LONDRA VAL BENE UNA MESSA di ma non era Parigi?

ANTEFATTO QUANDO: Pranzo di Natale. DOVE: Casa di mia zia a Pescara. CHI: Io, mia moglie Miriam, mia zia Gabriella (padrona di casa), mia madre, mio padre, mia cugina Paola, mia sorella Francesca, mio fratello Piero, mia cognata Laura. Zia: “Avete sentito del volo diretto per Londra che hanno messo da Pescara? Sembra che i biglietti li...
Scritto da: Luciano M.
Partenza il: 08/01/2004
Ritorno il: 11/01/2004
Viaggiatori: in gruppo
Spesa: 500 €
Ascolta i podcast
 
ANTEFATTO QUANDO: Pranzo di Natale. DOVE: Casa di mia zia a Pescara.

CHI: Io, mia moglie Miriam, mia zia Gabriella (padrona di casa), mia madre, mio padre, mia cugina Paola, mia sorella Francesca, mio fratello Piero, mia cognata Laura.

Zia: “Avete sentito del volo diretto per Londra che hanno messo da Pescara? Sembra che i biglietti li regalino!” Io: “Si, sarebbe da approfittarne” Zia: “Allora andiamoci. Io non ci sono mai stata!” Io: “Sarebbe bello. Ma quando?” Zia: “Subito. Informati oggi stesso su internet. L’albergo lo pago io” Io: “Per tutti?” Zia: “Si, per tutti. Una volta nella vita voglio fare un viaggio con tutta la famiglia riunita” Io: “Sarà fatto!” 8 GENNAIO Non mi sembra vero, ma siamo tutti all’aeroporto. Riuscire a coordinare gli impegni di nove persone in così breve tempo sembrava un’impresa impossibile, ma chissà perché la frase magica “l’albergo lo pago io” ha compiuto il miracolo.

Sono già stato a Londra una dozzina di volte, ma questa è diversa. C’è la mia famiglia al completo e … ci sarà da divertirsi.

L’aereo parte fra un’ora, ma i miei genitori sono in aeroporto già da un’ora e mezza. Mia madre non prende l’aereo da 35 anni ed è terrorizzata dall’idea di perderlo. Mentre mio fratello provvede a spiegarle le differenze tra un aereo ed un pullman, comincio a raccogliere il gruppo per guidarlo verso il check-in, ma mi accorgo con orrore che manca qualcuno. Mia zia, naturalmente. “Dov’è tua madre?” chiedo a mia cugina Paola.

“Non lo so. Mezz’ora fa mi aveva detto che stava arrivando” Lascio a mia sorella, altra esperta londinese, il compito di espletare le pratiche per il gruppo e mi fermo ad attendere mia zia.

Finalmente dopo dieci minuti, quando il panico cominciava già ad assalirmi, la vedo superare le porte di vetro dell’entrata. “Ho perso l’autobus e ho dovuto chiamare un taxi” mi dice con il fiatone.

Entriamo di corsa e davanti al controllo elettronico c’è mio padre che discute con un poliziotto. Al di là della barriera tutto il resto del gruppo attende tra il divertito ed il preoccupato.

“Che fai ancora lì? Pensavo foste già entrati” gli chiedo incuriosito. “Non voglio passare lì sotto, ho paura per il mio pacemaker” è la sua risposta lapidaria.

Interpellato il poliziotto, vengo a sapere che la cosa non gli è mai capitata prima e non sa come comportarsi. Dopo alcune telefonate e la visita del suo superiore, riusciamo a risolvere il caso pacemaker con una semplice perquisizione manuale.

Intanto, però, gli altri passeggeri sono ormai tutti dentro l’aereo e dobbiamo accontentarci degli ultimi posti rimasti.

“Non soffrirò il mal d’aereo qui dietro?” azzarda mia zia, ma la fulmino con uno sguardo.

