Le balene e non solo

Ho trascorso assieme a mia moglie, il mese di novembre in Argentina, precisamente in una parte della Patagonia ed una settimana a Buenos Aires .Quelle che seguono sono delle note, delle osservazioni, in qualche caso delle riflessioni che il passare del tempo spero non abbia fatto perdere di interesse. Non vogliono essere un resoconto di viaggio,...
Scritto da: Mariluce Mattiuzzo
le balene e non solo
Partenza il: 03/11/2002
Ritorno il: 04/12/2002
Viaggiatori: in coppia
Spesa: 3500 €
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Ho trascorso assieme a mia moglie, il mese di novembre in Argentina, precisamente in una parte della Patagonia ed una settimana a Buenos Aires .Quelle che seguono sono delle note, delle osservazioni, in qualche caso delle riflessioni che il passare del tempo spero non abbia fatto perdere di interesse.

Non vogliono essere un resoconto di viaggio, né pretendere di dare una visione d’assieme di un paese grande dieci volte l’Italia, attraversato da una profonda crisi, e non solo economica. Si è consapevoli della parzialità di ogni valutazione. Spero emerga qualche volta l’incanto provocato dal conoscere le sue città, ed anche il disincanto, l’interesse, lo stupore e qualche volta l’indignazione, nell’osservare una realtà composta da tanti fattori, prima di tutto la condizione umana.

Leggere Bruce Chatwin, Paul Theroux, Luis Sepùlveda, Francisco Coloane e alcune guide, è stato certamente utile.

Ma di fronte alla realtà si sente il bisogno di dimenticare che la mediazione culturale derivante dalle letture può essere un pregiudizio ed un ostacolo alla curiosità: La Patagonia argentina è un’immensa regione (due volte l’Italia) che degrada dalla cordigliera andina verso l’atlantico, dando vita ad un’area stepposa, senza vegetazione se si escludono i bassi cespugli che praticamente la ricoprono.

In quest’area, una volta fondo oceanico destinato ad emergere, si trovano parchi nazionali e riserve naturali tra le più celebri del paese, e non solo dell’Argentina. “ Richiamando le immagini del passato, scopro che le pianure della Patagonia si ripresentano con insistenza ai miei occhi: eppure quelle pianure sono considerate da tutti squallide e inutili. Le si può descrivere soltanto con caratteri negativi; senza case, senz’acqua, senz’alberi, senza montagne, producono soltanto alcune piante nane.Perché allora – e ciò non accade soltanto a me – questi aridi deserti mi si sono impressi così fortemente nella memoria ? “ Questa considerazione di Charles Darwin tratta dal viaggio di un naturalista intorno al mondo la troveremo citata innumerevoli volte, riportata nei depliants, ripetuta dalle guide come fonte autorevole del valore naturalistico di queste terre, e per lamentare che non siano ancora inserite nei grandi tour degli operatori turistici.

Un milione e mezzo di argentini l’abitano, circa il 4% dei trentasette milioni che ne conta il paese.

Ma la Patagonia copre quasi il 30% del territorio argentino continentale senza contare le lande antartiche. Se l’intero paese conta 13 abitanti per kmq, qui se ne contano appena 1,8. La Patagonia si estende a sud del fiume Colorado fino allo stretto di Magellano,che la separa dalla Tierra del Fuego. Ed è questa terra brulla, secca, piatta, con poca e bassa vegetazione, battuta più o meno costantemente dal vento che si intravede dai finestrini del Boeing che porta dalla capitale a Trelew.

Gli spazi hanno dimensioni diverse da quelle abituali.

Per molto tempo sorvoliamo l’estuario del Rio Colorado che scende dalla Cordigliera verso il mare. Decine e decine di chilometri sono attraversati dai rami fluviali che si intravedono con nettezza complice l’assenza di vegetazione. Un po’ più a sud si intravede la penisola Valdés prima tappa del viaggio.

Da Puerto Madryn, dove alloggiamo, si percorrono un centinaio di chilometri per raggiungere la riserva faunistica e questo consente di prendere conoscenza dell’ambiente, del paesaggio, dei primi esemplari della fauna locale come i guanachi ed i nandù, che ci verranno riproposti ed illustrati nel centro di informazione posto all’entrata della riserva.

La Penìnsula Valdés è collegata alla terra patagonica da un ampio e prolungato istmo che gradualmente si allarga sia a nord che a sud realizzando due insenature (Golfo Nuovo e Golfo San Josè ) e prolungandosi verso l’Atlantico con decide di chilometri di spiaggia cosparsa di sabbia, rena, ciottolato. I nomi delle località che la perimetrano ( Isla de Pajaros, Punta Norte,Punta Cerro, Punta Hercules, Caleta Valdés, Punta Delgado ) sono luoghi di esclusivo interesse faunistico. All’interno alcune estancias – grandi estensioni per l’allevamento ovino e bovino – si ripartiscono la proprietà della penisola. In due vaste depressioni Salina Grande e Salina Chica indicano un’attività di prelievo oggi non più esercitata.

L’unico gruppo di case esistenti da vita al villaggio di Puerto Piramides, una volta al servizio delle saline, oggi completamente trasformato per fini turistici e base ideale per osservare la variegata fauna marina, per organizzare escursioni subacque o, come quella che ci apprestiamo a fare, per osservare le balene franche australi.

Nell’ampio golfo sabbioso sostano catamarani ed altre imbarcazioni. Si notano al loro fianco dei potenti trattori. Sono utilizzati per trainare al largo i natanti affinché i loro motori abbiano il necessario pescaggio. Si parte, il mare è molto mosso. Ci accompagna anche una biologa marina che tenterà di acculturarci spiegando il significato delle movenze dei cetacei. Sarà poco ascoltata.

Ci vogliono pochi minuti per individuare le balene. Anche dentro il catamarano ci si agita, si sale sulle panche, si urla ci si richiama per essere sicuri che l’amico,il marito,il bimbo abbiano visto bene: Il mare è agitato e i marinai hanno il loro bel da fare per convincere i passeggeri a non esporsi dai parapetti per fotografare o riprendere con le telecamere.

Prima si intravede il dorso, poi l’emergere del pesante corpo, le callosità della testa, la coda.

Poi comprendiamo che non è un solo esemplare, quattro dice l’esperto marinaio, tre maschi che rincorrono una femmina per ripetere i rituali dell’amore. Sono qui per riprodursi come accade ogni anno dalla primavera all’inizio dell’autunno australe.

Sono qui anche per mettere al mondo i nuovi piccoli, si fa per dire. 7/800 esemplari ogni anno raggiungono questa acque accoglienti per il confluire di correnti da sud e nord. L’esperienza è notevole. La balena franca oggi non corre più pericoli di estinzione, è tornata a riprodursi e a ripopolare il mare. Ma non è stato sempre così, è stata caccia fino a rischio di sopravvivenza,ed alcune potenze straniere vorrebbero ricominciare, magari per scopi scientifici.

