Lesvos, il regno della poesia

Un viaggio fai da te nella terra di Saffo e Alceo
Scritto da: steber
lesvos, il regno della poesia
Partenza il: 29/07/2012
Ritorno il: 14/08/2012
Viaggiatori: 2
Spesa: 1000 €
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Davvero difficile, immaginare… quanto sia bella Lesbo! Nessun obiettivo potrà mai ritrarre fedelmente i suoi grandi e aperti paesaggi fatti di contrasti e armonia, nessuna guida turistica potrà mai descrivere le atmosfere sospese ed eterne dei suoi villaggi, nessuna musica potrà mai replicare la canzone di mille fronde di ulivi e pini mossi dal vento o la malìa del mare che accarezza lento infinite spiagge, nessun racconto potrà mai narrare gli infiniti silenzi delle sue valli e i magici sussurri delle sue fonti. Solo la poesia riesce a dar corpo a Lesbo, solo il linguaggio delle emozioni consente a Lesbo di diventare reale, solo la voce di un cuore pieno di questa terra riuscirà a farvi immaginare Lesbo. Molte volte io ed Aldo abbiamo osservato il profilo azzurro di Lesbo lontano sull’orizzonte e ne abbiamo sentito il richiamo, molte volte abbiamo sognato la patria di Saffo e Alceo, molte volte abbiamo progettato di raggiungere Lesbo e poi non lo abbiamo fatto, forse proprio perché, in fondo, non riuscivamo ad immaginarla. Avremmo forse rinviato ancora questo viaggio, se la sorte non avesse messo sulla nostra strada Giorgio con le sue parole “…rinviare Lesbo è come suicidarsi!”: un breve inciso, carico di passione e trasporto, amore e dolore assieme, la voce di chi è stato generato da Lesbo e ne vive lontano, la voce di un cuore a cui non era possibile non dare ascolto. Lesbo ha improvvisamente preso vita, linfa, colore e respiro dal cuore del nostro Giorgio, la sua passione ci ha accompagnato e seguito in ogni momento del nostro emozionante viaggio attraverso la sua amata isola, senza di lui non sarebbe stata la stessa cosa: il destino ci ha condotto a Lesbo così. Questo racconto è dedicato a Giorgio di Molyvos, sospinto a Creta da un amore ancor più grande di quello per la sua terra, questo racconto è dedicato alla meravigliosa terra di Lesbo e a tutti i suoi figli.

Il piccolo aereo bielica si alza con piglio gagliardo dalla pista di Salonicco alle 17.50 e punta dritto ad est, sorvola la bianca capitale della Macedonia e il suo ampio golfo, poi sparisce fra le nuvole. Il cielo si apre quando siamo sopra la Calcidica, qui l’aereo vira di 90 gradi verso sud e si infila fra il dito di Sithonia e la penisola del Monte Athos regalandomi lo spettacolo dei grandi monasteri, le sante fortezze inaccessibili, veri nidi d’aquila aggrappati alle pendici boscose dell’Agios Oros, il Santo Monte. Arriviamo persino a sfiorare la cima stessa del Monte Athos che chiude la penisola con la sua mole luminosa, aguzza e impervia: penso proprio che in nessun altro modo riuscirò mai ad arrivarci più vicino…. Quindi la distesa blu dell’Egeo e dopo un’ora scarsa di volo appare Lesbo con il suo ondulato profilo. Una sottile linea di spuma marina contorna le coste settentrionali dell’isola che si alzano brusche e impervie dal mare per poi frangersi in morbide e dolci valli di velluto verde, al centro dell’isola appare un immenso golfo e il mare sembra distendersi e voler prendere possesso di questa terra, o forse è la terra che sembra cingere fra le sue braccia il mare e volerlo stringere al seno, quindi una alta fila di monti boscosi, un’ampia virata sopra un secondo grande golfo, azzurro e chiuso come un lago, ed eccoci a terra.

Non potete credere alla mia emozione nel trovarmi qui, nella terra che più di ogni altra ha ispirato e generato grandi poeti e scrittori, nella patria di Alceo e Saffo, del musicista Terpandro e dell’aedo Arione, nella terra che ha accolto con pietà la lira e la spoglie del più grande fra tutti i poeti, Orfeo… e, non avrei mai immaginato, che a Lesbo avrei rivissuto le loro emozioni, avrei visto con i loro occhi e udito con le loro orecchie, non avrei mai immaginato che proprio loro, i poeti, sarebbero stati le mie inaspettate guide di viaggio! Ecco dunque che, appena arrivati, ci viene subito incontro un poeta: Odysseas Elytis, un grande surrealista insignito del Premio Nobel per la letteratura nel 1979, autore di intense liriche intrise di passione, di libertà e di zolle di terra di Lesbo. L’aeroporto di Mitilene è a lui dedicato, è proprio il suo nome, scritto a grandi lettere, a darci il benvenuto nel Regno della poesia

Fuori dall’aeroporto ci sono gli uffici di noleggio auto, ritiriamo la macchina prenotata dall’Italia e ci mettiamo subito in viaggio diretti a Molyvos che dista circa 60 km e dove arriveremo dopo un’ora e mezza di viaggio. Per prima cosa dobbiamo necessariamente attraversare parte della capitale dell’isola, Mitilene, che a primo impatto appare disordinata e rumorosa. La segnaletica in città è piuttosto scarsa, per non dire assente, ci sfugge la deviazione per Kalloni e finiamo dritti sul bellissimo porto dominato dalla immensa fortezza con le case che sciamano ad anfiteatro sotto il castello fino al mare. Ci fermiamo un attimo. Le vie animate dal sabato cittadino, gli eleganti palazzi aristocratici, le tende parasole tese sui tavolini dei caffè e delle ouzerie, le decorazioni a stucco e i nobili fregi dalle tinte sbiadite, la grande cupola di bianco argento della chiesa di Agios Therapon, le lucide banchine del porto, i riflessi multicolori della città sullo specchio di mare immobile e la luce dorata del tardo pomeriggio ci regalano una meravigliosa istantanea di questa leggendaria città, Mitilene. Grazie alle indicazioni di gentili passanti usciamo dal centro e imbocchiamo la strada giusta per Kalloni che, appena fuori città, diventa ampia e veloce, praticamente una superstrada, con indicazioni stradali chiare e precise. Il percorso fino a Kalloni è veloce e rapido, poi la strada inizia ad arrampicarsi sui rilievi con dolci curve per sbucare nuovamente al mare nella baia di Petra. Attraversata Petra continuiamo per pochi kilometri lungo la strada costiera che va verso nord e, superata un’ultima curva, MOLYVOS ci appare come una cartolina, meravigliosa con le prime luci della sera che dalla collina piovono verso il mare. Ci fermiamo in uno spiazzo a contemplare questa cittadina di scure case di pietra abbracciate strette strette intorno ad una collina coronata da un grande castello illuminato. Essendoci ancora un filo di luce ed avendo avuto indicazioni precise dai nostri ospiti non fatichiamo neppure ad individuare gli Studios Diamanti dove abbiamo prenotato le prime 3 notti. Dopo cena ci sediamo sul nostro piccolo balcone: davanti a noi il castello di Molyvos illuminato che domina la collina su cui brillano tremule le luci del borgo immerso nel sonno, sopra di noi mille stelle e una limpida luna senza alone, intorno a noi la notte egea, fatta di grilli, cani lontani, fronde scure mosse dalla brezza notturna, lo scampanio di un gregge che torna lento al suo ovile… la magia di Lesbo arriva come un sogno.

Le spiagge di Eftalou: il ritorno di Arione

Dopo un sonno profondo e beato, come solo quello di inizio vacanza può essere, spalanco le ante di legno dipinte di rosso rubino e il sole inonda la stanza, un profumo di erbe vicine e salsedine lontana ci riempie i polmoni… non era una apparizione notturna quella di ieri sera, il Castello di Molyvos è ancora lì, davanti a noi, con le sue mura possenti e i suoi torrioni, nobile e maestosa fortezza costruita dai Bizantini e abbellita dai Gattelusi, una sontuosa corona per un bellissimo borgo di pietre antiche. La colazione sul terrazzino, in compagnia dei gatti, Maria che ci saluta con la mano, lo scampanio del gregge, la freschezza del mattino, il cinguettio delle rondini: la magia della sera si tramuta in un festoso mattino…

Partiamo per la nostra prima esplorazione, abbiamo voglia di mare, prendiamo quindi la strada asfaltata che porta a Eftalou che dista solo 4 km da Molyvos. Percorriamo una piccola valle coltivata dove antiche case rurali sono diventate accoglienti e ospitali ‘domatia’, proprio come quella che ci ospita, scolliniamo e raggiungiamo il mare. La prima spiaggia che incontriamo in località Eftalou è uno stretto litorale di ghiaietto a ridosso della strada, dolcemente ombreggiato da alberi, frequentato soprattutto dalle famiglie e dagli ospiti dell’Anatoli Restaurant e del Mithimna Beach Hotel che sono aldilà della strada. Oltre, vicino al Restaurant Eftalou si apre un’altra spiaggia, più bella della precedente, con grandi alberi, docce e cabine per cambiarsi a disposizione di tutti. Infine arriviamo al piccolo spiazzo dove termina l’asfalto e inizia, sulla sinistra, il passaggio pedonale che porta alle TERME di EFTALOU, chiaramente preannunciate dal cartello turistico Hot Springs. Lasciamo la macchina, prendiamo con noi il nostro piccolo ombrellone e ciò che occorre per una mattina di puro relax marino. Seguendo il sentiero lastricato che corre lungo il mare arriviamo alla costruzione di pietra con gli infissi dipinti di azzurro che ospita la nuova struttura termale dove per 4 euro è possibile fare un bel bagno caldo di 45 minuti. C’è già qualche cliente seduto all’ombra della pergola in attesa di fare i bagni: qui l’acqua sgorga a una temperatura di circa 45°C ed è particolarmente raccomandata per reumatismi, artriti, sciatalgie e molte altre patologie. Accanto alla nuova costruzione, incastrata fra gli scogli, c’è la piccola costruzione tondeggiante degli Antichi Bagni, un panettone di pietra dipinto a calce bianca.

Un sottile velo di vapore fa sospettare i punti di incontro fra l’acqua marina e la sorgente termale che fuoriesce vicino ai muri dell’antico bagno, basta toccare l’acqua per esserne certi…

Non resistiamo alla tentazione di imitare altri bagnanti e di costruirci con i sassi che troviamo una piccola piscinetta naturale tutta per noi, di godere di questo primo dono dell’isola di Lesbo, un bagno termale in plein air, accarezzati da un mix di correnti calde, dono della terra, e onde fresche, dono del mare. Continuiamo a piedi lungo la scogliera e dopo un breve, piatto e facilissimo passaggio di 50 mt, superate due grandi rocce che sembrano sbarrare il passo, si apre davanti a noi la bella spiaggia chiamata Golden Beach. Quello che era un tempo il piccolo monastero di Ag.Anargiron è ora una taverna, Golden Beach Restaurant, che offre ristoro, ombra e qualche camera in affitto, sulla spiaggia sono state sistemate anche una doccia e una cabina per cambiarsi: se avete bisogno di acqua o altro, tenete presente che questa sarà l’ultima costruzione che incontrerete, da qui in avanti, baia dopo baia, un susseguirsi di spiagge di ciottoli, assolate e selvagge.

Proseguiamo lungo il mare, incontriamo una seconda baia molto simile alla precedente, altrettanto grande, ma senza il ristorante ha un aspetto decisamente più selvaggio, soprattutto dovuto alle scoscese rive su cui stanno aggrappati alcuni alberi. Seguono due piccole baie, in realtà due specie di anfratti nella scogliera, frequentati da naturisti in cerca di ombra; poi una bella baia di discrete dimensioni e ben riparata su tre lati, quindi una sesta spiaggia chiusa da una alta scogliera di color ocra che sembra scendere dritta nel mare. Non abbiamo idea di quanta strada abbiamo percorso, ma quest’ultima baia è la più grande di tutte, completamente deserta, silenziosa, sembra di essere arrivati in capo al mondo… siamo rapiti dai suoi meravigliosi scogli colorati, ci affascina e ci fermiamo.

Un tuffo in mare è il giusto premio dopo tanto camminare sotto il sole, l’acqua è cristallina, fresca e tonificante, subito profonda, ci lasciamo andare alle onde e ci lasciamo trasportare dalla corrente… quindi ci distendiamo al sole con piacere, godendo del caldo dei ciottoli lisci. Con gli occhi socchiusi osservo l’orizzonte davanti a me: Molyvos col suo castello, sfumata dalla calura in lontananza, la costa turca proprio dinnanzi, vicinissima, come una diga di pietra gettata sul mare, la scogliera verticale in fondo alla spiaggia, gialla di ocra o di zolfo.… le piccole onde lente, sollecitate dal plettro del vento, sussurrano una canzone ritmata, sembra un lento arpeggio, come quello di una cetra antica… nella luce pura si muove una figura…. Arione era un abile musico nativo di Molyvos, si diceva fosse figlio di Poseidone e della ninfa Onea: con la sua bellissima voce cantava seduto sulla riva del mare, riusciva a incantare uomini e animali, i delfini in particolare accorrevano sempre ad ascoltarlo. Con la sua arte aveva fatto fortuna, sfoggiava ricche vesti e ornamenti raffinati, il re di Corinto lo aveva chiamato e trattenuto alla sua corte con mille onorificenze. Ad Arione è attribuita l’invenzione del ditirambo, il canto corale e scenico in onore di Dioniso da cui deriveranno le rappresentazioni teatrali, una composizione in cui si fondono in eguali proporzioni poesia, musica e danza: potremmo quasi definire Arione l’inventore del musical. Erodoto narra che un giorno, trovandosi in viaggio su una nave dall’Italia a Corinto, venne assalito e minacciato di morte da marinai che lo volevano derubare. Arione mise mano alla sua cetra e al suo canto arrivarono i delfini: si buttò in mare, uno di essi lo caricò sul dorso trasportandolo fino a Corinto e morendo di fatica, ma salvando la vita al poeta. Il dio Apollo trasportò l’eroico Delfino fra le stelle della via Lattea e ne fece una costellazione… La figura scompare svelta dietro la scogliera, cerco di raggiungerla, non la trovo: ai piedi della scogliera un passaggio fra le rocce porta oltre, le spiagge continuano ancora verso est, selvagge, in totale solitudine e abbandono, l’acqua del mare si increspa e appaiono due dorsi di argentei delfini a danzare sul ritmo del ditirambo di Arione… Ritorniamo sui nostri passi e, baia dopo baia, forse per il caldo, la camminata sembra lunghissima. La taverna Golden Beach ci appare infine come un miraggio, sembra quasi un fortino della legione straniera, bianca, con la sua fila di finestrelle e un bel ciuffo di verde.

Ci rinfreschiamo con un tuffo in mare, poi ci sediamo sotto la pergola della taverna per uno spuntino osservando incantati lo stretto canale di mare che separa Lesbo dalla Turchia… “davanti a queste spiagge passano spesso gruppi di delfini, e arrivano anche molto vicini alla riva..” mi dice la signora della taverna: io annuisco sorridendo distratta, completamente avvolta dal Mito di Arione che mai avrei pensato di rivivere. Riprendiamo l’auto e torniamo verso Molyvos per riprendere la nostra esplorazione.

Girando intorno al Monte Lepetimnos: il magico mondo di Stratis Myrivilis

Ascoltiamo Giorgio, lasciamo perdere di avventurarci sugli sterrati che, stando alle carte geografiche, corrono lungo la costa e prendiamo la strada asfaltata che da Molyvos sale verso Vafiòs, Argenos e Sikaminià. Il nostro itinerario gira tutto intorno al MONTE LEPETIMNOS che si alza dritto verso il cielo, aguzzo e svettante, il monte più alto dell’isola con i suoi 968 mt. Lungo le pendici rivolte a nord la strada è buona e corre alta attraversando un bellissimo paesaggio che alterna valli di velluto verde e boschi di antichi alberi di castagne, ampi spazi aperti sul mare e vedute sulla vicinissima costa turca. Ci fermiamo su una piazzola panoramica a contemplare la magnifica veduta che si apre sotto di noi sul paese di Lepetimnos con la sua bella chiesa di pietra col campanile e, più in fondo, sulla manciata di case di Skala Sikaminiàs con la sua bianca chiesetta.

