Londra -32 pagine di cartine a colori

A Londra ci arrivo ancora prima di partire acquistando la prima (spero di una lunga serie) Lonely Planet: LONDRA - 32 pagine di cartine a colori - che campeggia tuttora sulla libreria. All'aeroporto ho una fifa blu, è il primo viaggio che faccio da sola e ho mille paure e mille aspettative. Questo viaggio l'ho aspettato con ansia ed è stato...
Scritto da: Marta Di pierro
londra -32 pagine di cartine a colori
Partenza il: 07/05/2002
Ritorno il: 22/05/2002
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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A Londra ci arrivo ancora prima di partire acquistando la prima (spero di una lunga serie) Lonely Planet: LONDRA – 32 pagine di cartine a colori – che campeggia tuttora sulla libreria. All’aeroporto ho una fifa blu, è il primo viaggio che faccio da sola e ho mille paure e mille aspettative. Questo viaggio l’ho aspettato con ansia ed è stato un po’ una sfida con me stessa, partire da soli mette alle strette spesso e volentieri, e significa completa, totale libertà. Groppo in gola dall’emozione, saluto mamma e papà e oltrepasso il metal detector. Suono… -D’oh!- Risuono… -Cacchio!- Suono ancora … -*#@#*!- poi mi ricordo di avere le scarpe con la punta metallica e passo. Partenza: “Roma – Bruxelles -Londra (Yuhuu!)” Arrivo a Heathrow, poi vado diretta a Camden a cercare l’ostello che ho prenotato … speriamo bene! Appena esco dalla metro dei ragazzi mi si avvicinano e mormorano qualcosa che non capisco. Cartina alla mano scovo l’ostello “Ok, può andare” … ho faticato un po’ per trovarlo, ma diciamo che la colpa per lo più è stata dello zaino enorme che mi sono portata appresso. Quel briciolo di esperienza in più che mi sono fatta mi dice che il prossimo viaggio sarà con un po’ meno bagaglio e doppio dei soldi. Comunque tutte le paure svaniscono alla reception visto che mi accolgono due ragazzi che, con un po’ di pazienza, mi capiscono e mi mettono a mio agio … da qui in poi tre settimane bellissime. Entro in un baleno nell’atmosfera di Londra: arrivo verso le sei, la gente che incrocio sta andando via da un Camden Town in chiusura, dire che è un “mercatino” sarebbe un eufemismo, diciamo un labirinto di bancarelle con artigianato, cianfrusaglie e vestiti di ogni tipo. Subito annuso la Londra multiculturale, vivacissima, un po’ fetida ma molto, molto animata che rimarrà una piacevole costante. L’ostello fa parte di una catena che ne conta più di uno a Londra ed è in una tipica casetta di legno su Camden High Street, in zona due e a pochi passi dal bellissimo Regent’s Park e dall’omonimo canale che è uno spettacolo (ancora mi mangio le mani per non aver fatto un giro in battello!). Se dovessi tornare però cambierei zona, visto che dopo poco inizio a capire cosa dicevano i ragazzi dell’inizio ovvero “hash, hash, cocaine, hash” quasi una litania … beh, non solo questo, anche per le tre risse in una settimana … La reception è nel pub sottostante, il “Belushi’s” che all’ora in cui arrivo comincia ad animarsi. Al bancone ci sono Mario, portoghese, che fa da traduttore al mio inglese per Rob Ozzy, l’altro ragazzo. Mai sentito nome più appropriato per un australiano. In camera mi accompagna Manuela, una ancora di salvezza Italo – SudAfricana – Newyorkese poi trasferitasi a Londra, che parla italiano e che sarà una simpatica maestrina con la penna rossa per il mio inglese malridotto. Salite le scale, che inizierò ad odiare di lì a poco (ecco il perché: sali-scendi-risali-riscendi-salidinuovo-tiseidimenticataquestoallorarisali-riscendi … again and again and again), arrivo in camera e subito ci trovo, chiusi nel bagno con una /splif/ (prima nuova parola inglese che imparo), Sarah e Diego italianissimi. Quella stessa sera vengo iniziata alla vita notturna londinese, con una gran botta di … fortuna arrivo proprio il giorno in cui un pub – isola di Amsterdam fuori confine – si fa una festa per il primo anno di musica dal vivo e insieme a Luis, spagnolo, una coppia di ragazzi sudafricani, noi italiani (a cui si è aggiunto Ronny) in un paese dove i pub chiudono alle undici di sera ho fatto le quattro di mattina! Questo è il lato di Londra che ho vissuto io, quella del “Paradosso di Babele”. Per lo meno a me fa uno strano effetto vedere gente che da tutto il mondo arriva a Londra per i motivi più disparati e … si capisce! Wonderful! I settimana: “Scarpinare, scarpinare, scarpinare” La prima settimana è stata una piacevole tortura: la sera tirare fino a tardi, dopo il pub nella Chill-out room con tutti gli altri ospiti dell’ostello e la mattina sveglia, relativamente presto, per fare la turista. Il primo giorno lo passo da sola, come tutta la settimana del resto, a girare per il centro e a vedere tutti i soliti posti da cartolina. E così Trafalgar Square con i piccioni, l’Houses of Parliament, Westminster Abbey, Whithall con le guardie a cavallo e – poteva mancare? – il Big Ben, con giapponesi fotografi annessi e occhi sgranati: non ci posso credere, io, da sola … a Londra!. Ad essere onesta la prima grande istituzione londinese che ho visto quel giorno è stata la metro, sembra strano ma ancora adesso, a 3 mesi di distanza, ho stampata in mente tutta la Northen Line e il “Mind the gap” dell’omino sulla banchina! Mi basta un giorno per capire che non sarà la guida a “guidarmi”, dal giorno successivo prendo la metro e scendo a caso … Paddington, Earl’s Court, quartiere che non dà molto intorno alla zona della metro ma basta addentrarsi nelle viuzze per andare incontro ad angolini very english, e poi Embankment, Bond Street … Il giorno in cui decido di passeggiare per le sponde del Tamigi faccio il record di camminata ininterrotta sotto la pioggia, quella pioggerellina fina che non bagna, inumidisce, ma che dopo sette ore in un clima cupo, passate in felice solitudine, stanca e assonnata, mi fa sentire bagnata fin nelle ossa … da vecchia saprò a cosa debbo i reumatismi! Parto da Westminster Station tornando indietro fino a uno spicchio di giardino dietro L’House of Parliament dove mi siedo a una panchina, guardo il Tamigi che scorre marrone e leggermente increspato … e telefono a mammà! Lo so, che dire … mi mancava casa! Da lì attraverso il fiume e ne seguo la sponda, attraversandolo a ogni ponte, fino a arrivare a Tower Hill. Passo davanti a quell’immenso cazzotto in un occhio che è il London Eye, al quale sembra che i londinesi si siano abituati e a cui io non mi avvicino nemmeno visti i prezzi. Se proprio mi verrà voglia di farci un giro che sia al tramonto almeno! … Mi prendo una mezza litrata di cioccolato caldo e costeggio parte della South Bank, faccio un giro nel Royal National Theatre. Attraverso il Millenium Bridge che mi sfida a rimanere in piedi, visto che con la pioggia è diventato viscido, a dir poco, ma che mi premia alla fine dell’impresa con un gruppo di persone che in tutina, però coperte di deliziose mantelline di plastica colorata, fa una lezione pubblica di Thai Chi Chuan sotto