Le mille miglia di puerto rico
La scelta è caduta su Puerto Rico e in molti ci hanno chiesto “perché proprio lì ?”.
Semplice: Puerto Rico è prima di tutto fuori dalle rotte turistiche tradizionali (almeno per gli italiani, ai quali vengono normalmente offerti Cuba-Messico-Santo Domingo).
Poi perché è un’isola non troppo grande (lunga circa 120 km e larga circa 50) e quindi vascabile senza troppa fatica con un’auto a noleggio.
Un altro fattore fondamentale è che buona parte dei 400 km di coste sono occupati da spiagge con palme, e per la nostra fame di mare/sabbia è l’ideale.
In più all’interno si trova una foresta tropicale straordinaria che può offrire una valida alternativa alle estenuanti sedute abbronzanti sotto il sole dei Caraibi.
Da ultimo, ma da non sottovalutare, la moneta locale è… udite, udite… il dollaro USA, praticamente in ginocchio rispetto all’Euro (1 $ = 0,68 Euro), con tutti i benefici che ne possono derivare.
Ecco spiegati i motivi.
Come l’ultima volta (vedi racconto “USA OVEST”) preferiamo spezzare il viaggio in due: oggi arriveremo a Malpensa, pernotteremo al Malpensa House e partiremo con il volo di domani. Fare una pesissima levataccia domani mattina (verso le tre!) e arrivare a Malpensa per il Check-in delle 8,00 sarebbe un’inutile ed pesante allungamento del trip, dannoso solo per la nostra salute.
Il viaggio comincia già con una piccola sorpresa: al Malpensa House la caldaia è andata in tilt e quindi, senza alcun supplemento, veniamo parcheggiati all’Hotel Cardano. Piccolo particolare: l’Hotel Cardano è un 4stelle! 30/12/2007 – MALPENSA – SAN JUAN VIA PHILADELPHIA Si vola con U.S. Airways, biglietto acquistato sul sito della compagnia a 770,00 Euro (commissioni e tasse comprese). Nove ore e passa di volo e ci troviamo catapultati a Philadelphia per uno stop di quattro ore (che tra menate dell’immigrazione, perquise, transfer dei bagagli e pizza al trancio, volano via abbastanza spedite).
Il volo per San Juan, altra stecca di quattro ore, sempre con U.S. Airways, è piuttosto movimentato a causa di diverse turbolenze; in compenso risulta quasi totalmente inattivo il carrello delle vivande (solo un minuscolo snack).
Per evitare sbattimenti di vario genere (che sarebbero veramente inutili e pesanti a quest’ora – le undici ora locale, le quattro del mattino in Italia) abbiamo trovato su internet (sul suo proprio sito) e prenotato un piccolo motel ad un paio di chilometri dall’aeroporto.
La sfiga però è con noi e ci appoggia sulla spalla la sua mano nefasta: i nostri bagagli non sono arrivati! (eviteremo a questo punto di elencare le inascoltabili imprecazioni lanciate verso i quattro punti cardinali).
Non siamo gli unici sfigati del nostro volo e così in poco tempo si forma una discreta fila davanti all’ufficio reclami che viene gestito da un paio di impiegate extra large, con unghie pitturatissime, ma di una lentezza spaventosa.
Ci comunicano che le nostre valigie arriveranno domani con il volo delle 13,30. Fortunatamente abbiamo la sana abitudine di arricchire il bagaglio a mano con un po’ di indumenti di emergenza (che possono essere fondamentali in momenti come questo) e quindi non siamo completamente “desnudos”, ma il contrattempo è di quelli che fanno girare vorticosamente le palle. Scornati, prendiamo un taxi che per la modica cifra di 11,00 $ ci conduce al nostro Villaverde Inn, piccolo motel di colore verde in una zona chiamata “Isla Verde”, con sbarre alle finestre, sbarre e lucchetto alla porta, catenaccio al cancello (evidentemente non deve essere una zona del tutto tranquilla). Ci serviremo di questo piccolo bunker (stanza e bagno minuscoli, letto queen size, 80 $ a notte) per due notti, poi comincerà il nostro tour vero e proprio.
Ormai siamo spappolati, quindi buonanotte.
31/12/2007 – SAN JUAN Sveglia nel bunker. Veramente non abbiamo dormito troppo bene, un po’ per il fuso orario sballato, un po’ per l’incazzatura per i bagagli in ritardo, un po’ per il casino della strada adiacente (il nostro piccolo motel è appollaiato sulla carretera 26, un’autostrada trafficatissima ad ogni ora del giorno e della notte, e i portoricani guidano in maniera piuttosto rumorosa e pittoresca).
Oggi alle 13,30 dovremo presentarci in aeroporto per ritirare (speriamo!) le nostre valigie che arriveranno da Philadelphia. Sono giorni di grande casino per tutte le compagnie aeree e quindi non siamo stati le uniche vittime, anche se la storia arcinota del “mal comune, mezzo gaudio” non riesce a farci stare meglio. Mezza giornata è quindi andata a puttane.
Per ingannare l’attesa ci facciamo due passi per vedere una piccola parte di San Juan, dove si può morire di qualsiasi cosa tranne che di fame: i locali pubblici (almeno nella nostra zona) sono quasi tutti ristoranti e accanto a quelli tipici di “comida criolla” (riso, pollo, fagioli) c’è un susseguirsi trionfante di fast food da far impallidire… McDonalds, Burger King, KFC, PizzaHut, Wendy’s, Church’s Chicken ecc. Ecc. E infatti il popolo portoricano è caratterizzato da un’obesità largamente diffusa.
Quindi all’aeroporto: che culo, arrivano le nostre valigie! Felici come le pasque, baciamo i nostri effetti personali e finalmente inizia la vacanza. Festeggiamo sulla spiaggia di Isla Verde, dove possiamo cominciare a spalmarci le creme e beccarci il primo assaggio di sole portoricano.
