L’Egitto che nessuno sceglie di visitare è il luogo dove ripercorrere le orme di Alessandro il Grande

Siamo i soli ad imbarcarci sul volo diretto verso la costa mediterranea dell’Egitto: è l’ultimo della stagione e servirà per riportare a Roma i turisti dei villaggi ormai al termine della loro vacanza. In sole due ore si arriva a destinazione. L’aeroporto è molto piccolo ed utilizzato per scopi militari anche se, durante i mesi estivi, si permette ai charter dall’Europa di atterrare. I servizi sono limitati soprattutto la sera per cui conviene, se si è viaggiatori indipendenti, acquistare un visto elettronico almeno 6 giorni prima della partenza per evitare di pagarlo di più all’arrivo (in tal caso è rilasciato dal rappresentante dei tour operators per 35 € o 40 € al posto di 25 USD). All’uscita è consentito entrare in aeroporto solo alle navette o ai pullman dei villaggi. Gli addetti militari ci accompagnano in macchina fino all’uscita e poi riusciamo con un taxi ad arrivare al nostro hotel in città. Marsa Matruh non ha attrattive particolari oltre a strette spiagge cittadine frequentate dai locali. Rimarremo solo una notte per poi trasferirci all’oasi di Siwa la mattina successiva, la meta per la quale abbiamo deciso di tornare in Egitto.
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Oasi di Siwa, Fatnas
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La strada procede in rettilineo verso sud. L’asfalto è in parte dissestato per il forte calore estivo e sono in fase di ampliamento le carreggiate in cemento. In poco più di tre ore si raggiunge l’oasi, la più grande ed isolata del deserto occidentale. Siwa è a 22 metri sotto il livello del mare e ciò assicura una grande quantità d’acqua dalle falde che qui creano grandi laghi salini oltre a sorgenti fredde o sulfuree. Rispetto alle altre oasi egiziane, Siwa si distingue dal punto di vista etnico-linguistico: la sua popolazione è in stragrande maggioranza berbera e parla il siwi, una lingua appartenente alla famiglia amazigh diffusa tra le popolazioni affini dell’Africa settentrionale. Il suo secolare isolamento ha determinato lo sviluppo di una cultura unica e di un’organizzazione sociale che sopravvive nonostante l’avvento della modernità e del turismo che ne mettono a rischio l’esistenza. La popolazione si suddivide in 11 tribù (9 berbere e 2 beduine), ciascuna con a capo uno sceicco. A lui ci si rivolge per dirimere eventuali controversie o per comminare le pene a coloro che si macchiano di reati, prima di far riferimento agli organi statali.
I siwi si distinguono dagli altri egiziani innanzitutto per l’abbigliamento. Gli uomini indossano solo caftani lunghi fino ai piedi, le donne il velo integrale che copre anche gli occhi. È raro vederle in giro per le strade, gran parte rimane a casa per badare alla famiglia e spetta all’uomo mantenerle e garantire, in caso di poligamia, una parità di trattamento. Con l’islamizzazione non sono più usati gli abiti tradizionali, colorati ed adornati di monete e che lasciavano il viso scoperto. Nonostante il rigore religioso, le regole valgono solo per i locali mentre i turisti sono liberi di girare come meglio credono.
Strano sapere come si siano diffuse diverse parole italiane, per lo più di natura tecnica. Tale utilizzo risale alla dominazione italiana della Libia dalla quale Siwa dista soltanto 40 chilometri e per i rapporti frequenti che si avevano con i Senussi della Cirenaica. Durante la Seconda guerra mondiale le truppe dell’Asse si spinsero in Egitto fino ad El Alamein e gli italiani occuparono brevemente l’oasi scacciando gli inglesi.
