Le Hawaii senza un mutuo
LE HAWAII SENZA UN MUTUO Organizzare un viaggio fai-da-te alle Hawaii si è rivelato particolarmente difficile, molto più di altre vacanze avventurose degli anni passati (vedi Belize ad esempio): i problemi questa volta non erano sulla reperibilità delle sistemazioni (solo a Waikiki Beach ci sono più di trentacinquemila camere d’albergo!), ma sul tentare di mantenere basse le spese; le Hawaii sulle prime non si presentano come una meta propriamente economica.
Come fare allora? Convincere il direttore della vostra banca che finanziare il viaggio sia un ottimo affare? Non necessariamente, spero di potervi dare dei consigli utili, frutto di ore di ricerche in Internet, interviste ad amici e soprattutto di esperienze personali.
Dormire e mangiare —————— Il primo shock che riceve chi inizia ad organizzare un viaggio alle Hawaii, è il prezzo degli hotel: il più pulcioso albergo con bagni in comune, sembra abbia comunque il prezzo di un cinque stelle italiano. In realtà i prezzi variano molto e, sarà a causa del libero mercato americano, non seguono necessariamente la regola “più è bello/più costa”, bisogna solamente avere moooolta pazienza e cercare. Una soluzione interessante è l’appartamento, il cui prezzo si è rivelato poi molto inferiore a quello che hanno speso vari conoscenti nelle località turistiche italiane: tenete presente che gli appartamenti seguono lo standard delle aspettative americane, dunque sono superaccessoriati, come minimo vi troverete forno a microonde, stereo, televisione via cavo, lettore DVD, aria condizionata, lavastoviglie, l’immancabile onnipresente barbecue e un frigorifero le cui dimensioni farebbero felice qualsiasi serial killer feticista. Inoltre, considerando il prezzo medio di una cena hawaiana al ristorante, comprarsi per pochi dollari una mega-bistecca al supermarket, scottarla appena sul sopraccitato barbecue e gustarsela comodamente seduti sul vostro Lanai (terrazzo), è una conveniente e ghiotta alternativa! Escursioni ———- Il secondo shock organizzativo che riceverete, è il costo delle escursioni. Non fatevi però prendere dallo sconforto, dovete rivedere il tutto sotto una luce diversa: nella cultura americana, se c’è qualcosa con un minimo di interesse turistico, due sono le cose che bisogna immediatamente fare, primo metterlo su una T-shirt e secondo creare un tour operator che si occupi di portarci i turisti. Quello che voglio dirvi è che la maggior parte delle escursioni non necessitano in realtà di organizzazioni esterne, possono essere tranquillamente effettuate autonomamente, soprattutto considerando l’alto livello delle strutture turistiche: non stupitevi per esempio se dopo due ore che avanzate a colpi di machete nella giungla, dopo aver collezionato sulla vostra faccia decine di ragnatele, dopo aver sterminato legioni di zanzare, quando mai ve lo aspettereste, vi trovate davanti dei servizi igenici puliti.
Immersioni ———- Un altro colpo basso che riceverete se siete appassionati di subacquea, è il prezzo delle immersioni; se nelle vostre vacanze il mondo sottomarino ha un ruolo importante, potreste essere addirittura tentati di rinunciare e cambiare meta. Posso tranquillizzarvi immediatamente, anzi vi dirò che le Hawaii sono tra i posti meno cari al mondo per praticare attività subacquee. Come è possibile? Dove sta il trucco? He he, quasi quasi non ve lo dico… Va beh dai, il trucco è che come per le escursioni, non avete nessuna necessità di appoggiarvi ad un diving. Sì avete capito bene, moltissime sono le immersioni da terra e tutti i dive shop saranno lieti di noleggiarvi l’attrezzatura e darvi tutti i migliori consigli su dove e come andare a farvi le immersioni da soli. Il Maui Dive Shop ad esempio, pubblica periodicamente una guida aggiornata su tutte le più belle immersioni di Maui e se andate sul loro sito Internet (www.Mauidiveshop.Com), potete addirittura richiedere che ve la spediscano gratuitamente a casa. Un’altra guida che vi consiglio è “Diving & Snorkeling Hawaii” della Lonely Planet, che contiene tutte le informazioni di cui avete bisogno per pianificare le vostre immersioni sulle principali isole hawaiane.