Serata di capodanno tipicamente italiana: Anna, una ragazza che vive e lavora a San Juan, conosciuta via internet nei mesi scorsi durante una ricerca su skype, ci ha invitati a casa sua a cena. Oltre a lei, l’allegra brigata è composta da suo marito, i suoi due figli, suo fratello, sua cognata e i suoi due nipoti. Si aggiunge alla comitiva anche un amico, naturalmente italiano. A questo punto la tavolata è completa: undici italiani a Puerto Rico. Una serata davvero molto piacevole, con una straordinaria sintonia creatasi subito tra persone che, in fin dei conti, non si erano mai viste prima. Anna, tra l’altro, è anche un’ottima cuoca (il suo “bue alla bourguignonne” è mitico).
La stanchezza però ci assale: essendo tutti italiani fuori sede, concordiamo di festeggiare il capodanno secondo l’ora di un fuso intermedio standard, per anticipare il nostro ormai necessario ricovero a letto. Alle 23,00 viene sparato in orbita il tappo dello spumante, saluti e rientro al Villaverde Inn, dove ci barrichiamo nel nostro bunker. Fuori è il finimondo. 01/01/2008 – QUEBRADILLAS, AGUADILLA Taxi e subito da Thrifty, vicino all’aeroporto, a ritirare l’auto prenotata su internet (sul sito viene fatta solo la prenotazione, nessun pagamento: la carta di credito viene poi strisciata per garanzia all’atto del ritiro dell’auto. La strisciata definitiva dell’importo concordato viene effettuata in sede di riconsegna dell’auto, una volta che gli addetti avranno constatato che il mezzo è stato restituito in buone condizioni). Ci danno una Suzuki SX4, rigorosamente con cambio automatico, assicurazione compresa (noi abbiamo scelto la copertura minima, responsabilità verso terzi) al prezzo di 415,00 $ per 11 giorni. Porca miseria, che bella auto.
Ormai motorizzati diamo inizio all’esplorazione vera e propria. Dovendo uscire dalla parte ovest di San Juan dobbiamo attraversare tutta la città in senso longitudinale. Non avevamo calcolato che il giorno di Capodanno tutti i portoricani, che hanno festeggiato ed esagerato ieri sera, sono tutti a letto probabilmente ancora pienissimi, e quindi le strade sono completamente deserte = no traffico, guida liscia e spedita. Un bel colpo di culo, assolutamente non calcolato.
Percorriamo tutta la costa nord passando per Arecibo. Le strade sono in buone condizioni e circondate da alberi pieni di fiori e in molti tratti si passa attraverso le foreste. La prima tappa è Aguadilla, sulla costa ovest, dove abbiamo un bell’assaggio di spiaggia e di mare pulito, nonostante ci troviamo in città.
Proseguiamo verso nord passando a fianco dell’aeroporto Hernandez per arrivare a Playa Jobos, bella ma con mare incazzato, sperduta in fondo ad una stradina che si snoda tra le casette colorate. E’ il paradiso dei surfisti.
Una delle maggiori attrattive di questa costa è Playa Crash Boat, che stiamo cercando da un po’ andando su e giù per la costa senza successo. Sarebbe un peccato andare via senza trovarla. Quindi dietro front verso Aguadilla e finalmente troviamo la deviazione sulla strada 458. La spiaggia è favolosa: bianca, mare turchese e trasparente, vegetazione tropicale e palme che arrivano fin sulla spiaggia, dove sono adagiate le caratteristiche barche colorate. Così è la spiaggia dei tropici nell’immaginario umano. Quindi doverosa sosta di un paio d’ore per cercare di prendere un po’ di colore.
Sfogliando un depliant che ci hanno dato da Thrifty vediamo una spiaggia molto bella e selvaggia nelle vicinanze di Playa Crash Boat: dobbiamo andarci.
Ed è così che, attraversando il campo da golf, arriviamo alla spiaggia di Punta Borinquen, un posto fantastico e selvatico, con sabbia dorata, palme e onde azzurre alte un paio di metri.
Abbiamo viaggiato fino ad ora con i bagagli sull’auto (ovviamente occultati nel bagagliaio, lontano da occhi indiscreti; noi abbiamo tanta fiducia nel prossimo, ma meglio usare piccoli accorgimenti per evitare sgradevoli sorprese) ed è giunta l’ora di presentarci al check-in nel nostro hotel a Quebradillas. Il Parador Vistamar, trovato su internet e prenotato a suon di e-mail, si rivela molto più di quello che ci aspettavamo: tanto per cominciare ci assegnano (a sorpresa e senza supplemento) una camera con una vista mare veramente da oscar. La stanza è enorme, moquette, tv, balcone, aria condizionata (che non useremo mai) e vetrata a tutta parete con una veduta esagerata; sotto di noi, per eventuale desalinizzazione serale, c’è anche la piscina, il tutto per 80 $ a notte. C’è ancora un po’ di luce, circa mezz’ora, e siccome del viaggio non si butta via niente, c’è tempo per un salto alla Playa de Guajataca, quella che si vede dal nostro balcone. E’ bellissima, sembra una di quelle che si vedono nei film di pirati: mare ostile ma azzurro, sabbia dorata, vegetazione rigogliosa e palme sulla spiaggia. Il fiume Guajataca entra nell’oceano in questo punto, dopo avere formato una piccola laguna. Torneremo domani mattina, questo posto merita più di un semplice sopralluogo all’imbrunire. Quelli che vediamo sugli alberi non sono fiori, ma centinaia di pappagalli bianchi che vengono ad appollaiarsi verso sera, fino a ricoprire le piante. Serata da Ponderosa (una catena di steak house a prezzi abbordabilissimi e di ottima qualità) per una succulenta e strameritata bistecca.
