Lisbona e la forza centrifuga
MERCOLEDì 11 APRILE Partiamo da Roma Fiumicino alle 12:40 a bordo di TAP Air Portugal. Volo tranquillo e sereno scosso solo da un atterraggio turbolento, ai limiti del paradossale, dovuto sicuramente ai tanti ed enormi nuvoloni che si addensano nel cielo portoghese giusto giusto al momento del nostro arrivo, ma anche, diciamolo, alle manovre acrobatiche del pilota che raggiunge la pista con un tonfo preoccupante e inchioda per riuscire ad arrestare la corsa del mostro alato…Superato lo sconcerto e recuperati i bagagli, ci dirigiamo alla fermata dei bus dove prendiamo il numero 44 che, in un quarto d’ora scarso, ci scarica nell’enorme Praça Marques de Pombal da cui (con qualche difficoltà, visti i trolley al seguito e le interminabili salite con cui nostro malgrado iniziamo subito a familiarizzare) raggiungiamo l’albergo prenotato, Residencial Joao XXI in Rua Gomes Freire. Economico e molto pulito (questi i vantaggi!), a conduzione quasi famigliare, con personale gentile e disponibile, non è però all’altezza delle 3 stelle di cui dichiara di forgiarsi. E’ in realtà una modesta e labirintica pensione, con stanze, reception, ascensore, spazio (il pianerottolo del primo piano!) adibito alla colazione…Tutto ammassato, intrecciato, ricavato. Una volta preso atto di questo, accettiamo anche la contraddizione di una stanza minuscola in cui sono stati infilati (e uniti) due letti a una piazza e mezza e di un bagno enorme, con una finestra che occupa quasi un’intera parete, in cui si può spaziare liberamente e quasi andarci in bici. Praticamente una camera ricavata all’interno di un bagno. Ci diciamo che l’albergo/pensione, o quello che è, in fondo deve fare solo da base d’appoggio quindi, passata la punta di sconforto iniziale, molliamo i bagagli, facciamo manovra per uscire nuovamente dalla stanza (lo spazio è davvero esiguo!) e ci immergiamo subito nella scoperta della città. La strada questa volta è in discesa. Il lato veramente negativo del nostro alloggio, pur venduto come centrale ( e di fatto lo è visto che in quella zona si concentra il 70% degli alberghi di Lisbona), è quello di avere la più vicina fermata della metro a quasi un chilometro di distanza, una linea di autobus (numero 790) che ferma proprio davanti al suo ingresso ma, ahimè, termina la corsa alle 21, quindi inservibile per la sera e Praça Marques de Pombal, snodo di tutte le altre linee urbane e perfino dei bus turistici, veramente troppo distante, considerando che al ritorno la strada è una salita ripidissima e spaccagambe, per nulla invitante dopo una intera giornata passata a marciare di brutto. Preso atto pure di questo, risolviamo stabilendo subito, per i giorni a venire, di uscire dall’albergo di mattina e di farci ritorno una sola volta, a fine giornata, per andarci a dormire! Realizzando che abbiamo nello stomaco soltanto il minuscolo panino del sacchetto viveri omaggio della TAP, facciamo un preliminare pit stop (il primo di una lunghissima serie fino alla fine della vacanza!!) in una attraentissima “Pastelaria” piena di dolcetti e paste giganti. La curiosità ci spingerebbe ad assaggiare subito le famose Pasteis de Belèm e le non meno meritorie (come scopriremo poi) Quejiadas ma una volta davanti al bancone delle delizie, senza andare troppo per il sottile, prendiamo la prima cosa che capita, con la certezza, subito confermata, di andare bene in ogni caso. Infatti da quel momento in poi, le soste in quei luoghi paradisiaci saranno all’ordine del giorno e in qualsiasi momento della giornata!! Scendiamo giù per la bella ed elegante Avenida da Liberdade, ammirando i negozi grandi firme e i marciapiedi a mosaico, il giardino di palme al piano rialzato del teatro Eden e l’imponenza della stazione Rossio ormai trasformata in padiglione per esposizioni, che con le luci notturne sprigiona tutto il suo fascino. Vaghiamo senza meta tra i vicoli della Baixa, la città bassa, mentre ogni tanto qualcuno si avvicina per chiedere qualcosa che all’inizio crediamo di non capire ma a cui presto faremo l’abitudine: marijuana, hashish? No no, grazie. Allora coca? E via dicendo allegramente e senza troppi sotterfugi, manco avessimo le facce di quelli in pesante crisi d’astinenza…Rimandiamo a domani la vista panoramica dall’ascensore di Santa Justa dal momento che il cielo, pieno di foschia, si fa sempre più grigio e minaccioso e ci infiliamo in un piccolo centro commerciale che ci si palesa provvidenzialmente di fronte, non appena, di lì a pochissimo, inizia a piovere… Giusto il tempo di curiosare un po’ qua e là e di comprare delle mantelle tascabili per la pioggia e riprendiamo il nostro giro passando accanto a una bottega dagli interni molto scuri che attira subito la nostra attenzione. Ficchiamo il naso e