Il nostro hotel è una semplice struttura situata nel sud dell’oasi e lontana dal trambusto del centro. Ottobre è tra i mesi ideali per visitare Siwa, grazie alle piacevoli temperature che non superano i 30 °C. È pomeriggio per cui dopo un breve giro in città andiamo a Fatnas, una piccola isola collegata alla terraferma ed affacciata sul principale dei laghi salini naturali dove i turisti si concentrano sulle rive per ammirare il tramonto. La distesa d’acqua è molto ampia e bordata di palme. Vicino al bar che serve succhi e bibite rinfrescanti rigorosamente non alcoliche, fa bella mostra di sé un falco ammaestrato sul proprio trespolo. Nelle vicinanze dell’hotel si trovano i famosi laghi artificiali salati dove ci rechiamo il mattino del giorno successivo. Questo luogo è una miniera di sale attiva con scavatrici sempre in funzione. Il prodotto viene esportato soprattutto nel nord Europa quando d’inverno viene sparso sulle strade ghiacciate per evitare slittamenti. La forma dei laghi è per lo più rettangolare: una volta estratto il sale con le pale meccaniche, le fosse si riempiono naturalmente creando uno scenario surreale. Le bianche incrostazioni sul fondo e sui bordi danno alle acque trasparenti uno splendido colore turchese ed è possibile immergersi e nuotare rimanendo agevolmente a galla. La salinità è superiore a quella del Mar Morto ed occorre fare attenzione per evitare qualsiasi contatto con gli occhi, anche se è del tutto normale avvertire un piccolo bruciore in caso di micro-ferite. Ci sono ulteriori cavità nel terreno estremamente fotogeniche dove ci si può fare il bagno. A breve distanza c’è la fonte di Cleopatra, una piscina circolare alimentata da acqua fresca. Trattasi di una popolare meta turistica dove l’area circostante è attrezzata con ristoranti e negozi di souvenir.
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Il pomeriggio lo dedichiamo al Gran Mare di Sabbia, cioè alla vasta zona desertica che si estende a sud dell’oasi con dune alte fino a 20 metri. Gli autisti si divertono a guidare in modo apparentemente spericolato su e giù tra gli avvallamenti, prendendo velocità in salita e rallentando nelle ripide discese che all’improvviso appaiono superando la cresta delle dune. Ci si ferma nelle zone panoramiche da dove si scorgono i vasti palmeti in lontananza oltre all’oasi di Bir Wahed con una fonte di acqua calda sulfurea. Superata la valle dei fossili cosparsa di resti di conchiglie (un tempo fondo di un mare primordiale), gli autisti preparano il tè al tramonto, permettendo ai visitatori a bordo di altre vetture di familiarizzare.
Dakrour, Umm Ubayad
L’ultimo giorno visitiamo in tuc tuc le attrazioni dell’oasi ed i monumenti storici per i quali Siwa era famosa nell’antichità. Il monte Dakrour si erge tra i vasti palmeti ed in questo luogo, durante le notti di luna piena nel mese di ottobre, gli abitanti si radunano per pregare in circolo durante una festività (Siaha) di 3 giorni che celebra la riconciliazione tra le tribù raggiunta circa 160 anni fa.
Il tempio a Umm Ubayad era dedicato al dio Amon Ra. Oggi resta un cumulo di rovine e grandi pietre sparse, tranne un muro perimetrale decorato con bassorilievi e geroglifici. Alla fine dell’800 venne utilizzato per ricavare materiale da costruzione, altri danni si sono poi aggiunti a causa dei bombardamenti tra italiani ed inglesi durante il conflitto mondiale. A breve distanza c’è il ben più noto Tempio dell’Oracolo, sempre dedicato ad Amon Ra e famoso per i suoi vaticini al punto che Alessandro Magno vi si recò durante la guerra di conquista dell’impero persiano. Dopo la vittoria ad Isso, invece di dirigersi verso oriente per assestare il colpo di grazia alle truppe del Gran Re Dario III, Alessandro dirottò il suo esercito in Egitto dove venne proclamato nuovo faraone. Essendo il padre Filippo II di Macedonia stato assassinato in circostanze misteriose, egli volle attraversare il deserto per sapere chi fosse stato il colpevole. L’oracolo gli rivelò invece che il suo vero padre era Zeus e che, in qualità di semidio, sarebbe stato destinato ad un futuro di gloria ed eterna memoria. Eretto su una collina, il Tempio si presenta più integro del precedente. Tre grandi portali conducono nella cella dove si trovava la statua del dio. Sul muro di destra in alto risuonava la voce del sacerdote nascosto in una stanza segreta tramite il quale si dava voce all’oracolo. Attorno alle rovine sorgono resti di costruzioni in mattoni di fango ed una moschea restaurata ma non più utilizzata per pregare. Un tempo parte della popolazione dell’oasi ha abitato in questo luogo prima di trasferirsi in edifici più confortevoli.