02/01/2008 – QUEBRADILLAS, AGUADILLA La prima tappa è proprio la Playa de Guajataca, poco distante dal nostro parador. Ieri sera ne abbiamo avuto un assaggio volante, oggi merita due ore di schiena sulla sabbia. La giornata di oggi sarà dedicata all’esplorazione della costa nord; ci siamo fatti un piano di viaggio e di spiagge da vedere e pare ce ne siano davvero tante. Inforchiamo l’autopista 22 che corre in mezzo ad ampi tratti di foresta tropicale in direzione San Juan. L’autopista è a pagamento, ma i pedaggi sono ben distanti da quelli che ci schiaffeggiano in Italia: addirittura la cifra esorbitante di 2 $ per più di 60 km! Eppure, a parte la disparità di prezzi, non abbiamo sinceramente notato una grande differenza di servizio… Usciamo a Manati e una strada immersa nella vegetazione tropicale ci porta a Playa Mar Chiquita, che avevamo visto su internet e ci siamo intestarditi di raggiungere ad ogni costo.
Si tratta di una spiaggia a forma di conchiglia, con sabbia dorata e mare azzurro limpido. La sua particolarità è di essere completamente chiusa da una barriera di alti scogli, una specie di catena montuosa davanti all’oceano grazie alla quale all’interno il mare è balneabile e la spiaggia non viene erosa dalle onde. L’acqua dell’oceano entra con forza da un’unica apertura tra gli scogli larga non più di due metri.
Proseguendo lungo la strada 685 costeggiamo la lunga spiaggia dorata di Playa Tortuguero. Visto che qua dietro l’angolo c’è la laguna del Tortuguero (dove dicono che ci sia pieno di caimani) andiamo a farci un salto, con la speranza di vedere qualche rettile. Purtroppo i lucertoloni ci danno buca e noi ci consoliamo a Playa Vega Baja, tranquilla, acqua calma, facilmente raggiungibile da tutti, anche dagli obesi portoricani (davvero numerosi).
Nonostante le ottime recensioni, Playa Cerro Gordo non è particolarmente attraente (una striscia di sabbia sul mare piuttosto pulito, comunque). Ci interessa invece arrivare a Dorado, praticamente alle porte di San Juan, per vedere la famosa Playa Sardinera.
La zona è per ricchi sfondati, con resort pluristellati, con giardini curatissimi, ognuno con la sua spiaggia privata (probabilmente bellissima) e irraggiungibile da parte dei comuni mortali. Per i poveracci (e cioè per noi) c’è comunque il Balneario Sardinera, più che rispettabile, dove restiamo fino alla fine del nostro pomeriggio (da notare che verso le 17,00 il sole comincia a calare rapidamente e alle 18,00 è praticamente buio pesto).
Il tour del nord è praticamente concluso, non ci resta che tornare al nostro favoloso Parador Vistamar.
03/01/2008 – RINCON Continua il nostro pellegrinaggio per le spiagge di Puerto Rico. Vicino a casa nostra (ci sentiamo come a casa) c’è il paesino di Isabela con la sua spiaggia a Punta Sardina, poco oltre l’abitato. Il posto è tranquillissimo, spiaggia a semicerchio, sabbia dorata, buona dotazione di palme e il mare, manco a dirlo, pulito. La parte terminale della spiaggia è riparata da una muraglia di scogli naturali sui quali l’acqua dell’oceano si infrange e poi scende verso l’interno formando delle cascate ed alimentando delle pozze/piscine poco profonde e riparate dal mare aperto per la gioia dei bambini. Due ore di sole non ce le leva nessuno.
Essendo l’ultimo giorno di nostra permanenza sulla costa nord ovest, puntiamo verso la zona di Rincon, molto apprezzata dai surfisti (quindi mare abbastanza “brillante”). Anche qui le strade si snodano tra il verde della vegetazione tropicale, un vero spettacolo per lo sguardo (soprattutto per noi che veniamo dalla terra delle nebbie…).
Avevamo grandi aspettative per Playa Tres Hermanos a Rincon e invece non la degniamo neanche di dieci minuti, stiamo diventando esigenti. Durante i nostri studi prima della partenza abbiamo letto di spiagge meravigliose da queste parti e così la nostra ricerca affannosa ci porta fuori dell’abitato verso il faro di Punta Gorda, dove ad un certo punto troviamo un cartello blu a forma di balena con la scritta “Playa Escalera”.
Siamo sinceri, all’inizio non ci sembra granchè, forse per il pavimento di scogli tra sabbia e mare, parzialmente ricoperti di alghe e quindi scivolosi e anche perché essendo sulla costa ovest il sole del pomeriggio non mette particolarmente in risalto i colori dell’acqua. Ma a poco a poco cominciamo ad apprezzarla, soprattutto quando andiamo a fare il primo bagno: trasparente come una piscina con l’aggiunta di pesci tropicali di vari colori. Eh si, Playa Escalera (chi l’ha battezzata non ha avuto grande fantasia, visto che sulla spiaggia c’è un rudere di una scala di cemento armato) merita una sosta di un paio d’ore. Un appunto fuori programma: in questi giorni ci siamo resi conto che i portoricani non sanno assolutamente guidare (non conoscono gli indicatori di direzione, frenano in continuazione, si immettono senza guardare, guidano a fari spenti durante la notte…), ma in compenso viaggiano a finestrini completamente abbassati con la radio a massimo volume, pompando musicaccia orrenda (magari fosse la salsa…).
Vorremmo chiudere in bellezza la giornata al Bosque Estatal de Guajataca, foresta tropicale protetta, regno del boa portoricano. Il parco si trova parecchi chilometri nell’entroterra e per arrivarci bisogna percorrere una strada che si snoda nel bosco (non si vede più il cielo per chilometri) e si stringe sempre di più fino a diventare ad un’unica corsia che si inerpica tra i tornanti. Il paesaggio è stupendo, ma dato che la visuale è uguale a zero e considerato che il 98% dei portoricani si destreggia in una guida ignorante, non vorremmo spiattellarci contro un radiatore.
Quindi, a malincuore, senza avere nemmeno raggiunto il clou della foresta, molliamo la storia, ma l’assaggio che ne avevamo avuto resta incredibile.
Completamente da dimenticare la nostra esperienza serale presso il famoso “Chicken’s Church”.
04/01/2008 – BOQUERON, PLAYA SANTA, EL COMBATE Il nostro piano di viaggio prevede per oggi un nuovo spostamento: molliamo definitivamente la costa nord per prendere possesso della parte sud ovest.