scopriamo una fila di sedie foderate di velluto rosso con un poggiapiedi davanti. La bottega di un lustrascarpe! E’ deserta e non ci lasciamo sfuggire l’occasione di fotografarla. Per cena decidiamo di rimanere in zona centrale, nonostante i ristoranti qui di tipico abbiano davvero poco e ci chiamino da ogni parte per segnalarci menu in italiano, decantarci piatti imperdibili, prometterci offerte supervantaggiose. Ci consultiamo e decidiamo per l’ultimo della via (“Cervejaria Moderna”, Rua de Correiros), quello che ci sembra il più carino anche all’interno e che ha “l’omino da richiamo” meno insistente. Proviamo la zuppa di caldo verde (patate e cavolo verde e, almeno qui, aglio a volontà da stendere un esercito intero di vampiri), poi il bacalhau (pare che i portoghesi conoscano 600 modi diversi di cucinare il baccalà, ma noi decidiamo di partire dal più semplice e lo ordiniamo alla griglia…) che ci viene servito accompagnato da insalata e patate. Scopriremo nei giorni seguenti che le “regole” degli abbinamenti dei cibi sono piuttosto semplici, una su tutte: carne con patatine fritte/pesce con patate lesse, ma a differenza di quanto accade per esempio nei ristoranti tedeschi, qui in Portogallo accettano di buon grado tutte le deroghe richieste dal cliente, senza scandalizzarsi troppo e questo ci piace. Per tornare in albergo decidiamo di aggirare la salita del pomeriggio e di provare a raggiungerlo attraverso Rua Santa Marta, lunga e caratteristica via un po’ desolata di notte ma animata di giorno da bottegucce di artigiani e minuscole osterie anche di soli 3 tavolini. La salita è decisamente più leggera, ma la situazione, una volta terminata la via (e quando manca ancora un bel pezzo all’albergo) non è molto diversa da quella affrontata nel pomeriggio e sempre una salita ripidissima ci tocca fare! GIOVEDì 12 APRILE Stendendo un velo pietoso sulla colazione in hotel (pane rifatto, marmellata semiliquida, e cereali ammorbiditi dall’umidità: nessun altra possibilità di scelta), usciamo presto diretti come prima tappa all’Elevador de Santa Justa con la complicità di un timido sole che inizia a farsi spazio fra le nuvole (ma per scaramanzia lasciamo gli occhiali da sole in albergo e infiliamo le mantelle nello zaino, anche in osservanza della legge di Murphy che in questi casi è chiara ed esplicita…Infatti poco a poco nel corso della mattinata, prende a splendere un sole tropicale e si raggiungono temperature decisamente estive grazie alle quali ci liberiamo, soddisfatti e felici, di tutto il superfluo del nostro abbigliamento pluristratificato). La vista dalla piattaforma panoramica è davvero molto bella e appagante, la delusione arriva quando ci dicono che il piano ancora rialzato, raggiungibile da due scale a chiocciola, non è in quel momento accessibile (non si sa perché, forse l’orario visto che sono appena le 9 e nel pomeriggio ripassando di lì vedremo gente passeggiarci tranquillamente…Rimane un mistero). Proseguiamo verso il Bairro Alto (il tram a cremagliera, Elevador de Graca, che lo collega alla città bassa, “naturalmente” è fermo per lavori!), passando accanto alle rovine del Convento do Carmo e imboccando Rua san Pedro d’Alcantara con la prospettiva di fermarci a riprendere fiato sulla sua bellissima (così almeno intuiamo debba essere…) balconata, ma ahimè, pure quella è completamente chiusa da bandoni metallici per i lavori in corso! A questo punto decidiamo di prendere il tram 28 e farci un giro completo da capolinea a capolinea. Raggiungiamo una fermata intermedia e lo prendiamo in direzione Estrela per fermarci a visitare la basilica e gli antistanti giardini curatissimi, pieni di fiori e con un palco centrale in ferro dove due giorni dopo, di domenica, vedremo esibirsi una piccola orchestra. Il tram compie un lungo giro attraverso tutti i punti nevralgici della città, inerpicandosi sulle salite di Alfama e rasentando i muri dei suoi strettissimi vicoli. Fra i palazzi rivestiti di azulejos colorati, ogni tanto si aprono piccole terrazze sul Tago che lasciano senza fiato, complice anche la bellissima giornata di sole che nel frattempo è uscita fuori. Ci lasciamo cullare pigramente fino al capolinea, in largo Martim Moniz dove si trova un grande centro commerciale che però decidiamo di ignorare e da lì, cartina alla mano, ci immergiamo nel popolare quartiere della Mouraria per raggiungere, in un percorso un po’ arzigogolato, il castello di Sao Jorge. Ci arriviamo all’ora di pranzo, perciò decidiamo di fermarci prima a mangiare in una minuscola osteria con dei tavolini all’aperto dove con pochissimi euro gustiamo, all’ombra di alcuni provvidenziali alberi che regalano una piacevole frescura, due piatti unici a base di carne e del pane caldo, buonissimo, indimenticabile, che ci facciamo