la pioggia … Visito la Tate Modern dalla quale, in alto, dalle terrazze, si vede un panorama bellissimo … Continuo il mio giro vedendo barconi sul fiume, in uno dei quali passerò una bellissima “serata danzante” e tantissimi scorci di Londra di cui mi ricorderò a vita. Più che altro ricorderò le viuzze della City che a tratti mi ricordavano “Mary Poppins” quando il bambino scappa dalla banca: strette, cupe, scure e anche un po’ opprimenti e l’attimo in cui da questo si passava a un micro giardinetto su più livelli tranquillo e con una vista mozzafiato sul Tamigi; oppure quel vicolo in cui vedo uscire da un portone il cliché dell’uomo inglese: sulla sessantina, vestito grigio, bombetta e ombrello lungo … Attraverso il Tower Bridge e costeggio la Torre di Londra dove sghignazzo guardando i Beefeaters come quando davanti al Vaticano vedo le guardie svizzere. Le serate si fanno sempre più interessanti, qualche pub in zona, qualcuno più lontano e qualche nottata nella chill-out room per approfondire la conoscenza del gruppo dell’ostello. Di gente strana ne ho trovata parecchia lo ammetto, ma mai divertita tanto. Una serata rimarrà memorabile, Naveed che suona la chitarra, Ronny con l’armonica a bocca, io tra le braccia di Luis, la luce andata via … Ehm, si, approfondisco la conoscenza soprattutto con Luis che mi porterà, nei suoi giorni liberi, a vedere le parti di Londra meno conosciute. La prima settimana si va verso nord, per una passeggiata sfiancante di più di quattro ore attraverso caratteristici quartieri residenziali che si conclude con un meritato riposo al Finsbury Park accompagnato da una birra “vista parco”. Altro giorno, altra scarpinata. Parto da Piccadilly Circus dove mi siedo un po’ (e già, sono partita con una sosta!) ma lo voglio guardare e riguardare questo “angolo” chiamato “circus”, il che mi da un po’ da pensare … ma entro poco me ne vado, vedere campeggiare tutte insieme la pubblicità della Coca Cola, del Mc Donald’s, della Foster e sentire gli effluvi di fritto del fast food lì sotto fanno si che inizi quasi subito la marcia. Giro per Regent Street e allungo per Carnaby Street, vista così è proprio sconfortante ma io cerco di immaginarla come poteva essere ai suoi tempi d’oro. Poi mi incammino lungo Oxford Street, ennesimo vialone pieno di negozi, ma non privo di fascino. Con tutta la folla che c’è mi manca l’aria e -ta-tan!- cosa vedo? … Hyde Park capita proprio a “fagiuolo”.

Entro dallo Speakers’ Corner, che è un’entrata come un’altra visto che non è domenica e quindi non c’è nessuno. Arrivo fino al mitico, almeno per me (la mia professoressa di inglese alle medie ci diede il tormento!), “The Serpentine” e mi piazzo a scrivere cartoline sulla panchina di fronte all’isoletta. Ci sono un sacco di uccelli, papere, cigni ma non faccio in tempo a scrivere nulla che mi si siede vicino un ragazzo greco e iniziamo a chiacchierare. Il parco è come l’ho sempre immaginato: verde smeraldo, con i cavalli che passeggiano, la gente sui pattini, le papere, le sdraio (aperte ma vuote) sull’erba … perfino il sole mi fa la grazia e spunta! Passo li seduta a chiacchierare un bel po’, poi mi incammino verso Piccadilly e vedendo tutti gli autobus decido che per la settimana seguente abbandonerò la metro per mezzi alternativi, ovvero l’autobus. In fondo risparmio quelle 20 sterline della tessera, che a conti fatti non mi è convenuta per niente, e ho anche la possibilità di guardare la città da una nuova prospettiva, il piano superiore.

