Le mille e una kasbah… Sotto la neve
Roma contro Milano: Alessia C., Giuliano, Francesca, Marco, Elisabetta, Gianluca L., Alessia G. E Gianluca M. Contro Andrea, Monica, Paolo e Nunzia, due squadre apparentemente squilibrate ma ben presto affiatate. Ci incontriamo e conosciamo a CASABLANCA, città moderna e alla moda dove palazzi bianchi in stile coloniale convivono con il traffico e la confusione di una capitale occidentale ma anche con la decadenza e la sporcizia di alcuni vicoli marocchini bui e abbandonati. Sul lungomare e per metà sull’acqua s’innalza l’unica cosa che vale la visita di Casablanca (evitando magari di raggiungerla a piedi dall’omonimo Hotel): l’enorme Moschea di Hassan II, tanto moderna e costosa quanto unica per la sua posizione e la sua maestosità. È bello girare per la città di notte e scoprire tra i palazzi il profilo illuminato del minareto più alto del mondo fino a che non si percepisce la brezza del mare e solo allora lo si raggiunge veramente. Dopo un’ottima cena sul porto al Restaurant du Port de Pech ed una notte nel discreto Hotel Casablanca siamo pronti alle 7e30 del mattino del 30 dicembre ad iniziare la nostra avventura. Nominiamo Monica, la “professoressa”, cassiera ufficiale del gruppo, conosciamo Mohamed, detto “Hamilton”, che ci guiderà per le strade del Marocco, prendiamo posto in quella che sarà la nostra seconda casa per i prossimi 7/8 giorni ma con un’assenza che si protrarrà per tutto il viaggio: lo zaino verde di Alessia e Gianluca, un bagaglio disperso che rincorreremo con perseveranza per ogni città ma senza successo. Lentamente, molto lentamente, a tratti un po’ troppo lentamente, ci lasciamo alle spalle il traffico, le Mercedes e le donne in tailleur e tacco alto della capitale per immergerci in un Marocco più suggestivo e affascinante fatto di carretti trainati da cavalli, asini che trasportano enormi pesi, mestieri autentici, uomini con le babbucce e donne rigorosamente con il velo… Siamo a MEKNES, la prima città imperiale da scoprire grazie all’aiuto di una guida deliziosa, Bouchra, che in poco tempo ci svela i segreti della città. Passiamo dall’imponente porta di Bab el-Mansour, difficile da immortalare senza qualche passante, agli immensi granai di Moulay Isma’il, simbolo della città; dalla Moschea e Medersa Bou Inania fino a tornare alla piazza el-Hedim, una piacevole anticipazione della più seducente piazza di Marrakech, con qualche artista di strada, un vivace mercato coperto, i primi souq che abbiamo soltanto il tempo di intravedere e l’assaggio di un primo kebab che ci introduce ai sapori intensi e speziati di questa terra. Immancabile anche la prima tappa per la caccia ai souvenir: in un souq “consigliato” ci propongono piatti, raffinati ricami fatti dalle suore, tappeti e tessuti. Sarà Alessia G. A rompere il ghiaccio con una contrattazione accurata per aggiudicarsi il primo tappeto. Lasciamo l’atmosfera rilassata di Meknes per raggiungere i mosaici e le rovine in pietra di VOLUBILIS, una città romana di 2000 anni fa, immersa in una pianura verde. Un sito indubbiamente interessante ma privo del fascino che si respira nelle medine, veri e propri musei a cielo aperto della vita marocchina di oggi e di ieri. Ai piedi del Medio Atlante facciamo una sosta prettamente fotografica per immortalare anche la città sacra di MOULAY IDRISS, così definita per le spoglie del santo che custodisce, e verso sera raggiungiamo FES, la più antica delle città imperiali. Impieghiamo solo un’ora per trovare l’albergo… Mohamed è completamente in tilt, attraversiamo la città nuova in lungo e in largo e alla fine l’Hotel Fes Inn ci appare come un miraggio, tra l’altro è anche molto carino, probabilmente uno dei più belli e confortevoli del nostro viaggio ma circondato da palazzi a dir poco bombardati. Anche la scelta del Ristorante Marrakech, messa democraticamente ai voti, si rivela azzeccata ed ha così inizio la nostra dieta magrebina a base di couscous, tajine, pastille e l’immancabile tè alla menta.