Trasporti ——— Per quanto riguarda i trasporti, all’interno delle isole avrete assolutamente bisogno di una macchina a noleggio, ci sarà solo l’imbarazzo della scelta sull’agenzia a cui appoggiarvi; in questo caso i prezzi invece sono molto buoni, per avere un ulteriore sconto vi consiglio di prenotare sul luogo (non dall’Italia!), non importa quanto in anticipo, anche un minuto prima: noi per esempio, da un telefono pubblico davanti all’agenzia dell’autonoleggio, abbiamo telefonato per prenotare la macchina, abbiamo riagganciato la cornetta e siamo entrati a ritirare l’automobile appena prenotata.
Per quanto riguarda invece i collegamenti fra le isole, la maniera più pratica sono le compagnie aeree locali (Aloha, Hawaian, Island Air, ecc…); i prezzi migliori si ottengono comprando il biglietto via Internet (potete farlo anche sul luogo), ottenendo così un prezzo anche del 50% più basso di quello che avreste ottenuto allo sportello dell’aeroporto.
Un ultimo consiglio, a partire dal vostro arrivo all’aeroporto verrete costantemente circondati da mappe, riviste e guide gratuite, che in realtà per il 99% contengono solo annunci commerciali di ristoranti, escursioni ed attività turistiche in generale; se non state attenti e vi fate prendere da un insano collezionismo pubblicitario, vi troverete in poche ore ad avere un tale quantitativo di carta, che probabilmente avrete contribuito al disboscamento di un metro quadro di foresta amazzonica. L’unica cosa utile che contengono questi opuscoli, sono i coupon delle ultime pagine: gli americani infatti sono stranamente poco inclini alla trattativa commerciale, hanno però questa cultura del buono sconto, vi troverete magari che il negoziante vi nega uno sconto di pochi centesimi, ma se gli presentate un coupon vi regala una maglietta oppure trovate ristoranti che vi offrono una cena per due persone al prezzo di una. Mah, sono strani! MAUI, L’ISOLA PIU’ BELLA?! Non essendo le Hawaii una meta tipica del turismo italiano, i consigli che ho ricevuto, mi sono stati dati principalmente da conoscenti americani, dunque con gusti differenti da quelli tipici europei. Dovendo scegliere quali isole visitare, tutti quanti concordavano che Maui è in assoluto l’isola più bella. Quello che vi dico io è che è la più turistica e la più cara, in definitiva quella che ci è piaciuta di meno. Intendiamoci, quando dico che ci è piaciuta di meno, la sto solamente comparando con le altre, non sto dicendo che è un cesso, resta comunque un paradiso in terra.
La parte più bella è in assoluto la strada panoramica che va da Kahului ad Hana, qualcosa come 600 curve e 54 ponti; se come me adorate i paesaggi esotici, ogni curva vi lascerà intravedere un capolavoro di composizione floreale ed ogni ponte con la sua relativa cascata vi farà voglia di fermarvi e fare una foto; se invece come Claudia soffrite di mal d’auto, questo sarà il peggior giorno della vostra vita; se infine come Sherry siete Americani (per voi dunque la velocità di 60 Km/h è concepibile solo sulle highway a 8 corsie) e quel giorno vi trovate disgraziatamente ad avere un Italiano che guida la macchina, allora avrete gli incubi per i successivi tre giorni.
Per alloggiare mi permetto di consigliarvi il Kihei Kai Nani (www.Kiheikainani.Com), per un ottimo prezzo (me ne stupisco ancora oggi) potrete affittare uno spazioso appartamento dotato di tutti i comfort (pure le tavole da surf!).
Le immersioni ————- L’immersione più famosa è quella di Molokini (vedi foto), è ritenuta l’immersione numero uno degli Stati Uniti: si tratta di un cratere vulcanico parzialmente sommerso dal mare al cui interno sguazzano così tante specie endemiche da poter riempire un’enciclopedia di biologia marina. Mentre voi vi concentrate ad osservare mante e squali, le guide invece sono abilissime ad avvistare minuscoli e variopinti esseri bentonici.