riportare anche una seconda volta. Del castello rimangono soltanto le mura esterne, ma la passeggiata attraverso i suoi giardini offre un panorama incredibile che si può godere anche da diverse altezze grazie alle piccole terrazze sulle sommità delle torri rimaste. Riceviamo un’altra piccola delusione scoprendo che la Camara Oscura, nota anche come Torre di Ulisse, dove si trova un periscopio con uno specchio e due obiettivi che riflettono le immagini di Lisbona a 360°, è chiusa “solo per oggi, per scarsa visibilità” !!!!! Ci guardiamo intorno: splende un sole magnifico, il cielo è limpido, abbiamo scattato foto meravigliose…Boh, sarà, archiviamo il caso come l’ennesimo mistero (o esempio lampante di sfiga cronica, che dir si voglia) e proseguiamo il nostro giro tra i cannoni e i pozzi degli ampi giardini. All’esterno del castello ci fermiamo in uno dei tanti negozietti di souvenir pieni delle solite cose ma anche di originali borse e portafogli in sughero, che incontreremo più volte durante il soggiorno, però sempre, purtroppo, con prezzi inavvicinabili! Ridiscendiamo immergendoci nel quartiere di Alfama per raggiungere la cattedrale di Santa Maria Major, nota e indicata sui cartelli come “Sé de Lisboa”, che però, spoglia e disadorna, ci lascia quasi indifferenti. Dalle stradine di Alfama, dove i mezzi faticano a transitare e molte vie, per forza di cose, sono solo pedonali, dopo esserci fermati per le foto di rito sullo splendido belvedere di S.Ta Luzia (questo senza lavori in corso!) da cui si gode una vista meravigliosa sull’estuario e sugli intricatissimi vicoli del quartiere, raggiungiamo la sponda del fiume per prendere uno dei tanti bus che portano al quartiere di Belèm. La stanchezza comincia a farsi sentire, ma non vogliamo perdere nemmeno un secondo del tempo a disposizione e scendiamo proprio di fronte al Padrao dos Descobrimentos, il monumento alle scoperte portoghesi, con sopra raffigurati, tra gli altri, Enrico il Navigatore, Diogo Cao, Magellano e, naturalmente, Vasco da Gama. Facciamo il biglietto per salire in cima a scattare foto e, respirando a fondo la bellezza e l’immensità di quel panorama meraviglioso, proprio al momento di scattare la prima, dopo un quarto d’ora passato a mettere bene a fuoco il Ponte 25 aprile sul Tago luccicante e la statua del Cristo sullo sfondo, ecco che la digitale decide improvvisamente di sospendere il suo onorato servizio e regalarci la gioia di immagini completamente BIANCHE!! Proviamo e riproviamo, ma poi, riandando con la mente all’albergo/pensione scelto con cura proprio sul cucuzzolo più alto delle sette colline di Lisbona, all’ascensore panoramico con la terrazzetta inaccessibile, ai lavori in corso, alla torre di Ulisse chiusa, alla pioggia del giorno prima…Smettiamo di stupirci e prendiamo atto pure di questo, stabilendo di ignorare l’accanimento della sfiga nel precederci e di goderci perlomeno il panorama fissandocelo bene in mente e scattando fotografie virtuali. Vediamo lo stadio, abbracciamo con lo sguardo l’imponente Mosteiro dos Jeronimos (dal basso non ci sta tutto nell’obiettivo, non si riesce a vederne la fine, se ne perdono i contorni; da quella prospettiva invece se ne coglie tutto il fascino per intero), la Torre di Belèm e infine, proprio sotto di noi, solo sporgendoci un po’, l’enorme, bellissima Rosa dei Venti disegnata sul pavimento. Riprendiamo l’ascensore cercando di azionare quei 3-4 neuroni sopravvissuti alla marcia forzata e al caldo tropicale per trovare un’alternativa alla digitale agonizzante. Siamo al secondo giorno di vacanza, ce ne rimangono 3, miliardi di cose ancora da vedere, domani andiamo a Sintra…Che si fa? Una digitale nuova di zecca ma da quattro soldi/una di un prezzo adeguato, tanto me la devo ricomprare/sì ma poi se la compro qui e non funziona che faccio riprendo l’aereo per portarla in assistenza?/allora una semplice usa e getta e ti saluto: avremo foto meno belle ma perlomeno il ricordo/boh non lo so/proprio adesso doveva rompersi…Tra un’ipotesi e l’altra abbiamo chiaro comunque il proposito di rimandare a sabato la visita del monastero e della torre e di infilarci invece in un centro commerciale (El Corte Inglés di ispanica memoria), chissà che non ci venga un’idea. Prendiamo il tram 15 fino a Cais do Sodrè, quindi la metro blù fino a S. Sebastiao (ma la precedente fermata di Praça de Espanha come naturalmente scopriamo solo al ritorno, ha un percorso che dai sotterranei porta direttamente al secondo piano del centro commerciale…) e raccogliendo le poche energie rimaste gironzoliamo un po’ tra i 5 piani del colosso. Per l’ora di cena le forze ci abbandonano del tutto, così prendiamo due panini e alle 22:00 (con il colpo di grazia finale assestato dall’immancabile salitona) siamo già a nanna.