Lesbo inizia a rivelarsi a noi con tutta la bellezza del suoi paesaggi. A SIKAMINIÀ, un villaggio di montagna con case di pietra e viuzze di ciottoli, scendiamo verso il mare e quando la strada si biforca prendiamo per prima la deviazione a destra verso la spiaggia di KAGIA. E’ domenica e sulla spiaggia, all’ombra delle grandi tamerici le famiglie hanno organizzato i loro pic-nic: tavole ancora imbandite, sedie a sdraio, brandine e canotti colorano il litorale. Tutti, grandi e piccini, godono della dolcezza di questo angolo fresco, sonnecchiano tranquilli e cullati dal borbottio di piccole allegre onde.

Tornati al bivio, scendiamo dalla parte di SKALA SIKAMINIÀS. Il piccolo borgo è bellissimo e, non so perché, mi sembra una deliziosa miniatura di Parga, senza la confusione di Parga. Lo scrittore STRATIS MYRIVILIS è nato nel 1892 proprio a Sykaminià, il villaggio sulla collina che abbiamo appena attraversato. La sua produzione letteraria, scaturita in gran parte dalla sua partecipazione alle guerre balcaniche e dalle sue esperienze sul fronte, è abbastanza nota anche in Italia e alcuni libri si trovano tradotti. La sua scrittura è molto affascinante e nei suoi libri, la sua amata Lesbo, emerge sempre, in bilico fra realismo e poesia.

Una delle sue opere più conosciute si intitola Panagia Gorgona, tradotta in inglese The Mermaid Madonna, una splendida raccolta di novelle pubblicata nel 1949. Le storie sono ambientate nel 1922 e si accavallano, si intrecciano, proprio nel minuscolo borgo marino di Skala Sykaminia, intorno al suo porticciolo, dentro e intorno alla sua chiesetta. Un marinaio viveva dentro la chiesetta, un giorno scompare misteriosamente, ma lascia nella chiesa un muro dipinto con una Madonna con la coda di pesce; gli abitanti rimangono sorpresi ma si abituano presto a questa nuova divinità la cui icona iniziano a onorare con preghiere e incensi. Se il dipinto è mai esistito, ora non c’è più, dalla chiesetta della Panagia Gorgona si può ancora guardare le misteriose acque blu dell’Egeo ma, se si è fortunati, si vedranno delfini, non sirene.

Un giorno il paese di Sykaminia assiste all’arrivo di barche piene di rifugiati greci che provengono dalla Turchia dopo l’espulsione dalle città costiere conseguente alla fine del conflitto greco-turco. Molti di loro sono pescatori, nessuna parola sulla loro tragedia, chiedono solo di poter vivere vicino al mare: nasce così il borgo di Skala Sykaminia. I turisti, che ora arrivano sin qui, possono ancora vedere questo borgo e il grande gelso che ombreggiava il kafenion di Smaragthi e che ora ombreggia i tavolini di una bella taverna.

Il pescatore Varouhos, un giorno, tornato un po’ brillo dalla città, trova una bellissima bimba dagli occhi verdi nella sua barca; nessuno sa da dove questa piccola creatura provenga, di certo non viene dal paese, di certo proviene dal mare, forse portata da un misterioso veliero, forse deposta sulla spiaggia dalle onde.. solo dopo numerose indagini si scopre esser figlia della sirena che lo aveva sedotto… A Skala Sykaminia troverete ancora molte di queste ammaliatrici creature marine: i suoi bellissimi negozietti di souvenir sono pieni di oggetti carinissimi e stravaganti, molti raffigurano bellissime sirene.

Tutto il mondo di Myrivilis si rivela ai nostri occhi. La chiesetta bianca di Skala Sykaminia sta ancora lì, arrampicata sullo scoglio nero, bellissima, che guarda, sorveglia e protegge le colorate barchette dei pescatori: il suo nome lo trovo bellissimo, Panagia Gorgona, Madonna Sirena. In realtà questa piccola chiesa ha anche un secondo nome, Panagia ton Psaradon, Madonna dei Pescatori, e così, come sempre accade, mito e fede si mescolano: la Sirena, affascinante creatura ammaliatrice che porta alla morte, si unisce alla Madonna, benigna madre che protegge. Skala Sykaminia è sicuramente uno dei luoghi più affascinanti dell’isola: piccolo e raccolto, le taverne con i loro allegri tavolini e i polipi stesi al sole, i negozietti con i graziosissimi souvenir che sembrano usciti dalle stive delle navi, le porte delle case decorate con corone di statice, un grande albero con un enorme ed esotico pappagallo dal piumaggio colorato. L’acqua lambisce dolcemente le banchine del porto, il tintinnio ritmico degli alberi delle barche racconta ancora la storia della sirena dagli occhi verdi: il magico mondo di Myrivilis sembra ancora intatto.

Risaliamo nuovamente le pendici del Monte Lepetimnos e dopo 7 km circa raggiungiamo il piccolo villaggio di KLIÒ e da lì scendiamo per 6 km, in gran parte asfaltati, fino alla spiaggia di TSÒNIA. Questa spiaggia è molto lunga e bordata di alberi, la sua caratteristica è l’arenile di grossa sabbia color rubino che, bagnata ed illuminata dalla luce del pomeriggio, brilla corrusca in contrasto con un verde mare cristallino.

Tornati a Kliò ci dirigiamo a Mandamàdos e, prima del paese, troviamo il MONASTERO TAXIARCHIS. Visto dall’esterno, questo grande Monastero, sembra una robusta e tozza fortezza circondata da grandi alberi frondosi con sparse intorno le strutture di accoglienza e ristoro per i pellegrini. Oggi è domenica e c’è molta gente, sia seduta al fresco del kafenion che intorno ai negozietti di souvenir religiosi e prodotti locali.

Superato il portone di ingresso del Monastero, ci accoglie, nell’androne prospicente il cortile, una enorme icona dell’Arcangelo Michele, vestito d’argento, con scudo e spada, ali e calzari sfolgoranti, onorato da mille candele: il cortile è molto grazioso e pieno di gente vestita a festa. Del passato di questo monastero non si sa molto, pare abbia origini bizantine, che sia stato distrutto dai Turchi e ricostruito nel XVI secolo; certo ora è uno dei principali luoghi di pellegrinaggio del mondo ortodosso. La chiesa è sontuosamente decorata e illuminata a giorno, come poche ne abbiamo viste; le colonne, le volte e le pareti sono tutte dipinte con colori meravigliosi fra cui domina il verde e il rosso. E’ piena zeppa di gente, ci sono battesimi ed assistiamo alla emozionante parte della liturgia in cui i bambini, completamente nudi, vengono immersi nel bacile con l’acqua. Data la grande folla, giriamo per la chiesa indisturbati e proprio in fondo alla chiesa, dietro il baldacchino del coreuta, troviamo la Santa Icona dell’Arcangelo Michele che richiama fedeli da ogni dove. Secondo la tradizione i pirati Saraceni attaccarono il monastero e uccisero tutti i 40 monaci, tranne un giovane novizio che riuscì a scappare e nascondersi. Il sopravvissuto, tornato nel monastero devastato e depredato raccolse pietosamente la terra intrisa del sangue dei suoi fratelli e mescolandola all’argilla ne plasmò il volto dell’Arcangelo Michele in rilievo e con le stesse dimensioni di un volto umano. Mai visto nulla di simile, non so se questo volto sia veramente fatto di fango e sangue, resta il fatto che è l’unica icona ortodossa al mondo in rilievo e non lascia certo indifferenti, ha qualcosa di arcano e sovrannaturale, lo sguardo dell’angelo si percepisce appena e sembra venire da molto lontano, l’oro delle ali e della corona fanno emergere drammaticamente l’incarnato bruno e corrusco del volto, le linee perfette dei sopraccigli e il tratto quasi sensuale delle labbra. Quest’angelo è certo nato dall’odio e dall’amore.

Ci dirigiamo quindi verso MANDAMADOS, un paese grande, con caratteristiche case di pietra, belle strade lastricate e kafenion affollati: famoso per la produzione di terrecotte, sculture di legno e latticini. Anche se è domenica ci sono alcuni negozi aperti e per le vie c’è un discreto movimento: incontriamo diversi uomini a cavallo, ma notiamo anche diversi cavalli ‘parcheggiati’ fuori casa, in particolare ne notiamo uno: nero come la notte, lucido e bellissimo, con gli zoccoli dipinti di rosso fuoco. La presenza dei cavalli a Lesbo sarà una costante, una testimonianza delle antiche relazioni con la Tessaglia, terra di cavalli e cavalieri. Torniamo un poco indietro e prendiamo la deviazione a sinistra per KAPI, PELÒPI, IPSILOMETOPO, STIPSI. Questo percorso di circa 15 km lungo le pendici meridionali del Monte Lepetimnos si rivela davvero molto bello, non solo per il paesaggio, ma soprattutto per il fatto che attraversa, uno dopo l’altro, questi semplici paesi dove la vita scorre, oggi come un tempo, lungo la strada principale, stretta e lastricata. Con l’auto quasi sfioriamo le sedie dei piccoli kafenion tutte allineate contro i muri, passiamo vicinissimi alle belle chiese e alle tradizionali case di pietra che vedono lontani spicchi di mare, salutiamo le donne che ci passano accanto e i ragazzini che riescono a giocare a pallone in piccolissimi spiazzi. Le pendici del Monte Lepetimnos, su questo versante, sono ricoperte di ulivi, querce e pioppi, prugni e susini, molti fiumiciattoli scendono ripidi dalle gole e si gettano nel fiume Tsiknias che continua la corsa verso la lontana baia di Kalloni, Un paio di kilometri dopo Stipsi riappare il mare aperto e la bella ampia baia di Petra, letteralmente illuminata dal sole e giriamo verso PETRÌ.

Quattro case in croce, abbarbicate intorno ad uno sperone roccioso, benedette da un panorama fantastico. Lasciamo la macchina sul piazzale che si trova all’inizio del paese e ci infiliamo fra le case. Scendiamo fino alla chiesetta, una sorta di piccolo monastero muschioso, nascosto da un muro di cinta, molto suggestivo nella sua assoluta solitudine. Le ombre sono ora lunghissime e il sole è quasi vicino all’orizzonte. Risaliamo fra le case e lungo la vietta che porta alla chiesa, troviamo la piccola taverna O Venizelos che ha una terrazza bellissima da cui si gode un tramonto spettacolare sulla baia di Petra.

Spazi aperti e solitarie spiagge: Terpandro raccoglie la lira di Orfeo

Partiamo di buon ora e la bella spiaggia di PETRA, gli stabilimenti balneari e i beach bar sono deserti. Il lungomare di Petra è pure tranquillo, i gestori dei ristoranti lavano con la canna la strada, i negozianti espongono con calma merci e souvenir, i bar sistemano i loro tavolini: persino le onde si infrangono pigre e lente contro la strada, solo qualche spruzzo arriva a bagnarla. Superiamo ANAXOS, confusamente compressa contro la sua spiaggia piena di ombrelloni: questa è una località prettamente turistica, fatta di studios, piccoli hotel e pensioni, bar con piscina e negozi di paccottiglia marinara. Superiamo anche la deviazione per la vicina spiaggia di Ampelia e poi la strada inizia a salire con un bel panorama sul mare, Molyvos e la costa turca sul fondo. Superato il paese di SKOUTAROS, vicino alla deviazione per Filia, prendiamo la deviazione a destra, sterrata nell’ultimo tratto, per la spiaggia di TSICHARANDA.

Scendiamo in una bella e ampia valle scavata da un fiume, fresca e brillante di ulivi e snelli pioppi, arriviamo quindi al mare dove una pigra spiaggia scura si stende, contornata da alberi, tranquilla e solitaria, con un paio di taverne e qualche stanza in affitto. Riprendiamo il viaggio salendo ancora fino ad una sorta di piccolo altopiano letteralmente colonizzato da terribili impianti fotovoltaici e appena appare il grande paese di SKALOHORI deviamo a destra seguendo le indicazioni per Kalo Limani e Archea Antissa. Questo percorso è interamente sterrato ma la strada è ampia, di buon fondo e percorribilissima. Il paesaggio è magnifico, si scende fra alture pietrose e gialle di stoppie, punteggiate da brune querce con grandi chiome, sullo sfondo il dolce contorno delle costa mosso da languide curve, rientranze e piccole penisole, lo sguardo corre senza ostacoli dalla baia di Kalo Limani ad Archea Antissa, dalla verde Kambos alle case di Gavathas. Il mare domina tutto quanto, immobile, di un azzurro intenso e puro.

Dopo circa 12 km lo sterrato si biforca: a sinistra si raggiunge in 9 km Archea Antissa, a destra si arriva in 3 km a Kalo Limani. Non poteva avere un nome più adatto: KALO LIMANI è un borgo di 5 case che si affaccia su due opposte e riparate insenature con due scenari completamente diversi. Si incontra per prima la piccola insenatura con la bella spiaggetta di sabbia, mare cristallino e luminoso, piatto, col fondale basso e vellutato. L’ombra è assicurata da un paio di grandi tamerici e da un paio di grandi ombrelloni messi a disposizione dalla taverna retrostante.

Continuando lungo la stradina che si infila fra le case si sbuca sulla seconda insenatura, il porticciolo vero e proprio, immerso in un immoto paesaggio quasi lacustre. Qui il fondo marino è molto scuro, l’acqua su cui si riflettono le gialle pendici dei monti circostanti sembra densa, si intravedono delle gabbie per l’acquacoltura e, in lontananza, ancora Molyvos. Il piccolo molo, le barchette, le attrezzature da pesca e una bilancia per la vendita del pesce rendono evidente l’attività di questo minuscolo borgo. Ci fermiamo sulla spiaggia della prima baia, un richiamo irresistibile per una bella nuotata e un po’ di tranquillo ammollo; anche la taverna alle nostre spalle è molto attraente, anche solo per un caffè sotto la sua frondosa pergola. Bellissimi sono i modellini di barche esposti e messi in vendita dalla taverna: il simpatico gestore mi spiega che sono sue creazioni, fatte con i pezzi di legno e materiali che il mare ritorna alla spiaggia. Li trovo davvero molto affascinanti.

ARCHEA ANTISSA ha una stretta spiaggia di ciottoli, ma l’attrattiva principale sono le vestigia del suo passato. Proprio sul Capo Ovriocastro dormono i bruni resti, vestiti d’erba e sale, delle mura della fortezza bizantina, fortificata dai Gattelusi. Probabilmente era il grande Castello di San Teodoro descritto con ammirazione da tanti viaggiatori del passato. Qui si trovava anche l’antica città greca di Antissa e qui nacque TERPANDRO nel 712 a.C., un musico poeta a cui si riconoscono grandi meriti nella innovazione della lirica corale. Orfeo appartiene forse al mito, Arione appartiene alla leggenda, Terpandro appartiene alla storia, ma a dispetto di ogni collocazione, il setoso filo della poesia che li lega è quello stesso filo che lega Lesbo alla poesia. Nell’antichità, musica e poesia erano strettamente legate, per gli antichi era quasi impossibile immaginarle separate. Ma si dice sia stato l’ingegnoso Mercurio a costruire la prima lira tendendo 7 corde all’interno del carapace di una tartaruga che aveva ucciso: lo strumento venne poi regalato ad Apollo e questi lo donò a sua volta a Orfeo che ne imparò l’uso dalle Muse. Il mito vuole così che sia Orfeo l’indiscusso padre di questo genere artistico che noi chiameremmo canzone: con la sua poesia, la sua musica e la sua voce commuoveva uomini e animali, dei e natura, vinceva ogni pericolo ed ostacolo, persino la morte… la storia di Orfeo e Euridice resta una delle più belle dediche che mai siano state fatte alla poesia. Arione, suona la cetra, in bilico fra storia e leggenda: certo nacque a Lesbo, forse non proprio dal dio Poseidone, certo fu un uomo ricco e famoso, forse non cavalcò un delfino. Comunque sia il ritmo e la melodia della cetra di Arione è vivo e presente, lo ascoltiamo ogni volta che passeggiamo lungo la riva del mare, nei sussurri e nei fragori delle onde. Terpandro non ha nulla di divino e leggendario, è semplicemente un uomo, ma è ben degno erede di Orfeo e Arione. Riforma questo genere di arte introducendo al posto della cetra a 4 corde quella a 7 corde che consente una armonia più complessa; inventa il nuovo genere musicale degli skolion, canti da eseguire durante i banchetti, come pure lo strumento a corde per accompagnarli, il bàrbiton, una rivisitazione della lira che divenne lo strumento simposiale per eccellenza; fondò scuole musicali, di cui la più famosa a Sparta; compose inni e vinse molte gare musicali; riorganizzò persino il festival musicale delle Karneia che si teneva a Sparta e a cui potevano partecipare sia uomini che donne. Che altro dire?

