saigon Inn, fronte Mekong ai piedi di una enorme statua argentata di Ho Chi Minh. Arrivano sui loro scooter un po’di reduci americani intrappolati qui come immense balene spiaggiate.

Alla fine mi coinvolgono con birra, patatine e chiacchiere sul loro grande romanzo di guerra e pace tra USA e VietNam. Ormai vivono qui, il fiume li ha attirati, devastati e ammaliati trattenendoli con le loro eternamente giovani concubine locali, per loro gli USA sono una eco lontana di proteste e slogan scaduti.

8 gennaio 2013

Sveglia alle 4.30, mi preparo per la giornata in barca, niente colazione è troppo presto e niente panino perché ieri era troppo tardi. L’hotel è assolutamente impreparato nella gestione della principale attrattiva turistica: le gite in barca sul Mekong.

Scendo che è buio, la mia rematrice mi aspetta sull’angolo, che carina, si chiama Twi.

Arriviamo al fiume che è buio pesto, ci infiliamo in una delle fenditure nel muro di baracche che costeggia la linea cittadina del Mekong, attraversiamo una cucina, una camera da letto, una specie di salotto, un bagno e non so che altro, finalmente arriviamo sull’acqua. Lei mi chiede se ho cibo per la giornata e le dico di no, mi dice di non preoccuparmi farà lei. Perfetto, scendo in barca, una barchetta sottile e piccola con un paio di sedili sgangherati, una leggera capottina in caso di pioggia, il motore tipo long tail thai, i remi, sono un po’ preoccupata. Ma lei è sicura e decisa, sistema la sua dose di cibo, piazza il motore, con i remi si allontana dalla riva e poi via.

Lasciata la banchina ci infiliamo nel corso del fiume, lei naviga con perizia e forza, c’è un traffico bestiale ancora nella bruma mattutina, tutto viaggia e vive lungo l’acqua.

Appena albeggia iniziano a scendere le prime gocce di pioggia, fantastico, sono seduta a due centimetri dall’acqua del Mekong con acqua che scende sulla testa ed una bambina al comando.

Lei mi chiede se voglio issare la capottina, ma sì va. Ferma il motore e siamo in balia delle onde, tiene la barca ferma con i remi e armeggiando qua è la sistemiamo la labile copertura.

Si riparte, qualche foto alle barche che ci passano accanto attenta che le ondate di acqua marrone non ci travolgano, poi tappe ai mercati galleggianti di Cai Rang (a 6 km da Can Tho) e poi quello più lontano di Phong Dien. Tutto avviene lì, scelta della merce, contrattazione, carico e scarico: frutta, pesce, sedie di plastica, copertoni usati, sabbia, detersivo e quant’altro. Turisti pochi, soprattutto alle barche dove attracca Twi per la sua spesa personale, mi nutre di strani frutti che pulisce con un coltellaccio che lava direttamente nell’acqua del fiume. Se non muoio oggi sarò immortale.

Ripartiamo e viaggiamo con qualche stop per almeno un paio di ore, lei procede imperterrita e contro corrente. Tappa caffè su una barca bar, buono caldo e speziato. Ha smesso di piovere ed io non ho più paura.

Chiacchieriamo del più e del meno come due vecchie amiche, lei mi racconta della sua vita, semplice ma solida, ha 26 anni, un marito, nessun figlio, lavora in squadra con papà e mamma che fanno i barcaioli, lei possiede la sua barca, il motore e anche un motorino, ma allora è ricca? Sicuramente è serena e in fondo il suo lavoro le piace.

Ad un certo punto attraversiamo il Mekong, un’operazione che richiede almeno mezz’ora sia per la corrente che per l’intenso traffico fluviale. Arriviamo all’ingresso di un canale secondario che lei imbocca convinta. Ed ecco la foresta pluviale, improvvisamente tutto è profumato e tranquillo, più ci addentriamo nel sinuoso canale e più tutto diventa ovattato come se avessimo attraversato una porta nel tempo. Talvolta il canale è così poco profondo che lei deve scendere per spingere la barca, io rimango immota a guardarmi intorno. Le ride soddisfatta, oggi con una sola turista e perlopiù leggera si sta divertendo. Ci fermiamo in una fabbrica di zucchero di canna e poi in una di sottilissime tortillas di riso stese al sole ad essiccare. Altro caffè, io caldo e lei con il ghiaccio.

Mi soffermo in questa piantagione per chiacchierare con 3 olandesi che stanno facendo più o meno il mio giro, la loro rematrice fatica sicuramente più della mia se la ridono tra loro.

Facciamo una passeggiata per le risaie, piccolo servizio fotografico a Twi che si diverte un casino ma poi non troviamo nessun modo per farle avere le foto scattate. Ma qui siamo in Asia nulla dura, tutto è passeggero e temporaneo, perché mai stampare e conservare delle foto, basta guardarsi e ridere felici della giornata.

Ripartiamo, canali, piante, piantagioni, canali.