Ci eravamo affezionati al Parador Vistamar (tra l’altro inspiegabilmente poco frequentato, solo tre o quattro macchine nel parcheggio e questa dovrebbe essere l’alta stagione…Boh..), una struttura davvero bella e comoda, ma il viaggio impone la zingarata con continui spostamenti, altrimenti non si chiamerebbe “viaggio”.
Percorriamo la carretera n. 2, attraversiamo Mayaguez ed arriviamo a Boqueron, dove resteremo due notti al “Boqueron Beach Hotel”. La struttura è buona (pavimenti in cotto, ascensore), si vede che è stata ristrutturata recentemente e si trova sulla strada principale, così non fatichiamo neanche per individuarla.
Alla reception troviamo una piccola sorpresa: il sistema di prenotazione via internet di Expedia (sito sul quale avevamo trovato l’hotel) ha fatto cilecca ed in teoria siamo a piedi. Bel colpo! Per fortuna che hanno stanze vuote così la receptionist (una fanciulla dalle unghie affrescate come la Cappella Sistina e che sa a memoria tutte le canzoni “dammòre” che vengono trasmesse dalla radio, cantandocele come un jukebox) tra una strofa e un ritornello si dedica parzialmente e con grande calma al suo lavoro e ci trova una sistemazione allo stesso prezzo (75,00 $ a camera per notte).
Verso il tramonto il check-in è quasi terminato… Ci toccherà mandare un paio di insulti ad Expedia, una volta rientrati in Italia, per adesso buttiamo alla rinfusa la roba in camera (due lettoni queen size, tv, frigo, un signor bagno…) e scatta l’operazione spiagge.
Pochi chilometri e siamo a El Combate, bella spiaggia di sabbia chiara, palme dappertutto, mare blu, ma un po’ torbido (il tramonto da qui deve essere una figata, torneremo stasera) è frequentata dalle famiglie e si trova in un paesino molto pittoresco con piccoli localini molto semplici dove l’happy hour è l’evento clou della giornata.
Per noi invece il clou di oggi è dietro l’angolo: da casa, su internet, abbiamo individuato “Playa Santa” detta anche “La Playuela” e dobbiamo assolutamente arrivarci. Bisogna dire che le indicazioni stradali in genere qui a Puerto Rico sono piuttosto scarse, totalmente mancanti quelle per le spiagge (se ne sbattono altamente, tanto i portoricani sanno già dove sono le più belle).
La strada passa in mezzo alla Reserva Natural de Vida Silvestre di Cabo Rojo, una palude dove è possibile fare il birdwatching; volendo c’è anche una torre di legno alta una decina di metri sulla quale si può salire.
La strada, che prosegue verso Punta Jaguey, diventa sterrato e si interrompe bruscamente con una catena; da lì inizia un sentiero che punta in alto verso il faro. Quindi dobbiamo mollare il “carro” e proseguire a piedi lungo il sentiero arso dal sole e l’idea non ci sconvolge dalla felicità: è comunque l’unico modo per vedere se la spiaggia esiste davvero. Raggiunto il faro, sudati e maleodoranti, ci troviamo direttamente sulle falesie gialle che creano davvero un gran bel contrasto con il turchese del mar dei Caraibi, ma della spiaggia ancora niente, anzi siamo ad almeno trenta metri sul mare. Non contenti, proseguiamo sul sentiero, aggiriamo il faro e a poco a poco all’orizzonte comincia ad apparire la famosa spiaggia, un arco di diverse centinaia di metri di finissima sabbia bianca come mai ne avevamo trovata fino ad ora qui a Puerto Rico, vegetazione tropicale (senza palme questa volta) e, quello che più conta, mare azzurro-turchese trasparente. Signore e signori, ecco i Caraibi.
Abbiamo fatto fatica per arrivare e la cosa assume il sapore della conquista. Non ci schiodiamo più per tutto il pomeriggio, non ne abbiamo il coraggio, sarebbe un oltraggio a “Playa Santa”. Verso l’imbrunire, dopo esserci rosolati come due bistecche sulla griglia, lasciamo la spiaggia, seguendo però stavolta le altre persone: scopriamo che c’era un modo molto più rapido e meno faticoso per arrivare, un breve sentiero che va dritto dritto al parcheggio della nostra auto. Guardiamo il lato positivo: se non avessimo scalato la rupe scoscesa del faro, non avremmo mai visto le falesie.
Come promesso, torniamo a El Combate per vedere il tramonto sul Caribe.
05/01/2008 – BOSQUE DE MARICAO, PLAYA SANTA Oggi sarà la volta di tutte le spiagge dalle parti di Boqueron, ampiamente pubblicizzate su internet e sulle nostre guide. A proposito, per l’organizzazione del nostro tour ci siamo affidati alla Lonely Planet “Puerto Rico” che è in inglese (evidentemente non c’è richiesta di quella nella nostra lingua, gli italiani vanno altrove). Non è male, ma serve giusto per prendere qualche spunto, niente di più; diciamo che non c’è da farci affidamento totalmente, anche perché per certi argomenti (per esempio gli hotel a basso costo) è piuttosto carente. Peccato che non ci sia la Routard di Puerto Rico, sarebbe senz’altro più adatta ad una zingarata come la nostra. Per orientarci sulle strade stiamo affidando la nostra vita alla mappa della ITMB International Travel Maps (scala 1:190.000), davvero ottima, non sbaglia un colpo. Noi comunque siamo piuttosto organizzati: nel nostro gruppo c’è l’addetto alla guida e l’addetto alle mappe e orienteering.