Risaliamo a SKALOHORI, non prendiamo la ‘circonvallazione’ che passa alle spalle del paese ma lo attraversiamo tutto sulla sua strada principale lastricata, stretta fra le case ma bellissima, augurandoci di non incontrare nessuno che arrivi dal senso opposto. Prendiamo quindi la deviazione asfaltata per Gavathas, attraversando un mare di olivi e molti fiumiciattoli. In questo tratto sono numerose le indicazioni che scendono verso KAMBOS, una selvaggia spiaggia di circa 2 km, parte di ciottoli e ghiaia, parte di sabbia con dune naturali: totale solitudine e vento del nord la fanno apparire praticamente inesplorata. GAVATHAS è invece una baia praticamente circolare e molto riparata dai venti. Il piccolo paese si stende sulla penisola che chiude il golfo offrendo riparo alle barchette da pesca ancorate nel suo piccolo porto, all’estremità, su uno sperone roccioso, spicca la piccola chiesa di Agios Panteleimon. La strada costeggia tutta la baia, lunga, sabbiosa e poco affollata, con qualche piccolo alberello di tamerice e un breve tratto attrezzato con lettini e ombrelloni messi a disposizione dalla taverna della spiaggia. I fondali sono di finissima sabbia scura, vellutata e soffice, l’acqua è bassissima e calda, limpidissima, un vero piacere: avevo letto della presenza di alghe, noi non ne abbiamo trovate.

Ci godiamo un lungo, piacevolissimo bagno, anzi, un vero e proprio immoto ammollo, ci sdraiamo nell’acqua e con le mani affondate nella morbida sabbia come radici, ci abbandoniamo come alghe al lentissimo riflusso della corrente, assorbiamo come plancton la salsedine del mare e il calore del sole, la contemplazione dell’orizzonte immobile e la suggestione della leggenda di ORFEO. Secondo la tradizione, Orfeo, figlio del re tracio Eagro e della musa Calliope, disperato e privo di ogni desiderio di vita dopo la definitiva perdita della sua sposa Euridice, trascurò di onorare il dio Dioniso arrivato in Tracia con il suo ebbro seguito di Menadi. Dioniso, offeso, ordinò alle Menadi di vendicarlo e queste, mentre Orfeo cantava sconsolato il suo protettore Apollo, lo uccisero, lo fecero a pezzi e gettarono nel fiume Ebro la sua lira e sua testa che galleggiarono, sempre cantando, fino al mare e vennero trasportate dalle onde fino all’isola di Lesbo, pare proprio sulla spiaggia di Gavathas. La testa di Orfeo venne pietosamente raccolta e collocata in una grotta che divenne un santuario e un oracolo del musico semidio. La tradizione vuole che la testa di Orfeo continuasse a parlare e cantare accompagnata dalla sua lira e che migliaia di pellegrini visitassero il tempio per ascoltare le sue poesie e i suoi vaticini. La sua fama divenne così grande da oscurare quella dell’oracolo di Delfi e Apollo si adirò molto di questo fatto ordinando per sempre il silenzio al poeta: da allora la testa di Orfeo divenne silente, ma gli usignoli della zona iniziarono a cantare ancora più dolcemente che in ogni altro posto.

Facciamo uno spuntino alla taverna della spiaggia, che è forse l’unica attrazione di Gavathas, e poi ritorniamo sui nostri passi in direzione Molyvos, abbiamo ancora tante cose in programma. La prima tappa è al MONASTERO PERIVOLIS, costruito nella fertile e boscosa valle del fiume Voulgaris.

Il Monastero, ben celato da alberi secolari, lo si scopre solo alla fine della strada che termina su un ampio spiazzo erboso. Il luogo nel suo insieme esprime pace e serenità, profuma di fresco e di erbe, risuona del cinguettio degli uccelli e del ronzio delle api: non a caso il nome perivolis significa giardino. All’interno della alta cinta muraria che lo racchiude e custodisce, si apre il cortile su cui si affacciano l’ala conventuale e la preziosa chiesa costruita seguendo lo stile dell’architettura popolare a basilica con il tetto di legno. Siamo gli unici visitatori, il giovane custode sta facendo un riposino sotto il porticato ma appena ci vede ci regala un simpatico sorriso e ci dà il benvenuto. Apre subito la chiesa, relativamente piccola, e mostra il bellissimo ciclo di affreschi sulla vita di Cristo che pare risalgano al 1300 e si mantengono in discreto stato di conservazione. Questo giovane custode è una persona amabile e carina, perfettamente in sintonia con la dolcezza di questo luogo di pace, sembra esser affezionato a queste mura e non aver desiderio alcuno di fuggire altrove. Mentre risaliamo la valle, si alza una folata di vento che muove le fronde dei grandi alberi, uno ad uno, tutti gli ulivi della valle rispondono, mille fronde si muovono insieme, mille e mille foglie cantano, la musica di Orfeo e di Terpandro rivive… Arrivati a Vatousa, prendiamo la strada per HIDIRA con l’intenzione di visitare il Museo del pittore Jacobides, grande pittore greco, fondatore, e primo curatore, della Galleria Nazionale di Atene. La deviazione è piuttosto lunga e tortuosa, qui non ci sono boschi ma verdeggianti distese di magnifici vigneti carichi di grappoli d’uva e la prima costruzione che incontriamo arrivando al paese di Hidira è proprio la piccola Azienda Vinicola Methymneos. Il suo carinissimo edificio, bianco candido col tetto rosso, l’ingresso coronato da un timpano e due rosse colonne, lo fanno assomigliare più ad tempio che ad una azienda vinicola, mi piace questa idea di un moderno tributo al dio Dioniso da parte di chi ha ridato lustro alla eccellente produzione locale di vino bianco e rosso. Parcheggiata l’auto non lontano dall’azienda vinicola, procediamo verso il centro del paese a piedi. Purtroppo troviamo chiuso il Museo del pittore Georgios Jacobides, qui nato nel 1853: ci accontentiamo di ammirare i suoi meravigliosi ritratti su un libro e di godere un attimo di fresco sulla piazzetta del paese dove, come di consueto, un grande platano ombreggia due rustici kafenion e l’immancabile chieda dedicata alla Panagia. Tornando indietro ci fermiamo ad ammirare le brune e nobili case di VATUSA adagiate sul fianco della collina. Il villaggio ricorda un poco Molyvos per via delle nobili e solide case costruite in pietra locale e delle belle strade lastricate che si arrampicano fra edifici di pregio. Da ammirare sono la chiesa della Dormizione della Vergine Maria, la bella fontana di marmo e l’elegante Archontikò Gogos: un palazzetto neoclassico dalle sfumature rosate, decorato con lesene di pietra lavica scura e cinto da un piccolo cortile con due belle palme. Ora andiamo dritti a Petra.

Petra: la poesia del Dolce Bacio

PETRA è una località turistica molto animata a soli 4 km da Molyvos. La cittadina ha una grande e bella spiaggia, molto apprezzata per la sua godibilità, i suoi servizi e, non ultimo, il suo bel mare cristallino e piatto. Petra ha un suo charme e un proprio stile, allegra e vivace, decisamente vacanziera e spensierata; intorno alla spiaggia, c’è tutto il movimento balneare, nel bene e nel male. Al termine della spiaggia inizia il borgo storico, le case si stringono una all’altra a ridosso della strada che corre abbracciata al mare e sulla quale si affacciano ristoranti e caffè affollati di turisti: qui le onde schiaffeggiano senza ostacoli la banchina e i loro spruzzi bagnano i bei lampioni di ferro battuto. Seduti ai tavolini di questi graziosi locali sul mare si gode un suggestivo tramonto con il sole che si tuffa senza ostacoli nel mare accanto all’Isola dei Conigli, un’oasi naturalistica raggiungibile con escursioni organizzate da Petra. La zona retrostante il mare è chiusa al traffico e, a dispetto di tutto, conserva il sapore di un paese tradizionale. Lasciamo la macchina sul lungomare e ci addentriamo fra le strette viuzze selciate, piene di negozietti di artigianato tradizionale e chioschi di souvenir in gradevole mix.

L’attrattiva principale di Petra è indubbiamente il possente monolito coronato dal Monastero della Panagia Glikofilousa, la Madonna del Dolce Bacio. Questa enorme roccia cilindrica di origine vulcanica e il suo piccolo monastero risultano del tutto simili ad un monastero delle ‘Meteore’ che spunta proprio nel centro di Petra e della sua bella baia. Per scalare questi 30-40 metri di roccia, occorre salire per una scalinata di 114 gradini scavati nella nuda roccia, ma questa ascesa non costa fatica, tanto si è attratti dalla bellezza degli scorci sul villaggio sottostante e dal panorama sul brillante Egeo. La costruzione monastica sembra, di primo acchito, una piccola fortezza: si entra per un portoncino e ci si trova in piccolo cortile cinto da spesse mura di pietra, con finestre simili a feritoie. L’originale chiesa è al centro del cortile, ben protetta e custodita. Naturalmente, intorno a questo mistico nido d’aquila, aleggia una poetica leggenda… In tempi molto lontani, una tempesta portò un marinaio devoto a questi lidi. La mattina, il marinaio constatò di aver perduto l’icona della Madonna che portava sempre con sé, guardò ovunque sulla barca, ma non la trovò. La notte vide un bagliore che sembrava brillare sospeso fra la terra e il cielo, incuriosito, salì sulla roccia trovando, con sorpresa, la sua icona illuminata da una lampada. La prese e tornò alla sua barca ma la mattina seguente l’icona era nuovamente scomparsa e la ritrovò ancora in cima alla rupe la sera stessa. Decise così di costruire una piccola cappella dove, ovviamente, la Madonna aveva deciso di stare: l’icona della Madonna del Dolce Bacio, tutta vestita d’argento, è ancora lì, sul trono di pietra che si è scelta, circondata da candele, lampade votive e innumerevoli ex-voto che rappresentano le più disparate parti del corpo, segno e speranza di guarigioni.

Molyvos e le sue mitiche donne: Methymna, Stella, Angelica e Dora

Arriviamo a MOLYVOS a tardo pomeriggio, l’ora migliore, le sue case di pietra si riscaldano e emanano tutto il profumo del tempo.

Il suo nome antico è legato a quello di una principessa, Methymna, la più bella delle cinque figlie del mitico re Macareo figlio di Eolo, signore dei venti e progenitore della stirpe Eolica, andata in sposa a Lesbo, figlio di Lapithus, mitico re tessalo, signore dei cavalli. Così questa terra, alle sue origini, si identifica con l’unione di due stirpi, l’eolica e la tessala, con l’unione di vento e cavalli. Durante il medioevo, però, la città assunse il nome di Molyvos, o Molivos, forse a identificare prontamente la città nella sua collocazione su di un monte completamente circondato da bellissimi oliveti (M. Olivos? …why not?). Comunque vogliamo chiamarla, Methymna o Molyvos è bellissima, anzi, straordinaria, una delle più belle viste nell’Egeo. La sua struttura e la tradizionale architettura, ancora intatte, riflettono lo stile di vita sociale del passato e a noi regalano una magnifica atmosfera di charme e di scoperta: sicuro plauso va alle autorità locali che qui sono da tempo impegnate a difendere e preservare il loro patrimonio. Nonostante sia una cittadina grande e popolosa, connotata da sviluppo turistico consolidato, attiva in diversi settori economici, Molyvos stupisce per la sua arcana eleganza, per il fatto che non si vede una costruzione che non sia di pietra naturale o qualcosa che turbi l’equilibrio e l’armonia di questa cittadina. Dato che il centro non è ancora chiuso al traffico proviamo a scendere fino al porto con l’auto ma è impossibile parcheggiare, ci arrampichiamo quindi per ripide stradette fino al Castello e, aggiratolo, ritorniamo all’inizio del paese per parcheggiare ancora una volta vicino alla Taverna Alonia. Dalla Taverna Alonia sale una comoda strada per raggiungere il Castello in macchina, ma se volete andare in centro città vi consigliamo di lasciar perdere di avventurarvi con l’auto fra le stradette di Molyvos. Lasciate l’auto vicino alla Taverna Alonia o nel parcheggio all’inizio del paese e muovetevi a piedi. Ci addentriamo fra caratteristiche vie lastricate di pietre, levigate e lucide, fiancheggiate da belle case, pure di pietra, rallegrate da fiori e infissi rosso rubino; camminiamo senza meta e assaporiamo scampoli di vita quotidiana fra chiese, belle librerie, negozi raffinati e semplici empori di frutta e verdura. Sembra di camminare in un romanzo d’altri tempi…

Stella, l’amante di Stratis Myrivilis, lo scrittore che abbiamo già incontrato a Skala Sykaminia, viveva in una di queste case di pietra, nella parte alta della città vicino al mercato. Ora la sua casa è un b&b; che si presenta col nome “The schoolmistress with the golden eyes”, dal titolo del romanzo che Myrivilis ha scritto con il cuore traboccante di passione. Nel racconto la loro storia d’amore rivive tramite i personaggi Leonis Drivas e Sappho Vranas. Leonis è un soldato che torna dalla guerra con l’incarico di un amico ufficiale morto di consegnare le sue cose alla sua amata vedova, Sappho, la bella insegnante dagli occhi d’oro, ben diversa da tutte le altre donne… Ma tra le vie di Molyvos si aggira un’altra insegnante, protagonista di un altro racconto, di tutt’altro genere e di un altro scrittore. E’ Angelica, eroina dell’omonima novella scritta da Argyris Eftaliotis, che cammina nei suoi abiti leggeri ed eleganti fra le case di pietra, bellissima, bianca come se non fosse mai stata sfiorata dal sole e con un sorriso meraviglioso. Questa è una storia divertente, i protagonisti sono Angelica e Myzethras: lei, spavalda insegnante giunta dalla città a portar lo scompiglio in paese con i suoi abiti e i suoi modi raffinati, con il suo linguaggio ricercato e le idee anticonformiste, lui, rustico, primitivo e passionale, una sera la bacerà e le sussurrerà che “non sa parlare come un libro, ma sa cantare come un uccello nel bosco, non sa fare inchini come un francese, ma sa amare come un Greco”, il finale? a lieto fine! La scuola di Angelica non l’abbiamo trovata, ma abbiamo trovato la casa dove nel 1849 nacque Argyris Eftaliotis, autore di novelle, scritte in linguaggio popolare e ispirate dalla sua terra, dalle sue tradizioni e dallo scorrer lento della sua vita. La casa dello scrittore è a circa 50 metri da Platia Kyriakou chiamata anche Platanakia per i due bellissimi alberi di platano che ombreggiano i tavolini dei ristoranti e gli splendidi edifici tradizionali che la contornano.

Fra le tante case, antiche e nobili, con meravigliosi balconi di legno identifichiamo anche l’Archonticò Jiannakou. Non conoscevano né la via né la zona, ma l’istinto ci ha guidato verso la bella e grande casa costruita di solida pietra, con bowindow e piani rialzati in legno, dipinti di un rosso scuro e antico, molto simile alle case dei vecchi quartieri di Istanbul. Suoniamo alla porta e la signora Dora Parisi ci viene ad aprire. Giorgio l’aveva preavvisata della nostra visita e ci aspettava. Lei non è un’eroina di novelle e romanzi, ma un’eroina della vita. Piccola di statura, ferita in età giovanile da una grave malattia, affronta la vita come un’instancabile combattente, tenace e volitiva: aikiniti, ha detto Giorgio, sempre in movimento, proprio come la sua vita. Nata a Molyvos, dopo il diploma di sartoria conseguito a Mitilene parte per Parigi dove, lavorando e studiando, consegue anche il diploma di stilista e fa pratica in un laboratorio di prèt-a-porter. Torna in Grecia, si sposa e ha due figli, solo nel 1977 ritorna a Molyvos nella sua casa di famiglia, l’Archonticò Jiannakou, che decide di restaurare. Così mette anche in pratica l’idea di creare delle sculture di terracotta abbigliate con veri abiti di stoffa che riproducono i costumi tradizionali greci. Nel 1983 organizza la sua prima mostra personale a Mitilene, a cui sono seguite personali in numerose località europee, nonché a Cleveland in Ohio e a Sidney in Australia. Un piccolo assortimento delle sue meravigliose creature di terracotta, alte 20/30 cm, è esposto su un tavolino: sono fantastiche, tutta la Grecia vi è rappresentata, anche i costumi più complicati sono riprodotti nei minimi particolari come pure gli oggetti che tengono fra le mani. Dora non ci mostra solo le sue opere ma anche la sua magnifica casa. Costruita nel 1790 da un nobile turco e acquistata dalla sua famiglia nel 1935, custodisce meraviglie, tesori e ricordi. Saliamo al piano superiore e Dora spalanca le imposte per far entrare la luce… che meraviglia! Restiamo senza parole, entrare nel salone di questa dimora è come entrare in un’altra epoca, mobili bellissimi, tappeti preziosi, un graziosissimo divanetto, vetrinette con oggetti d’altri tempi e suppellettili assortite, bicchieri, tazzine e mille altre cose. Ho la sensazione di violare un santuario e non oso fotografare nulla… ma il soffitto… di legno dipinto!