Tutta la costa della Penìnsula Valdés è colonizzata: a Punta Norte si possono ammirare da una terrazza posta a 20 metri di altezza sopra una lunga spiaggia colonie di pinguini di Magellano frammisti ad elefanti marini e colonie di otarie. Tra loro vari tipi di gaviotes, i gabbiani australi, che hanno in realtà il loro paradiso praticamente esclusivo poco distante all’isla de los pajaros situato nel lato ovest del golfo di San Josè e dove convivono con varie specie di cormorani, di rondini di mare e di fenicotteri.

A Punta Norte non è raro che si affaccino le orche. Arrivano fin sotto costa, su bassi fondali e le otarie e i pinguini rappresentano il meglio per il loro nutrimento.Poco più a sud Caleta Valdés ,una spiaggia lunga svariate decine di chilometri che ospita in tutta la sua ampiezza elefanti marini ed otarie, che hanno in comune un’abituale vita pelagica meno al momento della riproduzione per la quale preferiscono le assolate spiagge. Il maschio dell’elefante marino può raggiungere sei metri di lunghezza e 3-4 tonnellate di peso a differenza delle femmine che raggiungono a malapena i tre metri ed i 7/800 kg di peso. Attorno al maschio si forma una comunità di femmine, anche più di una decina.

La conquista di questa comunità è l’oggetto di scontri furiosi tra gli esemplari maschi combattuti nella spiaggia nella indifferenza delle loro compagne in quanto la loro sorte è comunque identica. Il movimento di questi bestioni senza braccia e gambe nel combattersi fa una certa impressione. Tutta la forza è concentrata nel corpo a corpo e l’arma letale sono i denti ed il muso al cui centro spicca una naso schiacciato come una proboscide tagliata allo stato iniziale. Il ciclo selettivo della natura vuole che con la forza si eserciti il dominio sul territorio e sulla comunità di sesso opposto, finchè non apparirà un giovane e più forte esemplare che lo scalzerà dal momentaneo dominio, o non si incappi in una orca di passaggio e particolarmente affamata.

L’otaria, più conosciuta come leone-lobo marino è un mammifero diffusissimo lungo tutta la costa patagonica e della terra del fuoco, preferibilmente lungo spiagge riparate da dirupi o in isolotti emergenti nelle baie.

I maschi possono superare i 300 kg di peso mentre le femmine non superano gli ottanta chili.Anche il lobo marino è portato a costituire un harem e per questo gli necessità un territorio che prima deve conquistare e poi difendere da nuovi pretendenti.

Nei secoli trascorsi dopo i primi avventurosi viaggi transatlantici e la “ scoperta “ di mondi e realtà nuovi ,delle otarie si è fatta grande strage: carne per nutrire,olio per concerie, pellicce per signore.

Il vento che batte costantemente la penìnsula non provoca stanchezza. Si è attoniti per quanto ammirato. La grandezza della natura osservata in uno stato più o meno integro porta a riflessioni che possono sembrare profonde o banali, e comunque manifesta la relatività della specie umana nei processi evolutivi delle altre specie malgrado l’impegno profuso per assoggettarle o estinguerle.

Nella baia di Puerto Piramides si intravede in una parete la ricostruzione di uno scheletro di un dinosauro ritrovato da queste parti.

Si fa notte, si torna a Puerto Madryn e con la penombra si intravedono appena begli esemplari di armadillo che attraversano velocemente la strada forse resi sicuri dalla corazza snodabile che li protegge. Al mattino avevamo intravisti in lontananza diversi esemplari di guanachi per la cui descrizione chiamo in causa C. Darwin: “ Il Guanaco, o lama selvatico, è il tipico quadrupede delle pianure patagoniche, ed il rappresentante sudamericano dei cammelli orientali. E’ un animale elegante, con collo lungo e snello e gambe ben fatte. E’ comunissimo in tutte le regioni temperate del continente, ed a Sud arriva fino alle isole prossime a Capo Horn. Di solito vive in piccoli branchi da sei a trenta individui “. Si può aggiungere che per secoli le carni del guanaco hanno sfamato gli indigeni ed i primi coloni europei ed argentini, compresi poi tanti immigrati, i quali utilizzarono le loro pelli e la lana per coprirsi..

Puerto Madryn, come tutti i centri costieri della Patagonia che avremmo occasione di visitare, è un’area urbana in forte espansione.Ed il motivo principale è proprio la fuga dai grandi centri urbani ed industriali causata dalla crisi economica. A questo si aggiunga che queste aree hanno un richiamo turistico molto forte, specie di tipo naturalistico.

Molti sono gli europei ( oltre trecentomila all’anno) che si spingono in queste località, in viaggi organizzati e non, mentre si lamenta una scarsa presenza degli statunitensi in quanto il loro Governo ha dichiarato l’Argentina poco affidabile. Qui come altrove sono arrivati giovani intraprendenti e dotati per iniziare nuove attività economiche, si trasferiscono professionisti che nei grandi centri si sentono poco valutati. Ma soprattutto l’emigrazione interna è favorita dagli incentivi economici per il sud del paese per cui beni solidi come il terreno, l’abitazione, costano nettamente di meno che in altri luoghi.

La città è cresciuta, la guida ci dice che conta circa sessantamila abitanti, i nostri occasionali interlocutori parlano di più di novantamila.

Ovunque si nota un grande fermento, riparazioni o nuove costruzioni, nuovi alberghi e nuovi ristoranti. Si costruisce anche dove non si dovrebbe. L’area urbana si dilata anche perché si costruiscono unifamiliari di uno o due piani, mantenendo la struttura dei primi villaggi patagonici, sostituendo il legno e la lamiera ondulata con il mattone ed il cemento. Vi è una accurata manutenzione del fazzoletto di terra prospiciente la casa per farvi crescere un po’ d’erba tanto da farla assomigliare ad un prato inglese.

Cosa non facile considerato il vento persistente e la carenza d’acqua. Deve essere un modesto status symbol.

La spiaggia è molto ampia e lunga. Ospita diversi stabilimenti balneari. Nella strada che corre parallela si trovano monumenti, alberghi e i ristoranti più ricercati. La città ambisce di richiamare una clientela anche di élite, ma in questo caso deve evitare di fare errori come mostra una grande costruzione non terminata da anni che dovrebbe ospitare un grande albergo, una sorta di ecomostro. Ancora alcune centinaia di metri a sud si trova uno dei beni archeologici dell’intera storia della regione. Qui infatti sbarcarono nel 1865 gli immigrati gallesi in cerca di una nuova patria. Abitarono per alcuni anni in grotte ricavate dal tufo. I resti di queste grotte sono stati recuperati e messi in mostra con un piccolo museo costruito nella collina che sovrasta la spiaggia. Le grotte diedero poco riparo, di questi immigrati pochi sopravissero.