Quando finalmente ci alziamo in volo, non mi sembra vero. Se il buongiorno si vede dal mattino… Il volo è tranquillo, ma arrivati a destinazione, una spessa coltre di nuvole impedisce ogni visuale.

Prima di partire avevo telefonato ad una mia cara amica che vive a Londra per chiederle che tempo facesse. Da noi aveva nevicato ed eravamo tutti un po’ preoccupati.

“Qui fa molto freddo, ma non c’è problema. A Londra non nevica mai!” era stata la sua rassicurante risposta.

Ovviamente, sull’aereo il pilota ci informa che atterreremo a Stansted con mezz’ora di ritardo perché … stanno finendo di liberare la pista dalla neve.

Mia sorella, l’interprete del gruppo, incautamente traduce ad alta voce le sue parole, scatenando la reazione di tutti contro di me.

I quaranta minuti di treno per arrivare dall’aeroporto alla Liverpool Station passano in un baleno. Chi per un verso, chi per un altro, siamo tutti emozionati. Io rimango incollato al finestrino ad ammirare l’insolito spettacolo della città innevata.

Per arrivare al nostro albergo ci aspetta ancora un pezzo in metropolitana. Un mio amico, titolare di un’agenzia di viaggi, ci ha trovato un 4 stelle che sta praticando dei “saldi” post-natalizi. Si trova a Bayswater, proprio di fronte ai Kensington Gardens, la parte di Hyde Park al di là del lago Serpentine. In metropolitana riusciamo a non perderci e la cosa viene salutata da tutti come un successo insperato, ma appena usciamo all’aria aperta, rimaniamo paralizzati. Fa un freddo bestiale! Prestando molta attenzione a dove mettiamo i piedi (la neve sta cominciando a gelare) arriviamo in albergo. Non è male, e anche la zona sembra carina.

I miei genitori sono un po’ stanchi, ma il programma è implacabile. Tra un’ora dobbiamo essere in centro. Naturalmente è un’illusione. Mia zia, infatti, non soddisfatta della propria stanza, trova il modo di perdere quasi un’ora in una discussione, a gesti, con il portiere dell’albergo. Alla fine la spunta e riusciamo a metterci in marcia … quando tutti i negozi sono ormai chiusi.

Decidiamo di andare a cena e riservare le forze per il giorno seguente. Anche questa, però, che apparentemente può sembrare una banale operazione, per il nostro numeroso ed eterogeneo gruppo diventa subito un’impresa disperata. Dopo una puntata di rito a Piccadilly Circus illuminata, infatti, ci dirigiamo a Soho, quartiere con una grande densità di ristoranti di ogni genere, e qui inizia una ‘via crucis’ penosa. Il cinese piace a Francesca, ma non a mia madre. Il greco incontra i favori di mio padre, ma non di mia zia. Il pub inglese entusiasma mio fratello, ma non mia cognata, e così via. Passiamo praticamente in rassegna tutto il panorama gastronomico mondiale senza riuscire a trovare un accordo soddisfacente. Dopo due ore di inutili giri, stanchi ed infreddoliti passiamo davanti ad un ristorante italiano. In meno di un minuto siamo tutti seduti attorno al tavolo.

Nonostante io non sopporti di mangiare italiano quando sono all’estero, devo dire che, forse complice la fame, riesco a mangiare tutto con gusto. Naturalmente di italiano nel locale c’è solo il nome (il titolare è pakistano ed i camerieri sono afro-inglesi), ma ormai è così un po’ in tutto il mondo.

