Lo schiaffo di Cuba
E’ mia abitudine non approfondire mai i miei viaggi prima di partire. Studiarli a fondo. Preferisco abdicare, farmi sorprendere e lasciare la porta aperta agli imprevisti.
Son bastati pochi passi nelle vie di Centro Avana per intuire che non avrei potuto spiegare questo posto. Scaturisce solo l’idea che l’unico modo è vivere Cuba sulla propria pelle, senza illudersi di darsi delle risposte. Unicamente farsi domande con la sensazione che, per quante volte si possa tornare qua, quelle domande non troverebbero mai sentenze.
Tutto ha origine, come sempre, da quel nastro gommato nero a cui affidasti lo zaino in Europa e speri di rivederlo a migliaia di chilometri di distanza. Il rullo cubano ha un ritmo tutto suo, lento, comodo, intermittente. L’attesa snervante, che durerà un’ora, la leggi nel viso degli altri e loro la leggono nel mio. Ci sono solo due aerei in pista e quindi domande, aspettative, rassegnazione, abbandono e anche sorrisi.
Cambio moneta, taxi verde scuro e si entra nell’avventura attraverso luci fioche di lampioni per strada, ombre che vagano a bordo pista, umido e qualche goccia dal cielo.
La casa particular che ci ospita è di ringhiera, mobili antichi, fotografie, pianoforte, dondoli, divano, la colazione è sufficiente e dignitosa.
“Cuba si comincia a capire dalla terza volta che si visita, all’inizio si fanno un sacco di errori”, questo ci dicono i ‘senatori’ italiani incontrati a un tavolo di un paladar in riva al mare di Cienfuegos qualche giorno dopo.
Appena messo piede fuori di casa non facciamo in tempo a sorprenderci della decadenza degli edifici, dal degrado delle strade che incontriamo il nostro primo jinetero che ci introduce alla faccenda della cooperativa, in sostanza la vendita di sigari cubani a metà prezzo rispetto alla Fabbrica del Tabacco, originali perché sottratti alla Fabbrica dagli operai che ci lavorano. Pare che quel giorno sia la festa ufficiale anzi, in verità è cominciata il giorno prima e sta terminando. Bisogna sbrigarsi. Ringraziamo e salutiamo, ma ecco l’altro jinetero che, visto che la madre è molto amica della signora che ci ospita in casa, si offre di accompagnarci direttamente alla cooperativa, che nel mio immaginario è raffigurata da una piazza brulicante di trattative, ma che alla fine si riduce a una camera di una casa, sigari tirati fuori da uno scatolone e offerte speciali. No grazie, non fumiamo e si va via. Cominciano le sensazioni di fastidio, di intolleranza, voglia di fare il classico turista guardando la cartina per scegliere dove andare. Illusi. Arriva Samuel, a cui chiediamo indicazioni per un locale dove passare la serata. Ma Samuel non da indicazioni, ti ci porta lui. Vabbè ora ci porta al locale e poi se ne va. No. Ancora non lo sappiamo ma resterà con noi ancora quattro ore in cui dopo due guarapinos, ferma un taxi e ci porta a cambiare cash, prenotare il Viazul del giorno dopo, salita a El Morro e ritorno al Teatro Rosalia De Castro: lo liquidiamo in tutti i sensi alla ricerca di un po di libertà. In poche ore per farla breve siamo già stati travolti dal modo di fare dei ragazzi del posto, avvolti nel contempo dall’umido del clima e dall’odore forte di benzina che penetra in testa.
Il pomeriggio scorre attraverso le vie della città vecchia,in piazza l’attenzione cade su un gruppo di bambini in libera uscita da scuola che giocano divertiti sotto le indicazioni della maestra, ma anche su un negozio di Paul & Shark che è come vedere un orso polare a Miami Beach. Musica, statue di Bolivar, busti di Martì, richiami continui alla revolucion, ancora musica dalla nota Bodeguita del Medio, il Prado, poi via sul Malecon dove il rumore delle auto, in concreto carri vecchi di 70 anni, e lo smog che lanciano in aria, il grido degli edifici vista oceano si mischiano all’aria pulita che arriva da nord portata dalle onde del mare. Appena 100 miglia da quella parte c’è un mondo completamente diverso.