VENERDì 13 APRILE Non volendo ripetere l’esperienza del giorno precedente, pensiamo bene di iniziare la giornata con la colazione nell’enorme bar/pasticceria artigianale proprio accanto all’albergo: un bancone chilometrico di paste di ogni tipo, appena sfornate (sono solo le 8!) e un caffè degno di questo nome per un prezzo irrisorio comprensivo del servizio al tavolo. Rifocillati e intabarrati (di sera e di mattina presto la brezza dell’Atlantico si fa sentire e provoca un brusco calo delle temperature), andiamo a prendere la metro in Praca Marques de Pombal per scendere alla fermata Jardim Zoològico (linea blù) dove si trova anche la stazione Sete Rios e da lì, con estrema facilità, troviamo la biglietteria di quella che, senza possibilità di sbagliarsi, si chiama proprio “Linha de Sintra” perché termina appunto nella cittadina. Un gentile addetto allo sportello ci segnala l’esistenza di un biglietto integrato giornaliero, con cui si possono prendere il treno di andata, tutti gli autobus all’interno di Sintra, il pullman per Cabo da Roca e poi per Cascais e il treno di ritorno da lì a Lisbona. Costo totale 12 euro, con piantina di Sintra e orari di treni e autobus. Durante i 40 minuti di viaggio in un treno che, chissà perché, ha i vetri oscurati e rende impossibile dedicarsi al panorama, proviamo e riproviamo la digitale che, rimasta ancora senza alternativa, ci siamo trascinati dietro con la speranza che il riposo notturno le abbia miracolosamente giovato. Ma niente: sul monitor continuano ad apparire infinite e sconsolanti immagini bianche. Poi il lampo di genio (e, forse, un apporto considerevole di fattore C): provo a scattarne una con parecchio zoom, viene fuori la faccia di un tizio ingrandita quasi al microscopio, ma limpida e con i colori ben definiti! Tanto basta. Vorrà dire che faremo foto solo da lontano, zoomando al massimo: una raccolta originale di immagini panoramiche e dettagli mai considerati prima, ma…Anche stavolta avremo il nostro bel cd dei ricordi di viaggio!!!! Sull’arrivo in stazione si apre una piccola parentesi tecnica: se si ha urgentemente bisogno di recarsi alla toilette una volta scesi dal treno, conviene sapere che è possibile farlo solo se ci si trova “casualmente” nelle tasche una monetina da 20 centesimi, altrimenti la porta continuerà a rimanere sbarrata da un meccanismo che prevede solo e unicamente questa possibilità! Non ci sono persone o addetti cui chiedere di cambiare altri tagli di moneta anche perchè la toilette si trova nell’angolo più lontano e remoto della stazione…
Una volta guadagnata finalmente l’uscita, facciamo tappa in una delle caffetterie antistanti e subito dopo ci mettiamo in attesa del bus 434 (che si protrarrà per più di mezzora), avendo deciso di partire, per la visita, direttamente dal Palàcio Nacional da Pena (situato più in alto) ed eventualmente poi ridiscendere a piedi per goderci il panorama. Per arrivare nel piccolo centro della cittadina la strada non è molta, passato quello però, e fino allo stravagante castello, si snodano una serie di strettissimi tornanti in cui transitano ininterrottamente pullmann e auto e lo spazio per i pedoni è davvero ridotto.
Il biglietto di ingresso suscita qualche perplessità: 4 euro per visitare solo il parco, 7 per parco e palazzo. L’opzione “solo palazzo” non è contemplata…Il freddo è pungente; sul Monte da Pena, dove sorge l’omonimo castello, c’è anche una lieve foschia che rende il tutto ancora più suggestivo. Cacciamo fuori dagli zaini le provvidenziali mantelle, mai come ora fieri di quell’ acquisto e delle scelte scaramantiche (perché sempre per scongiurare la pioggia continuiamo a portarcele dietro pur avendo lasciato Lisbona illuminata da un cielo limpido e terso…) e in una botta di invincibile pigrizia decidiamo di salire su (perché tra la biglietteria e il castello ci sono ancora 3-4 tornanti!) con il folkloristico “Autocarro do Palàcio” che pensiamo, beata ingenuità, faccia parte del biglietto di ingresso, mentre una giunonica signora alla guida ci disillude subito ringhiandoci contro, neanche aperta la porta, che il costo del tragitto è di 2 euro…
Miscuglio originale e stravagante di forme architettoniche fra le più disparate (gotiche, manueline, islamiche, rinascimentali), il palazzo esternamente sembra un castello delle fate colorato e carico di mistero. All’interno, un percorso obbligato conduce attraverso stanze da letto, sale da pranzo e da ballo, altri locali chiamati con il nome dello stile con cui sono stati arredati (la sala araba, la sala indiana, la sala cinese…) fino alla enorme cucina con due grandi camini, recipienti per l’olio, utensili e pentole di rame appesi alle pareti. Arredate nei minimi particolari (compresi panini e brioche sui tavolini apparecchiati per la colazione!!!! e libri aperti su comodini e scrittoi…), le stanze narrano la storia dei re e delle regine che le hanno abitate. Nota che merita attenzione: la bellissima pala d’altare in marmo e alabastro della cappella privata è opera di uno degli architetti del Mosteiro dos Jerònimos di Lisbona. Passando di tanto in tanto sulle terrazze che collegano una parte all’altra notiamo che nel frattempo è uscito un bellissimo sole anche qui e ne approfittiamo per immortalare il castello da ogni angolazione, sfogando nel