9 GENNAIO La mattina ci troviamo tutti di buon’ora nella sala della colazione. Il buffet presenta un breakfast all’inglese ed io, come sempre mi succede appena posato piede in un paese straniero, vengo preso da una specie di frenesia culinaria che mi spinge ad ingurgitare schifezze di ogni tipo. Quando sono a casa, la mia colazione abituale consiste in una tazza di tè accompagnata da un biscotto, uno solo, perché due mi creano già dei problemi di stomaco, ma qui quello stesso stomaco, per un fenomeno ancora inspiegabile, non prova nessun imbarazzo nell’accogliere con piacere: cappuccino, succo d’arancia, toast con burro e marmellata, fiocchi d’avena al cioccolato, uova strapazzate con pancetta abbrustolita, salsicce e … fagioli in umido. Anche gli altri, però, approfittano volentieri. Forse anche troppo. Mia zia e mia sorella, infatti, fanno incetta di panini che riempiono di salumi e formaggi vari e, dopo averli sommariamente incartati in fazzolettini di carta, li ficcano nella mia borsa, poi se ne vanno senza dire nulla.

Mentre gli altri vanno in camera per finire di prepararsi, io e Miriam, mia moglie, ne approfittiamo per fare due passi nel parco di fronte all’albergo. La giornata è splendida. C’è il sole, il cielo è terso e, naturalmente, fa un freddo cane.

Lo spettacolo dei Kensington Gardens innevato è splendido. Arriviamo fino al Round Pond, un laghetto artificiale in mezzo al parco, che è in gran parte ghiacciato, poi, sulla strada del ritorno, ci fermiamo davanti a Kensington Palace, sfortunata residenza della principessa Diana e della principessa Margaret prima di lei. Tornati indietro troviamo tutta la compagnia pronta per partire. Faccio per comunicare la prima parte del mio dettagliato programma mattutino, ma vengo a sapere che nel frattempo sono stato bypassato. Gli “anziani” del gruppo sentono freddo (mio padre, per la prima volta nella sua vita, sfoggia con suo disappunto e l’ilarità di tutti, una coppoletta che mia madre lo ha obbligato a mettere per ripararsi la testa) e non se la sentono di camminare tutta la mattina, così hanno democraticamente deciso di fare un giro della città su un “double deck” (tipico autobus a due piani) turistico. Hanno già comprato i biglietti.

Per protesta, mi dissocio dal gruppo e salgo sul secondo piano (scoperto!) dell’autobus a meditare sul tempo perso a stilare il mio programma di viaggio. Comunque, a parte un principio di congelamento dovuto alla mia postazione esterna, il giro è piacevole. In definitiva, sarà turistico quanto si vuole, ma per chi non ha mai visto la città (soprattutto se non più giovane) è la soluzione ideale per farsene un’idea d’assieme. I”vecchietti”, infatti, ne sono entusiasti. Durante il giro mi rendo conto di quanto sia cambiata la città nei miei due anni di assenza. A tal punto che io, mia moglie e mia cugina (queste ultime entrambe architetti) decidiamo di scendere nella City per dare un’occhiata da vicino alle ultime realizzazioni architettoniche. Raggiungeremo il resto del gruppo più tardi a Covent Garden.

Andiamo a vedere i nuovi, avveniristici palazzi di Norman Foster e, superato il Tower Bridge, grandioso simbolo della città (dal quale diamo un’occhiata alla storica Tower of London, ormai soffocata dalla crescita smisurata della retrostante City), facciamo un salto all’interessante Design Museum, quindi ci inoltriamo per il rinato South Bank dove, ad ogni passo incontriamo qualche meraviglia. La deliziosa Hays Galleria, un vecchio dock portuale abilmente ristrutturato, il nuovissimo ed avveniristico municipio di Londra, anch’essa di Norman Foster, il reinventato Globe Theatre di Shakespeariana memoria, Vinopolis, curioso museo del vino, la Tate Modern, museo che visiteremo domani, la Oxo Tower, palazzo industriale ristrutturato, oggi sede di laboratori artistici e di un fantastico ristorante panoramico, il South Bank Centre, centro culturale che comprende gallerie, teatri e musei, la London Eye, assurda ruota da luna park immensa e costosissima, per finire con la gigantesca County Hall, oggi sede del London Aquarium e di un curioso museo del football. Stanchi, ma soddisfatti, ci infiliamo in metropolitana per andare a riunirci al gruppo.