Puerto Madryn, Trelew, Rawson, Dolavon, Gaiman, sono tutti centri di origine gallese. A migliaia seguirono i primi sbarcati, grande deve essere stata l’amarezza dato che pensavano di trovare un ambiente simile al Galles. I centri abitati sorsero tra il 1874 e il 1886. Gli indigeni che abitavano in questa regione furono semplicemente sterminati dalle truppe inviate dal governo argentino. I gallesi si fanno giustamente vanto di essersi rifiutati di partecipare alla mattanza, anzi ricordano i buoni rapporti stabiliti con gli abitanti del luogo.

Gaiman è il centro ove si coltivano le tradizioni gallesi, in particolare il rito del tè con i pasticcini, veicolo per la vendita di prodotti locali secondo la ricetta della nonna gallese.

Il circuito turistico vuole le sue vittime. Più interessante il racconto che Lady Diana in quanto principessa del Galles volle visitare questi luoghi ed incontrarne la comunità. Gli orgogliosi gallesi di origine snobbarono la gallese di nomina reale. Nessuno avvertì la principessa che questi gallesi erano venuti in Patagonia per fuggire dal dominio inglese e dalla fame.

Trelew è una città che deve la sua crescita alla promozione industriale, che oramai appartiene al passato. La città ha un bel museo paleontologico ( riproduzioni di specie autoctone di dinosauri ) e due attrazioni che resistono agli alti e bassi dell’inflazione o dei tassi di crescita. Uno è dove alloggiamo, l’hotel Touring, costruito nel 1906. Allora doveva essere sfavillante con il suo grande saloon e la grandissima specchiera che ricopre un’intera parete di 15-20 metri. Oggi la grande sala ha le pareti ricoperte di fotografie che ricordano gli antichi fasti. Tra queste alcune ricordano le vicende, forse leggendarie, di Butch Cassidy, giovane allevatore mormone dell’Utah che si ribellò alle ingiustizie subite ed ai vincoli familiari religiosi divenendo un capace rapinatore, soprattutto di banche, ed organizzando attorno a sé una pericolosa banda. Seppe però ben governarsi e conosciuti i suoi pari Sundance Kid ed Etta Place capì che era meglio cambiare aria. Vennero in Patagonia acquistarono una estancia e si diedero per alcuni anni all’allevamento. Pare che il menàge à trois funzionasse con soddisfazione di tutti e per molti anni. Ripresero proprio da queste parti a praticare l’arte della rapina ed in una di queste occasioni si riposarono, almeno Butch, in quest’hotel. Negli scontri armati che seguirono riuscirono a far credere agli agenti della Pinkerton, banditi legalizzati che da anni erano sulle loro tracce,della loro morte.

In realtà almeno B. Cassidy rientrò negli states per condurre una vita tranquilla e morire di vecchiaia. Forse è solo una leggenda. L’ambiente, il grande saloon, la accredita con un po’ di romanticismo.

L’altra attrazione è la riserva provinciale di Punta Tombo situata a sud di Trelew e che ospita la più grande colonia di pinguini di Magellano, oltre 500.000, di tutta l’America Latina, uccelli acquatici impossibilitati a volare, di piccole dimensioni la cui altezza non supera i 60 cm.. Le loro colonie popolano tutta la costa della Patagonia e della Terra del Fuoco. Vivono in acqua ma si riproducono a terra.Sono monogami, anzi se perdono il compagno o la compagna passeranno la rimanente parte della loro vita in solitudine.

Chi ha studiato il loro comportamento ha notato che per la stagione della riproduzione a terra arrivano prima i maschi per preparare il terreno, il nido, scavato in genere sotto gli arbusti tra le radici delle piante nella terra. Poi giungono le femmine. Segue il corteggiamento, l’accoppiamento, le uova, la cova e lo svezzamento; poi si riprende il mare.

Nella riserva, che copre oltre 200 ettari di terreno, tra colline sabbiose e costa, vivono anche guanachi, nandù, armadilli ed il gato pajero che assieme alle varie specie di gaviotes sono particolarmente ghiotti delle uova e dei piccoli nati. Qui i pinguini sono abituati alla presenza umana. Per tutta la primavera ed estate australe verranno sciami di turisti per osservarli e fotografarli. Per loro il pericolo maggiore oggi viene dal mare: i residui di petrolio e dei suoi derivati versati in mare dalle petroliere destinate alle raffinerie può provocarne la morte per intossicazione o per la riduzione delle difese naturali come l’incapacità di movimento.

Puerto Deseado la raggiungiamo col bus attraversando per diverse ore la steppa patagonica. Situata fuori dalla Ruta n. 3 si presenta come una cittadina del Far West con la sue case ad un piano, strade larghe e polverose ed un grande silenzio, complice probabilmente il vento freddo e costante e l’incalzare della notte. Fa eccezione il bel hotel ysla Chaffers dove ci fermiamo. Siamo praticamente soli anche se il servizio è ottimo ed il costo modesto. Veniamo trattati però con cortese freddezza, ci hanno preso per yankees. Dopo una ricca colazione e capita la comune origine latina sono baci ed abbracci. Anche qui grande crescita urbana e della popolazione che ha ormai superato le 12.000 unità anziché gli ottomila riportati nella guida. Puerto Deseado sembrava destinato ad un rilevante ruolo economico, ma la ferrovia che doveva svilupparsi e collegarla con importanti centri del paese non è mai stata portata a termine fino ad essere del tutto soppressa. L’imponente edificio della stazione centrale è da tempo abbandonato. L’anziano ferroviere in pensione che ci accompagna a visitarlo parla con evidente nostalgia, e forse rimpianto. La stazione è tutta diroccata ed in qualche residuo di stucco e di pareti di legno intarsiato manifesta le originali ambizioni.

Nel centro cittadino un antico vagone ferroviario è considerato il monumento non tanto per ricordare la mancata costruzione della rete ferroviaria quanto piuttosto per l’insano utilizzo che ne fece il comandante Varala nel 1921. Quest’uomo, quando giunse in Patagonia dalla capitale con al seguito numerose truppe, aveva il compito di organizzare e dirigere la repressione della rivolta anarchica divampata in tutta la regione. Il vagone era il suo quartiere generale. Egli era fiero dei suoi successi, uccise di propria mano uno dei capi dei rivoltosi detto Facòn Grande. Come a tutti quelli che hanno una ammirazione sconsiderata della violenza, in particolare della propria, non tenne conto del più noto degli ammonimenti biblici. Varala al suo ritorno a Buenos Aires fu abbattuto in strada.

Seguendo le indicazioni avute in albergo contattiamo un’impresa turistica composta da moglie e marito – le cui famiglie sono di origine italiana come già ci è accaduto ed in seguito ci accadrà in quasi tutte le località visitate – per andare a visitare la Riserva naturale di Ria Deseado e quella del bosco pietrificato. Sarà che siamo fuori stagione ma siamo veramente in pochi sul gommone che risale l’insenatura di un estuario, in parte sommerso, che rappresenta una specie di paradiso per una parte del mondo non umana. All’imboccatura dei potenti contrafforti ricordano che la Spagna dopo poco l’occupazione di queste terre realizzo una stazione di caccia alla balena che poi dovette abbandonare per i continui scontri con gli abitanti locali. Lungo il molo sostano delle grandi navi da pesca . Superano probabilmente le mille tonnellate ciascuna, niente a che vedere con i pescherecci italiani. Sono utilizzare come immense lampare. Ci raccontano che le lampade della nave potrebbe illuminare una città di centomila abitanti, e soprattutto sono la testimonianza di una attività di pesca massiccia collegata ad industrie di trasformazione i cui prodotti giungono fin da noi.