Una grande corolla si apre sopra di noi con petali di colore antico, lungo tutto il perimetro della stanza corre un meraviglioso fregio che riproduce paesaggi idilliaci e meravigliosi velieri con il vento in poppa… dalle finestre entra il mare e le navi dipinte sembrano voler uscire dalla stanza, prendere ancora il largo verso i luoghi da cui sono partite: Smirne, Cesme, Istanbul forse, città lontane e al tempo stesso vicine, immortalate dai dipinti che vediamo sulle pareti di questa meravigliosa casa… il nobile turco viveva certo di nostalgia. Ma anche Dora, passando accanto agli oggetti che raccontano la vita della sua famiglia, sembra presa da nostalgia.. è giunta l’ora di salutarla, la ringraziamo del grande regalo che ci ha fatto mostrandoci la sua casa e dandoci accesso a un pezzo del cuore segreto di Lesbo. Scendiamo pian piano al bellissimo porticciolo: forse solo quello di Idra può gareggiare in atmosfera! Il porto è circondato da bar e caffè, ristoranti specializzati in piatti di pesce, negozietti dove si trova di tutto, dai cd di musica locale ai libri, tanti libri. Lo scenario che si gode dal porto è unico, il paese abbracciato alla collina dominata dal Castello, i lampioni che illuminano le strade in discesa verso il mare, le case di pietra dagli infissi rossi bordati di bianco, le cassette per il pesce accatastate, le barche da pesca di ogni dimensione e foggia, larghe e panciute, snelle e piccine, i tavolini dei ristoranti sul bordo dei moli, le luci riflesse sul mare come stelle filanti…. La notte a Molyvos non è mai buia, le luci della città e del suo Castello rischiarano cielo e mare, ma quando sorge la luna, entra in scena la principessa Methymna… una poesia di luce e vento.

Viaggiando fra vulcani, lava e foreste pietrificate: Teofrasto il poeta della natura

Partiamo prestissimo con i nostri bagagli. Ripercorriamo senza soste la strada fino a Skalohori, ma appena finita la zona con gli impianti fotovoltaici, non attraversiamo il paese e, tenendo la sinistra, prendiamo la ‘circonvallazione’ seguendo l’indicazione Sigri – Eresso. Bellissimo è un tratto di strada, già notato ieri, che corre in un punto stretto della valle caratterizzato da una foresta di guglie di lava, fra le quali si nasconde un’area di interesse archeologico non meglio identificata da un pannello scolorito dal sole. Quando arriviamo ad ANTISSA è d’obbligo una sosta per una colazione, con caffè e dolcetti locali, sulla bellissima e ampia piazza ombreggiata da enormi e antichi platani. Il cuore del paese è tutto qui, sulla sua piazza: l’ufficio postale, il piccolo museo del folklore, ristoranti e kafenion caratteristici. Antissa è uno fra i più bei villaggi tradizionali di montagna e gode di un clima piacevolmente fresco e ventilato data la sua posizione a 360 mt di altitudine, in bilico fra mare e monti. Dopo Antissa inizia un paesaggio assolato e desertico di straordinaria bellezza, immenso ed assoluto, solenne. Raggiunto il bivio Sigri – Eresso, svoltiamo a destra verso Sigri e poco dopo appare il Monastero Ypsilou in cima ad un cono aguzzo di pietra nuda.

Il MONASTERO IPSILOU ha tutto il fascino di una inespugnabile fortezza: secondo la tradizione fu fondato nel 1101 da San Theophanis, un monaco fuggito dalla Siria occupata dagli Arabi, e da lui dedicato a San Giovanni Teologo. Dal XVII secolo è però noto come Moni Ypsilou perché è costruito sulla cima del Monte Ordymnos, un vulcano dormiente, e ypsilo significa alto. Non ci sono molte notizie storiche sul monastero, ma nel 1492 si ha notizia della sua devastazione e dell’uccisione dei suoi monaci per mano degli Ottomani, come per gli altri monasteri dell’isola, e della sua ricostruzione nel XVI secolo.

Oltrepassato il grande portone di ingresso si accede ad un quadrato cortile circondato da un doppio porticato a basse volte con gli archi decorati da intarsi di cotto: al centro la chiesa principale, dedicata a San Giovanni Teologo, ricostruita nel 1967, dopo un incendio, nella sua antica forma a basilica a navata unica con tetto di legno e cupola absidale. Nel monastero ora vivono tanti gatti rossi e due soli monaci che custodiscono un piccolo e grazioso museo ecclesiastico con oggetti, abiti e paramenti sacri, reliquari e icone: il vero vanto dell’esposizione sono 59 meravigliosi libri e rotoli manoscritti. Saliamo i gradini che portano alla terrazza più alta del Monastero da cui si contempla un magnifico panorama a 360°, un paesaggio incredibilmente lunare, arso, pietroso, totale assenza di abitati ed alberi, solo terra aspra e spazzata dal vento: la zona vulcanica dell’isola qui si manifesta in modo inequivocabilmente drammatico. In questo nido d’aquila, sfiorato dalle nubi, il pensiero corre senza ostacoli, puro e limpido: nessuna macchina fotografica potrà mai neppure lontanamente cogliere quello che i tuoi occhi e il tuo spirito vedranno da quassù.

Riprendiamo il viaggio e poco dopo il Monastero Ipsilou una deviazione di 5 km porta al Parco della Foresta Pietrificata: la strada corre ad alta quota fra pale eoliche e nuvole veloci, il contesto paesaggistico resta di forte impatto. Il Parco della FORESTA PIETRIFICATA si stende in una valle pietrosa e caldissima, dall’ingresso partono i percorsi di visita da cui si possono ammirare da vicino e fotografare questi fantastici reperti fossili nel loro sito di ritrovamento. Questa foresta pietrificata, molto più grande di quella più famosa in Arizona, è una vera meraviglia del mondo. L’età della foresta è stimata in 20 milioni di anni, pare che gli alberi si siano preservati quando vennero coperti dalla cenere vulcanica eruttata dal vicino Monte Ordymnos, quello sulla cui cima c’è ora il Monastero Ypsilou. Sicuramente il momento migliore per visitare l’area è la mattina presto quando il sole è meno implacabile, però vale comunque la pena venire fin qui per rendersi conto del contesto naturalistico e paesaggistico.

In questo luogo si resta sbalorditi dalla gran quantità di alberi fossilizzati in perfetto stato di conservazione che costituiscono un vero sistema boschivo del passato: in nessuna altra parte al mondo sono presenti così tanti tronchi fossili nella loro posizione originale. L’area è molto vasta e se soffrite il caldo potete valutare di osservare la valle dalla ombrosa e fresca terrazza panoramica vicino all’ingresso, da cui potete anche scattare qualche foto agli alberi più vicini, dirigendovi poi al Museo di Sigri e al suo geoparco dove, senza soffrire troppo, potrete meglio godere di queste straordinarie meraviglie della natura. Torniamo indietro e riprendiamo la strada per SIGRI: la vediamo da lontano. Qui il panorama è ha come confini solo l’orizzonte, la cittadina appare piccola e bianca, persa nella straordinaria immensità del paesaggio come un miraggio, una terra del tempo perduto… non si può non rimanere affascinati dall’ampia curva della linea costiera, dalla composizione armonica della piccola penisola su cui sorge la cittadina, delle insenature blu e delle isole Nissiopi, Sidousa e Fane che si stendono a riparo della baia.

Con qualche ampio tornante arriviamo alle porte del paese ma prima svoltiamo a destra verso il centro di windsurf Sigri Surf sulla strada per la spiaggia di Faneromeni. I windsurf corrono veloci per l’ampia baia riparata dall’isola Nissiopi che si stenda davanti al porto di Sigri con le sue rive popolate da alberi fossili semisommersi: il mare è una tavola piattissima nonostante il nostro anemometro indichi un vento di 20 nodi con raffiche fino a 36 nodi. Il centro è piccino ma ben fornito di attrezzatura, c’è un bar e lettini prendisole. Aldo si ferma a fare quattro chiacchiere con il simpatico giovanotto austriaco dei windsurf: quest’anno niente kite, ma il prossimo anno la scuola riapre di sicuro… Oltre il Sigri Surf, la strada arriva fino alla selvaggia e meravigliosa spiaggia di FANEROMENI: semplicemente spettacolare, una immensa distesa di sabbia, praticamente deserta, con alle spalle un pigro fiume e la sua ampia valle di verdi cannicci. Isolata al centro della spiaggia, quasi a dividerla a metà, c’è una grande roccia bianca, una sorta di grande meringa gessosa: se vi arrampicate sopra dominerete uno scenario di primitiva bellezza, da un lato la spiaggia che corre fino a frangersi su nere rocce affioranti dal mare con l’isola di Nissiopi sull’orizzonte, dall’altro una distesa sabbiosa enorme con la sola presenza di una solitaria taverna, alle vostre spalle i sinuosi meandri del fiume. Alla estremità settentrionale della spiaggia di Faneromeni, alla radice della roccia, noterete un faro bianco, è la cappella dedicata alla Panagia Zoodochos Pigi con la grotta dove si dice sia vissuto l’eremita San Theophanis prima di fondare il Monastero Ypsilou.

Torniamo verso SIGRI.

Un porticciolo sorvegliato da un castello, un insieme confuso di casette, appartamenti per le vacanze, rooms to let e piccoli hotel, una lunga e riparata spiaggia di sabbia con alberi frequentata da famiglie. All’epoca del sultano ottomano Solimano la cittadina di Sigri aveva una notevole importanza come porto verso le rotte commerciali occidentali e venne arricchita da edifici pubblici ancora visibili: forte moresco, scuola, moschea, bagni pubblici, acquedotto e fontane. Fino agli inizi del 20° secolo la popolazione di Sigri era ancora interamente musulmana, quando, nel 1923, venne del tutto sostituita dai rifugiati greci provenienti dall’Asia Minore. Il monumento di pregio maggiore resta il Forte Moresco, uno scuro e suggestivo castello costruito nel 1757 da Mehmet Pasha proprio sotto il regno di Solimano: piccolo, quadrato, robusto e ben protetto, con un bel portale di pietre rosse e bianche che contrasta con le mura di pietra lavica che conservano i colori del fuoco. La sua posizione è molto bella e la vista dai suoi bastioni è unica. Non lontano dal castello c’è la scuola, a sinistra la fontana turca, a destra alcune taverne con balconate panoramiche. La moschea venne invece trasformata nella caratteristica chiesa di Agia Triada che, con la sua mole cubica di belle pietre, pare maggiormente un palazzo signorile che una chiesa. Nell’insieme Sigri, non è un paese che può esser definito bello, soprattutto se paragonato a molti altri paesi sparsi sull’isola, ma trovo abbia un suo fascino, che consiste soprattutto nel suo totale abbandono alla luce intensa e alla natura selvaggia che lo circonda: se si amano i luoghi persi nel nulla e si hanno affinità con mare e spiagge, Sigri piacerà sicuramente. In ogni caso a Sigri bisogna andarci, e bisogna assolutamente visitare il Museo di Storia Naturale della Foresta Pietrificata di Lesbo, Natural History Museum of the Lesvos Petrified Forest, con l’adiacente Sigri Park. Il Museo è veramente bello, nato nel 1994 e ben organizzato, sistemato in un edificio di pietra lavica locale. Nella prima zona museale è esposta una ricca collezione di materiale fossile derivante dagli scavi nella area della Foresta Pietrificata: enormi tronchi, rami, grandiose foglie fossili, più di 40 specie di vegetali e molti reperti di animali vissuti più di 20 milioni di anni fa. La cosa che più stupisce nel processo di pietrificazione è la straordinaria combinazione di colori con la quale la natura ha suggellato la pietrificazione degli alberi che mantengono persino le più piccole strutture morfologiche al loro interno.

Nella seconda zona sono invece allestiti interessanti pannelli illustrativi relativi alla evoluzione geostorica dell’Egeo e ai vari fenomeni geologici associati alla nascita della Foresta Pietrificata. La visita si completa con un giro open-air per l’attiguo geoparco Sigri Park dove gli esemplari sono visibili con il loro sistema di radici integro a dimostrazione del fatto che furono pietrificate nella collocazione originaria. A 800 metri a sud di Sigri c’è infine il Plaka Park dove si possono ammirare gli esemplari più grandi e, fra questi, il tronco in piedi più grande del mondo con la sua circonferenza di 13,7 metri.

In una terra di meraviglie geologiche e naturalistiche non poteva che nascere un grande scienziato: TEOFRASTO. Tirtamo, questo era il suo vero nome, nacque nel 370 a.C. a Eresso, non lontano dagli alberi pietrificati: fu scolaro di Platone e poi di Aristotele, e fu proprio Aristotele a chiamarlo Teofrasto, che significa divino-parlatore, proprio per la raffinatezza della sua dialettica e l’acutezza del suo ingegno. L’affetto e la stima fra i due studiosi fu tanto grande che Aristotele, quando morì, gli affidò i suoi figli, la sua biblioteca, le sue opere originali e lo designò come suo successore alla guida del Accademia. Teofrasto guidò per 35 anni la scuola aristotelica che sotto la sua guida ebbe enorme sviluppo ed arrivò a contare 2.000 studenti. La sua attività di studioso si è estesa a tutti i campi della conoscenza, scrisse 240 opere di morale, politica, fisica e metafisica, logica, retorica e poetica, botanica e zoologia: caso vuole che, tra le sue opere, siano arrivate a noi proprio due trattati botanici, Historia Plantarum e De Plantarum causis, a testimonianza del fatto che Teofrasto fosse considerato il più grande botanico dell’antichità. Il primo trattato è praticamente una enciclopedia di botanica sistematica e fitoterapia in cui le piante vengono classificate e illustrate per le loro proprietà medico farmacologiche; il secondo trattato approfondisce invece la vita delle piante, il mistero della loro germinazione e vegetazione, le cause esterne che ne favoriscono lo sviluppo, si parla persino della coltura delle piante utili come un vero e proprio testo di agronomia. Non so se il particolare interesse per la botanica e il mondo vegetale in genere sia stato stimolato in Teofrasto dai meravigliosi alberi fossili della sua terra, ma amo credere sia così…

Al Museo di Sigri ci sconsigliano di percorrere la strada sterrata che, lungo costa, porta a Eresso in quanto molto dissestata; quindi torniamo al bivio vicino al Monastero Ispsilou e da li prendiamo la deviazione per ERESSO percorrendo una bella strada asfaltata che corre nuovamente verso il mare attraversando un paesaggio ancora lunare con nude montagne e strane formazioni rocciose. L’antica città di Eresso si trovava vicino al mare, sulla collina sovrastante l’attuale località di Skala Eresso, ma nel 17° secolo, per difendersi dagli attacchi dei pirati, gli abitanti si trasferirono all’interno, a 4 km dal mare, in un nuovo paese costruito in uno spiazzo ricco di vegetazione e nascosto fra le colline laviche. Superate le tradizionali case di pietra di Eresso con i loro infissi colorati, imbocchiamo una stretta strada alberata e ci dirigiamo a SKALA ERESSO. Percorsi 2 km circa si incontra un bivio. Andando dritto si finisce proprio ai piedi della collinetta di Vigla e nel centro del paese di Skala, sistemato ad una estremità della lunga spiaggia e preannunciato da un polveroso parcheggio. Se avete in mente di fare un giro in paese, meglio lasciare l’auto qui e continuare a piedi: superate le case troverete la spiaggia attrezzata, sovrastata da bar e ristoranti a palafitta, negozi e movida. Nel centro del paese si trovano sistemazioni di ogni tipo e a prezzi interessanti, ma, sinceramente, mi sento di sconsigliarle se non si ha un particolare amore per gli spazi angusti e la confusione. Se al bivio di cui abbiamo detto prima, invece, girate a destra, seguendo le indicazioni per il Aeolis Village, attraversando un piccolo fiume e continuando fra i canneti, si può arrivare all’estremità della spiaggia opposta al paese, dove si trovano alcuni baretti freak, la zona del campeggio libero, l’Aeolis Village con la scuola di vela e windsurf. Ma se 50 metri prima di arrivare ai baretti freak sulla spiaggia, girate a sinistra attraversando un ponticello seguendo l’indicazione Parking e poi subito a destra, vi troverete ancora sul mare, alla fine del ‘lungomare’ di Skala Eressou e nella parte centrale della spiaggia, la zona più tranquilla e strategica. Qui ci sono molti studios tranquilli e carini, a due passi dal mare e a due passi dal centro del paese: noi abbiamo optato per questa zona. Non avendo prenotato nulla, ci siamo guardati un po’ in giro, abbiamo telefonando ai numeri esposti sulle case, abbiamo visionato un paio di alternative e la scelta è caduta su Susanna Studio, una bianca palazzina ben tenuta dal simpatico Antonio che subito ci regala un gran piatto di fichi. SKALA ERESSO è certamente una località cool e la sua fama deriva in egual misura dal fatto di essere il luogo natale della poetessa SAFFO e di avere una delle più belle spiagge del Mediterraneo.