Arrivati a Covent Garden, in realtà, veniamo a sapere che il gruppo si è ulteriormente diviso. Mentre i miei genitori e mia sorella ci hanno raggiunti, gli altri sono rimasti a girovagare per Westminster.

Ne approfittiamo per fare un giretto nel coloratissimo e chiassoso Covent Garden, un vecchio mercato dei fiori ristrutturato ed oggi sede di negozietti vivaci e alla moda. Anche se continua a fare molto freddo, la bella giornata ha invogliato la gente ad affollare la piazzetta antistante. Visto che si avvicina l’ora di pranzo, come aperitivo ci concediamo una Jacket Potato, gustosa patata cotta al vapore e ripiena di salse di ogni tipo. Mio padre, più che dalla novità gastronomica rimane colpito dal prezzo.

“Cinque sterline per una patata? Ma sono matti?” Dato che i nostri non si vedono ancora, decidiamo di andare a pranzo. Il gruppo, però, memore della sera precedente, è un po’ indeciso. Per rompere gli indugi, decido io, e il locale prescelto è uno dei miei preferiti: Wagamama. Tempio del fast food orientale, il Wagamama ti accoglie con un arredamento funzionale ed un’atmosfera informale. Il cibo è ottimo, a patto che vi piaccia la cucina orientale, cosa che purtroppo non è per quanto riguarda mia madre la quale, non trovando nulla di suo gradimento sul menù, decide di prendere una zuppa. La sua faccia all’arrivo del piatto rimarrà uno dei ricordi più divertenti del viaggio. “Sembra sciacquatura di piatti” è il suo commento prima di accantonare definitivamente la portata.

Quando usciamo dal locale, finalmente arrivano i dispersi. La zia ci assale entusiasta “Avete visto le nuove costruzioni di Forrester?” chiede alla figlia.

“Foster, mamma, Foster. Quell’altro sta in Beautifull!” Dopo tanta cultura è giunto il momento di un po’ di sano shopping. E dove, se non da Harrods? L’Undergrownd ci deposita proprio ai piedi del maestoso palazzo di Knightsbridge ed entriamo senza indugio nelle sue viscere. All’ingresso veniamo accolti da un tabernacolo di dubbio gusto su cui campeggiano le foto di lady Diana e Dodi Al Fayed circondate da coroncine di fiori, uccelli dorati e finti ceri. Neanche a dirlo c’è la fila per farsi fotografare davanti, opportunità che mia cognata non si lascia sfuggire.

Tralasciamo i piani superiori e ci gettiamo senza indugio nelle sale del piano terra: quelle del cibo. Ogni immaginazione a riguardo è semplicemente riduttiva. Con grande difficoltà, infatti, una mente umana potrebbe immaginare una simile quantità e qualità di cibo, esposto in un tale contesto di lusso sfrenato. Solo i prezzi frenano la nostra corsa all’acquisto. Ma l’evento che renderà memorabile la nostra visita di Harrods sarà un altro: sto valutando l’acquisto di una marmellata, quando, da una scala mobile al mio fianco, attorniato da una decina di gorilla, spunta l’inconfondibile figura di Mohammed Al Fayed, padre di Dodi, nonché proprietario dei magazzini. Mentre mi passa a fianco, mormoro alla zia Gabriella, consapevole della sua passione per i personaggi famosi, “Zia, guarda, c’è Al Fayed”. La zia si volta, ma il gruppetto è già passato. “Dove, dove?” mi urla nell’orecchio e, senza attendere la mia risposta, si butta alla rincorsa del personaggio. Sbalordito urlo agli altri ”Fermiamola, altrimenti le guardie del corpo la fanno fuori”. Così ci lanciamo tutti all’inseguimento della zia. La troviamo, senza più fiato, qualche reparto più in là. Ci dice che è riuscito a vederlo, ma dopo averlo seguito per un po’, si è dovuta fermare perché non ce la faceva a stargli dietro. Naturalmente, per il resto della giornata non ci parlerà d’altro. Ma non può immaginare che non sarà l’unico incontro importante del viaggio.

