Las Terrenas: una vacanza diversa

Era una notte buia e tempestosa... Così può sintetizzarsi l'inizio delle mie vacanze a S. Domingo, ma cominciamo dall'inizio, con calma e con una premessa fondamentale: descrivo solo quello che ho visto e vissuto, senza la pretesa di descrivere l'intera società domenicana o dipingere un quadro omnicomprensivo e totalmente...
Scritto da: Corrado M. 4
las terrenas: una vacanza diversa
Partenza il: 03/03/2005
Ritorno il: 11/03/2005
Viaggiatori: da solo
Spesa: 1000 €
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Era una notte buia e tempestosa… Così può sintetizzarsi l’inizio delle mie vacanze a S. Domingo, ma cominciamo dall’inizio, con calma e con una premessa fondamentale: descrivo solo quello che ho visto e vissuto, senza la pretesa di descrivere l’intera società domenicana o dipingere un quadro omnicomprensivo e totalmente esauriente.

Atterraggio all’aeroporto di Puerto Plata dopo un interminabile volo Eurofly e, seppur provati, bisogna stare vigili, poiché si avvicendano subito vari tizi che chiedono mance senza motivo (per chi comunque non sapesse resistere alle insistenti richieste, consiglio di avere in tasca un paio di monete da un euro, andranno benissimo).

Il villaggio si trova a tre ore di autobus, durante le quali assaggerò la ‘disinvolta’ guida domenicana, in strade tutt’altro che piatte e rettilinee.

L’oscurità notturna ed una scoraggiante pioggerellina accompagnano il tragitto, costellato da frequenti sballottamenti e incontri ravvicinati con mandrie di bovini, dalle ossa paurosamente sporgenti, in transumanza nel bel mezzo della via.

Al chiarore dell’alba, una flebile speranza di sole si accende, con qualche timida lama di luce che trapassa le nubi, ma ecco che, entrati in una zona montagnosa (con strappi e discese degne del miglior Gran Premio della montagna), veniamo accolti da una nube carica di pioggia e presto ci avvolge una nebbia tipicamente padana (talmente familiare che pensavo apparisse ad ogni curva la Madonnina del Duomo meneghino!).

Ecco, infine, Las Terrenas, paesino che si sviluppa tutto sulla lunga via principale dov’è ubicato il villaggio di destinazione, il Bravo Club Aligiò.

Provati dal viaggio e dai cattivi umori del meteo, il primo impatto è deludente, ma il tempo mi insegnerà ad apprezzare tante cose, che faranno della mia vacanza qualcosa di veramente originale, unico e alternativo rispetto ai cliché dei viaggi nei Caraibi ai quali noi occidentali siamo abituati, un’esperienza che mi arricchirà sotto molti punti di vista.

Dopo una fugace colazione ed una bella doccia rigenerante, sono pronto a prendere contatto con la geografia locale e conosco subito un personaggio molto particolare: Paolo, ovvero lo ’Zio’, milanese, trasferitosi ormai da tre lustri a S. Domingo, appassionato ed istruttore/guida di immersioni subacquee.

Sarà lui a darmi le prime dritte e a rinfrancarmi dalle delusioni iniziali; comincio anche a far conoscenza con un corposo gruppo di amici e amiche, ognuno con la propria particolare, unica e pazzerella simpatia, che mi sosterrà gioiosamente fino al rientro.

Prendo velocemente contatto anche con lo staff dell’animazione: una truppa di gente in gamba, piena di vita e allegria, decisamente tagliata per questo ruolo.

Intanto, però, la pioggia non dà tregua, ma proprio nello scoramento generale inizia a balenarmi l’idea che sarà la chiave di volta del successo di queste ferie: se non posso avere ‘sole e mare’, utilizzerò il villaggio come punto di partenza per conoscere al realtà locale e fare tante escursioni.

Le opportunità non mancano e infatti, tramite l’organizzazione del Bravo Club, partecipo a tre delle opzioni a disposizione.

Escursione n.1: Cascate a El Limon a cavallo.

La partenza è situata nei pressi del piccolo aeroporto di El Portillo, gli animali sono bravissimi (non si scomporranno nemmeno ai frequenti clacson di auto e moto), ma con una giusta dose di vitalità.

L’itinerario si sviluppa per stradine impervie e rese scivolose dal fango infido prodotto dalle abbondanti piogge; fra battute varie e l’ilarità generale anche delle guide, arriviamo dopo circa un’ora sulla sommità di una collina libera da vegetazione, dove si trova un capanno per un breve ristoro (soprattutto per le nostre parti nobili, non abituate a prolungati trekking in sella!).

Da questo luogo di osservazione scorgiamo finalmente le famose cascate, suggestive e piuttosto alte.

Una ventina di minuti a piedi ci separano da un rinfrescante bagno, sperando così di sfuggire alla cappa caldo-umida che avvolge tutti noi.