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La Montagna dei Morti (Jebel al-Mawta) è caratterizzata da migliaia di tombe scavate nella roccia orizzontalmente (in epoca tardo faraonica) e verticalmente (in epoca copta). Dalla cima spazia un panorama su tutta l’oasi, i grandi laghi salini e le pareti bucherellate della montagna che la fanno assomigliare ad un alveare. La tomba più nota è quella di Si-Amun per i preziosi affreschi conservati all’interno. Il giro termina presso la fortezza di Shali (che significa “città” in lingua siwi), costruita con un impasto di fango, roccia e sale. Un tempo vi viveva l’intera popolazione ed il solido materiale impiegato la proteggeva isolandola dal caldo e dal freddo. Nel 1926 delle piogge torrenziali durate per tre giorni consecutivi e del tutto inusuali a queste latitudini sciolsero gli edifici, costringendo gli abitanti a trasferirsi nell’area circostante. Negli ultimi anni sono stati portati avanti dei progetti che mirano alla conservazione e parziale ricostruzione del patrimonio storico di Siwa. Tra i pochi edifici restaurati rimane la moschea, il resto è un cumulo di rovine che si estende su cinque livelli.
Lasciamo Siwa a malincuore per trasferirci sulla costa di Marsa Matruh, precisamente in un resort sul mare ad Almaza Bay, distante 30 chilometri dalla città. Il complesso è stato realizzato da appena un anno e le strutture sono eleganti con giardini curati e grandi piscine. Si tratta di un recinto dorato e piuttosto costoso, affacciato su un litorale di sabbia quasi bianca ed un mare cristallino che abbiamo potuto apprezzare appieno solo l’ultimo dei tre giorni di permanenza a causa del vento e di qualche ingombrante nuvola di passaggio. A Marsa Matruh in fondo è la fine della stagione estiva, poi tutto chiude per riaprire a giugno (mentre le strutture a Sharm o a Marsa Alam rimangono aperte tutto l’anno).
Alessandria d’Egitto
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Terminata la parentesi balneare ci trasferiamo ad Alessandria, la vecchia perla del Mediterraneo. L’atmosfera levantina ed internazionale di inizio ‘900 si respirano nell’Hotel Le Metropole, forse il più affascinante tra gli alberghi storici della città. Stanze dagli alti soffitti, stucchi dorati e tessuti damascati rimandano alla sfiorita eleganza di un tempo. La terrazza sul tetto si affaccia sulla piazza sottostante ed il mare con il forte di Qait Bey sullo sfondo. Nello stesso edificio si inserisce il caffè Trianon dallo stile art nouveau rimasto inalterato dal secolo scorso ed ancora ben frequentato. È la nostra seconda volta in città dal 2018 e sono stati avviati lavori per la valorizzazione degli edifici e delle principali aree monumentali. Sono invece terminati quelli al Museo Greco-Romano che non ci era stato possibile visitare precedentemente. L’imperdibile collezione esposta può dare solo una pallida idea dello splendore dell’antica città ellenistica fondata da Alessandro Magno, della quale si conservano resti poco significativi. Tra la statuaria spiccano le grandi teste lapidee di Marco Antonio e Cleopatra, l’ultima regina della dinastia tolemaica ed altri reperti recuperati dal fondo del mare.
Lungo la parte settentrionale della corniche c’è poi il Museo dei gioielli reali ospitato in una elegante villa Liberty appartenuta ad una principessa egiziana agli inizi del ‘900. Sono esposti preziosi monili tempestati di brillanti ed indossati dalla regina Fauzia, prima moglie dell’ultimo re Faruq.