Usciti da Harrods decidiamo di non prendere la metropolitana, ma con una rilassante passeggiata percorriamo tutta Piccadilly e ci inoltriamo per il quartiere di St. James, sede dei più famosi club londinesi per gentiluomini, alcuni dei quali, ancor’oggi, non permettono l’ingresso alle donne. Giudicati anacronistici dai più, rimane famosa la battuta che anni fa il Times, principale giornale di Londra, pubblicò sulle sue colonne: “Dopo un lungo periodo di ristrutturazione, ha riaperto ieri il Reform Club. I membri sono stati risistemati nelle rispettive posizioni”.

Visto che siamo in zona, una visita da Fortnum and Mason, con i suoi ambienti eleganti ed i suoi commessi in frac, è d’obbligo. Pur se le cinque sono ormai passate, ci fermiamo a fare una pausa nell’elegante sala da tè, tra deliziose vecchine, probabilmente parte dell’arredamento, e turisti un po’ più esuberanti.

Quando usciamo è quasi ora di cena. Resta il tempo per un giro tra i teatri del West End ed arriviamo al ristorante che sembra avere messo tutti d’accordo: il Belgo Centraal. Sulla cresta dell’onda da diversi anni, è un locale dalla struttura davvero originale. Le sale si trovano in locali sotterranei ai quali si accede mediante un montacarichi che passa sopra le gigantesche cucine a vista. Si siede su panche comuni, a mò di refettorio, ed infatti i camerieri sono tutti vestiti con un saio da frate. La cucina è belga e la fanno da padrone, oltre ad una infinita scelta di birre, piatti tradizionali come cozze e patatine fritte. C’è un’ampia scelta di piatti ed i dolci sono gustosi.

10 GENNAIO Il nuovo giorno si apre all’insegna di un cielo plumbeo. Se non altro fa meno freddo di ieri. Stamattina abbiamo deciso di andare a visitare la nuova Tate Modern. Molti tratti di marciapiede sono ghiacciati, così camminiamo in fila indiana a mò di cordata. Come se non bastasse, dobbiamo affrontare la follia della guida a sinistra. A Londra è facile riconoscere i turisti. Sono quelli che quando devono attraversare la strada hanno l’occhio terrorizzato di chi sta per affrontare una missione suicida. Li vedi che si affacciano con circospezione dal marciapiede e, voltandosi a destra e a sinistra, cercano di capire da dove arriverà l’insidia. Probabilmente a causa dell’alta mortalità di turisti sulle loro strade, gli inglesi, che per queste cose sono molto pratici, hanno dipinto sul bordo dei marciapiedi una serie di scritte, accompagnate da delle frecce, per indicare il lato in cui si deve rivolgere lo sguardo. In caso di difficoltà, comunque, esiste sempre una via di salvezza: le strisce pedonali, che qui non sono, come da noi, un bersaglio disegnato sulla strada per mirare meglio gli ignari pedoni, ma un segnale venerato quanto le vacche sacre in India. Se volete divertirvi un pò, all’arrivo di un’automobile, mettete un piede in strada facendo finta di voler attraversare sulle strisce, assisterete a frenate degne del miglior Gran Premio di Formula Uno. Ma torniamo a noi. La Tate Modern (succursale della più nota Tate Gallery) è un museo di arte moderna ricavato dalla ristrutturazione di una vecchia centrale elettrica in disuso. Si trova a Southwark, nel South Bank (la riva sud del Tamigi). Per raggiungerla attraversiamo il fiume sul nuovissimo Millenium Bridge, bellissimo ponte pedonale realizzato da … indovinate chi? Esatto, proprio lui, Foster “Forrester” (come lo abbiamo ormai ribattezzato)! Superata l’entrata del museo, veniamo accolti da un salone immenso, totalmente sgombro, che funge da spazio espositivo per opere colossali. Le sale che raccolgono la collezione permanente, invece, sono ai piani superiori. Come tradizione dei grandi musei londinesi, l’ingresso è gratuito e, per gli appassionati di arte moderna è una visita da non perdere. Suggerisco comunque una visita anche ai non appassionati, non fosse altro che per dare un’occhiata all’imponenza di questa struttura post-industriale.