Solo a fine settimana riesco a mettermi in contatto con un’amica ormai “Italiana Residente All’Estero” come la chiamo io per prenderla in giro, ma che in fondo lo è a tutti gli effetti …La vado a trovare a casa sua, abita in un appartamento con due ragazzi greci in un palazzone tra Nottig Hill e Kensington. Chiacchieriamo per ore poi, verso le sette di sera, ci facciamo un giro. Mi porta verso Portobello Road, dove finalmente vedendo le vetrine di un negozio capisco quale è lo stile “Portobello” e poi costeggiamo un viale con case bellissime, penso (me lo hanno confermato poi), ma delle quali non vedo altro che muri di recinzione. Poco male, anche solo il viale alberato meritava una passeggiata, tanto più che stava tramontando è una luce rosata donava a tutto un’atmosfera incantata. Purtroppo non riuscirò a rivederla prima di partire perché ci sono troppe case da fare, da vedere e da provare a Londra. Era passata meno di una settimana ma già iniziavo a sentire che il mio fegato non era d’accordo su come mi nutrivo. Pollo fritto e patatine, cucina orientale (molto cheap a Camden all’ora di chiusura), falafel, cookies, cestini di fragole a go-go, latte e succo d’arancia, birra, sidro … in fondo aveva anche ragione a risentirsi, ma la cucina inglese l’avevo già provata e sono tuttora convinta di un secco “no grazie!”. Al contrario della cucina l’atmosfera Londinese, e la sua gente, è bellissima, molto più aperta delle altre parti dell’Inghilterra che ho visto, ma c’era da aspettarselo. A dir la verità di inglesi inglesi ne ho conosciuti pochini, ma non è proprio questo il fascino di Londra? II settimana: “Scarpinare, Yawn, scarpinare” Abbandonata la super metro e i suoi “manifesti-progresso” tipo quelli accanto alle scale mobili del tipo “non uccidere chi ti è dietro prendendolo a zainate mentre ti giri” inizio la settimana appiedata e giringiro i dintorni dell’ostello. Passo una giornata spulciando tutti gli anfratti di Camden Town guidata da Sarah, che ormai è una habitué, spendo e spando buona parte dei soldi e compro quelle che poi saranno uno dei leitmotiv della vacanza: le palline da giocoliere. Il giorno dopo Luis mi spiega la strada (a dire il vero c’era poco da spiegare, è tutta dritta) per arrivare a Russell Square, dietro il British Museum dentro al quale passo due giorni interi interi e dove stupisco me stessa quando seguendo una visita guidata, capisco tutto o quasi. La zona mi piace e ci torno per girarla un po’. La sera riguardo la cartina, segno le zone dove sono stata e -sorpresa!- vicino l’ostello c’è anche la British Library. Supero la Euston Station, arrivo all’incrocio, giro a sinistra ed eccola, la vedo! Ci sono tantissime cose interessanti: la Magna Charta, la bibbia di Gutenberg, tantissimi francobolli da tutto il mondo, manoscritti di Shakespeare, Leonardo, Beatles, ma soprattutto … soprattutto, il manoscritto di «Alice nel paese delle meraviglie» che rimango a rimirare finché una vecchietta non mi alita sul collo per farmi spostare. Conclusione: la nostra biblioteca nazionale gli fa un baffo. La sera al pub dell’ostello ne parlo con Naveed e vengo trascinata in un discorso sul valore della cultura nei nostri rispettivi paesi. Gli racconto della penosa condizione della ricerca, dell’università, della scuola in generale nel nostro paese e sapete lui cosa mi dice? Penso debba aver semplificato all’estremo il suo pensiero per farmi capire ma su per giù suonava così “noi non produciamo più nulla quindi la nostra economia si basa solo sulla cultura”. C’è da pensare no? Spesso al Belushi’s si cominciava a parlare in due e si finiva un “capanello” di