Torniamo nella capitale egiziana, precisamente nel quartiere di New Cairo sorto recentemente in una zona desertica ad est della città vecchia e vicina all’aeroporto internazionale. Si tratta di una vasta area residenziale dove, oltre ai ricchi egiziani vivono gli expats che lavorano presso le multinazionali (tra i quali il nipote che ci ospita). Strade curate, eleganti condomini con vigilantes, giardini lussureggianti e fontane… quasi si stenta a credere di essere nella più grande e caotica città dell’Africa. La gioventù dorata trascorre il suo tempo nei lussuosi e solari centri commerciali, con ristoranti e ritrovi eleganti per trascorrere le serate. Qui non ci sono alberghi per cui è un volto del Cairo inaspettato e in cui è difficile capitare visto anche la sua relativa distanza dai principali monumenti della città.
Tanis
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Dedichiamo una giornata alla visita delle rovine di Tanis che fu anticamente la capitale nel Medio Regno. Questo suggestivo sito archeologico nel delta del Nilo è tra i meno visitati ed è frequente girovagare in piena solitudine tra resti megalitici di colonne ed obelischi. Gran parte della città ancora non è stata dissotterrata per cui ne risulta visibile solo una porzione minima. Ciò che colpisce è il livello di devastazione che ha subito il sito: alcune statue presentano evidenti tracce di bruciature e grandi monoliti sembrano essere stati fatti a pezzi da una forza misteriosa per poi essere reimpiegati per la realizzazione di rozzi edifici. Rimane il grandioso portale del grande tempio di Amon, circondato da un alto e spesso muro di mattoni di fango oggi quasi del tutto scomparso. Alcune statue sono state ricomposte, altri frammenti sono esposti alla rinfusa, tra cui un piede in granito gigantesco che – in base ai calcoli – doveva appartenere alla statua eretta monoblocco più grande mai realizzata nell’antichità. Si stima che dovesse essere alta almeno 30 metri e pesare circa 1500 tonnellate… altre parti di questo colosso (tra cui un avambraccio) è stato riciclato in un muro assieme ad altri grandi frammenti di obelischi. Due sfingi sono esposte al museo del Louvre a Parigi e qui è stato rinvenuto nel 1939 un intatto corredo funerario secondo solo a quello del faraone Tutankhamon in mostra presso il museo egizio del Cairo.
Nel centro storico del Cairo continua l’attività di recupero dei monumenti islamici, soprattutto di epoca mamelucca, visitabili tramite biglietto cumulativo. Nella moschea Amir Altinbugha al-Maridani i restauri sono terminati nel 2024 ed è stata riaperta al pubblico con una cerimonia di inaugurazione a cui hanno partecipato i reali di Spagna. Il cortile è contornato da archi moreschi ed è presente, oltre alla fontana per le abluzioni, un’aiuola dove spuntano palme e piante fiorite. Del circuito fanno parte anche la moschea Aq Sonqqor, nota anche come moschea blu per il colore delle piastrelle persiane di Kashan che adornano il mihrab e la parete di fondo ed il complesso di Khair Bek, un mausoleo di un governatore ottomano con annessa madrasa (scuola coranica) e sabil (fontana per dissetare i viandanti lungo la strada). Dalla porta Bab Zuwayla con i due minareti gemelli da cui spazia il panorama della città vecchia, si esce dal quartiere fatimide. La strada si inoltra nel bazar delle tende e poi nel souk degli alimentari in una piacevole confusione e che offre uno spaccato di vita della popolazione che abita in quartieri che trasudano di storia. Nei pressi della città dei morti (ossia del vastissimo cimitero monumentale mamelucco) c’è il parco di Al-Azhar, un inaspettato polmone verde curatissimo e con belle viste sulla città in cui è possibile rilassarsi e rifocillarsi in uno dei due bei ristoranti in stile.
Tra i musei più insoliti, vale la pena di segnalare la casa art nouveau di Mohamed Mahmud Khalil sulle rive del Nilo, dove è esposta una magnifica collezione di quadri impressionisti francesi, sculture di Degas e preziose cineserie. L’inaugurazione del Grande Museo Egizio a Giza è slittata a novembre… dovremo per forza ritornare.