All’uscita, il gruppo si divide nuovamente. Stavolta in tre parti. Una fazione, capitanata da mia zia e che comprende mia cugina, mio fratello e mia cognata, vuole andare a visitare la cattedrale di St. Paul, che si trova lì di fronte, la seconda, capitanata da me, opta per il quartiere di Bloomsbury, mia sorella, infine, si dirige verso Oxford Sreet per far visita ad un suo amico che lavora da quelle parti.

Bloomsbury è il quartiere della città che preferisco, oltre che per la presenza dello stupendo British Museum, anche perché è un compendio della Londra iconograficamente più conosciuta, quella a cavallo tra la fine del ‘700 ed i primi del ‘900. Insomma, la Londra che ti aspetti di vedere. E’ bellissimo anche solo aggirarsi senza meta tra le sue strade. In ogni angolo vi si respira cultura e storia. La splendida Bedford Square, con le case georgiane perfettamente conservate e le cancellate nere sempre perfettamente verniciate, l’imponente Russel Square, con il bel parco al centro ed i suoi edifici vittoriani in mattoni rossi, Bloomsbury Square, sede del mitico Bloomsbury Group di Virginia Woolf .

Dopo un giretto panoramico, io e Miriam lasciamo i miei genitori al British Museum (a proposito, date un’occhiata alla nuovissima hall. Anche qui Norman Foster ha lasciato il segno!) e ci dirigiamo verso uno di quei gioielli poco conosciuti di Londra, ma che riservano sempre belle sorprese: il Sir John Soane’s Museum. Erano anni che desideravo visitarlo, ma per un motivo o per un altro non mi era mai riuscito.

Il museo, in realtà è la casa dell’eccentrico John Soane, importante architetto ottocentesco con l’hobby del collezionismo. Dall’esterno non suscita grande impressione, sembra una delle tante villette a schiera che circondano il grazioso slargo di Lincoln’s Inn Fields, ma una volta entrati si rimane disorientati. Le stanze sono così sovraccariche di oggetti, sculture, quadri (anche di grande valore artistico), libri, reperti archeologici di ogni epoca (perfino un vero sarcofago egizio!), che ad ogni movimento si ha il terrore di far cadere qualcosa. Il tutto si snoda in una serie di ambienti che, grazie ad accorgimenti ed illusioni architettoniche, sembrano infiniti. Si esce storditi e viene subito da ridare un’occhiata dall’esterno al fabbricato per cercare di capire dove cavolo possano essere state infilate tutte quelle stanze.

Recuperati i genitori, entusiasti per avere visto la “Stele di Rosetta”, partiamo alla volta di Leicester Square, luogo dell’incontro con i transfughi. Arriviamo per primi, così ci dedichiamo per un po’ ad uno dei più divertenti passatempi londinesi: guardare il passeggio.

Credetemi, a Londra non c’è spettacolo migliore di questo. In un’oretta vedrete passare più gente alla moda, fuori moda, colorata, colorita, assurda, eccessiva, normale, sexy, elegante, kitsch, ridicola, di quanta non ne abbiate mai vista in tutta la vostra vita. Tanto per rendere l’idea, di fronte alla nostra panchina c’era un tizio vestito da Babbo Natale, con una parrucca verde in testa, che ballava il tip tap. Giuro.