Il litorale di Skala Eressos è immenso, sabbioso, lungo oltre 2 km, dolcemente disteso come un morbido tappeto alla fine di una fertile valle che scende fra due sponde montuose; un placido fiume arriva fino al mare e in estate si arresta contro la duna sabbiosa centrale formando un piccolo stagno in cui trovano casa centinaia di amabili tartarughe, rane, piccoli pesci. La zona vicino al paese è quella più animata, attrezzata e frequentata dai bagnanti, di tutte le categorie e di tutte le età, che amano la classica vita da spiaggia con musica, divertimenti acquatici, caffè e ristoranti a portata di mano; qui, verso sera, i ragazzini si sfidano in interminabili partite di pallone fino all’imbrunire e i fidanzatini contemplano abbracciati il tramonto. Alla estremità opposta della spiaggia, davanti al Aeolis Village, c’è ancora una zona attrezzata con ombrelloni di paglia e lettini, frequentata da chi preferisce un’atmosfera vagamente esotica o intende frequentare la scuola di vela e di windsurf, oltre questa zona solo sabbia fino al promontorio che chiude la baia. Fra queste due estremità attrezzate si stende la vasta zona centrale della spiaggia, completamente libera e molto tranquilla: i baretti freak sono molto arretrati, i frequentatori sono persone che amano prendere il sole e leggersi un libro. L’acqua del mare è meravigliosa, limpida e cristallina, immobile. Quella di Skala Eresso non è dunque una spiaggia deserta e selvaggia, ma una grande e godibilissima spiaggia per tutti. Fra bagni e lettura, arriva il tramonto, il cielo e il mare si colorano d’oro e di malva fino a diventare un unico drappo liquido; la distesa di questa magnifica spiaggia diventa sempre più scura e fredda, arriva l’ora della cena e il momento sempre divertente della scelta di una taverna.

Gli arenili fra Skala Eresso e Tavari: la dolcissima terra di Saffo

Dal nostro piccolo balcone non vediamo il mare ma la verde valle retrostante che al mattino brilla di luce e di freschezza, i fiori del giardino e l’orto di Antonio profumano, gli uccelli cinguettano fra le alte erbe e i gatti sonnecchiano pigri sotto i cespugli. Oggi si va alla scoperta della terra di Saffo. Giunti a Eresso svoltiamo a destra seguendo i cartelli stradali per Kalloni – Mitilene, la prima nostra meta è la zona di Tavari. La strada corre inizialmente in un bel fondo valle contornato da alture con guglie laviche simili a castelli diroccati, poi inizia a salire e il panorama si riapre sul mare e, lontano, appare il profilo azzurro di Chios. Arriviamo alle prime case di MESÒTOPO, un gran paesone che si allarga al sole, ai piedi del Monte Pezlas e accanto al Monte Exymnos dove, secondo la tradizione, le Muse avevano una dimora… Mesòtopo è famoso per i suoi prodotti locali e per il suo folklore: il Carvevale è festeggiato con la sfilata dei “Koudounati” uomini e ragazzi travestiti con campanacci e il viso dipinto di nero, curiosamente, una tradizione molto simile a quella dei nostri Mamutones sardi. Vicino a Mesòtopo si trovano tre bellissime spiagge: Tavari, a sud, Chrousos a ovest e Podaras a est. Quindi a Mesòtopo svoltiamo alla prima indicazione per Tavari. Superato il paese, si incontra per prima la deviazione a sinistra per PODARAS. La strada è sterrata, lunga 2 kilometri e scende verso la fertile valle formata dal Fiume Podaras circondato da un suggestivo paesaggio di rocce vulcaniche. Questa è una delle località più anticamente abitate dell’isola, i ritrovamenti sono datati fra il 3000 e il 1600 a.C. e testimoniano la presenza di insediamenti a carattere agricolo e pastorizio per un lungo periodo: oggi tale tradizione continua e nella valle si trovano ancora piccole fattorie e campi coltivati accanto alle recenti case di vacanza. La spiaggia è un’ampia e bellissima distesa di sabbia, una fila di alberi che offrono ombra, la presenza del fiume, il mare cristallino ne fanno un piccolo paradiso e una spiaggia molto amata dai locali.

Ritornati alla strada principale, riprendiamo verso Tavari e, poco dopo, troviamo la deviazione a destra per CHROUSOS o Krusso. Questa deviazione di 3 km, scende verso la valle del Fiume Maliontas e termina su una lunghissima e ampia spiaggia di sabbia. Il suo nome pare derivi da “Krousos” un pirata del Peloponneso che la utilizzava come sua tana e rifugio: non poteva scegliere di meglio. Il fiume Maliontas assicura non solo ai pirati ma anche agli agricoltori e agli animali abbondanza di acqua: la valle retrostante la spiaggia è tutta coltivata, piccoli mulini ad acqua in rovina sono ancora visibili e vicino alla foce del fiume ci sono molti stagni. Questa spiaggia stupisce per la sua vastità e tranquillità, la lunga fila di tamerici e il mare cristallino ti portano alla tentazione di non muoverti più…

Fra Podaras e Chrousos, difficile scegliere… Per il pranzo decidiamo di trasferirci a Tavari: seguendo fiduciosi un mezzo agricolo, percorriamo una scorciatoia che ci porta dritto da Chrousos al porticciolo del paese senza ritornare alla strada principale. TAVARI è a soli 3 kilometri da Mesòtopo e può essere considerata la sua marina. C’è una graziosissima e ampia spiaggia, con mare cristallino, attrezzata con ombrelloni, lettini e docce, c’è un piccolo porto con colorate barchette da pesca, ci sono ristoranti e taverne, un paio di minimarket e piccole strutture turistiche. Ci accomodiamo a una delle taverne sul mare e, oltre alle ormai usuali Sardelle, ordiniamo anche una porzione di Lacherda, tranci di una specie di tonnetto, conservati crudi in aromatica salamoia: un sushi greco fantastico. L’atmosfera di Tavari è proprio da tranquilla località balneare, il simpatico ristoratore è curioso di sapere se abbiamo gradito la Lacherda e vista la nostra soddisfazione, autenticata da un piatto lucidato a specchio, ci racconta che le taverne di Tavari, fedeli alla loro tradizione marinara, preparano ancora tutto in casa, dalla Lacherda in salamoia alle Sardine sotto sale, dagli Sgombri seccati al sole e grigliati ai Polipi e ogni altro piatto marinaro. Anche il nome di Tavari è legato alla sua attività marinara: in passato le merci arrivavano su grandi navi che non potevano attraccare nel piccolo porto e le barchette dei pescatori facevano la spola per portare a riva i carichi, in greco ta vari.

Lasciamo a malincuore l’atmosfera da siesta sonnolenta di Tavari e torniamo verso Eresso ma, prima di arrivare al paese, prendiamo la deviazione a destra per il MONASTERO di PITHARI: fate attenzione perché la deviazione è in prossimità di un basso ponte su un fiume in secca e l’indicazione è poco visibile, un cartello quadrato, 50×50 cm max, nero con scritta bianca. La deviazione è sterrata ma molto buona e segue una fiumara, che avrete sempre sulla vostra sinistra. Si arriva quindi a una diga di sbarramento e a un lago artificiale, non attraversate la diga e andate ancora dritto, tenendo il lago alla vostra sinistra. Il Monastero vi apparirà all’improvviso, circondato da boschi di rovere e sicomoro, come uno splendido castello medioevale affacciato sul lago artificiale.

Si dice fosse un monastero bizantino abbandonato e successivamente ri-fondato nel 16° o 17° secolo con dedica ai Taxiarchi. Il monastero si può tranquillamente e liberamente visitare, la struttura è complessa ed offre bellissimi scorci sul lago, numerose sono le cappelle decorate da bellissimi affreschi, magnifiche le decorazioni ad archi delle ali dedicate alle celle. Nell’insieme Pitari è un luogo veramente molto bello e suggestivo, si fa fatica ad abbandonarlo. Per le foto, la luce del pomeriggio è perfetta.

Dopo questa esplorazione nella terra di Saffo, che ci ha decisamente conquistati, ridiscendiamo alla cittadina di SKALA ERESSO. A nord est del paese il paesaggio è caratterizzato e dominato dalla verde Collina di Vigla, coperta di vegetazione e rigogliosi pini. Qui si possono ancora vedere tracce delle mura pre-Elleniche e sulla sommità della collina le rovine di epoca genovese e turca, del castello medioevale dei Gattelusi e una piccola cisterna romana. Saffo saliva sicuramente fin quassù, all’acropoli della sua città, da quassù contemplava la distesa del mare e delle valli, i dolci profili dei monti, il tramontare del sole e il sorgere della luna… Guardandosi intorno non è difficile esser presi dal desiderio di scrivere poesie.

Ai piedi della collina, vicino alla attuale Chiesa di Sant’Andrea, gli scavi hanno portato alla luce i resti della antica chiesa paleocristiana di Sant’Andrea di cui è visibile dalla strada il magnifico mosaico della navata centrale decorato con disegni geometrici e figure di piante e animali. Qui si trovava anche il sarcofago di Sant’Andrea di Creta, un santo nato a Damasco nel 660, divenuto vescovo di Gortina nel 700 e morto a Eresso nel 740 divenendone il patrono. Andrea era un grande oratore e, guarda caso, anche un vero poeta, a Lesbo compose testo e musica di bellissimi inni sacri di cui molti si cantano ancora… a Lesbo, incredibilmente, anche un santo si aggiunge alla schiera degli eredi di Orfeo… Accanto alla chiesa si trova pure il piccolo Museo Archeologico che ospita i ritrovamenti dell’area: non solo lo troviamo aperto e non ci costa nulla entrare, la gentile signorina ci accende anche tutte le luci e ci dà qualche spiegazione. Le stradine del paese vicine al mare sono tutte chiuse al traffico e dalle locandine appese ovunque si percepisce che la cittadina è sede di attività culturali ed eventi, fra i quali il principale è il Woman’s Festival che si tiene a settembre; c’è persino un Cinema all’aperto in piena attività che proietta film in inglese con sottotitoli in greco. Molti artisti hanno scelto Skala Eresso come loro residenza, abituale o stagionale, e la loro presenza si percepisce da tante cose, a partire da alcuni bellissimi murales e graffiti che si trovano sui muri del paese e dalle molte sculture. Le case finiscono di botto sulla stradina che costeggia la spiaggia, una sorta di lungomare interamente fiancheggiato da ristoranti e bar e dalle loro ampie terrazze di legno costruite come pontili in aggetto sulla spiaggia.

L’assortimento dei locali è incredibile, si trovano tradizionali taverne greche con menù di pesce e specialità locali, ristoranti con cibo cinese, messicano e indiano, american bar che propongono ogni tipo di omelets e pancakes, alternativi bistrò-cafè che servono esotiche insalate e cibo vegetariano, ma tutto a buon prezzo; i villeggianti sono pure molto assortiti, normalissime famigliole con bambini, coppie gay e etero, neo-hippies e seguaci di filosofie orientali, teutoniche lesbiche e teneri fidanzatini, turisti sprofondati fra enormi cuscini e immersi nella lettura di un enorme libro, cyber turisti armati di ogni tecnologia e in linea con il mondo tramite il wireless ovunque messo a disposizione. Il lungomare di Skala Eresso è dunque un coloratissimo teatro che offre il suo spettacolo in ogni ora del giorno e della sera e dove ognuno può trovare il suo angolo perfetto. Skala Eresso non è dunque quella Sodoma e Gomorra che qualcuno crede o vuole dipingere, è ben altro, è soprattutto un luogo speciale: certo se non avete tolleranza per stili di vita alternativi al vostro è meglio che andiate in vacanza altrove. Al termine del lungomare inizia una stradetta che porta al piccolo porto di pesca, tutta fiancheggiata da moderne sculture dedicate a Saffo. Ce ne sono alcune molto suggestive, una in particolare, quella accanto al molo del porticciolo, ben suggerisce il legame di Saffo alla sua terra: la sagoma della poetessa con la sua cetra è ritagliata nel marmo in modo che il suo corpo sia in realtà fatto di terra, mare e cielo di Lesbo… bellissima!

Oltre il porto si apre una baia pietrosa di aspetto suggestivo e selvaggio, ben riparata dai venti, dominata da una alta scogliera, sulla piccola spiaggia di sassi c’è una bianca e semplice chiesetta dal tetto di tegole rosse: è un posto molto bello all’ora del tramonto, quando i colori diventano densi e la luce dorata li imprime nella tua memoria più che nella tua macchina fotografica.

Dopo cena torniamo verso casa a piedi, lentamente, aspirando a pieni polmoni la brezza fresca della sera e perdendoci nella contemplazione dell’immenso cielo egeo. Passa accanto a me, con un fruscio di seta marina, una figura leggera leggera, lo sento, è lei, SAFFO divina, chiome di viola, dolce sorriso… SAFFO, nata a Eressos da famiglia nobile nel 612 a.C., piccola e bruna, la prima figura di donna che si incontra nella storia della letteratura greca e al tempo stesso, per me, la più grande poetessa di tutti i tempi. Più volte, nel corso dei secoli, Saffo è stata vittima di interpretazioni distorte e totalmente avulse dal contesto sociale, morale e intellettuale della sua epoca, cosicché la ritroviamo indifferentemente vittima di una incontenibile passione per un uomo che la porta a gettarsi dalla rupe di Lefkada e di amori omosessuali per compagne e allieve unite a lei nel culto di Afrodite e delle Muse a Lesbo. Quello che è certo, è solo che la vena poetica di Saffo trova origine nel suo sentire, anzi, nel sentimento umano per eccellenza: l’amore, un amore che chiede, più che un amore che dà, un amore che nella sua schiettezza, purezza e profondità assorbe tutto il mondo esterno in cui ella vive, soffre e gioisce.

Sono anni che leggo e rileggo gli stessi versi di Saffo ma solo ora, a Lesbo, comprendo bene che il suo cuore ha vibrato all’unisono con la sua amata terra che si rivela pari a lei per intensità e natura, per sentimento e passione: le voci infinite della natura di Lesbo trovano eco fedele nello spirito di Saffo in quanto con esso si accordano… ”Come la mela più dolce che rosseggia sulla cima del ramo, alta sul ramo più alto, ai contadini è sfuggita… oh, non è sfuggita: raggiungerla non hanno potuto”. Solo ora, a Lesbo, riesco a comprendere fino in fondo la mia amata poesia e la natura che erompe in essa… “Tramontata è la luna, tramontate sono le Pleiadi, è mezzanotte, il tempo scorre, .. e io giaccio sola”… Lesbo e Saffo sono un tutt’uno.