La mattina del 31 dicembre sotto una pioggiarellina sottile ci aspetta Loukili, una guida indispensabile per perderci, ma non irreparabilmente, nella parte vecchia di FES EL-BALI. La Medina della città imperiale è veramente labirintica, indescrivibile, misteriosamente attraente, ci immergiamo in un dedalo di viuzze, scorciatoie e piazzette; ci scontriamo con asini e carretti; attraversiamo mercati; facciamo la fila per comprare del pane caldo in un forno che spunta all’improvviso scendendo due scalini; incrociamo lo sguardo profondo di donne che scoprono solo gli occhi; sbirciamo da lontano uomini che si inginocchiano al richiamo ammaliante del muezzin; ci abbandoniamo ai mille profumi delle farmacie di un tempo; ci incantiamo davanti all’abilità dei ceramisti di Fes e rimaniamo senza parole dinanzi allo spettacolo medioevale delle concerie. Nel distretto del cuoio dove il tempo sembra non essere passato, un odore insopportabile di escrementi animali anticipa la vista delle vasche colorate; è un luogo brutale, selvaggio; uomini scalzi immersi nelle vasche di tintura lavorano le pelli oltre i limiti dell’umana concezione; escrementi di piccione, urina di mucca, oli di pesce sono solo alcuni degli ingredienti “esotici” usati per trattare il cuoio, mentre chi lavora nelle vasche bianche di calce viva ricorda un infernale girone dantesco. Il fascino di questa arte antica mi rapisce e dimentico anche di tenere le foglie di menta sotto il naso, non posso fare a meno di guardare e riguardare… Continua a piovere e per mangiare qualcosa decidiamo di tornare nella parte nuova della città, assaggiamo delle brochette di agnello e compriamo l’unica cosa alcolica che troviamo in un paese mussulmano, birra, in fin dei conti questa è la sera di Capodanno e noi dobbiamo pur festeggiare… ma ci aspettano ancora parecchi chilometri! Ripartiamo da Fes diretti verso le catene montuose del MEDIO ATLANTE e si comincia a salire. Scende il freddo, inizia a nevicare, attraversiamo foreste di cedri, incontriamo sulla strada le scimmie bertucce, facciamo una sosta nella città in stile alpino di IFRANE, ci prendiamo un tè caldo e per un attimo stentiamo a credere di essere ancora in Marocco. L’ambiente circostante è unico, la situazione è surreale, le interminabili ore di viaggio diventano il modo migliore per iniziare a conoscerci e solo con il buio arriviamo alle GOLE DI ZIZ. Ci troviamo in un posto sperduto, tra i monti, ai confini del mondo; ci sistemiamo nella Casbah Hotel Jurassique des Georges de Ziz e ci siamo solo noi, gli albergatori berberi e una coppia di francesi. Le stanze sono a dir poco spartane, o si attacca la spina per avere un filo d’acqua calda o si accende la stufa, le due cose contemporaneamente non sono previste. Nella sala principale c’è il camino ma anche qui bisogna scegliere tra morire di fumo ma stare al calduccio oppure respirare un po’ ma morire di freddo con le finestre aperte… A prima vista potrebbe sembrare tutto un incubo ed invece la serata assume un fascino incredibile. Ci servono un cenone berbero a base di polpette, tajina e verdure, aspettiamo la mezzanotte suonando bonghi e jambe e brindiamo al nuovo anno con lo champagne gentilmente offerto dalla coppia francese in cambio di una fetta di panettone, un bicchiere di vin santo fatto in casa e dei cantucci toscani, tutto rigorosamente portato dall’Italia. A mezzanotte e mezza siamo tutti a letto sotto una coltre di coperte.