Quando tutti gli altri ci raggiungono sono ormai le quattro. Nessuno ha pranzato, ma io e mio fratello sembriamo gli unici ad essere affamati, così, come topi attratti dalle note del pifferaio magico, ci dirigiamo verso un chioschetto in fondo alla piazza per assaporare quel trionfo del kitsch gastronomico, prelibato e ipercalorico che risponde al nome di ‘fish and chips’. Messo a disagio dalle occhiate continue di ‘quelli che non avevano fame’, mio fratello commette l’errore di chiedere “Non è che volete provare?”. E’ un assalto. Le nostre porzioni finiscono in un batter d’occhio e dopo cinque minuti ci troviamo tutti appollaiati uno di fianco all’altro, chi sulle panchine chi seduto per terra, a sgranocchiare cartocci giganteschi di fish and chips. Mia zia, tra un boccone ed un altro, trova il tempo di raccontarci la spedizione del suo manipolo: constatato che per entrare a St. Paul si doveva pagare il biglietto, hanno girato i tacchi e si sono diretti verso Trafalgar Square, dove hanno visitato la National Gallery. Non ancora sazi, hanno fatto una visita ai negozi di Regent Street ed alla ormai non più mitica Carnaby Street. La giornata fin qui trascorsa è stata piuttosto stancante, così un inizio di mal di schiena mi fa proporre una sosta ristoratrice in qualche pub. Sono proprio gli “arzilli vecchietti”, però, dei quali avevo sottovalutato le capacità di resistenza, a rifiutarsi. Vogliono continuare la visita.

“Londra val bene una messa!” sentenzia mia zia.

“Ma quella non era Parigi …” accenna mia sorella, subito messa a tacere da Piero. “Paga la zia, quindi ha sempre ragione!” Ci accordiamo quindi per un salto a Chelsea. Scendiamo con la metro a Bond Street, qui mio padre si accorge di aver “accidentalmente” lasciato sulla carrozza della metropolitana l’odiato berretto. Intanto mio fratello, grande appassionato di Sherlock Holmes, ci abbandona, accompagnato dalla moglie, per indirizzarsi verso Baker Street alla ricerca di indizi. Noi attraversiamo l’elegante quartiere di Mayfair, una volta sede dell’aristocrazia londinese, ora lottizzata da sceicchi arabi con gigantesche Rolls Royce parcheggiate davanti casa e raggiungiamo Hyde Park Corner. Qui ci accorgiamo che c’è una discreta folla assiepata lungo Park Lane, c’è anche molta polizia che cerca di rallentare il traffico. Attraversiamo incuriositi per vedere che sta accadendo e, dopo pochi minuti di attesa, appare un corteo di nere auto di rappresentanza che procedono piuttosto lentamente. Nelle prime due ci sono alcuni uomini e donne in abito da cerimonia, ma sulla terza … Beh, non sono un gran lettore di cronache mondane, ma i due tizi seduti sul sedile posteriore sono indiscutibilmente la Regina Elisabetta e consorte. Siamo tutti fulminati. Mia zia, contrariamente al suo solito, non ha parole, ma decide ugualmente di fare qualcosa, e fa ciò che qualsiasi italiano degno di questo nome avrebbe fatto in una simile circostanza: agita la manina e saluta. Ed ecco il miracolo. L’anziana signora alza la sua regale mano e saluta a sua volta, poi sparisce nel traffico cittadino. Chiaramente il saluto era impersonale e non certo diretto a mia zia, ma non proviamo nemmeno a farne accenno, perché da quel momento il gesto diviene concordemente “il saluto della regina alla zia Gabriella”. Nel frattempo proseguiamo la passeggiata, anche se la mente di molti è altrove, inoltrandoci per Belgravia, un suggestivo quartiere costituito da una serie interminabile di palazzi completamente bianchi con imponenti colonne sulle facciate. Di qui giungiamo in Sloane Square, piazza che è la porta di Chelsea e dalla quale parte la mitica King’s Road, la strada in cui nacque la “Swinging London” degli anni ’60. Dopo averne percorso solo pochi isolati, però, le tenebre sono già calate … assieme alle forze degli irriducibili “vecchietti”. Troppe emozioni in questa giornata, così ci concediamo un taxi per raggiungere il luogo della nostra cena. Si tratta del Beach Blanket Babylon, uno strano ristorante a Notting Hill che la mia amica Patrizia, residente a Londra da quindici anni, ha provveduto a prenotare. Senza questo accorgimento è pressoché impossibile cenare, soprattutto in posti ‘trendy’. Come dicevo, il posto è davvero originale. Divanetti, camini medievali, candelabri, cherubini, mosaici e … una Bocca della Verità. Insomma, il trionfo del kitsch. La cucina non è trascendentale ed il conto salato, ma non ci lamentiamo.