Un’altra immersione che vale sicuramente la pena di citare è il relitto St. Anthony, non tanto per il relitto in sé (si tratta solo di un piccolo peschereccio), quanto per il fatto che è la dimora stabile di numerose tartarughe giganti, è il posto in assoluto dove fino ad oggi ne ho viste di più tutte assieme. Queste se ne stanno in panciolle, ignorando del tutto i subacquei che le osservano da vicino; ogni tanto abbandonano le loro “poltrone” per andare in superficie a prendere aria e se voi gli fregate il posto, queste quando tornano giù, prima iniziano a girarvi attorno un po’ scocciate e poi vi cacciano a musate senza fare troppi complimenti.
Un altro punto raggiungibile in barca da Maui è l’isola privata di Lanai, famosa per l’immersione The Cathedrals, una serie di grotte laviche strette e alte (tipo cattedrale gotica), con passaggi incrociati a più livelli. THE BIG ISLAND, MA COSA CI ANDATE A FARE? L’isola di Hawaii, detta anche Big Island, ha una superficie che è il doppio di tutte le altre isole messe assieme.
Tutti coloro a cui ho chiesto un’opinione, concordavano sul fatto che era quella che offriva meno strutture, la più desertica, la più brutta, cosa diavolo ci andavo a fare, ecc… Avrete probabilmente già capito che è stata quella che mi è piaciuta di più! Tante sarebbero le cose di cui scrivere, potrei parlarvi della natura tropicale lussureggiante alle Akaka Falls (vedi foto) sul lato sopravento dell’isola, delle cavalcate alle cascate vertiginose della Waipio Valley, delle pareti a strapiombo sul mare della Pololu Valley, dei templi di Puuhonua Honaunau, ma vi parlerò solamente della cosa più caratteristica e unica, il Kilauea, il vulcano più attivo al mondo. The fucking lava —————- Consiglio a tutti di dedicare più di un giorno al Volcanoes National Park, il parco infatti è percorso da più di 240 chilometri di sentieri ed è uno dei pochi posti al mondo dove potrete arrivare molto vicini alla lava.
Già il primo giorno ci siamo avventurati là dove la lava entra nel mare con un flusso continuo, ma dopo un’ora e mezza di cammino al tramonto, non attrezzati adeguatamente abbiamo rinunciato a proseguire e ci siamo limitati a degli scatti con il teleobiettivo. Per Claudia e Sherry questo è stato più che sufficiente, ma io per due giorni sono stato tormentato dai rimorsi “Quando mai mi capita ancora di poter arrivare vicinissimo alla lava? Magari ad un metro di distanza!”. Ebbene, dopo 3 giorni di camminate all’interno di enormi crateri disattivi e lungo antiche colate laviche, decido che devo farlo, mi conosco, se non lo faccio me lo rimprovererò per il resto della mia vita e siccome non so quanto possa essere pericoloso, devo farlo da solo.
Prima cosa, visto che al ritorno dovrò camminare di notte, mi reco al campo militare e chiedo sfacciatamente se mi prestano due torce (una di riserva): senza battere ciglio e senza neanche chiedermi a cosa mi servono, l’addetto all’ingresso me le dà. Seconda cosa, acqua, tanta, non ho idea di quanto caldo farà. Terza cosa, mi preparo un kit di pronto soccorso: mi sarà molto utile in seguito, cadere sulla lava fredda è come cadere su un letto di cocci di vetro; se dopo aver letto il racconto avrete voglia di ripetere l’impresa, vi consiglio caldamente di portarvi un paio di guanti da lavoro, eviterete i numerosi micro-tagli che mi sono procurato sui polpastrelli. Ultima cosa, pantaloni lunghi e scarpe da trekking resistenti, più ti avvicini alla lava, più la suola tende a sciogliersi.
Si parte, ma prima di abbandonare il sentiero tracciato mi reco nel rifugio dei ranger, nonostante ci siano miriadi di cartelli che vietano di raggiungere la lava, devo parlarne con un ranger per essere sicuro che non stia per intraprendere un’impresa al di fuori delle mie possibilità. La guardia forestale si rivela molto utile, invece che farmi arrestare mi dà numerosi consigli, per esempio mi indica la strada da seguire e mi raccomanda di stare sopravento per evitare di respirare gas tossici.