gente, perché frequentando il posto tutte le sere per un motivo per l’altro ci si iniziava a conoscere un po’ tutti. Degli habitué ricordo soprattutto Richard, un bell’uomo sulla sessantina simpatico e vestito sempre di nero che cenava tutte le sere seduto al penultimo posto del bancone e Nelson, un tipo a metà tra Jimi Hendrix e Lenny Kravitz che sembrava essere uscito dal telefilm “Arnorld” e che nonostante i miglioramenti e tutti gli sforzi possibili non riuscivo proprio a capire. In quei giorni vidi la cosa più brutta di Londra, purtroppo non riesco a ricordare bene dove sia, ma lo vidi durante una passeggiata serale con Luis nei dintorni dell’ostello. Un quartiere residenziale tutto recintato e con guardiano, tranquillissimo, per non dire un mortorio con un complesso di case color panna stile tempio greco, con colonne, frontone e fregi in stile … una cosa monumentale e orribile. Poco più in là un palazzo, credo di qualche casa cinematografica, con all’entrata due statue stile egizio di due gatti neri. Bella coppia nevvero? Nei giorni di stanca, sempre più frequenti, mi alzavo con tutta la calma del caso, una doccetta veloce (l’ostello era vivibile con un po’ di accortezze ma una doccia un minimo rilassante era proprio da dimenticare, senza calcolare che per la prima settimana non arrivava acqua calda, una vera “doccia fredda”) e poi per rincuorarmi il frappé preparato da Luis. E poi in giro con i nuovi amichette e amichetti … un pomeriggio lo ricordo benissimo a passeggio tra Covent Garden e The Strand. Covent Garden era ormai già da un po’ una vera e propria tappa obbligata, tanto che ogni volta che potevo arrivarci senza troppi calcoli macchinosi davanti alla carta delle metro ci andavo. Era, fino agli anni 80, un mercato di frutta e verdura, ma al momento è un punto vivacissimo con un sacco di gente e vari spettacolini che vanno dai giocolieri e i mimi nella piazzetta antistante, ai musicisti e alle cantanti liriche che in un angolino vicino le scale, con uno stereo trasportato in un baule con rotelle, cantano di fronte a gente seduta ai tavolini del bar e ammirata da tutti gli altri che pendono affacciati alle ringhiere del piano superiore. Un’atmosfera troppo singolare e affascinante per non essere costretti a tornarci più e più volte. Quel giorno, dopo aver ascoltato il nostro quartetto preferito, ci siamo avviati verso lo Strand e guida alla mano siamo andati a cercare la Temple Church, costruita dall’ordine dei Templari, che al momento è seminascosta nell’Inner Temple, una delle quatto associazioni forensi di Londra. Trovandola chiusa abbiamo fatto un giretto nell’Inner Temple e poi, sempre assecondando le mire della nostra neolaureata all’accademia, ci siamo diretti verso la Courtauld Gallery, visto l’orario, chiusa anch’essa. Se siamo andati via? No, siamo regrediti all’infanzia e ci siamo limitati a giocare e correre nella fontana … mi spiego meglio, la fontana è uno spiazzo rettangolare allo stesso livello della piazza, l’acqua viene, da terra, spruzzata a diverse altezze e defluisce in canaletti laterali quindi, evitando i bocchettoni, può essere attraversata senza troppo danno. Non si può fare a meno di togliersi il gusto di correre li dentro! La sera di quel giorno siamo stati gratis, grazie alle conoscenze di Manuela, a un concerto ska in un locale lungo la riva del Regent canal. Forse la cosa più bella di quella giornata è stato fermarsi a guardare dal ponticello la luna e la luce dei lampioni riflessa sulla superficie nera dell’acqua e la sensazione del freddo pungente che ti rimette in sesto dopo una serata all’insegna del binomio “birretta&cannetta”.