Il 1 gennaio 2009 ci svegliamo con il sole e dalle Gole di Ziz ripartiamo per esplorare i dintorni in compagnia di un nuovo amico, Brahim, che ci guida tra le montagne alla scoperta di panorami mozzafiato nel territorio di ER-RACHIDIA. Ci fermiamo a visitare una vecchia kasbah abbandonata color ocra, tra gli sguardi curiosi e scintillanti di alcuni bambini; mentre Brahim ci racconta la storia di questo posto, è affascinante immaginare come si svolgeva la vita tra quelle mura ma dobbiamo riprendere il pulmino e continuare il nostro viaggio, ora si riscende di altezza fino ad arrivare in un altro luogo del tutto inaspettato, un’oasi meravigliosa, SOURCE BLEUE MESKI. Sotto un sole caldo ci addentriamo alla ricerca della sorgente, oltrepassiamo il fiume attraverso dei tronchi, passeggiamo tra i campi coltivati, ci arrampichiamo su una collina per goderci dall’alto lo spettacolo dell’oasi, infine riusciamo anche a catturare un incantevole stralcio di vita quotidiana: lungo il piccolo corso d’acqua trasparente, nascoste tra le palme, alcune donne lavano i panni, puliscono i tappeti, sciacquano il riso, ci guardano incuriosite ma perplesse, ci chiedono di non scattare foto, probabilmente si chiederanno cosa ci troviamo di così tanto straordinario nella loro semplice vita. Lasciata l’oasi, lungo la strada ci fermiamo in un mercato, un po’ per sbirciare, un po’ per fare la spesa: ci serve l’acqua, il pane, i mandarini (i più dolci che abbia mai mangiato) e dal momento che siamo lì nessuno di noi resiste a non fotografare i banchetti che vendono ogni sorta di mercanzia, dalla frutta alle spezie, dai prodotti per l’hammam alle ceste per gli asini, dalle noccioline ai pezzi di carne appesi fuori dalle botteghe, e ancora gli uomini che oziano nei bar e le donne che scelgono la verdura da sotto il velo nero. Su consiglio di Brahim pranziamo con una pizza rustica farcita con i sapori tipici marocchini, comprata per strada e mangiata in un caffé di Aufussen. Dopo il pranzo e l’ennesimo tè alla menta della giornata ripartiamo: abbandoniamo le montagne, ci lasciamo alle spalle lussureggianti vallate, oltrepassiamo la cittadina di RISSANI e ci addentriamo in un paesaggio ancora diverso, più torrido, fatto di pietre rosse e sabbia fino a raggiungere il minuscolo villaggio di MERZOUGA ai confini con l’Algeria. In un hotel d’appoggio lasciamo i nostri bagagli, prendiamo lo stretto indispensabile, il sacco a pelo e a dorso dei dromedari ci addentriamo nell’ERG CHEBBI ovvero un’enorme distesa di dune di sabbia colore albicocca. Ci vogliono circa due ore di dromedario per raggiungere il villaggio berbero dove passeremo la notte nel bel mezzo del deserto, ma la camminata è un’esperienza magica: tra i versi dei dromedari, il colore azzurro del cielo che mano a mano si scurisce, le tinte cangianti delle dune al tramonto e il silenzio che ci avvolge, la nostra vita quotidiana sembra lontana anni luce. Le dune sembrano tutte uguali e tutte diverse, sembra impossibile che il ragazzo che è in testa alla fila dei dromedari sappia veramente orientarsi, e quando tutto ormai sembra suggerire che ci siamo persi, ecco, svoltata una duna, apparire all’orizzonte alcune tende berbere. Scendiamo felici dai cammelli del deserto, ci sistemiamo, ci riprendiamo con l’ottavo tè alla menta della giornata e ci godiamo gli ultimi stralci di un romantico tramonto dall’alto della nostra duna. In un posto così è inevitabile ma altrettanto affascinante che saltino tutti gli orari e le abitudini: alle sei e mezza probabilmente ceniamo (cena rigorosamente berbera) e poco dopo siamo tutti intorno al fuoco, sotto un mare di stelle e una luna sottile, a goderci un concertino di musica berbera e ad offrire grappa italiana per scaldarci in cambio di qualche lezione di jambe. Non oltre le nove siamo già tutti a nanna, chiusi nei nostri sacchi a pelo, sotto una tenda berbera fatta di coperte di lana, l’unica cosa che ci separa dalle stelle. Il mattino dopo alle sette siamo già tutti fuori delle tende per non perderci lo spettacolo dell’alba, il sole spunta rapidamente alle 7e10 da dietro una duna e riaccende i colori di questo piccolo e incantevole pezzetto di Sahara, un luogo che ormai ci portiamo dentro. Non tutto però è così fantastico come sembra, dopo il primo tè caldo della giornata ci attende il ritorno: altre due ore di dromedario per tornare a MERZOUGA, doccia veloce e colazione nell’albergo d’appoggio e siamo pronti per ripartire, con un compagno che si porterà dietro per alcuni giorni i segni indelebili della lunga cammellata. Ci fermiamo a EL KHAMLIA per assistere ad uno spettacolo di musica Gnaoua accompagnato da un immancabile tè alla menta, visitiamo una vecchia kasbah in parte ancora abitata, ripassiamo per RISSANI, facciamo del nostro meglio in una bottega di artigianato tra tappeti berberi e porte di legno e così lentamente ci lasciamo alle spalle il deserto e riprendiamo a salire. Ci arrampichiamo sulle sommità dell’ALTO ATLANTE, il paesaggio cambia nuovamente, ci facciamo largo in una terra arida e lunare, incontriamo villaggetti incastonati nelle montagne che si mimetizzano con il colore della terra, case fatte di marzapane che sembrano essersi sciolte con il passare degli anni, uomini seduti lungo la strada che osservano lo scorrere del tempo, paesini illuminati come presepi, bambini sui muli che trasportano fasci d’erba o di legna, donne che distendono i panni sul prato ad asciugare… insomma un susseguirsi di immagini d’altri tempi che ci accompagnano fino alla GOLA DEL DADES. Siamo a 1600 metri e fra due montagne è incastonato il nostro hotel, Kasbah de la Vallèe, un alberghetto di montagna, ricoperto di maioliche marocchine ma freddo da morire. Dopo una cena un po’ triste, a base di zuppa, couscous e pollo, e dopo due chiacchiere intorno ad una stufa a carbone, ce ne andiamo a dormire sotto le solite 8 coperte e questa volta anche con la borsa dell’acqua calda.