Parto, sono le 16:00, il sole tramonta alle 18:00 e il buio arriva alle 19:30; giuro a me stesso che qualsiasi cosa accada, che sia arrivato o no alla lava, alle 18:00 in punto girerò i tacchi e inizierò a tornare, in modo da limitare al minimo la parte al buio del mio cammino. La camminata si rivela molto difficile, non riesco a tenere il ritmo che mi ero prefissato, sul dizionario illustrato della lingua italiana, alla voce “terreno accidentato” c’è probabilmente la foto del dannato Kilauea: ho perso il conto di quante volte sono dovuto tornare indietro per aggirare i crepacci che ho incontrato sul mio cammino. Tra l’altro questo continuo sali e scendi in gole e anfratti mi ha fatto perdere l’orientamento, quando sono in alto riesco a vedere dove devo andare, ma quando sono in basso mi lancio ad indovinare. Annotazione mentale: la prossima volta che decido di fare un escursione come questa, devo ricordarmi di portare una maledettissima bussola, a costo di portarmi dietro quella che ho attaccata agli erogatori subacquei! Sono le 17:00, sono in ritardo e mi rendo conto che quello che da lontano sembrava il dolce pendio del vulcano, è in realtà un’erta salita, separata dalla pianura da una cintura verticale di una decina di metri. Sarà per il caldo infernale, sarà per l’odore di uova marce dei fumi solforici che sto sniffando da un’ora, ma mi viene in mente Nereo, un socio Sub Tre Mari che in questo momento dovrebbe trovarsi in vacanza a scalare le montagne dell’Arizona ed in una visione me lo vedo lì, come nella scena iniziale di Vertical Limits, attaccato ad una parete a strapiombo del Painted Desert, che mi dice “Non fare cazzate Igor, sono 10 anni che non affronti una parete, non hai l’attrezzatura da roccia, al ritorno la parete in discesa sarà più difficile che adesso in salita e soprattutto se ti troverai a farla al buio, tanto varrà che ti getti nella lava!”. Continuo, dopotutto la parete appare facile e piena di appigli, ma mi prometto ancora di più di invertire la rotta alle 18:00 e soprattutto di prestare estrema attenzione a dove metto i piedi, non voglio neanche immaginare cosa succederebbe se mi slogassi una caviglia là in cima.
Sono le 17:45 e di una cosa ho l’assoluta certezza, mi sono perso! Cioè è vero che mi trovo sul pendio di una montagna, dunque è ovvio che dove c’è la discesa si scende e dove c’è la salita si sale, ma ho perso completamente il riferimento visivo di dove era il punto in cui volevo arrivare. Potrei usare una tecnica di ricerca subacquea e muovermi a spirale, peccato che ho solo 15 minuti e mi servirebbero probabilmente due giorni per coprire tutta la pendice del vulcano. In preda allo sconforto per la fatica e il fallimento decido di muovermi casualmente, ricordandomi ogni tre passi di tastare il terreno per percepire il calore ed evitare magari di essere il nuovo protagonista della scena del film Vulcano, quella dove un disgraziato mette un piede sulla lava ed in pochi secondi si consuma bruciando a partire dai piedi.
Sono le 18:00, ho fallito, le caviglie memori anche delle camminate dei giorni precedenti urlano vendetta e il sole che sta tramontando mi ricorda che, se non mi sbrigo, saranno come dice Lino Banfi “volatili per diabetici” (cazzi amari). Comincio a tornare sui miei passi, si fa per dire, poiché il mio procedere a caso degli ultimi 15 minuti mi ha fatto perdere completamente il contatto con il percorso che avevo seguito all’andata e dunque un altro problema si aggiunge a quelli che ho già: riuscirò a trovare il punto esatto della parete che ho scalato, quello che dal basso mi era sembrato il più facile? Come se non bastasse mi rendo conto che le previsioni che dicevano buio alle 19:30, si riferivano alla pianura, ma poiché io mi trovo in montagna ed il sole sta tramontando dietro ad essa, qui sarà buio molto prima! Porca miseriaccia ladra, va beh seguiamo la discesa, una volta arrivati alla pianura mi muoverò verso il mare (sempre che riesca a vederlo) ed una volta che lo raggiungo lo costeggerò a destra sperando prima o poi di scorgere il capanno dei ranger.