Il grande mare di Kalloni: San Ignatios Agallianos il poeta della fede

Ci rimettiamo in cammino, direzione Kalloni e Vatera. Riprendiamo la strada del giorno prima fino a Mesòtopo, il paese dei ‘mamutones’, poi continuiamo piegando verso l’interno dell’isola attraverso un paesaggio costellato di sagome coniche di antichi vulcani addolciti dalla dilavazione dei secoli ma inconfondibile eco di una tremenda epoca lontana. Fra i pendii lavici appare uno occhio azzurro, il Golfo di Kalloni fa capolino, simile a un tondo lago vulcanico. Un bel viale di pini dalla florida chioma annuncia il paese di AGRA, poi la strada inizia a scendere verso la riva del mare e il primo paese sulla costa che si incontra è APOTHÌKA, dolcemente proteso sulla strettissima imboccatura del Golfo di Kalloni che, da qui, si apre poi verso l’interno dell’isola, sempre più vasto, immenso. La strada continua, molto panoramica, bassa lungo la riva del mare. Si incontrano piccoli porticcioli ‘lacustri’ e verdi fazzoletti di terra coltivata a ulivi, agrumi e foraggio in prossimità delle foci di piccoli fiumi. A PARAKILA torna a dominare incontrastato il verde degli ulivi. Deviamo per SKALA KALLONI, lo scalo marittimo di Kalloni, centro costiero con una lunga spiaggia di sabbia terrosa, attrezzata con strutture balneari, caffè e ristoranti, nell’insieme poco attraente per il fatto di non assomigliare per nulla a un lido marino ma piuttosto alla riva di un lago.

La fama di questa località non è però legata alla sua spiaggia e alle attività balneari, ma alla pesca delle sardine e dei frutti di mare che prolificano nel suo golfo e che vengono trattati e lavorati in loco per esser poi distribuiti sul mercato nazionale e internazionale. Le sardine vengono qui lavorate esclusivamente a mano, salate secondo l’antica tradizione e confezionate in scatole di latta di diverse dimensioni, reperibili in ogni negozio di alimentari di Lesbo: le sardine rappresentano certo il piatto ‘nazionale’ di Lesbo. Una sosta al porto di Skala Kalloni è quindi irrinunciabile. Ci arriviamo al mattino abbastanza presto, quando il porto è strapieno dei pescherecci appena rientrati dalla pesca: un vero schieramento incredibile di pescherecci, di ogni dimensione e taglia, colore e foggia. Il fascino del porto di Skala Kalloni nella chiara luce del mattino ci rapisce: l’odore pungente del pesce si accompagna a quello salmastro dell’acqua quasi ferma, i pescatori intenti nella pulizia delle reti e nella sistemazione delle loro attrezzature, gatti e uccelli marini attendono fiduciosi gli scarti della pesca… Su diverse barche c’è l’intera famiglia che lavora: in silenzio ciascuno assolve il suo compito, gesti ripetitivi e meccanici, il rito quotidiano di un lavoro antico che si tramanda da padre in figlio.

Lasciamo Skala Kalloni e arriviamo a KALLONI, animatissimo centro moderno e importante snodo stradale: la città è piena di gente e molto vitale, passiamo davanti alla bella costruzione classicheggiante del comune e ci dirigiamo a nord del paese. Appena usciti dalla cittadina seguiamo le indicazioni stradali Sigri – Eresso che conducono sulla strada diretta ai villaggi di Dafi e Filia dove troveremo una delle meraviglie di Lesbo. Una vera sorpresa il MONASTERO LEIMONOS, bellissimo, inaspettato nella sua grandezza e nelle sue mille chiesette sparse intorno alla grande costruzione monastica circondata da brillante vegetazione. Se si arriva da Kalloni, per avere la visione d’insieme migliore, vale la pena di non scendere subito verso il Monastero ma di continuare lungo la strada principale verso Filia per altri 100/150 mt: così si potrà così vedere e fotografare dall’alto il magnifico monastero e la sua valle comprendendo anche il segreto del suo nome, leimonos, che significa prato.

Se non fosse per le mille cappelle di foggia bizantina che lo circondano, il Monastero parrebbe la residenza estiva di un principe. Attraverso un cancello si accede al grande giardino di gusto ottocentesco, ombreggiato da alberi secolari, con vialetti di ghiaietto, panchine di pietra, una fontana e un gazebo, un pavone che circola libero e una bella terrazza panoramica sulla valle. Lo stato di relativa trascuratezza del giardino non infastidisce ma anzi conferisce un’atmosfera vissuta e antica. Varcando l’ingresso vero e proprio del Monastero, sovrastato da una imponente torre campanaria, si entra nel primo chiostro e ci si rende subito conto del suo antico splendore. Il grande chiostro è costituito dalle ali che ospitano le celle dei monaci, disposte su tre piani, affacciate sul cortile interno con lunghe balconate ad archi di pietra: una volta c’erano oltre 150 monaci, ora sono solo in 3.

Proprio al centro del grande chiostro c’è la Chiesa principale dalla forma antica e austera che ricorda un po’ una grande capanna. Il Monastero Leimonos fu fondato da un prete di nome Ignatios Agallianos sopra le rovine di un precedente monastero bizantino e da questi dedicato all’Arcangelo Michele. Quando padre Ignatios morì e venne proclamato Santo dalla chiesa ortodossa, il monastero venne ri-dedicato e denominato Monastero di San Ignatios che sarebbe il suo nome attuale, anche se tutti continuano semplicemente a chiamarlo con il nome popolare di Monastero Leimonos. Leggendo la storia di SAN IGNATIOS AGALLIANOS e del suo Monastero, abbiamo ben compreso perché, fin dagli inizi del XVI secolo fino ai nostri giorni, il ruolo di questo monastero sia stato determinante non solo nella storia religiosa, educativa ed intellettuale locale, ma anche nel suo contesto sociale ed economico. Il sant’uomo ha tenacemente ripercorso le orme di San Paolo, il primo che portò il Cristianesimo a Lesbo, e rinsaldato con le sue opere, il suo esempio e la sua predicazione le radici della fede al suolo di Lesbo violato dagli ottomani. Sant’Ignatios era nato nel 1480 poco lontano da qui, a Farangas un borgo vicino a Kalloni, divenne sacerdote e sposò una donna devota da cui ebbe dei figli. Quando la peste lo privò di tutti i suoi affetti, decise di intraprendere la vita monastica, ricostruì nel 1523 la distrutta chiesa della Vergine Myrsiniotissa che si trovava su terreni di proprietà della sua famiglia e vi si ritirò con il padre Manuel e l’unico figlio che gli era rimasto, Methodios, come primi monaci. Presto altri uomini e donne si raccolsero intorno a loro, Ignatios decise così di istituire a Myrsiniotissa un monastero femminile e di fondare un monastero maschile in altro luogo. Scelse un prato, sempre di proprietà della famiglia, in cui si trovavano le rovine di un antico monastero bizantino e così venne fondato il Monastero Leimonos nel 1526. I due monasteri sono pertanto sempre stati uniti e complementari nella loro storia, vita, cultura e funzioni. Nel Monastero di Myrsiniotissa le suore insegnavano alle ragazze la musica, a leggere e scrivere, l’arte della tessitura e del ricamo; nel Monastero di Leimonos erano i giovani uomini a coltivare le lettere, gli studi e le arti. Padre Ignatios morì nel 1566, vescovo di Methymna, e volle esser sepolto nel santuario della Myrsiniotissa, divenire parte della sua terra amata. Ivi ancora riposa.

Ci dirigiamo verso il Museo e chiediamo del sig. Ermolaos ma è in ferie, spieghiamo al suo collega Kristos che abbiamo per lui i saluti del suo amico Giorgio, di Molyvos-Iraklion, e lo preghiamo di trasferirglieli. Entriamo nelle sale del museo, ricco ed interessante, custode delle preziose testimonianze della lunga tradizione culturale del monastero e al tempo stesso dello sviluppo della regione di Kalloni e più generalmente di Lesbo. Kristos in un ottimo inglese imparato durante i 15 anni trascorsi in USA, richiama in primis la nostra attenzione sulla raccolta di preziose Icone datate fra il 15° e il 18° secolo e fra queste ce ne segnala alcune di grande rarità per il loro soggetto: 1) icona con Agios Dimitri e Agios Georgios che si abbracciano con i cavalli affiancati, pare sia l’unica la mondo che li rappresenti insieme, 2) icona con Arcangelo Michele che cattura un’anima per accompagnarla dalla morte alla vita, efficace nella sua immediatezza figurativa 3) icona della Divina Saggezza con una laboriosa costruzione architettonica della saggezza stessa; 4) icona dei Primi passi di Cristo, una scena materna di incredibile tenerezza con un Cristo bambino che muove i primi passi davanti alla madre. La raccolta del museo continua con una ricca esposizione di abiti e paramenti ecclesiastici con finimenti aurei e ricchi ricami eseguiti nel Monastero della Myrsiniotissa, quindi monete, oggetti liturgici, preziose reliquie e cimeli. Di particolare valore è la sezione della Biblioteca che raccoglie manoscritti, libri stampati e documenti greci ed ottomani. La visita al Museo chiude con una sezione dedicata agli oggetti di utilizzo comune e quotidiano provenienti dai paesi vicini. La grande cucina, in particolare, ospita un vero e proprio Museo del Folklore pieno zeppo di suppellettili, fra cui bollitori di rame, bauli dipinti, un raffinatissimo calamaio e uno stranissimo alambicco di rame utilizzato per fare distillati di rose, di fiori e foglie d’arancio utilizzati nella aromatizzazione di dolci e liquor. Dalle finestre del Museo si vede il secondo chiostro, grande il doppio del primo e ombreggiato da grandi e bellissimi alberi immersi fra mille essenze. Terminata la visita al museo Kristos apre ad Aldo il Katholikon, la Chiesa Principale che può essere visitata solo dagli uomini. Io mi siedo rassegnata sulle panche del chiostro e ascolto il gorgogliare della piccola fonte di acqua sorgiva benedetta che zampilla sulla facciata della chiesa. Un altro custode, coglie un rametto di ‘mirsini’ e avvicinandosi me lo offre dicendomi che la zona è piena di questi profumati arbusti che hanno dato il nome al monastero femminile di Myrsiniotissa. Dal mirto, avvia poi la mia iniziazione botanica alle varietà di alberi, fiori e frutti presenti nel monastero: scopro così che i melograni e le rose hanno un nome molto simile e presa da queste scoperte mi dimentico della chiesa. Ma Aldo esce incantato dalla antica basilica, mi racconta che il Katholikon ha tre navate e un meraviglioso soffitto ligneo, più alto sopra la navata centrale, due atri e cinque cappelle, stupefacenti gli affreschi, dalle tracce dei più antichi a quelli del tardo ‘600 fino a quelli più recenti di fine ‘700 – primi ‘800. Per fortuna ha scattato qualche fotografia…. Riscendiamo a Kalloni e prendiamo la direzione delle SALINE di KALLONI, una vasta e importante area umida frequentata dagli uccelli migratori di passo e da una gran varietà di uccelli stanziali. Con grande meraviglia notiamo degli immensi stormi di trampolieri. Lasciamo subito la strada principale e prendiamo la stradina che costeggia le saline, ci fermiamo a contemplare questi grandi uccelli rosa che si muovono lentamente sulle loro lunghissime e sottilissime zampe: lo spettacolo che offre la natura incanta più di ogni altro e non possiamo fare a meno di cercare di fissarlo nel nostro inadeguato obiettivo fotografico.

Proprio di fronte alle saline c’è la deviazione che in 4 km porta ad AGIA PARASKEVI. La strada sale dolcemente con belle vedute sulle saline che, dall’alto, appaiono con il loro caratteristico e sfumato colore rosato, poi si addentra fra grandi ulivi secolari dalle fronde rigogliose. All’inizio del paese di Agia Paraskevi, sul lato sinistro della strada principale, in un bell’edificio di pietra con l’immancabile alto camino, si trova il Lesvos Olive Olil Industrial Production Museum, il Museo della Produzione Industriale dell’olio di Oliva. Il vecchio frantoio comunale divenuto museo è già di per sé molto bello e interessante, ma ancora più interessanti sono i macchinari conservati al suo interno e il percorso didattico che illustra tutto il mondo che ruota intorno alla produzione dell’olio, dalla coltivazione e raccolta delle olive fino al prodotto finito. A prescindere dal Museo dell’Olio di Oliva, Agia Paraskevi è molto famosa per la Festa del Toro, una antica manifestazione che si tiene ogni anno sin dal 1744. Anche se si ha poco tempo, vale la pena fare un giro nella cittadina che è molto graziosa e ricca di antichi palazzi, alcuni veramente belli con le loro linee classicheggianti e tinte pastello, fra cui quello sontuoso delle scuole, il comune e molti Archontikà privati. Altra caratteristica di questa cittadina sono i bellissimi kafenion dalle mille sedie colorate e pieni di atmosfera. Lascimo Agia Paraskevi e torniamo al Golfo di Kalloni, prendiamo la deviazione per ACHLADERI e l’antica PIRRA, una delle 5 antiche città di Lesbo, scivolata nel mare dopo un terremoto. La strada che costeggia il lato orientale del Golfo di Kalloni è molto bella e suggestiva: nel primo tratto corre a pelo d’acqua, lambisce le sue verdi rive fitte di vegetazione, poi si allontana dal mare e si arrampica infilandosi in assoluto verde di pini profumati, molto rigogliosi, di un verde particolarmente sano e brillante, che non ci abbandoneranno fino al paese di VASILIKA dove, invece, gli ulivi riprendono il possesso totale del paesaggio. Arriviamo alla cittadina principale della zona, POLICHNITOS, un labirintico intrico di case e vie che brulicano di vita quotidiana: tradizionali negozi di alimentari, ouzerie e kafenion, fornai e pasticceri. Fortunatamente ci viene l’idea di fare una buona scorta alimentare nel caratteristico supermercato sulla via principale e dal fornaio perché a Vatera, poi, non troveremo che uno sgangherato e sfornito spaccio. Il paesaggio si fa quindi più brullo quando la strada punta dritta a sud, assolata e luminosa: passiamo per il paese dal bel nome di VRISA o BRISA, quindi appare il mare e con un paio di curve in discesa ci ritroviamo a Vatera, anzi, proprio sulla spiaggia di VATERA. Restiamo a bocca aperta: 8 kilometri di sabbia, sembra non dover finire mai, credo sia una delle spiagge più lunghe, se non la più lunga della Grecia, bellissima nella sua immensità e tranquillità. Non avendo prenotato nulla, l’incrocio a T davanti alla distesa sabbiosa ci mette in crisi: destra o sinistra?

Giriamo a sinistra verso Stavros e comprendiamo subito che Vatera è una località lunga un paio di kilometri, fatta di appartamentini, studios, piccoli hotel, qualche taverna e qualche bar, un paio di negozietti, ma tutto molto molto tranquillo. La spiaggia, tranne un breve tratto attrezzato con ombrelloni e lettini, è una distesa deserta lambita da un placido mare, limpido e scintillante, senza onda, ben protetto dal meltemi estivo. Torniamo indietro fino all’incrocio a T da cui siamo arrivati e proseguiamo nell’altra direzione, verso Agios Focas, sempre lungo la spiaggia. Anche da questa parte troviamo appartamentini, studios, piccoli hotel, qualche taverna e qualche bar, spiaggia deserta e mare meraviglioso, però qui individuiamo quello che fa per noi: Argo Apartments. Prendiamo possesso di un graziosissimo monolocale a 20 passi esatti dalla spiaggia, praticamente nuovo e confortevolissimo: molliamo tutto e, armati di asciugamano, conquistiamo la spiaggia di Vatera che si arrende senza fare alcuna resistenza! Al rientro incontriamo i padroni di casa: una simpatica coppia della nostra età, lei è una donna molto carina, lui è un geologo, laureato a Genova, appassionato di moto. Facciamo subito amicizia, siamo da ambo le parti contenti di poter scambiare un paio di parole in italiano e parlare di questa isola meravigliosa. Il nostro geologo è ben contento di sfoderare la sua competenza e non si limita a darci delucidazioni sul fenomeno della pietrificazione degli alberi che tanto ci ha impressionato, ma ci mostra qualche reperto da lui stesso trovato e ci illustra tante altre particolarità geologiche e morfologiche del territorio di Lesbo e, in particolare, del territorio di Vatera che neppure avremmo sospettato. Ci raccomanda di visitare il promontorio di Agios Fokas, il Museo di Storia Naturale di Vrisa e la zona delle sorgenti termali di Polichnitos.