contempo la felicità per la digitale (almeno parizalmente) risanata. Con qualche rimpianto rinunciamo alla visita dei giardini, che pure dovrebbero essere incantevoli come intuiamo dalle magnifiche piante sulla rampa del castello e dal profumo intenso di fiori che ci accompagna da quando siamo arrivati. Ma fa ancora molto freddo, nonostante il sole e, soprattutto, abbiamo ancora una folta lista di cose da vedere in questa lunga giornata fuori porta. Ci dirigiamo quindi verso la nostra seconda tappa, poco distante, che è il Castelo dos Muros, ma lungo il tragitto veniamo colti dall’ispirazione, chissà se azzeccata, di lasciar perdere. Avendo appreso che dello stesso è possibile visitare in realtà solo torri e merli, da cui poter godere del magnifico panorama che comunque abbiamo già avuto modo di apprezzare dalle terrazze del Palàcio da Pena, entriamo nel parco ignorando la freccia che indica il castello e seguendo invece quella con su scritto “Sintra-centro”. I primi metri del percorso sono rassicuranti: la fitta vegetazione è bellissima e i sentieri ben delineati con indicazioni chiare e una pianta generale del parco. Poi improvvisamente cambia tutto. La strada si fa sconnessa, la vegetazione più selvaggia e le indicazioni per il centro spariscono. Un giardiniere capitato sul nostro sentiero per caso (…Che la sfiga abbia cambiato strada??) ci fa capire, a gesti, di doverci “catapultare” giù per il dirupo che stiamo fiancheggiando…Il sentiero è in ripida discesa, con terra che frana e grosse radici su cui inciampare, ma continua ad esserci un barlume di sentiero che noi, diligentemente, seguiamo. Anche se accidentato e piuttosto lungo (una ventina di minuti circa, dilatati da tutte le difficoltà del caso) il percorso è bello e suggestivo e il profumo intenso di fiori continua ad accompagnarci piacevolmente. Il centro della cittadina è piccolo e pieno di negozi di souvenir e di locali che propongono menu turistici. Ci infiliamo in una vietta laterale in salita e troviamo una piccola taverna con dei tavolini all’aperto, in equilibrio quasi precario su una piattaforma che sembra sfidare la forza di gravità. Mangiamo divinamente due piatti unici di carne e completiamo il pranzo con una tappa alla famosa (e strapiena, tanto da doversi mettere in coda con il numeretto) antica pasticceria Piriquita dove oltre alle più famose queijadas producono delle sfoglie arrotolate ripiene di crema, simili ai nostri cannoli, che calde e con una spolverata di zucchero rappresentano una vera goduria per il palato. Con la nostra bustina carica di una notevole scorta di dolcetti riprendiamo il bus 434 per tornare alla stazione e di lì prendere il pullman per Cabo da Roca, il punto più occidentale dell’Europa, dove “finisce la terra e inizia il mare” . La mezzora di strada che separa i due luoghi è piacevole e offre un bel panorama sull’oceano che si apre all’improvviso, in lontananza, e sui tanti paesini di pescatori fatti solo di una manciata di case bianche con le finestre blù. Ci stupiamo nel vedere bambini di ritorno dalla scuola, salutarsi allegramente e scendere uno dopo l’altro dal nostro stesso pullmann, in luoghi desolati e apparentemente deserti, senza nemmeno l’ombra di una casa e ci chiediamo dove mai si trovi la loro e in base a quale punto di riferimento loro e l’autista riconoscano la fermata. Cabo da Roca ci accoglie con un vento gelido e sferzante che è perfino difficile tenere gli occhi aperti, ma lo scenario che offre, con il suo faro circondato di fiori gialli e la scogliera a picco sull’oceano, lascia veramente senza fiato. A colpire è soprattutto il contrasto di colori. Il cielo carico di nuvoloni scuri e minacciosi, il prato circostante di un verde intenso punteggiato di giallo, la roccia piena di sfumature incredibili, e poi lui, il vero protagonista, l’Oceano: mare a perdita d’occhio, spazio infinito in cui precipita e va a perdersi, da altezze vertiginose, il promontorio più estremo del continente europeo. Scattiamo foto senza interruzione rapiti da tanta bellezza e alla fine, la stele sormontata dalla croce, che reca la scritta del luogo e delle sue coordinate geografiche, è ciò che attrae meno la nostra attenzione: quella è opera umana, tutto il resto è uno spettacolo impareggiabile della natura.
Sulla strada del ritorno ci fermiamo nell’ultima tappa della nostra gita fuori porta che è Cascais. E’ quasi sera, la stanchezza si fa sentire e non riusciamo purtroppo ad andare a vedere la Boca do inferno, capolavoro scavato dal mare nella roccia. Ci limitiamo a gironzolare un po’ per le belle strade della cittadina di mare, fatta tutta di case bianche e basse che la rendono ariosa e piena di luce e sul lungomare che pullula di turisti e negozietti di souvenir. Da qui, riprendiamo il treno (che per frequenza è simile a un servizio metropolitano) per Lisbona, fino al capolinea di Cais do Sodrè. Il tragitto è molto più bello dell’andata perché si snoda interamente lungo la costa e regala panorami magnifici su gole e insenature rese ancora più suggestive dalle luci del tramonto. Una volta in città, ceniamo nel primo ristorante che ci capita lungo la via per l’albergo, ma la scelta si rivela davvero poco felice e, in un’atmosfera caotica e snervante, consumiamo il pasto più deludente del nostro soggiorno a Lisbona.