Un consiglio particolare per le calzature, soprattutto se ha piovuto abbondantemente o da poco: attrezzatevi con stivali da pescatore al ginocchio oppure, meglio, di scarpette di gomma come quelle usate per camminare sulle rocce al mare.

L’ultimo tratto è insidioso, il solito fango è in agguato, guadiamo un fiume, fradici per l’ennesimo acquazzone ed eccoci alle cascate e la laghetto antistante: acqua pressoché gelida, ma abbiamo fatto tanta fatica per non tuffarci e farci martoriare dai getti che dall’alto si riversano in quest’angolo di paradiso vegetale? Detto fatto… tutti o quasi alla scoperta delle grotte nascoste dal pesante flusso d’acqua. Il programma dell’escursione purtroppo incalza e quindi via verso il ritorno, fra altri guadi e galoppatine mica male, entrando in sintonia con il cavallo, assecondandone il ritmo e i movimenti.

Anche il pranzo è tipico: riso con fagioli, carne di pollo o pesce e frutta saporita come non mai, sempre in compagnia dei miei nuovi amici ed infine rientro al villaggio, stavolta motorizzati.

Escursione n. 2: Jeep Safari.

E’ l’escursione più completa, con triplice traversata della penisola di Samanà a bordo di piccole e maneggevoli, ma potenti jeep, con partenza proprio davanti al già citato aeroporto di El Portillo.

Non ho avuto, purtroppo, che una breve occasione di guidare i mezzi, perché ero in auto con la nostra guida Nano (46 anni, persona stupenda e loquace), il suo nipotino Ale (6 anni, bellissimo e timidissimo) e l’aiutante Ube (25 anni, anch’egli taciturno, ma sempre sorridente e gentile).

Credo che in loro compagnia, io abbia scoperto la parte più vera di questa terra, ricca e fertile, dove qualsiasi cosa si pianti cresce facilmente: è incredibile come la natura provveda a tutti i bisogni essenziali dell’uomo (quando questi sa rispettarla), donando a piene mani una varietà eccezionale di piante, frutti e tuberi, sia per alimentazione che con funzioni curative (ogni varietà è “specializzata”, per zone geografiche, altitudine, stagionalità, ecc.) La pianta del mango, in particolare, dal fusto così flessibile da piegarsi sotto la spinta possente degli uragani senza spezzasi, così fornendo sempre un frutto altamente calorico a beneficio della sopravvivenza di uomini e animali.

L’incontro con la gente è emozionante, un popolo sempre pronto al sorriso, bambini dai stupendi lineamenti, che corrono verso di te e ti salutano senza conoscerti finché non scompari alla vista.

Persone poverissime, ma serene, dagli occhi felici, che prendono le cose così come vengono: il passare del tempo, l’uragano… si accontentano di quello che la natura (cibo, materiale da costruzione, ecc.) fornisce loro e non hanno nessun’altra preoccupazione.

I domenicani si lasciano trasportare dai lenti rivoli della vita, con un atteggiamento che è qualcosa di diverso dall’accettazione passiva , inerte attesa, placido far niente, pigrizia o indolenza, ma frutto invece di una sapienza antica, perfettamente assimilata.

Molti ragazzi vanno a scuola, dopo corrono liberi a piedi nudi nell’ambiente che li circonda; nessuno sembra risentito, arrabbiato, invidioso o scontento, come spesso siamo noi occidentali, che, nonostante la nostra opulenza, siamo sempre insoddisfatti, dalla lamentela facile, chiusi nei nostri uffici, in un mondo artificiale, alienante ed estraneo, che ci allontana progressivamente dalla natura e dal nostro essere, attraverso il rifiuto di ciò che siamo, alla ricerca di un’effimera e superficiale esistenza.

Verrebbe proprio da chiedersi chi abbia ragione fra loro e noi!!! I domenicani sempre pronti ad aiutarti e aiutarsi, noi individualisti ed egoisti, fissati dall’apparire e dall’avere.

Dopo avere attraversato piantagioni di cacao, caffè, caucciù, ananas e banane, beviamo un bel caffè caldo in montagna (manco a dirlo clima freddino e pioggia) dalla mamma di Nano (75 anni, con undici figli e una trentina fra nipoti e bis nipoti), che ci accoglie nella sua cucina: un tavolino di argilla indurita, dove una pentola d’acqua bolle su un fuoco di legna.

Si preleva l’acqua calda con un bicchiere di peltro, la si mescola con un po’ di polvere di caffè, si versa il tutto in una specie di calza di puro cotone fissata su di un apposito utensile di legno, il cotone filtra il preparato ed ecco la nera bevanda che trapela in un bicchiere e pronta da bere.

Pranzo a Playa El Valle, una grande insenatura fra promontori a strapiombo sul mare perennemente ammantati da lussureggiante vegetazione tropicale, spiaggia di considerevole fascino battuta dai venti, con onde importanti ed una corrente oceanica da non sottovalutare; per raggiungerla affidarsi ad una guida e percorrere chilometri di strada sterrata e fangosa con alcuni guadi (altro mezzo consigliabile oltre la jeep, sempre che non si voglia rimanere in panne, un cingolato!).