Sono le 18:30, sono ancora sulla montagna ed un sentimento simile all’angoscia incomincia a sopraggiungere, ma quanta diavolo di strada ho fatto all’andata, a quest’ora contavo già di essere giù, poi il sole non c’è più e qui fa comunque un caldo bestiale… Fa troppo caldo… Strano… Non posso credere ai miei occhi, adesso che non c’è più la luce del sole la vedo! La lava è lì! A 100 metri in salita dalla mia posizione! Una voce si fa sentire nella mia testa: “Alle 18:00, qualsiasi cosa accada tornerò indietro!”. Machissenefrega! Non mi capiterà mai più! Non so se in futuro alle Olimpiadi decideranno di inserire la specialità “corsa in salita sulla lava”, ma sono certo in quei pochi minuti di aver stabilito un record difficile da battere.
Ci sono, è lì a due metri da me, fa un caldo atroce, mi sembra quasi di sentire un odore di braciole alla griglia che proviene dai miei avambracci. Tiro fuori il cavalletto, monto la macchina fotografica e faccio la fatidica foto. Bene è fatta, si torna! Mi giro e lancio un ultimo sguardo attorno a me per imprimere nella memoria un paesaggio che non dimenticherò per il resto della mia vita. Due sono i sentimenti in netto contrasto che provo, meraviglia per la bellezza del paesaggio e… Panico, adesso che non c’è più il sole che illumina il terreno, mi rendo conto che attorno a me tutto ha un grazioso colore arancione, sono completamente circondato da terreno incandescente! Qual è la strada che ho fatto per arrivare? Da dove ne esco? Provo un irrefrenabile desiderio di migliorare il mio record olimpico di “corsa sulla lava” e dunque inizio a muovermi con velocità balzando come uno stambecco da una roccia all’altra, a caso, ma comunque in discesa. Ora che non c’è più il calore del sole, a seconda della direzione che prendo, sento sulla faccia il caldo del terreno che aumenta o diminuisce. Che la dea Pele me la mandi buona! Non so se grazie al mio senso di orientamento, al mio istinto, al mio angelo custode o semplicemente al culo, mi ritrovo esattamente sul punto della parete che avevo scalato all’andata. E’ fatta! Con calma e seguendo attentamente i consigli della visione di Nereo che nel frattempo è riapparsa, arrivo giù… E in quel momento calano le tenebre. Quando vi troverete un giorno al centro di una colata lavica nera di chilometri di estensione superficiale, in una notte priva di luna, vi garantisco che la parola BUIO assumerà per voi un significato completamente nuovo. Non è il buio del ripostiglio in cui vi nascondevate da bambini, dove comunque il vostro senso del tatto vi faceva sentire le pareti attorno a voi. E’ invece il buio del vuoto, siete immersi nell’oscurità e siete circondati da chilometri di nulla.
E’ arrivata l’ora di usufruire delle torce messe a disposizione dall’US Army. Il resto della storia è molto semplice, muovendomi istintivamente nell’oscurità, mettendoci un tempo doppio rispetto all’andata, sono riuscito a raggiungere il capanno dei ranger e poi la mia macchina. Arrivato allo chalet mi sono concesso il lusso di un idromassaggio nella mia vasca da bagno (vedi foto), con tanto di sigaro e mentre me ne stavo là, sdraiato, sentivo i miei muscoli che parlandomi mi preannunciavano cosa avevano in serbo per me l’indomani mattina: “Hai voluto usufruire delle riserve di adrenalina che avevamo messo da parte, beh beccati adesso sta overdose di acido lattico!”.