SABATO 14 APRILE La meta di oggi è la sede dell’Expo ’98, nota come Parque das Nacoes e situata nella parte nord-orientale della città. Visto che è sabato e che molto negozi sono chiusi (compresa la nostra amata pasticceria sotto l’albergo!), ci rassegniamo a una veloce colazione in sede e, in men che non si dica, siamo in strada dove scendiamo giù allegramente e quasi in picchiata, vista la pendenza, per Rua Bonifàcio (pensando che al ritorno però quella strada non la faremo mai!) diretti alla fermata della metro Anjos. Prendiamo la linea verde per due fermate, quindi la rossa fino al capolinea (Oriente) e ci troviamo all’interno di una avveniristica stazione della metropolitana, integrata con quella ferroviaria sopraelevata e, basta attraversare la strada, con un immenso centro commerciale a forma (anche lui!) di caravella. Qui si apre un’altra piccola parentesi: avendo intenzione di vedere altro, del centro commerciale ci limitiamo ad attraversare un elegante corridoio in parquet e inserti di moquette con piccoli salottini, alla ricerca di una toilette che poi scopriamo essere la più stravagante (e pulita) che ci sia mai capitato di vedere. Altrove a Lisbona avevo visto, al posto dei lavabi, dei grandi lastroni di marmo in pendenza su cui l’acqua scivola via e viene raccolta da una canalina posta alla base. Qui, al posto del marmo, c’ è un materiale trasparente in cui sono stati inseriti ombretti, rossetti, matite per gli occhi, pennelli, piccole trousse e altri accessori per il trucco. La curiosità a quel punto mi spingerebbe a vedere che cosa hanno potuto inventarsi per il bagno degli uomini, ma con un po’ di fatica desisto e tiro via. La nostra prima tappa è l’Oceanario. Per arrivarci percorriamo la magnifica passeggiata lungo il fiume lasciandoci alle spalle il misterioso e interminabile ponte Vasco da Gama e stupendoci per la presenza di panchine della forma di un divano (dipinte a strisce bianche e blù!) poste una di fronte all’altra, con una base di marmo davanti, a mo’ di tavolino, proprio come in un salotto. Il paesaggio, rispetto a quello dei giorni precedenti, è completamente cambiato: lo spazio sembra dilatarsi, i padiglioni fieristici hanno forme e dimensioni futuristiche; si susseguono originali fontane di ogni colore e una lunga fila di bandiere che sembra non finire mai. Su tutto, svettano i fili e le cabine dell’ovovia, che collega i due estremi dell’enorme parco. E’ ancora presto, splende un sole magnifico e condividiamo l’aria pulita e tersa del primo mattino con pochi sportivi in bicicletta e uno sparuto gruppo di bambini al seguito delle mamme, diretti, come noi, all’Oceanario. Senza fare nemmeno un secondo di coda (siamo solo noi e il gruppetto di bambini che però rimane in attesa probabilmente di altri amichetti) acquistiamo il biglietto per il costo di 10,50 euro a testa ed entriamo nell’enorme edificio. Il giro al suo interno, attraverso tutte le diverse zone climatiche della terra, è bello e interessante, sicuramente più breve di quello dell’Acquario di Genova, ma forse meglio organizzato, più stimolante per la maggiore vicinanza agli animali: gli uccelli che svolazzano liberi sulle teste nell’ambiente tropicale, i pinguini che si affacciano sui bordi delle vasche e si lasciano quasi toccare, in quello che riproduce l’habitat del mar Glaciale Artico. All’uscita (che avviene, obbligatoriamente, passando attraverso la boutique con le riproduzioni in peluche di tutti gli abitanti degli oceani, mascotte aliena compresa), facciamo una breve ma ristoratrice tappa nel bellissimo Caffè Roma dove, insieme all’ espresso, gustiamo una ormai irrinunciabile pasta. Nel frattempo è entrata in funzione anche l’ovovia (“Telecabine Lisboa”), che avevamo trovata chiusa all’arrivo, così ne approfittiamo per un giro panoramico al costo di 3,50 (solo andata) e soprattutto per tornare alla Torre Vasco da Gama nelle cui vicinanze, sulla Avenida D. Joao II, riprendiamo l’autobus 793 per il centro. Il percorso effettuato da questo autobus è piuttosto lungo ma si snoda attraverso vari quartieri di Lisbona, da quelli residenziali con ville belle e prestigiose a quelli più popolari con case dipinte nei colori più improbabili, accostati in modo ancora più fantasioso (indimenticabile la palazzina viola con le imposte arancione e la ringhiera del balcone fucsia!). Arrivati in Praça do Comércio prendiamo il tram 15 per Belèm volendo tornare a vedere tutto quello che la nostra capricciosa digitale l’altro giorno ci ha fatto rimanere sullo stomaco…Scendiamo proprio davanti alla Torre e decidiamo di visitarne anche l’interno. Delle ripidissime e strettissime scale a chioccola (a doppio senso di marcia, che costringono di volta in volta ad assottigliamenti sul muro o pericolosi equilibrismi nella parte più esterna) conducono in tre sale sovrapposte, ciascuna con il suo grande camino in un angolo e finestre intarsiate, fino ad arrivare alla grande terrazza con anguste torrette di avvistamento da cui si gode una magnifica vista sul Tago. Una volta fuori, decidiamo di cercare un posto per mangiare e percorsi solo pochi metri ci imbattiamo, casualmente, in quello che, solo ad averlo scoperto prima, sarebbe diventato il nostro ristorante di fiducia per tutta la vacanza (“Vela Latina”, proprio sotto la Torre di Belèm)! Self service comodo e veloce, ottima cucina a dispetto di quello che suggerirebbe un locale di questo genere, prezzi irrisori e soprattutto una miriade di tavolini all’aperto che riescono a contenere maree di persone anche negli orari di maggiore afflusso. Quindi niente menu con le figure, nessuna fatica per scegliere fra nomi di piatti complicati e incomprensibili anche in inglese, nessun pericolo di pentimenti tardivi. Unica pecca: il bancone dietro cui sono esposte le pietanze è piuttosto corto e quindi si crea un po’ di fila che comunque scorre abbastanza velocemente. Con 13 euro a testa gustiamo crocchette di baccalà, dell’ottimo salmone con patate e verdura cotta e una porzione gigante di ananas.