Percorriamo una parte dei 42 chilometri dell’insenatura, via via sempre più stretta,che si incunea nella regione patagonica. Nelle pareti degli strapiombi hanno nidificato colonie di cormorani grigi o dal collo nero, negli isolotti ghiaiosi e di grande ciottolato bianco si trovano in grande quantità i soliti pinguini e le solite gaviotes . Nella ria – che non sai se è più mare che fiume – sguazzano e saltano piccoli delfini banchi e neri.

Il Monumento Natural Bosques Petrificados è un luogo più unico che raro, e non è un modo di dire. Situato all’interno per raggiungerlo si torna a nord per prendere la grande arteria nazionale e poi si scende a sud per oltre 100 chilometri e si gira per l’interno. Appare un luogo pienamente disabitato, senza villaggi, estancias, case sparse, alberghi o trattorie. Pensi di essere in un ambiente “ lunatico “ ma devi ricrederti per le varianti e le sfumature di tanti colori dei monti brulli,delle rocce,dell’ambiente nel suo complesso che porta il segno delle varie stagioni geologiche.

Policromo,desertico e vulcanico,nella totale solitudine, la riserva ha una ampiezza di 15.000 ettari e si riesce a vederne una piccola parte. Circa 15° milioni di anni fa qui vi era un clima temperato ed umido che lo rendeva particolarmente lussureggiante. L’attività vulcanica rase al suolo le foreste ricoprendole di cenere. I diluvi ed il vento provocarono le erosioni e con il tempo le riportarono alla luce oramai fossilizzate, alberi anche di tre metri di diametro ed alti fino a 35. La zona nei decenni è stata ampiamente saccheggiata, compresi i souvenir turistici. Solo nel 1954 è stata dichiarata area protetta.

Con queste immagini negli occhi partiamo di notte con un bus per Rio Gallegos risalendo prima per Caleta Olivia per poi riprendere la ormai famosa Ruta Nacional nr.3 che da Buenos Aires attraversa tutta la Patagonia per terminare ad Ushuaia,capitale della Terra del Fuoco.

Rio Gallegos è la capitale della provincia di Santa Cruz che sta assurgendo a fama nazionale in quanto il suo governatore Nestor Kirchner vuole candidarsi alla presidenza nazionale. Peronista amico dell’attuale presidente provvisorio Duhalde e dunque avversario di Menem detto el turco. Manifesti piccoli e grandi appaiono ovunque anche se le elezioni ancora non sono state ancora deliberate dal Parlamento.

L’attuale città inizialmente era un centro di servizio per le estancias, l’allevamento ovino, per il trasporto della lana. Si è poi popolata con il ritrovamento e lo sfruttamento dei giacimenti petroliferi e metaniferi, e più recentemente per un po’ di turismo di passaggio. Buoni alberghi e ristoranti, centri commerciali e trattorie affollate, strade ampie vivacemente frequentate, sembrano dare conforto ai suoi centomila abitanti delle più svariate etnie. Anche qui troviamolo come in tutti i centri di una certa importanza, il centro culturale spagnolo e italiano. Spesso le loro spaziose sale sono state trasformate in ristoranti o teatri . I musei sono poco frequentati.

Pare che nessuno abbia voglia di visitare Cabo Virgenes . Dopo aver cercato inutilmente compagnia in più agenzie di viaggio decidiamo di prendere in affitto un’auto di “ remise “. Cabo Virgenes ospita la seconda colonia per numero di ed importanza di pinguini di Magellano, però ci interessa maggiormente vedere i luoghi, la fine del continente latinoamericano, l’imboccatura dello stretto che porta il nome del navigatore spagnolo.

Tra andata e ritorno sono 270 chilometri, quasi tutti di strada sterrata. Dal cielo traspare l’arrivo di un grande acquazzone che subito dopo aver lasciato la città arriva puntualmente facendo a malapena intravedere la strada secondaria che abbiamo intrapreso, piena di buche che provoca grandi sobbalzi e sconquassa l’auto in modo tremendo. Contro ogni previsione riusciamo ad arrivare, dopo avere attraversato estancias di grandi proporzioni che si estendono per centinaia di migliaia di ettari, compresa quella dell’industriale italiano Benetton.

Antonio,il proprietario dell’auto noleggiato, è ciarliero ed anche sollevato per il mancato pericolo. Non si sottrae alla conversazione politica come spesso in altre occasioni è capitato. Il peronismo non gli piace, ma i radicali – per cui ha votato – non sanno governare, dice. Ora vive affittando e guidando l’auto, prima lavorava nell’industria carbonifera, nella ferrovia che porta il carbone da Rio Turbo a Punta Loyola, trenta chilometri a sud di Rio Gallegos. E’ stato licenziato e liquidato come tanti altri dopo la privatizzazione. Per vivere ci si deve arrangiare in tutti i modi. Con i salari e stipendi in atto (400/800 pesos equivalgono a 120/240 euro) non si vive. Di fronte ai nostri timori, manifestati più volte durante il tragitto, che il suo bene principale poteva finire dallo sfasciacarrozze ci risponde che non poteva rifiutare l’occasione di questo viaggio ben remunerato, anche se non veniva da queste parti da cinque anni. Si lamenta anche del prezzo della benzina (circa un terzo di quella italiana ma l’euro vale 3,5 pesos). Gli manifestiamo meraviglia facendogli notare, sempre che le notizie acquisite siano giuste, che il suo paese è autosufficiente in materia energetica, in particolare per quanto riguarda il petrolio. Nel viaggio, anche quest’oggi, abbiamo visto più volte le caratteristiche pompe in funzione. Qui in prossimità dello stretto sono numerosi gli impianti di estrazione del petrolio e del gas ( nelle acque dello stretto si notano le isole petrolifere degli impianti cileni ); queste zone sono attraversate da un gigantesco gasdotto che dalla Terra del Fuoco porta a Mar de Plata, dopo 2.400 km : il prezioso bene energetico. Antonio ci guarda con un po’ di commiserazione, quasi grida “ è stato tutto privatizzato! Nulla è più argentino! Tutto è proprietà di società nordamericane e perfino di società cilene,che per decenni ci hanno detto che erano i nostri nemici “.

Di pinguini di Magellano oramai siamo quasi esperti. Notiamo solo che questi manifestano un grande nervosismo per la presenza degli umani. Tira molto vento, e fa freddo.