Arriviamo in una radura, ormeggiamo e scendiamo, un po’ più su, lontano dal canale una specie di agriturismo locale.

Ci sono banane e rambootan, frangipane e lantana e, in mezzo, 3 o 4 capanne in paglia che ombreggiano tavolini per il pranzo. Involtini primavera pieni di verdure appena raccolte e gamberetti del Mekong, morirò intossicata dal Naplam rimasto nei loro corpi, ma sono squisiti.

Caronte mangia da far spavento, deve recuperare le energie.

Caffè caldo e freddo come al solito e camminando piano piano verso l’acqua siamo pronte a ripartire.

Canali, canali, alcune volte ci areniamo e lei spinge sbuffando perché deve scendere nel fango, ma sorride sempre. Incrociamo le barche di papà e mamma che stanno trasportando un gruppo chiassoso di turisti. Che strana famiglia eppure sorridono e si danno appuntamento per la sera.

Dopo questa pausa verde ci rituffiamo nel caos acquatico del ramo principale del Mekong è lì la vita continua a brulicare di merci, animali e umani. Guardo chi vive su queste barche, chiatte multiuso con cucine e culle appese ai soffitti di paglia. C’è chi dorme, chi fa il bucato che si lava i denti con l’acqua marrone del fiume, chi cucina, i bambini giocano e si tuffano legati per la vita.

Questo è il Mekong.

Tra i riflessi grigi dell’acqua recuperiamo la sponda di fronte alla statua argentea di HCM.

La giornata fluviale è finita, sono le 16.00 è ora di un vino Dalat al Saigon Inn con i reduci.

Domani prendo una macchina e faccio un giro verso Bac Lieu per vedere le pagode Khmer colorate e segnalate come un must dalla LP.

9 gennaio 2013

Colazione ed estenuante colloquio con la reception per ottenere un’auto per la zona di Bac Lieu dove ci sono le pagode di Xa Lon e Moi Hoa Binh.

Voglio andare, vedere le pagode e tornare, non è difficile, ma gli altri turisti di solito dormono là!!

Ma io domani ho un volo per Phu Quoc comprato per 60 USD all’ufficio della Vietnam Airlines.

Alla fine riesco ad ottenere quello che voglio e costa anche meno perché l’autista che abita a Can Tho, al ritorno potrà portare dei suoi parenti. Car pooling.

Partiamo alle 10.00. Oggi sole e afa.

Circa 3 ore di viaggio e con i nuovi ponti raggiungiamo brillantemente la Xa Long pagoda, è un po’ una delusione, praticamente è tutta nuova e decorata con gran carta di riso. Tutto è kitch e coloratissimo, stile khmer in salsa chili. Foto a questo eccesso di oro e verde e ci spingiamo alla Moi Hoa Binh. Stesso effetto, ma almeno mi sento nel pieno del delta. Qui i turisti scarseggiano e io stessa risulto una curiosa attrazione. Mi sorridono tutti con i loro occhi orientali. Arriviamo a Bac Lieu e lì carichiamo il vociante parentado del taxista per tornare sui nostri passi.

Alla fine la giornata è stata divertente. Lo stile Khmer un po’ diluito nell’acqua del Mekong, ma almeno ho soddisfatto tutte le mie curiosità sul rimasuglio hiundù in terra vietnamita.

Cena e dormitona nel superattico.

10 gennaio 2013

Colazione ancora più in alto, ormai qui mi servono “il solito” e spengono il ventilatore che mi spara aria ghiacciata sulla schiena appena mi siedo. Che meraviglia!

Il volo è tardi, giro veloce per Can Tho alla ricerca delle sue pagode e del museo nazionale. Qui spiccano le ricostruzioni di scene agresti in carta pesta ed è tutto pieno di studenti che le ricopiano seduti per terra. Bellino il mercato che mi ero persa nei giorni scorsi.

Pago l’hotel e vado con il taxi all’aeroporto. Un’ora di volo e sono al caldo e al mare.

Atterro in un’isola metà brulla e metà amazzonica, è Phu Quoc in territorio vietnamita ma di fatto fisicamente cambogiana. Per metà è zona militare vietnamita, l’altra metà è abitata.

Ho prenotato il Mango Garden dall’albergo di Can Tho ed il primo effetto benefico è che c’è una moto ad aspettarmi all’aeroporto. Carica me, lo zaino e la valigia e partiamo. Strada calda e deserta, la terra rossa mo riporta al colore della Cambogia. In meno di mezz’ora arriviamo verso Sao Beach nel sud dell’isola dove farò base per due giorni. Ci infiliamo in una sterrata, molto sterrata, piena di buche piene di acqua. Qui siamo nel mezzo della foresta ed è umidissimo. Arriviamo in un villaggio piccolo piccolo ed ecco un cancello, dietro fiori ed una casa in mattoni un po’ triste. E’ il Mango Garden. Dietro la casa ecco il giardino con dei piccoli bungalow appena finiti. Oltre a me c’è solo una coppia di olandesi che oggi è in giro in bici. Mollo tutto e seguendo le indicazioni della signora canadese che ha sposato un locale, arrivo alla spiaggia. Bella, bianca ma umidissima. Faccio il bagno e poi occupo un lettino ad un baruccio e sonnecchio, leggo, scrivo.