Infatti nel nostro gruppo siamo in DUE! Facciamo una sosta a Boqueron, la Lonely Planet segnala che vicino al paese c’è una spiaggia: deve essere il solito errore di stampa perché di sabbia non c’è neanche l’ombra, anzi il mare arriva fin sotto le case (su palafitte). Tra l’altro stanotte deve esserci stata una mareggiata perché il mare è del colore del caffelatte. Ci buttiamo sul Balneario Boqueron, vicino al nostro hotel, che ha un gran bel parco con prati molto curati e palme da cocco ad alto fusto, praticamente un bosco. Peccato che anche qui l’acqua abbia il colore già visto alcuni chilometri più a nord e la spiaggia sia molto più stretta di quella vista su internet. Forse sarà colpa dell’innalzamento dei mari, ma sembra che ne sia stata strappata via una fetta. Niente sosta, proseguiamo verso Playa Buyé, anche questa molto famosa, anche questa molto deludente: qui addirittura la spiaggia non c’è più. A Cayo Ratones dovrebbe esserci una bella isoletta di sabbia bianca con palme collegata alla terraferma, ma purtroppo ne rimane poco più di uno scoglio con qualche albero. A Playa Joyuda le poche spiagge sono ad uso esclusivo degli ospiti degli hotel di lusso sul mare (che avranno anche pagato un sacco di soldi, ma oggi si devono bere un mare color fango).
Basta così, fine del tour spiagge per oggi, un bel buco nell’acqua.
Siamo ormai nei pressi di Mayaguez e siccome ci è andata male con il mare, proviamo a salvare la giornata con la montagna, percorrendo almeno un tratto della Ruta Panoramica, strada che taglia Puerto Rico in senso longitudinale dalla costa est a quella ovest, attraversando foreste splendide e della quale naturalmente vedremo solo un pezzo perché per farla tutta ci vorrebbero due giorni. La strada parte dalla città ed è piena di curve (come ci era stato pronosticato da un simpatico portoricano che ci aveva indicato la via prevedendo anche qualche vomitata) ma è molto bella, tutta in mezzo alla foresta tropicale, completamente immersa nel verde che in alcuni tratti diventa addirittura un tunnel. Piante, fiori, cascate… un’ora di natura esagerata. Il pezzo meno interessante è quello all’interno del Bosque Estatal de Maricao, con una vegetazione molto meno rigogliosa, forse anche perché siamo piuttosto in alto.
Ma a questo punto, a metà giornata, scatta il richiamo del mare: a parziale risarcimento delle delusioni patite in mattinata, approfittiamo del cielo terso e ritorniamo a Playa Santa, quella di ieri. E ci sembra ancora più bella. Anche se il nostro viaggio randagio normalmente non prevede il ritorno dell’assassino sul luogo del delitto, stavolta facciamo volentieri uno strappo alla regola per abbrustolirci su questa baia favolosa (questa volta però utilizzando il sentiero più facile).
06/01/2008 – PONCE, PLAYA SALINAS E’ buio, è notte, stiamo dormendo pesantemente nella nostra cameretta. I portoricani qui a Boqueron fanno un casino infernale a tutte le ore della notte, sgommando e viaggiando con i finestrini abbassati e lo stereo a tutto volume. Ormai ci siamo quasi abituati. Ma stavolta è diverso, il fracasso è ancora più forte, incessante, e cresce di intensità in continuazione. Saranno le cinque del mattino, storditi dal frastuono ormai assordante, saltiamo in piedi e andiamo sul balcone per vedere che diavolo sta succedendo in strada. Davanti ai nostri occhi, sotto di noi (siamo al secondo piano) una scena da non credere: una lunghissima processione di persone preganti (anche con bambini, poveretti, chissa a che ora li hanno buttati giù dal letto) accompagnati dall’immancabile auto con impianto stereo a tutto volume, questa volta con canti religiosi. Il canto è una nenia a squarciagola a metà tra una lagna africana e un ritmo indigeno. Siamo ancora increduli davanti a tanta fede e ci chiediamo a che ora e da dove sarà partita tutta questa gente, quando si raggiunge l’apice della rappresentazione con l’arrivo nientepopodimeno che dei… Re Magi a cavallo! Nella nostra colossale ignoranza realizziamo che oggi è l’Epifania. Ne abbiamo abbastanza, la processione piano piano si allontana e noi torniamo a letto.
Una volta iniziata ufficialmente la giornata, facciamo fagotto e ci mettiamo in strada per un nuovo spostamento, questa volta verso Ponce, sulla costa sud, la seconda città di dopo San Juan.
Facciamo una tappa a la Parguera, piccolo paesino sulla costa sud, con begli hotel e un porto turistico dove sono ormeggiati yacht e motoscafi di tutto rispetto. Niente spiaggia però: l’acqua arriva fin sotto le case. La baia è punteggiata di isolotti ricoperti di mangrovie che nascondono piccolissime spiagge raggiungibili solo con le barche. Nelle vicinanze c’è una delle tre baie di Puerto Rico dove minuscoli crostacei le fanno diventare fosforescenti durante la notte.
Arriviamo a Ponce, un po’ incasinata a causa di diversi cantieri stradali e anche perché la viabilità è indecente: tutte le vie sono a senso unico, quindi per raggiungere il nostro hotel dobbiamo affidarci alla stella polare. Il Belgica, trovato su internet e prenotato con un rapido scambio di e-mail al prezzo di 65,00 $ a notte, è proprio in centro a due passi dalla piazza principale; è un albergo molto antico, in stile spagnolo, con soffitti altissimi (almeno tre metri e mezzo), con grossi specchi dalle cornici barocche. Davanti a tanto splendore antico ci immaginavamo chissà quale camera da letto: restiamo senza parole quando scopriamo che la stanza è senza finestre. Mollati i bagagli, ripartiamo alla ricerca di sabbia da mettere sotto le schiene anche se sappiamo che, ironia della sorte, la costa sud di Puerto Rico, quella Caraibica, è più povera di spiagge rispetto a quella nord. Inoltre questa parte dell’isola è molto più secca, probabilmente le precipitazioni sono più scarse e di conseguenza la vegetazione è di tipo tropicale secco (ok per le palme, ma ci sono anche i cactus).