Nel secolo passato la grande e lunga spiaggia di Cabo Virgenes ha conosciuto la generosità del mare che depositò con la risacca qualche pagliuzza d’oro. Molti sono arrivati in cerca di fortuna, ma è stata cosa effimera, un’illusione. In tempi più lontani gli spagnoli crearono ai lati dello stretto degli insediamenti umani assieme a dei presidi militari per proteggere la navigazione dei mercantili dalle mire dell’impero inglese. Per le difficoltà ambientali, la mancanza di rifornimenti, furono di fatto abbandonati, morirono di fame.

Nel pianoro del colle che sovrasta lo stretto e la spiaggia vi è un grande faro e poco distante una piccola estancia ( solo 25.000 ettari) che ha aperto un servizio per rifocillare i pochi viaggiatori che si avventurano sin qua; il tè, servito alla maniera dei gallesi, cioè accompagnato da generose fette di torte, mette in una migliore predisposizione d’animo per godersi un panorama mozzafiato. Torniamo a Rio Gallegos poco dopo che un violento temporale ha cessato di imperversare sulla città, che è allagata anche perché le fognature poste sulla spiaggia non riescono a riversare l’acqua nel mare gonfio e tempestoso.

La visita al locale Museo Padre Manuel Molina si rivela piacevole e ricorda come 90 milioni di anni fa scorazzavano e dominavano questi ambienti vari tipi di dinosauri, sia carnivori che erbivori, vari rettili delle più svariate dimensioni ed altri animali compreso il famoso Mylodon di cui Bruce Chatwin ha raccontato ne In Patagonia come abbia segnato alcune vicende familiari. La guida del museo, una giovane ragazza, si fa in quattro per illustrarci la sua ricchezza e originalità, manifestando simpatia al nostro essere italiani, a discapito di una famiglia di conterranei che ne sono visibilmente infastiditi. Con alterità rifiuta il nostro tentativo più volte ripetuto di ricompensare il suo eloquio, particolarmente dovuto anche perché l’entrata al museo è gratuita, ma è stato inutile.

Lungo il litorale si snoda un percorso fitness, tra istituti scolastici e professionali. Vi è anche un grande monumento dedicato “agli eroici caduti della guerra di liberazione delle Malvinas”. Li abbiamo visti ovunque, nei piccoli come nei grandi centri, ed ovunque li abbiamo trovati degradati ed erosi dal vento e dalla mancanza di manutenzione, simboli piuttosto e loro malgrado della follia militare della giunta golpista diretta dal generale Gualtieri che dopo aver dichiarato la guerra al proprio popolo provocando la morte di molti ed oltre trentamila desaparesidos pensò di riconquistare il consenso popolare occupando le isole Malvinas/Falkland.

Lasciando Rio Gallegos non si può non ricordare che nel 1921/22 la locale sociedad obrera svolse un ruolo di primo piano nel guidare la lotta dei lavoranti nel reclamare migliori condizioni di vita nelle varie estancias che ancora oggi dominano il territorio. Allora , in assenza di un confine come lo conosciamo oggi, cileni ed argentini e immigrati di vari paesi, in cambio della mera sussistenza, lavoravano 16/18 ore al giorno . Ogni tanto, forse anche per la eco di avvenimenti che sconvolgevano l’Europa, provavano ad avanzare richieste, a lottare, a scioperare. Uno dei loro capi fu Antonio Soto, anarco-sindacalista meglio conosciuto come El Toscano.

Si va a El Calafate per vedere i ghiacciai. Il Parque Nacional Los Glaciares è stato istituito nel 1937, nei confini attuali nel 1971. L’Unesco l’ha dichiarato patrimonio universale dieci anni dopo. Si tratta di 600.000 ettari che racchiudono con i ghiacciaia grande parte dei laghi Viedma e Argentino. El Calafate sorge ai margini di una stupenda insenatura del lago dedicato alla nazione. Un villaggio sorto al servizio del turismo e nient’altro, consapevoli che nelle vicinanze vi è un bene ineguagliabile, e forse per questo troviamo prezzi anch’essi ineguagliabili. La crisi si fa sentire ci dice il giovane autista di taxi –anch’esso di origine italiana – perché gli statunitensi non si vedono dato che il loro governo come ho già detto ha dichiarato l’Argentina poco affidabile, perché i borghesi argentini – gli unici che si potevano permettere una vacanza relativamente di lusso – come classe sociale è stata semidistrutta dal corralito. Ci sono un po’ di europei e, è questa è la novità, la middle class degli altri paesi dall’America Latina che solo un anno fa trovava economicamente proibitivo visitare l’Argentina. Oggi non è più cosi per la felicità degli imprenditori turistici locali. Non si notano segni della grandeur argentina umiliata.

I ghiacciai da visitare sono quelli di Perito Moreno e quello di Upsula che in realtà ne comprende diversi titolati a vari personaggi assieme agli ambienti che li circondano. Se si vuole e soprattutto se si ha tempo qui armati di canna da pesca, sacco a pelo e cannocchiale, si può lasciare passare il tempo osservando la ricchezza naturalistica. In verità ciò che impressiona d’acchito è il lago Argentino, viene da dire grande quanto il mare dato che non si intravede la sponda opposta come è noto ad ogni abitante o frequentatore dell’Adriatico. Nel grande lago vedi avanzare lentamente grandi e piccoli iceberg e prima di essere sorpreso pensi che hai visto male, che non è possibile perché hai sempre saputo che gli iceberg sono in mare. Eppure la realtà scivola davanti ai tuoi occhi e cosi fai la prima conoscenza con la particolarità di questi ghiacciai che premono dalla parte orientale e frastagliata del lago, frantumandosi ed inviando parte del proprio corpo a sciogliersi nel lago per alimentare le acque che daranno vita al Rio Santa Cruz per poi defluire nell’Atlantico.

Il Ghiacciaio Perito Moreno lo raggiungiamo dopo aver percorso una ottantina di chilometri in parte all’interno del parco medesimo. Piove intensamente, le nuvole sono molto basse, e fa un freddo pungente. Sarebbe un peccato se non si riuscisse a vedere il monte. Si entra nel parco costeggiando il lato sud della penisola Magallenas dove si può campeggiare ( con il tempo diverso da oggi ) e ristorarsi, poi il Brazo Rico che rappresenta l’estrema insenatura del lago. Dalla parte opposta, a nord della Peninsula, si estende un altro braccio del lago, il Canal de los tempanos . Tra quest’ultimo ed il Brazo Rico si erge il ghiacciaio Perito Moreno che alto sessanta metri, si estende alle sue spalle per oltre cinque chilometri verso la Cordigliera da cui discende e che, a malapena intravista, ne alimenta con neve e freddo la forza di essere uno dei pochissimi ghiacciai in stato di avanzamento. Il ghiacciaio separa le due braccia del lago e periodicamente nel suo avanzare si congiunge alla Peninsula Magallenas . A quel punto la pressione dell’acqua del lago ai suoi fianchi ha un effetto dirompente e pirotecnico, esplode, si frantuma.