Alla Sociedad Cultural Rosalia De Castro suonano le musiche del Buena Vista Social Club, locale per soli turisti, la musica cubana esplode piacevolmente nei suoi ritmi e nella gioia di esprimersi. Cena non male ma evitabile, il Cohiba una nuova e seducente esperienza.
Chiudiamo in bicicletta, in balia di Emanuel, a cui dici una destinazione ma lui ne propone una migliore. Peccato che il locale, in sostanza una casa al primo piano adattata con bancone da bar, tavolini e terrazzino che si affaccia alla strada, è completamente vuoto. Quanti errori si fanno all’inizio…
Viazul, la compagnia statale che gestisce le linee di trasporto, merita di essere raccontata. Devi sempre fare la coda, una per prenotare il viaggio per il giorno dopo e una per fare il biglietto al check-in, quando devi presentarti un’ora prima come in aeroporto. Impiegati lenti, ventilatori, code sbagliate, imbarco dei bagagli.
Viazul significa ogni volta una tassa da pagare in tempo, sudore e pazienza.
Santa Clara è la città della rivoluzione, i vecchi muri propongono ancora i vecchi eroi, socialismo o muerte, aniversario 55°-56°-57°, e trovi la massima espressione nel monumento al Che nella suggestiva Plaza de la Revolucion. Il Parque Vidal è il fulcro vitale della città dove partono le piccole, colorate, rumorose e disordinate vie. Poco distante la ferrovia con i vagoni sul prato a perfetta rappresentazione di quel che accadde nel lontano ’58. Musica, locali aperti sulla strada, balli sul marciapiede, mojito e ghiaccio nella sera.
A Trinidad sei catapultato indietro di duecento anni, strade acciottolate, carri spinti da cavalli, maiali al guinzaglio, canarini e uccelli tropicali in gabbia sia nelle case che in vendita per strada e nella stessa casa che ci ospita. La mattina senti le grida dei venditori di pane, zoccoli di cavalli, ogni tanto le solite cadillac o vecchie ford anni ’50 rompono la magia. Mercatini all’aperto vendono souvenir oltre ai classici sigari che non saprai mai l’autenticità. I paladar e le case particulares son presenti come unico business del paese e la sera esplode la classica Casa della Musica, in piazza dove ragazze europee si divertono a ballare la salsa cubana con i cubani doc, ventenni o sessantenni poco importa.
I cani fanno parte della vita cubana, naturalmente liberi in cerca di un boccone, di una carezza, magari di qualche anima pia che l’adotti per un giorno. Di ogni colore ed ogni condizione, ma spesso malati e segnati dalla breve e dura vita, discreti li ritrovi anche sotto i tavoli dei ristoranti.
Le case particulares sono come una scatola di cioccolatini, non sai mai quello che ti capita (cit.). Le padrone, orgogliose e sorridenti, i mariti spesso assenti o affaccendati in altro, tipo guardare serie tv su dvd. La cena in casa, preparata da loro, non è mai esaltante, così come le colazioni anche se abbondanti. Ma in ogni cibo presentato si percepisce la cura e lo sforzo per reperire le materie prime, considerato che non hai la Conad sotto casa. Senz’altro la sistemazione è per amanti del viaggio disincantato, l’adattamento va portato nel proprio bagaglio. Capita che la doccia non funziona, che sia un po’ sporco, che fuori dalla camera sia un po’ allagato, una lucertola sul muro di fianco al letto, che la notte sbagli entrata e vai nella stanza della signora.