Non siamo lontani dall’albergo e Patrizia si offre di riaccompagnare i senior con la sua macchina, mentre noi “giovani” andiamo a fare un giretto notturno per il quartiere.

Dopo le solite indecisioni sulla scelta del locale da visitare, finalmente l’apparizione di un tipico pub inglese mette tutti d’accordo. Una volta entrati, però, contrariamente alle nostre attese, veniamo accolti da un insolito silenzio. Percorriamo tutta la sala alla ricerca di un tavolo libero, ma continuiamo ad essere stranamente osservati dagli avventori. Prendiamo la cosa come la solita curiosità verso gli stranieri, anche se siamo in un quartiere molto battuto. Arrivati in fondo al locale, però, capiamo qual è il problema. Un calendario di uomini nudi fa bella mostra su una delle pareti, ci voltiamo all’unisono: i clienti sono tutti maschi, ed alcuni si tengono mano nella mano. Siamo in un locale gay! In silenzio ci facciamo strada verso l’uscita e, sempre seguiti da parecchi sguardi, ci eclissiamo.

11 GENNAIO La mattina di buon’ora siamo tutti in piedi. L’aereo riparte nel primo pomeriggio ed abbiamo la sola mattinata per fare gli ultimi giri.

Il gruppo stavolta si sfalda in partenza. Ci sono i neofiti di Londra (zia, papà, mamma, fratello e cognata) che vogliono espletare le ultime pratiche da bravi turisti. Andranno a Portobello e poi a vedere il cambio della guardia a Buckingham Palace. Noi più pratici della città ci dedichiamo a giri un po’ più insoliti. La nostra prima tappa è Canary Wharf a Docklands. Il nuovissimo e fantascientifico tratto della Jubilee Line ci deposita in un baleno nella, anch’essa nuovissima, stazione progettata (neanche a dirlo) da Norman Foster. Gli architetti si fermano a dare un’occhiata al quartiere e al gigantesco, quanto inutile, Millenium Dome, io proseguo per Greenwich. Sono un appassionato di vela ed è per me una grande emozione mettere piede in questo santuario della tradizione navale inglese. Rimango rapito davanti al Gipsy Moth IV, vero e proprio guscio di noce su cui Sir Francis Chichester nel 1967 fece il giro del mondo in solitario, estasiato davanti all’imponente Cutty Sark, uno degli ultimi velieri che facevano rotta per le indie, oggi tirato in secca e visitabile. Non ho però il tempo per entrarci, perché ho una meta più importante: il National Marittime Museum. Le sue sale sono piene di dipinti, oggetti, modelli, che ripercorrono la storia della navigazione dagli albori ai giorni nostri. Uno dei pezzi forti è l’uniforme che Lord Nelson indossava nella battaglia di Trafalgar, ci sono ancora il buco del proiettile e le macchie di sangue.

All’uscita corro alla metropolitana. Devo raggiungere gli altri e si sta facendo tardi. Prima di entrare nella stazione, mi volto per un ultimo sguardo. In cima alla collina torreggia l’Old Royal Observatory, proprio sopra questo fabbricato passa il “meridiano fondamentale”, quello che determina la misurazione del tempo in tutto il mondo.

Sono felice, è stato un viaggio breve, ma intenso e divertente. Londra … val bene una messa!



    Commenti

    Lascia un commento

    Leggi anche