Dicono che sia uno spettacolo immane, ed anche pericoloso. Dei cartelli invitano a non superare gli sbarramenti e ricordano che in un passato non meglio precisato circa sessanta persone sono morte per ammirare troppo da vicino l’agitarsi del ghiacciaio. Ci accontentiamo di quello che vediamo, che già ci pare troppo. Continui tuoni scuotono il ghiacciaio lasciando cadere immani blocchi di ghiaccio nel lago che sollevano vaste ondate.

Dovevamo prendere un piccolo aliscafo per ammirare dalle acque del lago la parete nord del Perito Moreno; niente da fare, la giornata fredda ha formato del ghiaccio che blocca il natante, gli sforzi dell’equipaggio nel cercare di spostarne i blocchi sono vani. Va bene cosi, ci rifaremo il giorno dopo.

Per andare al ghiacciaio di Upsula si va a Punta Bandera un piccolo porto adiacente all’entrata del parco, per prendere un aliscafo moderno con una visualità a trecentosessanta gradi che consente di ammirare i frequentatori del lago cosi come mano a mano si presenteranno per soddisfare la gioiosa attesa di noi turisti, dai cormorani al condor.

Si percorre sotto un cielo plumbeo e minaccioso la parte nord del lago, il Brazo Norte ed il Brazo Upsala. Si incontrano iceberg di tutte le dimensioni che appaiono raffigurare animali giusto per dare sfogo alla fantasia, e di tutte le sfumature del celeste, dell’azzurro, del bianco, date dalla consistenza dell’acqua gelata o dallo stato di avanzamento del loro scongelamento. La maestosità ed imponenza del ghiacciaia Upsula appare nello zigzagare dell’aliscafo per evitare gli enormi iceberg che ora si incontrano sempre più frequentemente. Occorrono svariati minuti al potente aliscafo per percorrere a distanza di sicurezza la fronte del ghiacciaio e rilevarne la grande ampiezza. Sembra sia il maggiore ghiacciaio di tutta la Cordigliera australe, si estende per oltre trenta chilometri con i monti perennemente innevati per congiungersi con il Glaciar Viedma. Sullo sfondo a nord il Cerro Fitz Roy e più a est il Cerro Torre che superano abbondantemente i tremila metri, che sono dei picchi ove si avventurano i migliori scalatori, che noi però non riusciamo ad intravedere.

Attoniti ed anche stanchi ci apprestiamo a rientrare a El Calafate dopo aver passeggiato e riposato sulla spiaggia del lago Onelli nelle vicinanze dell’omonima baia.

L’autista del pulmino opportunamente percorre una strada diversa rispetto a quella del mattino, per farci ammirare un po’ di ambiente diverso,anche perché non piove ed il cielo si è schiarito. Si passa vicino alla estancia La Anita. L’accompagnatore – una brava persona – ci ricorda che fu al centro dei moti del ’21 e che nei suoi spiazzi l’esercito compì una vera strage anche se si tentò di accreditare la versione che si trattava “solo” di sei sovversivi, ma i ricercatori documentarono almeno duecento uccisioni mentre gli anziani del paese affermarono che furono fucilati cinquecento scioperanti, di cui molti cileni e forse per questo non conteggiati.

Nella cittadina vi è una piccola strada, più scalinata che strada, dedicata alla memoria degli huelghisti.

Lasciamo la cittadina dei ghiacciai per andare in Cile a Puerto Natales, sempre con il bus, che questa volta sembra un residuo di qualche guerra. Si parte presto,di prima mattina, ed i pochi viaggiatori sono ancora assonnati. Sono in genere giovani coppie, (ad eccezione del sottoscritto), che con il sacco a pelo vagabondano per conoscere una parte del mondo. Anche l’autista è giovane, sale nel mezzo con grande padronanza portando un bastone che sembra quelli per giocare a baseball. Non capiamo, non può essere un problema di sicurezza . Si percorrono lande stupende tappezzate di verde per la pioggia caduta, superiamo canyon cromatici e piccoli corsi d’acqua, incontriamo numerosi animali, soprattutto branchi di guanachi, senza praticamente incontrare traffico, soprattutto dopo aver lasciato l’asfalto a poca distanza di El Calafate. Ad ogni sosta, e saranno numerose nelle otto ore di viaggio necessarie per fare meno di 400 chilometri che ci separano dal centro cileno, l’autista prende il bastone e lo batte con forza sulle gomme per assaggiarne la tenuta. Rivelata la funzione pacifica e funzionale dell’arma contundente, giungiamo a Rio Turbo, subito dopo il confine. Salgono diversi locali, non riusciamo a capire se argentini o cileni Si attraversa,sempre in bus, Rio Turbo, il villaggio carbonifero in evidente drammatica crisi economica a seguito della privatizzazione di cui ci ha parlato Antonio andando a Cabo Virgenes. Qui si estrae, o meglio si estraeva, il 99% del carbone argentino. La cittadina è annerita dalle polveri; i problemi sanitari ed ambientali dovrebbero essere stati, e forse lo sono tuttora, drammatici. Le case sono di legno, di lamiera ondulata, piccole e basse; qualche agglomerato tipo case popolari ricorda la politica assistenziale del peronismo; oggi sono vistosamente degradate. Il centro operaio porta evidenti i segni delle lotte sociali, non sappiamo quanto recenti, che l’hanno segnata. Qui lavoravano molti operai cileni, che sono dovuti rientrare nel loro paese. Le scritte contro il governo e la società minerale argentina ricoprono ogni spazio di ogni muro disponibile. Con generosità ed illusione si ricorda che sarà il loro Vietnam. Non è stato cosi.

Qui è vissuto un popolo andino più che un popolo ripartito per nazionalità. In questa parte il valico non presenta difficoltà ed il trasmigrare – prima a caccia di animali ora in cerca di lavoro – era qualche cosa di congenito,un dato costante ed acquisito del comportamento. Le frontiere portano con sé qualcosa di assurdo. Alla frontiera non ci sono difficoltà per noi europei, o turisti. Cartelli ricordano il divieto di superare la frontiera portando generi alimentari, anche panini, in particolare a base di carne, per protezione sanitaria. I locali anch’essi bianchi ma bruciati dal freddo e dal sole, orse sporchi e comunque poveri, si vedono nella loro terra perquisiti accuratamente per vedersi sequestrare pacchi modesti di carne acquistati sicuramente ad un prezzo inferiore rispetto al Cile e che molto probabilmente sarebbero stati utilizzati per onorare le feste, o per un modesto ma apprezzato regalo. Appena superata la frontiera i nostri amici vagabondi, con naturale nonchalance tirano fuori i loro panini di carne e li consumano con evidente spensieratezza.