Solo la mattina dopo con la luce del sole ci rendiamo veramente conto dello spettacolo che ci circonda, ci troviamo nel bel mezzo di un crepaccio a pochi metri da un corso d’acqua che scende dalla montagna. A causa di una gomma bucata del nostro pulmino ci incamminiamo a piedi verso la cima per goderci il paesaggio, nonostante soffi un vento gelido, ma per fortuna non dobbiamo attendere molto, Mohamed, risolto il problema, ci recupera lungo la strada e senza troppi indugi si riparte. Anche oggi ci aspettano parecchi chilometri per poter valicare l’ALTO ATLANDE fino a raggiungere Marrakech. Durante la mattina ci fermiamo per una pausa tè/caffé nella VALLEE DES ROSES, la strada prosegue con un susseguirsi di sali e scendi, dove lussureggianti palmeti si alternano a distese aride e desertiche. In seguito facciamo una sosta veloce nella tranquilla OUARZAZATE famosa per la sua enorme kasbah e i suoi immensi studi cinematografici ma ormai siamo tutti molto impazienti di arrivare a casa di Mohamed che ci ha gentilmente invitato a pranzo, un vero onore per noi. Ad accoglierci c’è una delle sue figlie che s’illumina alla vista del papà; entriamo, ci togliamo le scarpe, come vuole la buona educazione marocchina e ci sediamo attorno ad un tavolo basso. Ogni tanto i suoi figli fanno capolino nella stanza ma solo Mohamed mangia insieme a noi, mentre la moglie non si presenta. È proprio lui a servirci, iniziamo con del tè alla menta e dolcetti fatti in casa, che prendiamo rigorosamente con la mano destra nel rispetto della fede mussulmana, poi ci serve un delizioso couscous berbero presentato in un gran bel piatto che mette al centro della tavola. Un ringraziamento, un sorriso, un dono per i figli (avevamo per fortuna dei cioccolatini) e riprendiamo il nostro viaggio. Facciamo una sosta veloce da un farmacista amico di Mohamed, giusto il tempo per comprarci un rimedio ad ogni sorta di malanno, e una fermata ancora più veloce ad AIT BEN HADDOU, appena il tempo per immortalare il set cinematografico a cielo aperto del film “Il Gladiatore”, e poi si riprende a salire, non possiamo rischiare di arrivare al passo di COL DU TICHKA dopo il tramonto. Passiamo tra colline vellutate, gole profonde e cime innevate, ed eccoci in perfetto orario a 2260 metri oltrepassare l’ALTO ATLANTE. Anche a questa altezza e con questo freddo troviamo il tempo chi per un tè, chi per un caffé, chi addirittura per una spremuta di arancia. Ora non resta che riscendere dall’altra parte della montagna, ma non facciamo in tempo a rilassarci un attimo che all’improvviso, in pieno stile “Avventure”, ci avvolge una nebbia fitta, talmente fitta da non vedere più niente; la strada per lo più sprovvista di guard rail sembra sparire nel nulla, l’unica cosa che riusciamo a vedere, fin troppo chiaramente, è un camion capovolto che occupa quasi interamente la carreggiata, ma è bravo Mohamed a passare in uno spazio strettissimo sull’orlo del burrone. Tiriamo un sospiro di sollievo e per cena siamo a MARRAKECH. Purtroppo non abbiamo un riad nella Medina ma un albergo un po’ decadente vicino a piazza Djemaa el Fna, Hotel de Foucauld, dove rischiamo anche di non avere tutte le stanze. Ceniamo in albergo e poi via ad immergerci nella celebre piazza, cuore pulsante della città, per concludere la giornata sulla terrazza di un caffé.