Magie del sud: il nido d’amore di Achille e Briseide

Per raggiungere l’Akrotiri di Agios Fokas si percorrono 4 km di strada asfaltata lungo la spiaggia, poi la strada piega un poco verso l’interno e scavalca un piccolo fiume dove si possono vedere numerose tartarughe per nulla timide, quindi si arrampica sul promontorio dove si trovano una piccola base militare, il porticciolo e la chiesa di Agios Fokas, una taverna specializzata in piatti di pesce e quel che resta di un Tempio di Dioniso. Le rovine, poche e disordinate, del Tempio di Dioniso riposano al sole proprio accanto alla piccola chiesa di Agios Fokas, sull’altura che domina il porticciolo e la spiaggia di Vatera, in posizione veramente incantevole. Continuando fra le stoppie, verso l’estremità del capo, si aprirà intorno a voi un magnifico panorama, sia dalla parte della lunga spiaggia di Vatera, sia dalla parte dell’Akrotiri Kallonis e la costa di Tavari, nonché sulla distesa di rocce sottostanti.

I colori e la conformazione di questa particolarissima scogliera sono stupefacenti e derivano da una imponente colata lavica arrestata e cristallizzata dal mare. Ma non solo i vulcani hanno lasciato tracce in questo luogo: nella insenatura fra la spiaggia di Vatera e il promontorio di Agios Fokas sono stati ritrovati numerosi reperti che hanno spinto gli archeologi a ipotizzare che in passato si siano qui accampati antichi eserciti. Numerosi studiosi ritengono che, proprio sulla lunga spiaggia di Vatera, arrivassero periodicamente le 1.000 navi achee impegnate nella guerra di Troia a far rifornimento di acqua e selvaggina. Vista la lunga spiaggia da quassù, si può anche crederlo… e si può persino intravedere la nera sagoma delle navi dell’ILIADE nella calda foschia che si alza tremolante dalla sabbia e dal mare. Tale affascinante ipotesi sarebbe accreditata non solo dai numerosi ritrovamenti eterogenei, ma anche da altri fattori oggettivi: l’isola non è lontana da Troia e si trova su una rotta di facile navigazione in ogni stagione, la spiaggia è molto lunga e ben riparata dai venti nord occidentali, ben due fiumi, uno ad ogni estremità della spiaggia, assicurano abbondanti rifornimenti d’acqua dolce. Pertanto Vatera sembra proprio il luogo ideale dove collocare gli episodi di tregua nelle fatiche dell’estenuante assedio alla città troiana. Ma non è tutto! Poco prima di Agios Fokas, si incontra nientemeno che una località denominata “Bagno di Achille”: si tratta di un antico pozzo fra ulivi antichi, profondissimo, contornato da una pietra circolare consunta dai secoli.

La fresca sorgiva non sembra ancora esaurita e viene facile immaginare che, proprio qui accanto, Achille, piantasse la tenda ogniqualvolta si ritirava dalla battaglia per concedersi un po’ di riposo e stringere fra le braccia la dolce schiava e amante Briseide. Anche di questo amore resta forse traccia a Lesbo… Nell’entroterra, a soli due kilometri dalla spiaggia, c’è un paese, il primo che si incontra: BRISA. Curiosamente questo paese porta un nome di donna, non di origine greca, che le fanciulle della zona portano da molti secoli: come non pensare che sia a ricordo della bella Briseide? Affascinati da queste coincidenze ci dirigiamo verso Brisa dove il nostro geologo ci ha consigliato la visita del suo piccolo Museo di Storia Naturale. Il Museo si trova nella vecchia scuola, una antica costruzione di pietra nel centro del paese, e raccoglie i reperti fossili rinvenuti nell’area di Vatera, risalenti a 5,5 milioni di anni fa. Siamo gli unici visitatori e ci imbattiamo in un custode piuttosto polemikos che appena entriamo ci investe, impropriamente, con una filippica anti-Europa, inneggia al ritorno della dracma, ci insegue cercando di coinvolgerci in una rissa verbale… fortunatamente arriva una coppia greca e ci molla lasciandoci guardare le vetrine in pace. Il Museo ha 2 sole stanze, interessanti, e un giardinetto, molto trascurato, con la ricostruzione della tartaruga gigante di cui sono state ritrovate le ossa visibili nel museo.

Il nostro geologo ci ha consigliato di lasciar perdere le Terme di Lisvori e di andare invece a visitare quelle di POLICHNITOS. Seguendo il suo consiglio, all’ingresso del paese prendiamo la stradina a destra che, in poco più di un kilometro, porta alle TERME DI POLICHNITOS. Qui, sgorgano le acque termali fra le più calde di Europa, fra i 67° e i 92°, la zona ha un aspetto veramente infernale e si possono ammirare stagni e fiumi colorati. Particolarmente affascinanti sono le rive del Fiume Almyropotamos che fumano di sorgive bollenti. Sull’acqua aleggiano veli di vapore, le rocce assumono colori fantastici, dal giallo intenso al bianco brillante, dal bruno rossastro al nero fumo, l’acqua assume dei colori improbabili e impensabili, dal verde di rame al blu elettrico, che nemmeno il pittore più bizzarro potrebbe immaginare.

Le fonti vulcaniche vere e proprie sono invece delimitate e racchiuse in recinti di pietra che si trovano vicino alla costruzione che ospita i bagni termali. La stazione balneare è minuscola e molto carina, un edificio antico che risale alla dominazione ottomana, ben ristrutturato e tenuto, con due ambienti a volta di botte che ospitano due distinte vasche, originali dell’epoca turca, una per gli uomini e una per le donne, dove si può fare il bagno con 4 euro a testa. Se non c’è nessuno e siete una coppia vi fanno entrare insieme nella stessa vasca.

Attraversiamo il centro di Polichnitos e prendiamo una strada, dritta come una spada, che scende alla spiaggia di Nifida, seguendo l’irresistibile richiamo del mare. NIFIDA è una piccola località all’imbocco del Golfo di Kalloni con graziose taverne di pesce sul lungomare, fra cui la rinomata Grigoris. La spiaggia accanto alle case è attrezzata, il mare è senza onda e dal basso fondale, ideale per i bambini e quindi frequentata da famiglie locali. Verso l’imboccatura del Golfo, invece, si apre una zona più aperta, deserta e piuttosto ventosa: lo spettacolo dello stretto canale di mare e del grande Golfo di Kalloni che si allarga verso l’interno dell’isola è grandioso. Ci dirigiamo quindi verso SKALA POLICHNITOS. Il piccolo borgo è composto dal suo porticciolo di barche da pesca, qualche taverna con i tavolini a bordo mare, una spiaggia e qualche storico palazzo un po’ malmesso. Dopo questa esplorazione torniamo alla nostra meravigliosa Vatera, ci godiamo la spiaggia e il mare fino al calar del sole e poi ci incamminiamo verso le taverne sulla spiaggia che accendono le loro luci e le braci dei grill. Se il vostro desiderio è di sedervi fra gente del posto, guardare il tramonto del sole e il sorgere della luna, mangiare cibi semplici e casalinghi, bere un fresco bicchiere di vino in santa pace: siete serviti. Se pensate a serate mondane, locali eleganti e raffinati, musica e divertimenti: avete proprio sbagliato posto.

L’Olimpo di Lesbo: poeti fra i monti

Oggi prendiamo la strada dei monti in direzione di Mitilene e, fra curve e pinete, arriviamo fino alla curiosa località di KARINI, che distinguiamo per caso grazie alle bancarelle che vendono erbe e prodotti locali, ma soprattutto belle zucche ornamentali dipinte a vivaci colori. Il piccolo kafenion e le quattro case di questa minuscola località immersa nei boschi ci riservano una affascinante storia. Questa volta non si tratta di un poeta vero e proprio, ma di un romantico pittore naif, quasi un erede degli artisti medievali che giravano per i villaggi cantando storie meravigliose mostrando pannelli dipinti. TEOPHILOS le storie non le cantava, le dipingeva, sui muri delle case e dei kafenion, su pezzi di cartone o di legno, su scatole di latta e tavole, su qualunque cosa gli pareva adatta ad accogliere i suoi sogni colorati: non dipingeva per denaro, ma per un piatto di cibo e un bicchiere di vino. Theophilos dipingeva con grande spontaneità e freschezza, i colori davano vita a scene luminose di vita quotidiana oppure a scene ispirate alla mitologia greca, alla storia e alla religione. I colori di Theophilo erano le sue parole e i suoi quadri le sue poesie. Teophilo partì giovane da Mitilene, tentò invano la fortuna come pittore, prima a Smirne e poi a Volos, tornò ancora più povero alla sua Lesbo e, errando di villaggio in villaggio, arrivò a Karini e ci restò per sempre.

La sua casa divenne il tronco cavo di un enorme platano, accanto a una magnifica fonte di acqua purissima. Tutti lo credevano un mezzo matto, lo evitavano per i suoi abiti sporchi e malmessi, le sue stranezze mettevano a disagio, ma nel minuscolo borgo di Karini trovò pace e accoglienza, quel poco di compassione e affetto di cui aveva bisogno. Un giorno capitò a Karini un ricco parigino originario di Mitilene e si innamorò della sua arte, decise di aiutarlo e sostenerlo, voleva far conoscere la sua pittura, gli commissionò dei quadri e gli regalò tutto il materiale che occorreva. Theophilos con entusiasmo dipinse circa 120 quadri in 6 anni e queste opere trionfarono in una esposizione a lui dedicata a Parigi del 1936. Ma il povero Theophilos non seppe mai di questo trionfo, solo due anni prima fu trovato morto, si dice di avvelenamento alimentare, solo e povero, come in tutti i giorni della sua vita. Dopo aver letto questa storia, ci prende una certa commozione: entriamo nel tronco del grande albero, ci sediamo sui piccoli sgabelli, ci guardiamo attorno turbati dalla presenza del povero Theophilos in ogni povera cosa. Una vecchia fotografia lo ritrae col suo abbigliamento da euzone con rustiche scarpe con pompon e le ghette di pelli di capra: i suoi occhi appaiono fissi, assenti e persi in un sogno, il suo sguardo non è però quello di un perdente, ma quello di un ispirato, i suoi occhi sembrano azzurri e chiari, come il cielo sotto cui amava vivere, puri e trasparenti, come la grande sorgente vicina al suo albero.

Questa sorgente è davvero meravigliosa, acqua fresca e dolce, pura e libera: abituati alla minerale in bottiglia ci siamo quasi dimenticati che l’acqua è un prezioso dono della terra e vederla sgorgare così generosa quasi ci commuove. Proprio mentre contempliamo affascinati la grande SORGENTE di KARINI, si avvicina a noi un uomo e attacca discorso dicendoci che quella che stiamo vedendo è una delle 3 sorgenti più grandi di Lesbo, che la sua portata d’acqua consente di coltivare le terre di tutta la valle sottostante. L’uomo poi si improvvisa come guida turistica, ci mostra le varie erbe profumate in vendita sulle bancarelle, i vasetti di olio balsamico, i formaggi sott’olio nonché le tracce dei dipinti di Theophilos sui muri del kafenion e il testo della sua canzone da lui composta. Lui è di Karini, lo erano anche suo padre e suo nonno: proprio suo nonno Antonis accolse Teophilo offrendogli il primo piatto di cibo divenendone poi amico. Siamo rimasti molto colpiti sia dalla storia di Theophilos che dallo stile, l’energia e i colori delle sue opere e ne abbiamo acquistato qualche riproduzione. Siamo invece molto spiaciuti di non aver avuto il tempo di visitare il Theophilos Museum a Varià, un sobborgo a sud di Mitilene non lontano dall’aeroporto, luogo natale di Theophilos, dove sono raccolte una quarantina di sue opere. Il Museo di Theophilos si trova vicino al Museo Biblioteca Teriade, costruiti entrambi a spese di Stratis Eleftheriades, conosciuto appunto con il nome di Tériade, eclettica figura dell’universo artistico mondiale, poeta, pittore, critico d’arte e soprattutto editore. Nativo di Mitilene e parigino di adozione, Tèriade è passato alla storia per i suoi meravigliosi libri d’arte illustrati dai grandi pittori dell’epoca: le Grand Livres, ora raccolti in questo Museo. Fu proprio Teriade ad incontrare Theophilos quel giorno e a Teriade va ascritto il merito di aver subito riconosciuto in lui un pittore popolare autentico. Non riuscì certo a domarne lo spirito selvatico e vagabondo, ma riuscì a dargli l’entusiasmo di un apprezzamento e a fargli accettare il dono di colori, pennelli e tele, che la sua inesauribile ispirazione artistica utilizzava per dar vita ad opere impregnate di anima, mito e patriottismo greco: senza Teriade tutto questo sarebbe andato forse perduto e di Theophilos non sarebbe che rimasta la leggenda e qualche sbiadita traccia sui muri. Lasciamo Karini e torniamo sui nostri passi deviando quasi subito verso ASOMATOS, un caratteristico paese nascosto fra i boschi e coronato dal Monte Olympos che sbuca aguzzo e bianco dal verde circostante, come una gran gemma di sale, illuminata di luce propria. Per il paese non c’è in giro quasi nessuno, le belle case di pietra, le vie selciate coperte da gallerie di pergolati verdi, i graziosi kafenion sulla piazza, tutto sembra appartenere ad un lontano passato.

Ritornando verso la strada principale incrociamo una bellissima strada lastricata che si fa largo fra i boschi e credo sia proprio la Patomeni, la antica strada di pietra che sale verso Agiassos, il centro principale di questa regione montana. AGIASSOS è un grande e pittoresco paese a 26 kilometri da Mitilene, steso ai piedi del Monte Olympos e circondato da corone di boschi di pini e castagni, alberi di platano, meli, noccioli, peri e ciliegi: il meglio della natura sembra qui riunito. Appena si arriva, si respira subito una vivace atmosfera da animata località di villeggiatura, conviene parcheggiare nella parte bassa del villaggio e addentrarsi a piedi per le ripide vie lastricate piene di negozietti, bancarelle, laboratori artigiani e gitanti. La cittadina conserva l’urbanistica e l’architettura tradizionale, le strade lastricate e le case di pietra con balconate di legno abbellite da fiori la fanno assomigliare ai nostri villaggi alpini.

Agiassos è poi da lungo tempo famosa per la produzione di ceramiche artistiche e per la lavorazione del legno, in tutte le sue applicazioni, dai mobili agli oggetti artistici, tanto che si incontrano per le vie numerosissimi laboratori di falegnameria da cui proviene un buon profumo di legno e molti negozi che espongono bellissimi manufatti. Per il suo clima fresco e l’opportunità di fare acquisti artigianali, Agiassos è dunque molto apprezzata come meta per una gita domenicale nelle calde giornate estive. Ma non è tutto, Agiassos è soprattutto meta di pellegrinaggi che hanno come punto focale la visita alla grande chiesa dedicata alla Panagia, una miracolosa icona dipinta, secondo la tradizione nientemeno che dall’Evangelista Luca, portata sin qui da Gerusalemme da Agatone Efesino nell’anno 803. Lo slargo antistante la chiesa della Panagia è una sorta galleria formata da una immensa pergola verde sotto la quale sono sistemati i tavolini dei kafenion e la merce di molti negozi. La penombra e la fresca verzura quasi nascondono l’ingresso che si apre nelle alte mura che celano il Santuario, ma, una volta entrati nel cortile, la grande chiesa e l’imponente campanile esplodono nella loro grandiosità sotto il limpido cielo montano. L’interno della chiesa è ricco e luminoso, decorazioni in oro, lampade votive appese a profusione, mille candele accese: tutto lo sfarzo delle chiese ortodosse trova uno dei suoi migliori esempi. La Panagia, col suo bimbo fra le braccia, completamente rivestita di metallo prezioso finemente cesellato, protegge Agiassos e i monti con il suo profondo e scuro sguardo antico.

Questo santuario è, per importanza, secondo solo a quello di Tinos e i più devoti usano percorrere a piedi l’antica strada di pietra che proviene da Mitilene come ringraziamento per le grazie ricevute o voto per le grazie da esaudire. Accanto alla chiesa c’è anche un Museo Ecclesiastico con importanti reliquie e tante belle foto d’epoca. Nelle vie adiacenti la chiesa, la vita del paese è particolarmente animata e sono tantissimi i kafenion caratteristici pieni di gente, di tutte le età, che sorseggia ouzo accompagnato da invitanti meze casalinghe: è sabato pomeriggio, l’atmosfera di Agiassos fa dimenticare del tutto le spiagge deserte e il mare pigro, si vorrebbe star qui per sempre, insieme alla sua gente.