Sempre in settimana sono andata anche al Natural History Museum dove ho fatto tardi aggirandomi nella sala dedicate ai pianeti, la Earth Gallery, nella quale si entra da una scala mobile che sale e passa in una sfera cava che sta a rappresentare il sole, e quella dedicata alla foresta tropicale. Altra cosa singolare è la riproduzione di un negozietto di alimentari sottoposto a scosse sismiche mentre mi hanno lasciata abbastanza indifferente i dinosauri meccanici di cui si vantano tanto. Ci sarei voluta tornare perché purtroppo ho visto alcune cose troppo in fretta, ma non ne ho avuto il tempo. Poco male, so già che prima o poi ci tornerò. Il palazzo in cui si trova l’ho trovato bellissimo, ho poi scoperto sulla guida essere uno dei più belli edifici neogotici di Londra. Nel frattempo avevo iniziato anche a frequentare le free lessons (twice a week 7-9 p.M.) alla TTI una scuola di inglese a cinqueminuticinque dall’ostello dove ho conosciuto tantissima gente da tutto il mondo ma, sfiga volle che mi trovassi sempre in classe con dei ragazzi coreani … provateci voi a capire l’inglese coreano! Quei giorni ho messo in piedi più di una commedia degli equivoci. Organizzata dalla scuola una festa assolutamente immancabile, soprattutto per il posto: un barcone sul Tamigi. La città vista con le luci della notte è uno spettacolo da non perdere, vista dal fiume poi non vi dico. Se vi capita di uscire la sera, prendete l’autobus per tornare a casa: sedetevi al piano superiore e godetevi le strade libere, le luci della notte e gli scossoni del bus. La City di notte fa uno strano effetto, ma la St Paul’s Cathedral è bellissima. Un’informazione pratica, i notturni passano tutti per Trafalgar Square. III settimana: “Acciderbolina è l’ultima!” Dopo due settimane con una media di quattro ore a notte mi ero concessa una settimana di vacanza vera e propria con sveglia alle due del pomeriggio e tranquille passeggiate. Finalmente andando in giro iniziavo a orientarmi un po’, certo, continuavo ad “imbattermi” nelle cose, ma in fondo mi capita tuttora qui a Roma, giro l’angolo e “t’ho! Il Pantheon!”. In una delle tanto agognate passeggiate rilassanti avevamo optato per un giro nel West End e Soho che ancora non avevo visto gran che di giorno. Prima un salto a Leicester Square e poi verso Soho. Dopo aver fatto il giro di tutte le librerie fino ad essere carica come un mulo, aver curiosato nei mille e mille negozietti di souvenir in cui non so come si possano spendere 10.000 delle vecchie lire per una calamita a forma di bus da attaccare al frigo (e c’è gente che lo fa, l’ho vista!), aver visto tutte le cartoline, anche quelle da oltraggio alla famiglia reale (mai viste le cartoline con i primi piani? Passi per la regina, e anche per i principini, ma Carlo con quelle orecchie a sventola no!) e curiosato nei club siamo tornati verso “casa” e cosa troviamo abbandonato su un sedile del bus? C’è da non crederci, qualcuno per la modica somma di 22 sterline (più di 66.000£) si era portato via, non una, non due, ma ben tre big ben in miniatura, una calamita con autobus e una bandierina inglese … ma si può? Tornata in ostello mi dissero che a Leicester Square c’è un orologio meccanico … sarò sbadata io, ma proprio non l’ho visto! Quella sera si andò tutti insieme a una festa ad Elephant & Castle … prima di arrivarci dovemmo penare un po’, ma fu una serata diversa dal solito. Innanzitutto era una casa praticamente in verticale, ogni piano aveva, se era un piano fortunato, due stanze per un totale di 10 metri quadri. Il resto tutte scale che per l’occasione erano, a salvaguardia della moquette, ricoperte di plastica che si attaccava alle scarpe salendo. Arrivando un po’ sul tardi avevamo perso l’occasione di entrare nelle stanze dove c’era uno stereo così passammo tutta la sera in cucina e la musica solo un ricordo in lontananza. Meno male che non toccava a noi pulire! Elephant & Castle mi sembrò un quartiere un po’ atipico, per lo meno la parte che vidi. Il giorno dopo Luis mi portò a Brixton, all’inizio credevo volesse mostrarmi il mercato che a quel che sentivo dire