Avendo i giorni contati abbiamo scelto di fermarci a Punta Arenas capitale della parte cilena della Tierra de Fuego, e dunque a Puerto Natales sostiamo poche ore, il tempo per ammirare dal molo del porto la maestosa Cordigliera che ci ricorda come la cittadina sia conosciuta ed apprezzata base logistica di supporto per visitare il Parque Nacionales Torres del Paine che ricorda le parti più belle delle nostre dolomiti quando erano ancora territori intatti. Larga parte dell’economia cittadina è finalizzata alla conoscenza del territorio ed alla possibilità di svolgervi attività sportive di ogni tipo. Basta che il cliente sia disponibile viene ovunque trasportato con tutti gli equipaggiamenti necessari. Ancora vi è poca gente, non tutte le innumerevoli botteghe dove si può acquistare o affittare di tutto sono aperte,l a stagione evidentemente non è iniziata. Il Cile oggi è più caro dell’Argentina ed anche in modo significativo. Più nette ci appaiono da segni esteriori, che possono però facilmente ingannare, le differenze sociali, come la notevole diffusione di case di lamiera ondulata.

Punta Arenas è un altro mondo, anche rispetto alle città conosciute della Patagonia argentina. Non sembra di essere nel sud estremo del continente. La piazza centrale della città, che con 130.000 abitanti è la più popolata dell’emisfero australe, è contornata di bei palazzi di cinque/sei piani costruiti in classico stile francese. La Cattedrale è incastonata tra edifici che la sovrastano. Questi palazzi signorili rappresentavano il potere economico e politico di un numero ristretto di famiglie, i proprietari delle grandi e sconfinate estancias dove si allevavano e tosavano milioni di pecore per poi esportare la luna in tutto il mondo allora sviluppato. I latifondi furono avuti in concessione dal governo e questo implicò un legame di ferro tra allevatori senza scrupoli e governanti corrotti, legame che perdurò a lungo.

Precedentemente Punta Arenas era avamposto militare e colonia penale. Il porto stentava a decollare in quanto il commercio si limitava al trasporto di pelli di foca e di guanaco. Più tardi un primo consistente sviluppo fu provocato per la scoperta di un giacimento aurifero, non particolarmente consistente ma il cui sfruttamento durò circa venti anni. I nomi degli edifici principali, degli hotel, delle ampie strade, sono quelli ( Nugueira, Fenton, Braun, Menéndez,ecc.) che fondarono la Sociedad Explotadora de Tierra del Fuego che ebbe in concessione gratuita dal governo immense aree dove installarono le loro estancias di milioni di ettari. Furono recintati e gli indigeni non poterono più muoversi liberamente; l’allevamento ovino richiamò manodopera a costi insignificanti che consenti di accumulare fortune e poteri spropositati. La bella Plaza Munõz Gamero spaziosa e piena di aiuole e monumenti, con cipressi e conifere, fu appositamente progettata per far risaltare gli edifici che la circondano.

Quando arriviamo si svolge una parata militare che si ripete ogni domenica, nella totale estraneità della popolazione locale e per il gaudio di qualche turista precedentemente indaffarato a fare acquisti nel piccolo mercato artigianale indios che si svolge tra le aiuole. Ai tempi di Pinochet vi erano oltre cinquantamila militari installati nelle caserme sparse attorno alla città, pronti per l’eventuale guerra con gli altri golpisti dell’Argentina.

Anche qui molti monumenti alla grandeur degli eserciti. Da queste parti furono confinati molti patrioti cileni a seguito del golpe del 1973. I musei come lo stesso cimitero con i suoi sfarzosi tempi ci raccontano dei fasti e della smisurata ricchezza delle solite famiglie. Gli indigeni, il proletariato, la plebe, sembra che non abbiano lasciato tracce;sembra.

Del buco d’ozono aperto pericolosamente sopra la città che rende portatore di malattie quel sole di cui vi è grande bisogno non troviamo preoccupazioni, ne indicazioni di comportamento. Possiamo sperare che non sia una pericolosa sottovalutazione.

In questa città, e non per il clima, sentiamo freddezza,estraneità, decidiamo di partire.

Dopo l’ennesimo bel viaggio in bus – alla fine percorreremo oltre 2.000 chilometri col collettivo – arriviamo a Ushuaia, capitale argentina della Terra del Fuoco, la fine del mondo.

Si deve ai navigatori spagnoli l’avere affibbiato il nome tierra del fuego a quest’area innevata, ricoperta di ghiaccio, in qualche caso desolata comunque fredda. Navigando osservarono che la costa punteggiava di fuochi, anche all’interno delle canoe che si muovevano sotto costa. Erano gli abitanti millenari di questi luoghi che vivevano di caccia, sia nella terra ferma che in mare, si coprivano di pelli quando potevano, resistevano alle intemperie ed al freddo coprendosi di grasso animale, specie del lobo marino, e trascinando nelle loro perenni migrazioni il fuoco che veniva costantemente alimentato, anche all’interno delle canoe.

Ad Ushuaia come a Punta Arenas l’insediamento urbano nasce come avamposto militare di competizione e confronto col Cile, e viceversa.Cosa perenne nel rapporto tra i due stati visto che un secolo dopo solo la paziente mediazione vaticana riuscì ad impedire la guerra aperta tra i due paesi governati da giunte militari golpiste, che si contendevano la sovranità di qualche isolotto arido e disabitato del Canale Beagle. Il carcere ed il presidio militare alimentarono la crescita degli abitanti, anche con metodi poco ortodossi. Sembra che non fosse particolarmente difficile fuggire dalla colonia penale visto che i carcerati venivano condotti ogni giorno a lavorare nei boschi o ad edificare i primi edifici della futura città. Occorreva però attraversare la Cordigliera ed era più facile trovarvi la morte che la libertà. In assenza di regolari collegamenti una volta cessata la pena era forse più conveniente e più sicuro iniziare una nuova attività in questi luoghi.

In questi ultimi anni il boom turistico è stato notevole, alimentato dalla letteratura, ( Chatwin in primo luogo, ma anche Coloane e Sepùlveda ed altri scrittori ) che ha creato il mito della fine del mondo. La cittadina è cresciuta a dismisura dilatandosi da tutte le parti in modo caotico. In piena estate ci dicono ben difficilmente si trova da dormire, anche se le case private si aprono volentieri ai turisti ed i camping sono numerosi. Ora siamo all’inizio della primavera e questa pressione non si avverte anche se gli alberghi sono affollati di famiglie bonaerensi oltrechè di vagabondi provenienti da più parti. Ushuaia con i suoi quarantamila abitanti e quella che si dice una ridente cittadina che degrada dalla collina al mare, attraversata da strade parallele alla costa ed altre perpendicolare, dando vita alle cuadras come in tutte le altre città dell’Argentina. Dietro la collina si ergono i monti del ghiacciaio Martial . Davanti il Canale Beagle e più avanti all’orizzonte le penisole cilene di Navarino e Hoste. A destra e a sinistra si prolungano le coste e le colline dell’Isla Grande.

Termina qui la cordigliera andina e non si trovano le parole adatte per definire il paesaggio mozzafiato che si può ammirare, ti sembrano desuete, convenzionali. Meglio affidarsi alle sensazioni fisiche, visive, olfattive e provare ad amalgamarle nella memoria per renderle durature.