Al momento di pagare, insieme allo scontrino ci viene consegnato un buono di 50 centesimi per il bagno. E a questo punto si apre la terza piccola parentesi tecnica. Questa città brilla tra le altre cose per l’originalità delle sue toilette ma anche dei giri tortuosi che queste impongono per servirsene. Tenendo stretto il mio scontrino nel timore che senza quello (su cui scopro esserci anche un misterioso codice a barre!) mi venga precluso l’accesso, percorro qualche metro seguendo l’insegna per il WC. Il corridoio termina con dei tornelli collegati a una macchinetta posta su un lato, superati i quali, i fortunati che sopravvivono a tutta la trafila hanno accesso a una scala che porta nelle profondità dell’edificio e quindi alle sospirate mete. Scopro che anche senza il buono, ma a patto di avere una moneta da 50 centesimi, avrei potuto proseguire il mio percorso, “semplicemente” introducendo la suddetta moneta in una specie di bancomat che mi avrebbe consegnato in cambio un foglietto identico al mio, da passare a sua volta davanti alla macchinetta dei tornelli e solo allora (!!) vedere quelli sbloccarsi per cedere il passo…Inutile dire che se si ha fretta conviene pensare a un’alternativa.
La tappa successiva è, finalmente, il Mosteiro dos Jeronimos, abitato in origine dai monaci di san Gerolamo che avevano il compito di dare conforto ai marinai in partenza. Varcando il bellissimo portale che domina la facciata, decidiamo di partire dalla chiesa la cui entrata è sulla destra del piccolo atrio mentre davanti a noi si snoda la coda della biglietteria per visitare il chiostro. Nonostante i cartelli sparsi un po’ ovunque richiamino al silenzio ricordando di trovarsi in un luogo sacro, la presenza rumorosa di innumerevoli gruppi di turisti regala l’impressione di essere in un fast food all’ora di punta. Con un po’ di fatica ci divincoliamo tra orde di giapponesi al seguito di individui che brandiscono insegne e bandierine per rendersi riconoscibili e riusciamo a raggiungere il sepolcro di Vasco da Gama nel presbiterio inferiore, situato in un posto d’onore, di fronte al poeta Luis de Camoes. Diamo un altro sguardo d’insieme alla chiesa e ci accorgiamo con stupore che la sua cupola, formata di piccoli archetti in marmo bianco, sembra gravare su delle decoratissime ma davvero esili colonne. Acquistato il biglietto di 4,50 euro saliamo al primo piano del magnifico chiostro costruito nello stesso stile del portale d’ingresso, con ricche decorazioni scolpite in una pietra dai colori caldi. Ancora pilastri, archi gotici, decorazioni floreali fra cui ci aggiriamo rapiti, complice anche la bella luce pomeridiana che impreziosisce il tutto con splendide pennellate di sfumature ocra.
Terminiamo la visita che è pomeriggio inoltrato e, rinunciando alla tappa nella famosa Pastelaria de Belèm per l’improponibile coda che si estende fin sul marciapiede, decidiamo di riprendere il tram 15 per il centro e concederci del tempo per girare liberamente tra i negozietti di souvenir. Per cena scegliamo un piccolo e delizioso ristorante cui facciamo la corte da ormai quattro giorni, dicendoci quanto ci piace e quanto ci ispira ogni volta che ci passiamo davanti per tornare al nostro albergo. Questa volta quindi, caso unico in questa vacanza più simile a un tour de force, rompendo la tradizione del “camminare no stop dalla mattina fino all’ora di andare a dormire”, ci ritroviamo, incredibilmente e quasi spaesati per la novità, in albergo prima di cena! L’angusta stanza, al tramonto risulta ancora più deprimente, ma senza farci prendere dalla malinconia, ci restiamo giusto il tempo di una doccia, quindi usciamo di nuovo diretti in Rua Conde Ridondo. Il ristorante “Ao prazer de Comer è piccolo e con le pareti rivestite in pietra, ha pochi coperti e le candele su ogni tavolino, tuttavia l’atmosfera è informale e i prezzi abbordabilissimi, solo leggermente più alti rispetto alla media dei nostri pasti a Lisbona, ma sempre di gran lunga inferiori a una cena in un qualsiasi ristorante di Roma. Ritentiamo la zuppa di caldo verde, che in effetti si rivela molto diversa e decisamente più buona di quella presa la prima sera nel ristorante turistico della Baixa. Quindi mangiamo un originale e ottimo piatto di agnello accompagnato da purea di mele e patate rosti. Per la nostra ultima sera di permanenza nella capitale portoghese sfidiamo la stanchezza e le pochissime ore di sonno sulle spalle e ci concediamo una lunga passeggiata giù per Avenida da Liberdade fino al centro. E’ tristemente incredibile la quantità di senzatetto che già nelle prime ore della sera si accampano sotto i portici o davanti alle porte dei negozi dotati di coperture, per garantirsi un posto in cui passare la notte. Negli angoli più sperduti della città non ci è capitato di vederne così numerosi come in questa via centralissima e trafficata a ogni ora. DOMENICA 15 APRILE Ci alziamo con comodo e dopo la rapidissima colazione (anche oggi, intorno all’albergo è tutto chiuso!), torniamo in camera per ributtare tutto nei trolley costretti, come al solito, a ogni rientro, a salirci sopra per riuscire a chiuderli, quindi li molliamo al deposito dell’albergo e usciamo