in giro doveva essere molto bello, come infatti lo trovai, ma la sorpresa fu lo Skate Park di quartiere. Luis si era ricordato del fatto che io adoro pattinare e così … E’ un posto che fino ad allora avevo visto solo nei miei sogni e nei video game. Dopo una mezzora a rifarmi gli occhi su alcuni ragazzi che facevano evoluzioni con gli skate ci avviammo verso il mercato. Brixton è il quartiere caraibico e questo lo si vede soprattutto dai banconi del mercato pieni di tuberi mai visti, verdure non identificabili e pesci sconosciuti. Una cosa che mi fece senso furono, a parte gli occhi vitrei dei pescioni buttati sul ghiaccio, i tantissimi negozi di trucchi e parrucche con acconciature afro … con capelli veri! Bleah! Il quartiere è pulsante di vita in ogni dove e si respira un’aria più rilassata che nel centro. E c’era anche il sole! Potenza del reggae? Inizio veramente a pensarlo perché a Londra il sole, quel bel sole che scalda sulla pelle, è un evento tanto raro che se cammini per la strada e per caso te ne arriva uno sparuto raggio, ti fermi un attimo, alzi il viso al cielo e, con gli occhi chiusi, te lo godi qualche minuto, così, fermo sul marciapiede. Dopo un bel giro del quartiere e un po’ di riposo nel parco andammo al St James’ Park. Se vi capita di andarci portatevi un paio di pacchetti di cookies al cioccolato perché da quanto ho potuto constatare scoiattoli e piccioni ne vanno matti. Io gli scoiattoli non li avevo mai visti e quel giorno mi rubavano i biscotti dalle mani … sono stati poco educati, ma gli perdono tutto! Appena sentono odore di pappa li si vede scendere dagli alberi e avvicinarsi con piccole ondine che si propagano fino alla coda, poi prendono confidenza e chi li ferma più! Dopo un giro del parco, “il più curato e regale dei parchi regali” (così dice la guida, ma me ne ero accorta anche io che era un parco raccomandato) ci godemmo il sole su una panchina guardando i cigni della regina che sguazzavano placidi nel laghetto.

Il resto della settimana sono tornata “sui luoghi del delitto” ovvero i miei preferiti come Covent Garden e Camden Town, ma soprattutto sotto un grandissimo albero di Regent’s Park dove ho passato più di un vespro e che, in quell’ora all’orizzonte permette una vista molto particolare: lo stacco netto tra il verde delle siepi, acceso dalla vicinanza, e il cielo arancione-rosa dietro i palazzi sfumati dalla foschia. L’albero è così grande e bello che stento a credere che non ci sia la porticina per il mondo degli gnomi e delle fate, e non si può non rilassarsi e stare tranquilli li sotto, ma ricordate che le macchine bianche e rosse che sembrano quelle italiane del trasporto urgente di sangue sono della polizia, quindi occhio!

Ritorno: non ho parole … Sigh! Si torna a casa, che tristezza. Non mi va di salutare tutti, non mi va di fare i bagagli, non mi va di tornare a casa, non mi va di rimettermi a studiare. Non mi va, in generale. Ma devo. Avevo il volo alla cinque del pomeriggio, così quella mattina mi sono svegliata un po’ prima, un frappé e poi nella chill-out room con Luis e le palline da giocoliera. Finalmente riuscivo a giocolare con tre. Tra me e Luis non so chi dei due aveva gli occhioni più da cane bastonato. Poi verso l’una riesco a riunire un po’ di amici per le foto e finisco il rullino. Alle due esco dall’ostello con gli occhi lucidi e nel cuore tutti loro e le strade di Londra … mi avvio verso la metro. Poi solita trafila Heatrow, check-in, ultimi spicci spesi in patatine all’aeroporto. Tutto tranquillo fino a Bruxelles dove decidono che la mia carta d’identità è scaduta quando invece ha ancora due anni di vita e mi fanno quasi perdere la coincidenza. Alla fine mi fanno passare con la carta studenti e una perquisizione. Neanche a dirlo il gate è alla fine del terminal. Arrivo affannata -ArfArf- e con la lingua di fuori all’imbarco dopo aver fatto la centometrista con una scarpa slacciata sui tapis ruolant e con il biglietto in mano faccio “Tana!” sul bancone. La hostess mi guarda male e … Evvai! Si rinizia come al solito!



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