Dal molo turistico del porto parte un piccolo aliscafo per perlustrare una parte del Canale Beagle. Per sei ore si naviga tra isolotti a cui sono stati assegnati nomi non particolarmente originali ( Isla de Pajaros, isla de los lobos , ecc.) per osservare colonie di uccelli – particolarmente belli i cormorani dal collo nero – leoni marini di uno e due peli e di diverse sfumature cromatiche, pinguini insediati in una colonia poco distante dall’estancia Haberton, che ricorda il primo insediamento europeo in questi luoghi, il faro Les eclaireurs che dovrebbe impedire ai mercantili di finire addosso agli scogli.

Cose largamente già viste ma è il contesto che fa la differenza e questa si interiorizza nella consapevolezza di essere e di vivere la fine del mondo, sensazione che ci accompagnerà nei prossimi giorni anche se opportunamente gli hushuaiani ti propongono di essere all’inizio del mondo per ribadire che ogni caso quando va bene ha almeno due sfaccettature.

Se si vuole una visione più suggestiva dell’insieme della baia si sale sui monti Martial. Il Parque Nacional Tierra del Fuego si trova solo a dieci chilometri. Si può attraversarlo con il tanto declamato e pubblicizzato trenino “ il più australe che esista “ che una volta portava i prigionieri nel bosco per i lavori forzati. Preferiamo camminare a piedi – anche per osservare meglio la fauna e la flora – perderci tra sentieri,attraversare colline, costeggiare il lago Roca, superare ruscelli e giungere alla Bahia Lapataia. Nel Parco torniamo a costatare la calamità provocata dai castori che per costruire le loro opere idrauliche e dighe, abbattono a migliaia grossi tronchi in un lavoro di squadra che farebbe invidia a qualsiasi impresa. Già giungendo col bus prima di Ushuaia avevamo osservato per decine di chilometri la distruzione boschiva conseguenza del loro frenetico ed inarrestabile lavoro. Il castoro non è un’animale autoctono, fu importato per incrementare le risorse naturali ma non ha predatori e la loro crescita è esponenziale, alterando drammaticamente l’ambiente e riducendo la biodiversità che si voleva arricchire. Nella Bahia un vistoso cartello informa che qui termina la strada nazionale n.3 dopo 3.200 chilometri da Buenos Aires.

L’impalpabile ed all’apparenza incomprensibile atmosfera di Ushuaia trascina in una dimensione diversa (o forse noi suggestionati vogliamo crederlo). In alcuni bar, in alcune trattorie o ristoranti trovi qualche cosa di misterioso che aleggia nelle conversazioni svolte in tante lingue, nella coppia di italiani che abbiamo più volte incontrato che sorseggiando vino ci salutano ammiccando, nelle grida a stento trattenute di marinai o che tali sembrano per le barbe bianche e tanto di pipa tra i denti, nel parlare sotto tono di ricercatori e scienziati che hanno le loro basi in Antartide e vengono a fare rifornimento o tramutano le navi oceanografiche per ospitare turisti e finanziare in questo modo la continuazione della ricerca scientifica altrimenti drasticamente ridimensionata dai tagli governativi dell’ondata neoliberista. Si, vogliamo convincerci che malgrado i voli charter provenienti dalla capitale che promettono di far conoscere in due/tre giorni la magia di questi luoghi, vi è rimasto qualche cosa di integro, magari solo perché siamo all’inizio della primavera australe.

La visita ai musei non ha nulla di convenzionale, di scontato.Quello del penitenziario da una sensazione reale di sofferenza e nel contempo di pionierismo; le sue celle sono incredibilmente anguste e le pareti sono ricoperte di pannelli espositivi e di giornali d’epoca che ricordano i più famosi ospiti e le loro gesta. Famosi criminali racchiusi per decenni assieme ad esponenti politici che poi assunsero ai maggiori incarichi istituzionali visto che un futuro presidente prima dovette passare e soggiornare in queste celle, cosi come accadde ad alcuni degli scioperanti che riuscirono a scampare alla mattanza del comandante Varela.

Furono repressi i problemi sociali posti da un’immigrazione crescente. Opportunamente un cartello ci informa che i reclusi appartenevano a molte nazionalità; gli italiani erano ben rappresentati. Anche ad Ushuaia la comunità italiana è ben rappresentata.

Visitiamo un piccolo museo sulle origini della città. Siamo soli; l’operatore culturale che contemporaneamente vende i biglietti e se necessario fa da guida, ci avverte che le sale espositive non sono particolarmente ricche ed è quasi intimorito circa una nostra possibile delusione poiché si parla solo di indigeni, delle loro origini. Lo rassicuriamo, è proprio e da tempo quello che cerchiamo.

Infatti i cartelli espositivi illustrano con disegni, vecchie foto e diagrammi, numerose notizie sulla vita e le migrazioni degli Ona,degli Hansh, degli Alacaluf,e soprattutto degli Yahgan che per migliaia di anni hanno popolato indisturbati queste terre, che poco più di un secolo addietro accolsero senza traumi popolazioni cosi diverse da loro, insediandosi nelle loro località e poi progressivamente ed in poco tempo emarginandoli fino alla totale estinzione poco più di cinquant’anni or sono. Perché ? Le risposte sono sotto tono, non dette apertamente ed alcune scontate in quanto generalizzate. Ovunque è giunta la colonizzazione apportatrice di nuova civiltà: i tanti morti provocati dal contagio di malattie come il vaiolo o la caccia industriale compiuta a cavallo del XX° secolo nei confronti dei cetacei e del lobo marino che costituiva l’alimento primario di queste popolazioni.Si avverte anche nelle sale del museo la volontà di non svelare fino in fondo, di non trarre le conseguenze delle cose cui si accenna anche con particolari.

I Braun, i Menendez ed i loro consimili argentini quando ottennero le concessioni dal governo recintarono i territori per farli divenire pascoli esclusivi. La caccia che nutriva le comunità indigene non poteva essere più svolta, fu impedita e crudelmente repressa, le popolazioni indigene furono decimate. Era consuetudine in alcune estancias che i sovrintendenti pagassero con una sterlina una coppia di orecchie indigene. Anche il popolo delle canoe non poteva più cacciare le tradizionali prede marine e ricoprirsi del ricco grasso delle foche e dei leoni marini per tuffarsi nelle acque gelide del Canale Beagle o resistere alle rigide temperature dei luoghi cosi come avevano fatto per secoli.

L’uomo bianco civilizzato e monoteista dopo aver loro impedito di nutrirsi in libertà, si prese cura del loro futuro a fin di bene, specie nell’opera di missionari e contro la violenza dei latifondisti, Alcuni cercarono anche di capirli, con poca fortuna.

Furono racchiusi in comunità e furono ricoperte le loro nudità che provocavano scandalo.

Le epidemie non trovarono più ostacoli, fu un lento ed inarrestabile sterminio, ”allietato” dall’alcolismo profuso con abbondanza. Di queste tribù sono rimaste tracce labile in qualche museo ed in qualche libro.

La gran parte di turisti ossessionati dai souvenir apprende della loro esistenza dai nomi indigeni degli oggetti artigianali che i negozianti cercano di rifilarti in tutti i modi.

E’ ora di tornare a Buenos Aires.



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