per il nostro ultimo giro in città. Col morale basso e tutta la stanchezza dei giorni precedenti che ci crolla addosso ora che la vacanza è terminata, ci arrampichiamo, mesti, verso il Parque Eduardo VII. Visti però, nell’ordine: il caldo soffocante, il morale sotto le suole, lo zaino pesantissimo in cui abbiamo dovuto infilare tutto quello che non stava più in valigia, le gambe ormai distrutte dalle lunghe marce dei giorni precedenti…Decidiamo di concederci il lusso di farci scarrozzare dal bus turistico a due piani per goderci il magnifico sole con cui ci saluta Lisbona, ripercorrendo dall’alto e comodamente seduti, tutti i suoi luoghi più belli. Lo aspettiamo solo qualche minuto in Praça Marques de Pombal, acquistiamo il biglietto da 15 euro e ci prepariamo a goderci l’ultimo giorno della nostra vacanza. La maratona in corso lungo la parte bassa della città costringe il bus a deviare il suo giro, per riprenderlo solo successivamente, regalando a noi, la piacevolezza di trascorrerci sopra tutta la mattinata senza mai stancarci. All’ora di pranzo una delle fermate di Belèm è proprio di fronte al ristorante del giorno prima, la Vela latina: un segno del destino! Avendo l’aereo alle 19, abbiamo tutto il tempo di pranzare, riprendere quel bus, recuperare i bagagli in albergo e recarci in aeroporto. Scendiamo quindi senza indugio e pranziamo nuovamente al ristorante self service, concedendoci poi una piccola passeggiata fino al suggestivo monumento ai caduti: una fontana centrale sovrastata da una costruzione a forma di vela, circondata su tre lati da pareti su cui sono elencati i nomi di tutti i caduti nelle guerre civili dagli anni ‘60 fino ai giorni nostri.
Il lungofiume oggi, domenica, è pieno di gente locale oltre che di turisti, l’atmosfera un po’ caotica non riesce tuttavia ad oscurare il luccichio e la maestosità del Tago che sonnecchia lì a fianco, dominando su tutto il panorama. Ripercorriamo con lo sguardo i giardini con le bellissime fontane davanti al monastero, la torre, il monumento alle scoperte, il ponte, la statua del Cristo. Salutiamo Belèm, la parte che sicuramente più ci rimarrà nel cuore per bellezza e atmosfera, e riprendiamo il nostro bus turistico diretti a recuperare i bagagli. Per raggiungere l’aeroporto scegliamo di servirci di un taxi, che, per sentito dire, dovrebbe essere molto economico a Lisbona. Scelta azzeccatissima: spendiamo 7 euro in due, a fronte dei 3,85 euro a testa che ci sarebbe costato il biglietto per l’Aerobus, viaggiando scomodamente. La dolce malinconia con cui salutiamo Lisbona viene rovinosamente travolta da una rocambolesca partenza.
L’aeroporto, che non ci era parso un granché nemmeno all’arrivo, rivela la sua totale inefficienza in questo congestionato pomeriggio di rientri. La prima assurdità sono i banconi per il check-in divisi non per voli o compagnie aeree, come in tutti gli aeroporti del mondo, compreso quello “sgarrupato” di Zanzibar, bensì genericamente “per l’Europa” e per tutte le altre destinazioni extraeuropee. Ci ritroviamo così in una coda interminabile a serpentone che, nonostante la dislocazione, si snoda fino al centro della nemmeno troppo grande sala adibita allo scopo. Questo naturalmente crea sussulti di panico in chi, pensando di stare largo con le solite due ore di anticipo, si ritrova invece in coda dietro a persone più previdenti (o fantozziane) di lui che di ore di anticipo hanno pensato di lasciarsene 3, quindi hanno ancora ampio margine di tempo ma…Tocca ugualmente prima a loro! In una confusione da bolgia infernale, ogni tanto spuntano le hostess della compagnia aerea con il volo in partenza che chiamano i dispersi facendoli uscire di corsa dalla coda e accomodarsi in una fila a parte davanti allo sportello “Emergenza”. Nonostante quindi il largo anticipo con cui siamo giunti in aeroporto, ci ritroviamo all’uscita di imbarco appena 5 minuti prima che chiamino il volo. La disorganizzazione massima di questo aeroporto è aggravata dal caldo infernale e dalla quasi totale mancanza di ossigeno che però, in compenso, fa crescere rigogliosamente un piccolo giardino di piante tropicali intravisto di sfuggita durante la corsa…
Una volta sul bus che ci porterò all’aereo, riprendiamo abbondantemente fiato per tutti i 35 minuti in cui ci lasciano a sostare lì, con i motori accesi, respirando schifezze a volontà. Il motivo: un mistero! Il mezzo parte senza che sia successo niente di nuovo dal momento in cui vi abbiamo preso posto. Quando finalmente saliamo sull’aereo scopriamo che la simpatica addetta della TAP cui abbiamo chiesto due posti POSSIBILMENTE vicini e che sorridendo ci ha pure risposto “Yes, of course”, in realtà ci ha piazzato una da un lato l’altra da quello opposto. E vabbè, capita, ma se ci diceva tranquillamente che non era possibile senza prenderci per i fondelli?? L’odissea non è finita: allacciamo le cinture e rimaniamo così per altri 40 (QUARANTA!) minuti in attesa che l’aereo (dato in orario su tutti i display dell’aeroporto, tanto da farci scapicollare per essere puntuali all’imbarco!) decolli. Il motivo: lo sanno i pochi fortunati, presenti sull’aereo, in grado di capire gli annunci in portoghese! Luna