Comunque pare ci sia qualcosa di interessante a Playa Salinas, trenta chilometri ad est di Ponce, dove troviamo una spiaggetta minuscola tra le mangrovie, non più di dieci metri quadri (meno di un monolocale), quanto basta per beccarci un po’ di sole, visto che le nuvolacce all’orizzonte non promettono nulla di buono e scoraggiano ogni tentativo di ulteriore ricerca.
Facciamo appena in tempo a partire per rientrare a Ponce quando scoppia un violento acquazzone tropicale (per fortuna questa è la stagione secca). Non ci resta che dedicare le ultime ore della giornata allo shopping in centro a Ponce, anche se con grande delusione scopriamo che non c’è niente ma proprio niente di tipico e soprattutto nulla che sia “creato” a Puerto Rico (tutto made in Honduras, Cina, India, Guatemala ecc.). Tra gli scaffali dei negozi regna una strana atmosfera, qua si vende di tutto: le classiche magliette e le statue religiose, gli scudi dei pellerossa e le immagini di Bob Marley, le statue di Budda e Tutankamon. Un bel casino.
07/01/2008 – GUANICA Fortunatamente il temporale si è scolato ieri sera e oggi sembra una bella giornata. La meta di oggi è la zona di Guanica, sempre sulla costa sud, a circa 30 km ad ovest di Ponce. Ma prima di partire dovremmo fare un po’ di bucato dal momento che il bagaglio che ci siamo portati dall’Italia è come sempre ridotto al minimo indispensabile e un lavaggio è a questo punto necessario per ripristinare la disponibilità iniziale. Poi dovremmo comprare anche un po’ di frutta per la giornata. Apriamo una parentesi: premesso che i portoricani non sono grandi amanti di frutta (nonostante le potenzialità di questo territorio siano enormi) fino ad ora ci siamo sempre riforniti sulla strada dai venditori ambulanti che ci hanno venduto di tutto: ananas, banane, toronja (pompelmo), chironja (ibrido pompelmo-arancio), china (arancia), china mandarina (mandarino). Il tutto a prezzi al limite dell’incredibile: una spesa tipo di cinque sei banane, otto chironjas, qualche toronjas e magari qualche china non ha mai superato i 5 dollari…
Per i nostri doveri mattutini (bucato & scorta di frutta) ci affidiamo alla Lonely Planet, che ci indica con grande sicurezza una lavanderia nei pressi del nostro hotel e un meraviglioso mercato di frutta poco distante dalla piazza principale. Colpo di scena: la Lonely Planet cade rovinosamente su entrambe le indicazioni: la lavanderia non esiste e il mercato della frutta è chiuso, letteralmente “sbarrato”, da diversi anni. Abbandonati a noi stessi, ci arrangiamo e riusciamo comunque a trovare valide alternative. Morale: mai prendere per oro colato tutto quello che ci propinano queste belle e costose guide di viaggio.
Quindi trasferta piuttosto breve in auto ed arriviamo a Guanica, una delle zone più secche di tutta l’isola, dove i cactus arrivano anche in prossimità del mare (non mancano comunque le palme). Qui si trova anche il Bosque Estatal de Guanica dove si possono fare escursioni a piedi tra i cactus, ma noi una volta arrivati alla Bahia de Guanica, una bella e larga insenatura di mare blu, prendiamo la carretera 333 fino a Bahia de la Ballena, che ci offre una spiaggia di sabbia bianca lunga diversi chilometri, costeggiata da palme ad alto fusto, praticamente deserta, selvaggia al punto che nessuno ne fa la manutenzione e il mare deposita quel che vuole. L’acqua è color turchese e piuttosto agitata (ci sono cartelli ovunque che mettono in guardia sulle risacche e le correnti) ed è chiaramente un punto di ritrovo per i surfisti.
Dopo una sosta di alcune ore, ripercorriamo la Bahia de Guanica a ritroso e passiamo dalla parte opposta, dove nei pressi di Punta Jorobado, c’è un piccolo paesino con la sua spiaggia bianca, Playa Santa (stesso nome di quella vicina a Boqueron). Peccato che un paio di ecomostri sulla spiaggia rovinino il paesaggio, anche se il posto è tutt’altro che da buttare (sabbia bianca, mare turchese tranquillissimo, adatto ai bambini). La spiaggia è attrezzata con piccoli bar che scandiscono la giornata a ritmo di salsa e bachata, mentre i venditori ambulanti di gelato fanno affari d’oro con avventori extra large che non sono mai sazi.
Per i portoricani le spiagge non sono tanto dei luoghi dove prendere il sole o fare il bagno, quanto dei ristoranti a cielo aperto: arrivano con grossi frigo portatili pieni di ogni bendiddio e mangiano, mangiano, mangiano.
Quando il contenitore è ormai tristemente vuoto, la festa (o meglio “la fiesta”) è finita, raccolgono i resti, rimettono in ordine tutto e vanno a casa.
In serata facciamo due passi in centro a Ponce che è la classica città ispano-americana: tutto ruota attorno alla piazza centrale, rigorosamente di pianta quadrata: la chiesa con la facciata a doppio campanile, il municipio, i ristoranti, le banche principali. Molto curioso è il Parque de Bombas, anche lui nella piazza centrale, un edificio di legno a strisce rosse e nere che ospita un piccolo museo dedicato ai pompieri.
L’abbondanza di addobbi natalizi luminosi, i presepi e i numerosi “babbonatale” mentre noi ci aggiriamo in maglietta e infradito, ci fanno respirare un’aria piuttosto insolita.
08/01/2008 – PLAYA HUMACAO, FAJARDO, PLAYA SEVEN SEAS Ultimo risveglio a Ponce. Come abbiamo già detto, la nostra stanza non ha le finestre quindi non potendo guardare fuori non ci rendiamo conto di che ore sono e dobbiamo caricare la sveglia per evitare di poltrire più del solito. Ennesima giornata di spostamento, ci attende l’ultima delle sistemazioni del nostro viaggio, il Ceiba Country Inn dalle parti di Fajardo, sulla costa nord est.