Escursione n. 3: avvistamento balene e isola Cayo Levantado.

Si parte dal villaggio con un pulmino scoperto stile militare, con guida giovane e simpatica, alla volta del porto di Samanà, dove prenderemo il traghetto.

Eccoci all’imbocco della grande baia, novelli Achab, con le nostre armi (camere e fotocamere digitali) a cercare di catturare qualche magico momento con questi affascinanti cetacei, che ogni anno, da gennaio a marzo, si fanno 5000 chilometri circa per venire a partorire in queste calme e calde acque. Calme non proprio, visto tutte le imbarcazioni presenti! Gli sbuffi si susseguono, come pure saluti con pinne e code, ma proprio mentre ci avviamo verso la fine del giro, a cinquanta metri circa un salto improvviso, tutta la balena fuori dall’acqua, attimi interminabili e poi un mare di schizzi e spuma biancastra.

Estasiati, non sapevamo ancora che non era finita: un gruppo di quattro balene ci puntano, avvicinandosi rapidamente in un’alternanza ritmica di emersioni ed immersioni, proprio in immersione ci passano giusto sotto la prua, colorando d’azzurro le acque e con un ultimo sbuffo, si inabissano definitivamente nelle profondità marine.

Cayo Levantado sarà anche l’isola le cui spiagge sono servite da location per uno spot pubblicitario di una nota marca di rhum, ma l’invasione di cemento e turisti, stile riviera romagnola ad agosto, è stato veramente deprimente e deludente.

Mangiamo su tavolate al coperto e assaltati da venditori di tutti i tipi e di ogni souvenir possibile.

Rientro nel tardo pomeriggio, sferzati da un’aria frizzante, ma finalmente baciati da un sole che riesce a farsi largo in un cielo sempre meno chiuso ed ostile.

La svolta meteo è decisiva, sole e ancora sole fino al rientro in Italia.

Ne approfittiamo per noleggiare dei quad (moto con quattro ruote, adatte a terreni ostici), con l’intento di girare le altre spiagge della zona: Playa Bonita e Playa Cozon a circa quindici chilometri dal villaggio.

La prima si apre in una baia affascinante, mare cristallino dalle molteplici sfumature… il tempo di togliersi t-shirt e calzature e siamo già in acqua… un richiamo irresistibile, senza neanche il bisogno delle sirene! La seconda spiaggia è da sogno, eccolo dunque il paradiso caraibico! Ci attardiamo a scorrazzare con in nostri quad, quando veniamo sorpresi da un tramonto mozzafiato: il sole che si tuffa nelle acque infuocate, in una cornice infinita di palme e di profonda quiete.

Si avvicina la fine della vacanza e il tempo migliora, il destino ci regala due giorni di sole, cielo terso, vento leggero e mai fastidioso, il tutto immerso nei colori vivi dei Caraibi, che ci gustiamo con golosa avidità.

Che dire poi delle serate, un’allegra cena in compagnia, un salto al bar del villaggio per i nostri ‘ammazza caffè’ e via allo spettacolo dell’animazione (spassoso, provare per credere), per concludere con una cerveza al Pac-Paschà (fra discoteca e locale tipico, che se non fosse per l’invasiva prostituzione…), in riva al mare, sotto un cielo stellato che non ci aveva abbandonati neanche nei giorni di pioggia.

Tocchiamo l’argomento bere? Rhum (qui è ron) a garganella, eccellente il Brugal Anejo Extra Viejo Gran Reserva Familiar; Mamajuana: ron più miele e mix di erbe misteriose, di ottimo sapore, si dice abbia lo stesso effetto di certe celebri pastiglie blu occidentali, ma più verosimilmente, visto la carica calorico/energetica, ha più o meno lo stesso effetto del caro e vecchio Vov o simili (comunque come ‘cura omeopatica’, secondo me non è niente male!); cocktail come Pina Colada o Cuba Libre hanno sapori veri, intensi; da provare assolutamente il Coco Loco, non foss’altro per il contenitore in cui lo servono.

In conclusione, eccomi qui, ormai in Italia, con ancora i volti, i sorrisi, le risate, i ricordi ben chiari nella memoria, con il loro carico di nostalgia e di malinconia, a scrivere la mia esperienza, perché una vacanza non sia solo un viaggio nello spazio e nel tempo, ma anche un percorso di arricchimento e conoscenza interiore, una tappa di crescita, che ci elevi ad una dimensione più umana.

Ho voluto fissare in queste righe (fra cronaca e diario) quanto vissuto, prima che il grigiore e le banalità della quotidiana routine, del traffico, delle metropolitane, ci riconduca agli automatismi di una vita non nostra, innaturale, che ghermisce gli slanci migliori del nostro spirito.

Un grazie sentito a tutti coloro che hanno vissuto con me queste vacanze, facendone un altro significativo tassello del mosaico di quella terribile ed insieme meravigliosa avventura che è la vita.

Corrado



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