Chiacchiero con un paio di italiani già incontrati a Hoi An che sono in hotel a Duong Dong e sono in gita qui con la barca che la spiaggia è più bella.

Mi annoio fino al tramonto e poi chiamo il motorino free che mi riporta alla GH. Mangio con gli olandesi degli ottimi gamberoni impanati, patatine e frutta.

Zampirone, zanzariere e pala a tutto gas e si dorme.

11 gennaio 2013

Colazione triste sul terrazzo del bungalow in muratura. La signora canadese si lamenta del poco afflusso turistico.

Il tempo è bruttino e quindi dirotto il motorino dalla spiaggia al porto e poi verso un’altra spiaggia da cui si ha una bella vista del sud di questa strana isola. Io e il driver non ci capiamo per niente e lui ogni 200 metri telefona alla canadese per chiedere chiarimenti, sorride e riparte. Ci fermiamo a bere un caffè freddo. Tutto sto ghiaccio mi avvelenerà.

Ritorno nella spiaggia di ieri e faccio pranzo. Dormo, nuoto e decido che sono stufa di questa umidità. Domani mi sposto a nord.

Risalgo per 20 minuti fino alla GH camminando lungo un sentiero in mezzo alla foresta ad un certo punto sento un rumore sospetto e mi spavento a morte, ma è solo il cane della signora che mi è venuto gentilmente incontro…accidenti a lui.

Cena con gli olandesi, lui è un inventore e lei è bellissima e giovane, innamorata del genio.

12 gennaio 2013

Leggendo la LP identifico un nuovo posto dove ritirarmi, è una specie di comune gestita da una giovane portoghese moglie di un vietnamita. La contatto telefonicamente e faccio istruire il driver del giorno. Riesce ad arrivare solo fino a Duong Dong e poi mi lascia alle cure di un altro che conosce meglio la zona. Ma l’isola è lunga in tutto 50 Km e larga meno di 10, come fanno a perdersi con una sola strada al centro? Va beh.

Quest’ultimo mi porta a destinazione con un punto interrogativo sulla faccia.

Il posto invece è bellissimo. Si tratta di una struttura in legno e bambù con reception, area WIFI e lettura circondata dalla foresta in cui sono immersi una dozzina di bungalow tutti diversi tra loro e perfettamente integrati nell’ambiente. Io mi sistemo al Coco Bungalow con terrazzino soprelevato dotato di amaca e bagno esterno sul retro.

Ottimo. Pranzo e parto per la spiaggia con tanto di telo mare e mappa dettagliata per attraversare la foresta.

La spiaggia è semplice, pulita e deserta. Poche sedie a sdraio solo per gli ospiti del Freedomland, servizio bibite sul posto. Che meraviglia. Peccato che in lontananza si vedano gli scavi per future strade e villaggi.

La portoghese conferma i miei sospetti. Stanno lottando con le multinazionali del turismo che stanno lottizzando tutto, inclusa la spiaggia che loro condividono con una famiglia di pescatori.

Mi godo il luogo e l’atmosfera cercando di non pensare alla loro prossima distruzione.

Inizio la mia guerra con le zanzare per fare un doccia all’aperto, è stupenda sotto un frangipane con vista sul retro coltivato. Finisco che sono tutta una bolla, speriamo che la malaria sia veramente andata.

Cena collettiva a base di specialità vietnamite preparate dal marito. Ogni piatto arriva con la sua spiegazione e le istruzioni per la corretta gestione dei diversi componenti solidi e liquidi. Interessante. Ci obbliga al vino e i giovani americani in vacanza vanno in delirio per questo cibo genuino.

Mi prendo una cuba libre e chiudo la serata sull’amaca coccolata da uno zampirone, dopo tanto DDT non fa nessun effetto ma l’anofele dopo cena dorme.

13 e 14 gennaio 2013

Idem come sopra, che altro fare in questo posto.

Mi concedo giusto l’ultimo giro in motorino per vedere qualche spiaggia a nord ovest. Belle, asciutte eppure l’umido sud di quest’isola è dietro l’angolo.

15 gennaio 2013

Volo per HCMC.

Ho tutto il giorno per visitarla. Pagoda dell’imperatore di Giada, tempio del re Hung Vuong, Tempio Tran Hung Dao, museo di storia dove ritrovo i manufatti Champa salvati dai bombardamenti.

Pranzo in un posto molto in della città l’Au Parc, popolato di coppie vietno-europee molto chic. Si mangia bene e fa fresco.

Alla sera il volo per Parigi e poi finalmente a Torino il mattino del 16 gennaio.

Rieccomi a casa. Bel viaggio ma, mi manca la dolcezza dell’altra Indocina. Sorry VietNam.



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