Quindi autostrada fino a Caguas, al centro dell’isola e dopo due giorni di vegetazione tropicale secca ritroviamo il piacere della foresta verde, dato che l’autostrada è costeggiata da alberi e flamboyanes (sono alberi piuttosto alti con fiori di colore rosso vivo veramente molto belli a forma di campana, molto diffusi in tutto il paese). Giunti a Caguas siamo praticamente alle porte di San Juan (che si trova poco più a nord), ma deviamo verso la costa est e raggiungiamo Palmas del Mar. Nel nostro immaginario (e dalle illustrazioni che abbiamo visto) ci aspettiamo lunghe spiagge bianche, liberissime come quelle che abbiamo trovato fino ad ora. In realtà si tratta di una località bellissima, ma esclusiva, piena di ville sul mare, hotel e residence di lusso, campi da golf e giardini curatissimi ecc. Per entrare, almeno per dare un’occhiata a tanto sfarzo, ci consegnano un pass per visitatori (e già ci sentiamo alquanto a disagio). Ci aggiriamo per una buona mezz’ora con la nostra macchinina proletaria in mezzo a tutta questa magnificenza, senza però riuscire a trovare un accesso libero alla spiaggia, che sarà senz’altro favolosa, ma che non riusciamo neanche a vedere. Era da immaginarselo, la sabbia è ad uso esclusivo degli ospiti e dei residenti.
Con sollievo riconsegniamo il nostro pass e ci dirigiamo altrove, verso mete più plebee, ma quantomeno abbordabili come Playa de Humacao.
Qua non abbiamo tanti problemi: la spiaggia è selvaggiamente libera, deserta e chiaramente non curata (ma non ce ne può fregare di meno), il mare è sul mosso andante e non invita al bagno, ma un’ora di sole qua non ce la leva nessuno. Trovare il Ceiba Country Inn non è stato facile, abbiamo anche sbagliato percorso un paio di volte, ma alla fine tutti sarebbero capaci di fermarsi nel primo motel sulla strada. Volevamo qualcosa di particolare e alla fine lo abbiamo proprio trovato. “LA PACIENCIA ES LA MAS HEROICAS DE LAS VIRTUDES”, dicono da queste parti e alla fine lo abbiamo scovato in mezzo alla giungla, ad una quindicina di chilometri dall’ultimo centro abitato, piazzato alle pendici del Yunque, la foresta tropicale che andremo a vedere domani.
L’ultimo sforzo è la salita finale che abbandona la strada principale e sale fino al motel: è talmente ripida che dentro alla nostra Suzuki sembra di essere sullo shuttle.
Piccolo, poche stanze, gestito da americani, lo abbiamo trovato grazie a Expedia (e a questo punto ci corre un brivido lungo la schiena perché non vorremmo trovare la sorpresa di Boqueron, dove eravamo rimasti praticamente a piedi). Sbarchiamo e la signorina ci guarda in faccia e ci chiama per nome: buon segno, almeno stavolta Expedia ha fatto il suo lavoro (a proposito, in questo caso Expedia ha fatto solo la prenotazione, il pagamento è affar nostro in loco). La camera è molto più che dignitosa: due letti queen size, frigo, bel bagno ma, per la prima volta in assoluto, senza tv. Poco male, ci renderemo conto ben presto di quanto sarà superflua e che qui lo spettacolo è ben altro. Dal balcone c’è una favolosa veduta sulla foresta circostante e sul mare in lontananza, tutto per 85,00 $ a notte (ne trascorreremo qui tre).
Alleggerita l’auto ci precipitiamo a Playa Seven Seas, una delle più famose della zona, nelle vicinanze di Fajardo, proprio sulla Cabeza San Juan. Lunga, ad arco, una sottile striscia (comunque sempre di alcuni metri) di sabbia dorata, palme e vegetazione tropicale alle spalle e naturalmente mare azzurro e limpido.
Ce la vaschiamo tutta a piedi fino in fondo “dopo la curva”, è la che vogliamo andare perché l’acqua sembra ancora più bella e senza alghe. Risultato: un bel chilometro e passa di marcia sulla sabbia. Come nella maggior parte dei casi, anche questo posto è praticamente deserto.
L’unica nota stonata è quella dei mosquitos, che verso sera vengono a rompere. Svolazzano a gruppi di centinaia, sembrano delle nuvole di polvere e sono talmente piccoli che pensi “cosa mai potranno fare di così terribile questi poveri animaletti indifesi…” E invece sono bastardi dentro: quando li vedi è già troppo tardi perché ti hanno già succhiato; il morso è indolore (e infatti subito non ci si accorge di niente) ma più tardi ti ritrovi coperto di bubboni rossi che danno un prurito bestiale per diversi giorni.
Comunque basterebbe un prodotto come l’Off o l’Autan, ma non ci avevamo pensato.
Serata sulla terrazza del nostro Ceiba Country Inn a grattarci (vedi sopra) e ad ascoltare il concerto delle voci della foresta, uno spettacolo unico.
09/01/2008 – EL YUNQUE, PLAYA MONSERRATE LUQUILLO La giornata di oggi viene dedicata ad uno dei “must” del nostro viaggio: la foresta pluviale di El Yunque. Siccome la foresta fa parte dei parchi americani, abbiamo avuto la brillante idea di portare con noi il National Park Pass che abbiamo acquistato l’estate scorsa negli States e che vale per un intero anno.
La mostriamo al ranger all’ingresso e… porte aperte, gratis, praticamente ci stavano aspettando.
Cominciamo con il Visitor Center, dove si raccolgono le prime info. La foresta tropicale si trova in territorio montuoso e naturalmente è spaventosamente verde. Il percorso si snoda lungo un’unica strada (la 191), tutta a curve, e ci sono diversi punti che sono comodamente raggiungibili facendo solo pochi passi dopo aver parcheggiato l’auto. Uno di questi è la Catarata la Coca, che con i suoi 30 metri è la più alta del parco. Poco più avanti troviamo la torre Yokahu, sulla quale si può salire per avere una grande veduta sul parco, allungando lo sguardo fino a Luquillo e alle isolette ad est (Icacos ecc.). Gran colpo di fortuna perché oggi non piove (di solito qui succede quasi tutti i giorni). E’ intanto arrivata l’ora della passeggiata: abbandonata l’auto in un parcheggio scendiamo lungo il sentiero in mezzo alla foresta e non ci sono parole per descriverla, bisognerebbe scrivere un libro intero. Dopo circa un chilometro immersi nel verde senza vedere il cielo, la giungla si apre e un raggio di sole illumina la Catarata de la Mina, una cascata circondata dalle piante e dai fiori che termina in un laghetto azzurro dove la gente può fare il bagno. Solo nei documentari del National Geographic si vedono certe cose.