Riprendiamo invece il nostro viaggio fra i monti di questa Lesbo bucolica, scendiamo verso Vatera attraverso magnifici boschi che sembrano lo scenario ideale per avventure arcadiche e pastorali, per amori di ninfe e satiri. E così mi viene in mente che, proprio in questi boschi, DAFNI e CLOE vengono abbandonati ancora bambini dalle loro ricche famiglie e allattati, uno da una capra e l’altra da una pecora. Vengono poi raccolti da due pastori, Lamone e Driante, che li allevano come figli. Cresciuti fra i boschi di Lesbo trascorrono insieme il periodo della giovinezza, pascolando l’uno le capre e l’altra le pecore, e pian piano scoprono di essere innamorati l’uno dell’altra. Ma il loro amore viene ostacolato da una lunga serie di peripezie e avventure che, comunque, si chiudono con il loro riconoscimento da parte delle rispettive e ricche famiglie di Mitilene. Segue, finalmente, un allegro matrimonio pastorale: i due ragazzi hanno ora la possibilità di vivere nel lusso della città ma scelgono ancora la vita libera dei pastori rimanendo per sempre fra i loro monti. L’autore di questa struggente storia d’amore ambientata a Lesbo è un romanziere greco del III secolo d.C., LONGO SOFISTA, che ben conosceva il fascino di questi monti. Nel suo romanzo la natura e l’amore si fondono in un reciproco coinvolgimento passionale e sensuale: Dafni e Cloe sono figli di Lesbo, vengono nutriti dalla sua natura generosa, il loro amore nasce fra questi monti e si confonde con il loro amore per questi monti, che per nulla al mondo vorranno lasciare…

Il saluto di Lesbo: Alceo di Mitilene

Ci alziamo insieme al sole, il traghetto lo abbiamo alle 9, ma per percorrere la strada da Vatera a Mitilene ci vuole un’oretta buona. Il grande porto di Mitilene ci accoglie illuminato dalla luce del primo mattino e il suo skyline riflesso nel mare mi appare ugualmente bello ed elegante come lo avevo visto il primo giorno con la luce del tramonto. La città è ancora addormentata, si sente il profumo del pane e del mare, qualcuno è già seduto al caffè con il giornale in mano, i negozi della via Ermou sono chiusi, dalla meravigliosa pasticceria Maskotitsa, gioia per gli occhi e per il palato, escono gli invitanti aromi che preannunciano i dolci domenicali … Mitilene, la grande città di ALCEO.

Quante volte, leggendo le sue poesie, la mia fantasia di liceale è volata fino a questa favolosa città del mondo antico dove si parlava la lingua eolica dei poeti lirici; dove nel VII secolo avanti Cristo, quando Roma era ancora un villaggio, palpitava già una grande, popolosa, ricca e raffinata città che estendeva il suo dominio e i suoi commerci dalla Troade al Chersoneso e fino all’Egitto; dove si conduceva una vita elegante e colta, fiorivano le arti, si sviluppavano forme architettoniche innovative, dove nasceva la bellissima colonna eolica con le sue volute piene e sode, dove venivano ambientate tante commedie classiche ed opere teatrali. La mia fantasia era stata però più volte mortificata dalle descrizioni anonime delle guide turistiche e di alcune pubblicazioni, dalle immagini senza calore di alcuni opuscoli turistici: ora la vedo e la trovo incredibilmente bella, proprio come l’avevo sognata. Mitilene mi conquista, come già a suo tempo mi aveva conquistato Alceo con il suo carattere sincero e passionale, impulsivo e sensibile, acceso nelle lotte, entusiasta negli svaghi. Alceo è il primo poeta a cantare l’opportunità, anzi la necessità dell’ebrezza nel banchetto, la gioia del vino e il profumo delle corone di fiori e delle donne, ma non è un crapulone o uno spensierato perditempo, anzi, tutta la sua poesia sgorga dalle vicende politiche del suo tempo, sia dal tormento dell’esilio che dalla vittoria in guerra. Egli conobbe e stimò Saffo, come lei trasse la sua ispirazione da questa limpida e schietta terra di Lesbo, anche se in modo differente. Se in Saffo si riflette tutta la struggente dolcezza della natura, in Alceo si rispecchia tutto il tormento dell’umanità con il suo bagaglio di gioie, dolori e ricordi che si riversa senza filtri nelle amarezze, i pianti e le gioie selvagge di Alceo … “smarrito io sono all’impeto dei venti, da questa parte un’onda rotola, di là un’altra onda; noi nel mezzo porta fra i flutti la nera nave, fiaccati dalla tempesta indomita” E giunta l’ora di partire, chiudo il mio libro di poesie antiche e saluto Lesbo, ma non la sto lasciando, la sua poesia viene con me.

INFOMEMO

Questo racconto fa parte dei miei DIARI dell’EGEO del NORD, le isole che abbiamo visitato in questa zona sono Thassos, Samotracia, Limnos, Agios Efstratios, Lesvos e Chios. Tutte queste isole sono state da noi visitate nel mese di Agosto e le abbiamo trovate tutte gradevoli, sotto ogni profilo: tranquille, genuine e poco affollate. Solo Thassos e Chios, in agosto, sono un poco più affollata delle altre. A LESVOS il turismo è una componente importante, ma l’olio di oliva, l’ouzo e il pesce sotto sale sono ancora i prodotti più importanti dell’economia locale. Le strutture turistiche non mancano, se ne trovano per tutti i gusti e per tutte le tasche: la maggior concentrazione è nella zona di Molyvos, Skala Eresso, Vatera e Golfo di Gera. Per il turista le attrattive di LESVOS sono molte. Il paesaggio in primis: non è fotogenico o drammatico come per altre isole, ma tranquillamente impressionante e straordinariamente vario. Meravigliose le distese di ulivi e di pini, la varietà di flora e fauna, soprattutto nelle zone umide dell’isola; splendide e immense sono le spiagge che quasi… disarmano; affascinanti e pittoreschi i villaggi sulle colline, interessanti e ricchi di storia i monasteri e le cittadine; gli isolani hanno una orgogliosa identità, segnata dalle lunghe tradizioni locali e da una raffinata cultura millenaria.

Queste sono le cose che maggiormente vi colpiranno: LESVOS è un’isola unica per chi ama la vita semplice, scandita dal ritmo e dal sapore di un tempo. Per visitarla dovete tener presente che l’enorme Golfo di Kalloni divide praticamente in due l’isola creando tre zone distinte, molto diverse anche dal punto di vista morfologico. A nord del Golfo c’è la principale zona turistica dell’isola con le rinomate località di Molyvos, Petra e Anaxos. A est di Kalloni c’è l’area della capitale, Mitilene, e il Golfo di Gera. A ovest di Kalloni dominano aspre montagne e spiagge selvagge con poche strade. LESVOS non piacerà a chi ama i luoghi scontati dove tutto è a portata di mano, non piacerà a chi insegue un elenco di spiagge; LESVOS piacerà moltissimo a chi possiede occhi che vogliono vedere, a chi ha cuore e anima nel mito e nella poesia. Come ho detto all’inizio, LESVOS è quasi impossibile immaginarla: la prima persona che mi ha raccontato questa isola è stata Zoì, mentre stirava sotto la pergola della sua casa sulle alte pendici del Pelion: suo figlio era a militare a Lesvos, lei guardava l’orizzonte e mi indicava una sfumatura azzurra, io non vedevo nulla, ma lei si… mi parlava della dolcezza dell’isola e della raffinatezza di Mitilene… io cercavo di immaginare, ma ero molto, molto lontana da ciò che poi avrei visto. Io non so, se sono riuscita a fare immaginare Lesvos a voi, ci ho provato, chiedendo aiuto a chi è nato e vissuto in questa isola, a chi ha tratto da questa terra ispirazione e poesia: non troverete Lesvos nelle guide turistiche, ma nel cuore e nelle vene dei suoi figli, in ogni fibra e tessuto del loro corpo.

Come raggiungerla

La via più comoda e breve per raggiungere Lesbo dall’Italia è sicuramente l’aereo, prendete un volo su Atene o Salonicco e da lì un volo interno vi porterà in poco meno di un’ora sull’isola. Noi abbiamo utilizzato un volo low cost EasyJet Milano – Atene (prenotato a maggio euro 230 a testa con bagaglio in stiva) + volo interno Olympic Atene – Salonicco – Lesbo (acquistato on-line a luglio per euro 95 a testa a tratta). I prezzi indicati scontano il periodo di vacanza (settimane centrali di agosto) e la tardiva prenotazione, organizzandosi prima avremmo sicuramente risparmiato qualcosa. In alternativa al volo interno è possibile prendere un traghetto, la rotta è servita da Blu Star e Nel Lines dal Pireo tutti i giorni. La Nel Lines fa rotta su Mitilene anche da Kavala e Salonicco ma con minori frequenze. Il nostro viaggio è proseguito poi verso Chios che abbiamo raggiunto in 2 ore con un traghetto Blu Star Ferries (Mitiline – Chios costo euro 20 a testa, acquistato al porto di Mitilene la mattina stessa della partenza); da Chios abbiamo quindi preso il volo interno su Atene e da lì siamo tornati a casa.

Come muoversi

Indispensabile l’auto, l’isola è grande: impensabile visitarla con i mezzi pubblici o uno scooter facendo base in un unico luogo. Noi abbiamo percorso più di 800 km in 8 giorni pieni e, a malincuore, abbiamo tralasciato tante cose. Le strade sono belle e in buono stato, i brevi sterrati citati sono fattibilissimi con un auto normale. Il traffico è praticamente inesistente, nei trasferimenti abbiamo sempre incontrato pochissime auto. Noi abbiamo prenotato l’auto on-line due settimane prima di partire con il broker EconomyCarRentals.com; auto mini, modello consegnatoci Hyundai Athos; contratto Avis; euro 244 compresa casco e rimborso franchigia, di cui euro 38 pagati alla prenotazione e il saldo in loco con carta di credito; durata noleggio 8 giorni, da sabato sera a domenica; ritiro in aeroporto e riconsegna al porto di Mitilene dato che il nostro viaggio proseguiva per Chios. Aeroporto Mitilene: Si trova a 6 km a sud est di Mitilene, per raggiungere la città c’è un servizio bus per euro 1,5 e taxi per euro 15. L’aeroporto è minuscolo e ha servizi minimali.

LESVOS, dove dormire

Per visitare Lesvos, data la sua estensione e conformazione, è consigliabile un percorso itinerante. Almeno 3 spostamenti sono indispensabili. Considerato che saremmo arrivati in serata, abbiamo prenotato direttamente, on-line e una settimana prima di partire, i primi 3 pernottamenti a Molyvos. Per i pernottamenti successivi abbiamo preferito sceglierli in loco: l’offerta di rooms e studios è ampia, variegata ovunque, non abbiamo mai impiegato più di 15 minuti per sistemarci. A Lesvos, in quasi tutte le località, c’è anche un campeggio attrezzato. Il campeggio libero è tollerato e praticato, dato che le spiagge pubbliche sono spesso dotate di bagni e docce.

Molyvos: Diamanti Studios. Arrivati a Molyvos si prende la strada per Eftalou e 300 mt fuori dall’abitato lo trovate è a sinistra immerso fra grandi ulivi. E’ una antica casa rurale in cui sono statti ricavati studios molto semplici e senza pretese, attrezzati con televisione, aria condizionata, frigo e angolo cottura, puliti e ben arieggiati: vi sembrerà di fare una vacanza in campagna. Alla prenotazione abbiamo chiesto uno studios al piano alto con vista sul Castello di Molyvos: uno spettacolo ogni mattina, sera e notte. Ad uso degli ospiti ci sono una piccola piscina e una taverna, la signora è molto gentile e, se volete, prepara per voi colazione, pranzo o cena, basta dirle cosa desiderate. La figlia Maria lavora presso l’agenzia turistica Alonia Travel, specializzata in ogni tipo di servizio turistico, è molto cortese e professionale, si metterà a vostra disposizione per ogni informazione e necessità. In 10 minuti a piedi si arriva a Molyvos. Collegamento wifi gratuito (ma non siamo mai riusciti a collegarci). Euro 30 a notte per 2 persone in studios. Diamanti Studios – tel. 22530.71890 – fax. 22530.71884 – sito www.gto.gr/diamanti – e-mail diamanti@gto.gr

Skala Eresso: Susanna Studios. Arrivando a Skala Eressou, girare al bivio con l’indicazione per l’Aeolis Village, poi a sinistra sul ponticello con indicazione parking e subito a destra verso il mare. All’inizio del lungomare trovate a sinistra in una stradina dove sono raggruppate diverse strutture. Susanna Stusios è una costruzione recente, bianca con gli infissi rossi, pulitissima, ottimamente tenuta, contornata da orto e giardino ben curati, posizione tranquillissima giorno e sera. Gli studios sono attrezzati di tutto, non manca proprio nulla, neppure le presine, aria condizionata, bollitore, frigo, angolo cottura e stoviglie (ma niente tv!). Due passi dalla spiaggia e due passi dal centro del paese. Il sig. Antonios Tsalavoutis è molto simpatico, prodigo di indicazioni, suggerimenti, ci donava sempre ampi sorrisi e qualche frutto appena colto dai suoi alberi. Euro 45 a notte per 2 persone in studios. La camera doppia costa euro 40 (solo frigo). Villa Susanna – tel. 22530.53154, 22530.53567 – cell. 6974715928- fax. 22530.53154

Vatera: Argo Studios. Arrivati a Vatera seguire il lungomare a destra, direzione Agios Fokas, dopo 50 mt sulla destra noterete il cartello con la nave Argo. Costruzione nuova in tinte pastello su due piani, dalla camera si va in spiaggia direttamente in costume e infradito, posizione tranquillissima. Gli studios al piano alto hanno ben 2 balconi, uno rivolto all’alba e uno al tramonto, in modo da avere sempre un posticino all’ombra per stare all’aperto bevendo qualcosa. Belle finiture e mobili nuovi, aria condizionata, tv, frigo, angolo cottura fornito di ogni suppellettile. Il proprietario è un cinquantenne geologo di Mitilene, laureato a Genova, parla benissimo italiano e vi darà preziose informazioni. Euro 40 a notte per 2 persone in studios. Argo Apartments – tel. 22520.61770, 22510.41585 – cell. 6945282771 – sito www.argo-vatera.gr

LESVOS, dove mangiare

A Lesbo è veramente superfluo consigliare dove andare a mangiare, la tradizione culinaria locale impera e l’isola non è frequentata da un genere di turismo che pretende gli anonimi sapori della cucina internazionale o quelli della propria nazione d’origine, quindi andrete sempre sul sicuro. A Lesbo sono praticamente assenti le taverne greche con menù rivisitato, nelle località balneari più frequentate come Petra, Anaxos e Skala Eresso, troverete anche qualcosa di diverso, ma se desiderate mangiar greco, sarete sempre accontentati e le taverne greche sono tutte davvero greche. Non dimenticate che Lesbo è la patria dell’ouzo, il suo olio dorato e profumato è considerato il migliore della Grecia ed uno fra i migliori al mondo, così come la sua cucina è considerata una delle migliori, per il suo essere al tempo stesso semplice e sofisticata. Il pesce, a differenza di molti altri luoghi in Grecia, ha un ruolo fondamentale nel menù, forse per l’abbondanza della materia prima. Regina è sicuramente la sardina, fritta, grigliata e condita con olio, limone e prezzemolo, sotto sale con olio e prezzemolo e in mille altri modi. Spettacolare è la Lacherda: il sushi dell’Egeo che trovate solo qui. Cozze e vongole, polipi grigliati, calamari fritti o ripieni, gamberi e gamberoni non mancheranno mai nei menù. Anche i prodotti della terra avranno un sapore particolare perché in gran parte di produzione autoctona, fra tutti sono da assaggiare le fave di Sigri condite con olio e origano. Il pane, lo troverete spesso fatto in casa.

LESVOS, spiagge

Inutile elencarle, l’elenco sarebbe infinito e comunque incompleto: l’isola è immensa e i due grandi golfi interni di Kalloni e Gera vanno a triplicare il suo perimetro marino. Nel diario abbiamo citato molte spiagge, fra loro differenti, ma la caratteristica comune è la loro tranquillità, anche nelle settimane centrali di agosto era facilissimo trovarsi da soli o con rari compagni. Anche quelle più frequentate, date le ampie dimensioni, offrono angoli di pace. Partendo per Lesbo, dimenticate i bagni nelle piccole e graziose baie raccolte con acqua turchese e vitrea che si trovano su tutte le altre isole: qui il mare è ben diverso, comunque trasparente e pulitissimo, ma con un respiro quasi oceanico, aperto, selvaggio e solenne, lunghe distese su cui camminare, distendersi, perdersi e pensare, guardarsi dentro… trovare ispirazione.

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LESVOS – IL REGNO della POESIA



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