Playa Ancon descritta come una delle spiagge più belle di Cuba, non mi sorprende. In sé non ha niente da invidiare ad alcune spiagge della mia Sardegna, con acqua poco limpida dovuta alla barriera corallina al largo che restituisce in riva i granuli polverizzati bianchi e rossi. Anche la mezzora di snorkeling sulla barriera è piacevole, ma lontana dalle emozioni offerte dalla barriera del Mar Rosso.
Sicuramente meglio la spiaggia e le acque di Rancho Luna di Cienfuegos, con il ben noto e leggero fileto de pescado.
Ti piace il governo cubano, si o no? Il tassista dice sì, abbastanza strascicato, poco convinto, ma definitivo. Conviene più fare il suo mestiere che l’ingegnere dice, si guadagnano sessanta CUC al mese invece di quaranta. In spiaggia un ragazzo che lavora al baretto vede il mio asciugamano e propone il baratto con una bottiglia di rum. Dice che così grande non lo trova e gli serve per coprire suo figlio di un anno quando lo porta in spiaggia. Lui non è soddisfatto del governo, dice che l’unico modo per andare avanti è la solidarietà, il popolo cubano si sostiene da solo, col sorriso sulle labbra, ma con la sofferenza dentro.
Cienfuegos vissuta velocemente, un lungo Malecon fatto in buona parte in compagnia delle parole del solito jinetero che pedala in strada con la sua bicicletta. Ci faremo riportare indietro verso un paladar indicato da lui, dignitoso, raffazzonato, alla cubana, dove incontreremo i saggi senatori. Il locale suggerito vale la serata alcolica, dove incontriamo Julio pugilatore e suo fratello judoka che millantano imprese sportive leggendarie.
La fuga mattutina avviene su taxi chiamato dalla padrona di casa che a un prezzo pari al Viazul ci porta indietro a L’Avana dove ci attende il bus per Vinales. Code, fatica, attese, caldo, bagni improponibili, bar che ci piove dentro, rassegnazione e abbandono. Cresce la voglia di normalità. L’arrivo al paese è un assalto alla diligenza, i proprietari delle case propongono, anche in inglese, le proprie offerte vantaggiose, il tutto sotto la fortissima e coinvolgente musica che arriva dal locale di fronte. Gladys, amica della signora di Cienfuegos, ha in mano il cartello Carlo y Felice e quindi siamo a cavallo, niente sbattimenti. Vinales è un paese di campagna, centro famoso per le piantagioni di tabacco circostanti, la casa è in periferia, lungo una strada sterrata dove la notte ci imbatteremo in un cavallo nero come il buio al pascolo libero. E’ l’ennesimo paese diverso dagli altri, una distesa di case colorate tutte o quasi con camere offerte ai turisti, numerosi ristoranti e paladar, la cadeca (cambio moneta), i cani. Da qui, per fare i sessanta chilometri che ci separano da Cajo Jutias impieghiamo due ore su strade scassate, attraverso piantagioni e paesini e persone dimenticate. Spiaggia bianchissima, acqua così così, ennesimo fileto de pescado vista mare.
Il cerchio si chiude a L’Avana, per l’ultimo pomeriggio cubano alla ricerca di sigari e rum. E’ il giorno dei miei quaranta e lo ricordo alla Bodeguita con ottima musica, qualche ballo rubato, abbondanti mojitos con poco ghiaccio e un ritratto fatto a mia insaputa.
La fotografia finale è memorabile. La Buick, impeccabile fuori e dentro, che ci preleva dalla strada alle quattro del mattino è condotta da Morgan Freeman o da qualcuno che gli somiglia molto. A quell’ora del mattino mi potevo aspettare il solito scassone guidato da un assonnato e svogliato e disordinato cubano. Invece si chiude con la sorpresa di quest’uomo pulito, barba fatta, schiena dritta, ineccepibile nel vestito e nei modi, berretto in testa. Forse aveva anche il papillon rosso e le scarpe nere lucide. Morgan ci accompagna fuori dal sogno, gli stringo la mano ringraziando in questo modo lui e il suo incredibile paese.