Dopo l’intera mattinata di full immersion a El Yunque pensiamo di esserci meritati il pomeriggio in spiaggia. La scelta cade sul Balneario Monserrate di Luquillo che è a portata di mano, visto che si trova poco distante dall’uscita del parco. Quindi, senza troppo sbattimento, eccoci comodamente sdraiati sulla sabbia bianca di una delle più belle e lunghe spiagge di tutto Puerto Rico.
Il ritorno al Ceiba Country Inn ci riserva una gradita sorpresa: l’allegra famigliola di americani, che stazionava nella stanza di fianco alla nostra, se n’è andata. Non che siamo razzisti, ma quegli sfigati hanno lasciato acceso il condizionatore per tutta la notte scorsa (conoscendo gli americani, sarà stato regolato sui 17 gradi) e adesso probabilmente hanno portato le bambine all’ospedale con un principio di assideramento.
Punto primo: in questa stagione a non c’è assolutamente bisogno di condizionatore, il clima è semplicemente favoloso, noi non lo abbiamo mai acceso, né in camera né in auto.
Punto secondo: il rumoroso marchingegno ci ha coperto buona parte dei suoni della foresta.
Quindi siccome se ne sono andati a quel paese, stanotte la foresta e le rane coquì (un piccolo anfibio notturno che emette una nota acuta come una cantante lirica) canteranno solo per noi.
10/01/2008 – PLAYA DE PINONES, VACIA TALEGA, LUQUILLO Ultimo giorno di permanenza nella “Isla del Encanto”. Per completare il girotondo (come da programma giurato) oggi ci spingeremo lungo la costa nord fino all’estrema periferia est di San Juan.
Ormai la nostra fedele mappa della ITMB sta chiedendo aiuto, è lacerata in più punti ed in effetti è stata usata senza risparmio per tutto il viaggio.
Arriviamo fino al Bosque Estatal de Pinones, ai margini dell’aeroporto internazionale di San Juan, dove la spiaggia è lunga diversi chilometri e naturalmente bordata di palme. Facciamo una sosta per approfittare dell’ultimo sole caraibico anche perché all’orizzonte non c’è niente di buono, nuvoloni neri che portano jella.
All’estremità est della lunga Playa de Pinones troviamo Playa Vacia Talega, bella baia riparata con mare tranquillo per il bagno, ma facciamo solo una breve tappa perché vogliamo andare a fare un salto a Playa Coco, di cui abbiamo letto descrizioni più che lusinghiere.
Scopriamo però che si tratta di una “futura” località turistica, nel senso che qui è tutto in costruzione (grandi alberghi, campi da golf, spiagge esclusive e mare da favola) e sarà senz’altro un posto dove verranno a soggiornare i ricconi. Praticamente siamo stati gli ultimi straccioni a vedere questa zona in stato semi selvaggio.
Vorremmo arrivare al mare e per questo lasciamo l’auto e ci avventuriamo a piedi su un terreno paludoso (stanotte è piovuto di brutto), ma vista l’impraticabilità della pista siamo costretti a fare dietro front.
I nuvoloni neri che ci stanno inseguendo da stamattina hanno la meglio e scoppia un acquazzone tropicale come se ne vedono nei film: siamo obbligati a fermarci e ad accostare perché la pioggia è talmente fitta che non si vede più un tubo davanti a noi. E per fortuna questa è la cosiddetta “stagione secca”.
Per evitare di sputtanare completamente la giornata, non ci resta che fermarci al Balneario di Luquillo (quello di ieri) e sperare che esca il sole, che si fa vedere solo dopo più di un’ora. A conti fatti, l’ultimo giorno non è proprio stato baciato dalla fortuna.
Adesso dobbiamo riempire il serbatoio perché domani l’auto deve essere restituita gonfia di benzina, quindi a casa a preparare le borse, che si rivela un’operazione piuttosto rapida.
Infatti il nostro viaggio è stato talmente randagio che non abbiamo mai usufruito degli armadi, quindi i vestiti sono sempre rimasti nelle valige e ci limitavamo a sfilare quello che ci serviva di volta in volta. Quindi il nostro “preparare le valige” alla fine si traduce nel “chiuderne le cerniere”.
Dopo cena, ultimo concerto della foresta.
11/01/2008 – ADIOS, PUERTO RICO! Sveglia alle 5,00, un orario da veri minatori, carica dell’auto e partenza per l’aeroporto di San Juan, dopo una piccola sosta da Thrifty per la riconsegna del mezzo. Alle 9,30 abbiamo il volo della U.S. Airways per Philadelphia (mai fatto un volo tanto turbolento), quindi stop di quattro ore e poi l’ultima tratta per Milano Malpensa.
Dopo due settimane si ritorna alle nostre nebbie, ma ampiamente soddisfatti del nostro viaggio che, come tutti gli altri, abbiamo ideato dal nulla e costruito a quattro mani (e due teste!) in piena libertà ed autonomia, guidati solo dai nostri desideri.
Non vorremmo peccare di presunzione, ma a conti fatti possiamo dire di aver fatto un gran bel lavoro nel dare vita a questo nuovo “trip on the road”.
Durante uno dei nostri spostamenti portoricani abbiamo letto questa frase: “LOS SUENOS SON LAS SEMILLAS DE NUESTRAS REALIDADES” E infatti per noi ogni viaggio che riusciamo a creare è un sogno che si realizza. Alla prossima.
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