Mi diverte oggi ricordare l’incontro che ho avuto al buio lungo il sentiero del ritorno; mi sono trovato davanti un gruppo di turisti accompagnati da una guida, fermi ad un paio d’ore di cammino dalla colata lavica, che la osservavano con i binocoli. La guida l’avevo conosciuta la mattina precedente e per 20$ si era offerta di portarmi lì dove si trovavano ora loro. Mi dice “Hei, where do you come from?” (Hei, da dove arrivi tu?). Ed io con uno spontaneo tono strafottente conquistato sul campo, puntando il dito sul distante fiume di lava, gli ho risposto: “Can you see that fucking lava? I was THERE!” (Riesci a vedere quella fottuta lava? Io ero LA’!). Le immersioni ————- L’immersione più famosa di Big Island, citata in un paio di libri di subacquea che già possedevo, videoripresa da amici che l’hanno fatta e pubblicizzata da ogni diving è il Manta Ray Night Dive. L’immersione è nata per caso ed ha fatto la fortuna dei diving del luogo, praticamente un hotel sulla costa di Kona ha piazzato dei riflettori sotto acqua per illuminare il mare mentre i suoi clienti cenavano al ristorante. La luce però ha attirato il plancton ed il plancton ha attirato le mante: l’immersione consiste nello stare di notte in ginocchio sulla sabbia a 9 metri di profondità, puntando le torce in alto ed essere circondati e sfiorati da decine di mante. Fichissimo! Peccato che l’hotel abbia chiuso nel 2000 e i riflettori non ci siano più. Dunque nonostante i diving continuino a mantenerla nel loro listino, l’immersione non esiste più! Noi ci abbiamo anche provato, ma una volta in barca la guida ci ha detto che avevamo il 50% di probabilità di vedere 1 manta e nel caso non si fosse presentata non c’era niente altro da fare su quel sabbione. Abbiamo deciso di rinunciare e di farci in alternativa una bella notturna a South Wall vicino a Long Lava Tube; non ci siamo per niente pentiti, abbiamo iniziato l’immersione al tramonto e stranamente non c’era vita, poi quando è calato il buio, come se ci fosse stato un cambio di guardia, è venuto fuori di tutto: ballerine spagnole, aragoste, scampi, pesci pappagallo addormentati dentro alle loro bolle di bava, pesci di ogni tipo e colore. Bastava fermarsi un attimo e la torcia attirava immediatamente una nube fittissima di plancton: sulle prime era disorientante, la visibilità di riduceva a tal punto che non riuscivi a vederti le mani e in quel momento capivi come doveva essere stata un tempo la famosa l’immersione con le mante.
Mentre a Maui i diving li ho sentiti molto freddi ed impersonali, come se stessero recitando un copione per la millesima volta, a Big Island invece mi è piaciuto molto il Sea Paradise (www.Seaparadise.Com), piccola barchetta, ma competenti e simpatici. OAHU, IL MITO Oahu è stata la nostra terza isola (quarta se contiamo Lanai), la mitica isola hawaiana dell’immaginario collettivo, le acque turchesi della spiaggia di Waikiki dominate dal vulcano Diamond Head, gli abitanti che girano con la tavola da surf sottobraccio come tanti Francesi con le loro baguette, le ballerine che danzano la Hula al tramonto, fiori e palme che battagliano con i grattacieli… Insomma Hawaii. Le immersioni ————- Nei pressi dell’isola è affondato di tutto, navi, sommergibili, aerei… Mi dispiace per i capitani e i piloti, ma c’è solo l’imbarazzo della scelta per la vostra immersione su relitto. Noi abbiamo fatto il Mahi, uno dei più famosi, circondato quasi sempre da stormi di aquile di mare. Vi consiglio il diving Ocean Concepts (www.Oceanconcepts.Com), come quelli di Big Island mi sono piaciuti molto: mentre a Maui sembrava di essere in caserma (“l’immersione sarà di 40 minuti, non importa se avete ancora la bombola piena!”), a Oahu l’atmosfera è stata distesa e professionale, in acqua ci stavi finche volevi e nessuno batteva ciglio se si faceva anche un po’ di decompressione. Le guide poi non so quale consigliarvi, se Kimberly, una bionda niente male che guida il gruppo vestita di GAV e bikini striminzito (rischiate di non godervi l’immersione, oppure di godervela troppo, beh insomma vedete voi!) oppure Mel, che ogni tanto lo vedi partire a tutta velocità per indicarti un nudibranco coloratissimo di qualche millimetro e poi ti guarda felicissimo con le dita incrociate di entrambe le mani (alle Hawaii il segnale vuol dire endemico e molto raro).
Concludendo alle Hawaii c’è spazio per tutti, per coloro che vogliono essere serviti e riveriti negli hotel di lusso, per i turisti fai-da-te, per coloro che amano la natura incontaminata, per gli appassionati del mare, per coloro che praticano gli sport, dal surf al kayak, dalla subacquea allo snorkeling, dal trekking al golf o addirittura, se proprio volete fare gli sborroni, anche lo sci alpinistico (sul Mauna Loa).
Mahalo, aloha