La mattina del 4 gennaio siamo pronti e riposati per dedicarci alla città più seducente del Marocco, per perderci tra i suoi souq, per assaporarne l’energia e la vitalità… Marrakech è il traffico e il via vai intorno alla Moschea Koutoubia che domina con il minareto l’intera città ma è anche la pace e il silenzio della Medersa di Ali ben Youssef, nascosta tra i vicoli della Medina; è l’atmosfera rilassata del Palazzo Reale el Badi abitato ormai solo dalle cicogne ma è anche l’inferno inenarrabile delle concerie; Marrakech è il mistero e l’oscurità del mercato berbero della seta intrappolato tra i souq ma è al tempo stesso la vivacità e la cordialità del mercato che ha luogo alla luce del sole nella piazza delle Spezie. Ma Marrakech è soprattutto Djemaa el Fna, l’anima di questa città, un luogo pieno di mistero che incanta chi l’osserva, che prende forma con il passare delle ore, che si trasforma dall’alba al tramonto, che accoglie incantatori di serpenti e giocolieri, scimmie al guinzaglio e venditori di erbe, cantastorie e mendicanti, chioschi che cucinano e che spremono arance, mercanti di cianfrusaglie e antichi venditori d’acqua, cartomanti e artiste dell’henne. Certo, alcune di queste attività sono prettamente turistiche ma altri sono mestieri ancora autentici. Insomma questa è Marrakech con tutte le sue tradizioni e le sue affascinanti contraddizioni. Nel tardo pomeriggio, per riprenderci dalle tante emozioni ci regaliamo l’esperienza di un hammam tradizionale, all’interno della Medina, uomini e donne divisi, l’Hammam Ziani. Un luogo promiscuo ed accogliente dove ci rilassiamo tra i vapori e ci lasciamo coccolare dalle braccia robuste delle donne marocchine. Un’esperienza da non perdere che è parte integrante del viaggio. Rilassati e quasi intorpiditi ceniamo ai chioschi della piazza, tra il fumo e gli odori di Djemaa el Fna. Riprendiamo a camminare quando due ragazzi del gruppo, Giuliano e Gianluca L., per nulla competitivi, si sfidano all’improbabile gioco del “centra la bottiglia con la canna da pesca”: due tecniche diverse, due distinte forme di spettacolo… e quando la sfida ormai sembra attestarsi su un inevitabile pareggio, ecco che Giuliano sferza il colpo vincente e si aggiudica di misura il trofeo Coca Cola. Naturalmente le foto di rito e i festeggiamenti proseguono per tutta la notte.
Il giorno dopo decidiamo di andare ad esplorare in taxi il quartiere nuovo di MARRAKECH, Guelix, alla ricerca di qualche negozietto più ricercato ed originale ma raggiunto il nostro obiettivo torniamo a perderci tra i souq. Ci abbandoniamo agli ultimi acquisti, torniamo nella piazzetta delle lanterne, ci mangiamo un kebab al volo e nel primo pomeriggio ripartiamo con Mohamed alla volta di CASABLANCA, con un obiettivo ben preciso tornare a mangiare al ristorante dell’andata, Restaurant du Port de Pech. È la cena conclusiva del nostro viaggio, dopo 1700 km è arrivato il momento dei bilanci, dei commenti, delle top 3 e di tanto altro. Chiudiamo la cassa, controlliamo il rendiconto conclusivo (230€ ciascuno di cassa comune), firmiamo il libricino e… jalla, jalla verso un nuovo anno! Unica nota dolente il viaggio di ritorno ma solo per alcuni di noi che avevamo lo scalo a Malpensa. Una vergognosa Royal Air Maroc ci ha fatto partire con dodici ore di ritardo e con due diversi aerei, uno per Milano e uno per Torino, dopo esserci presi a spintoni perché tutti volevamo salire su quello per Milano. Solo il destino ha voluto che noi 4 ragazzi di Roma, sull’aereo diretto a Torino, benedicessimo il maltempo e la neve del nord Italia che ha fatto dirottare improvvisamente il nostro volo su Roma Fiumicino. Tutto bene quel che finisce bene!
di Alessia Carboni