Laos, ultima meta

Ultimo viaggio in Indocina, dopo aver visitato gli altri Paesi ed esserne rimasti incantati... anche il Laos ci ha accolto con i suoi bei panorami e la gente sorridente anche se povera
Scritto da: fiore456
laos, ultima meta
Partenza il: 03/02/2015
Ritorno il: 13/02/2015
Viaggiatori: 3
Spesa: 2000 €
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I vietnamiti piantano il riso, i cambogiani lo guardano germogliare, i laotiani lo ascoltano crescere”.

Noi che amiamo il sud est asiatico questa volta ci siamo avventurati in Laos, l’ultimo Paese che ancora non avevamo visitato il cui popolo viene descritto in questo antico detto francese. Ed ecco dunque l’ennesimo diario di bordo.

Martedì 3 febbraio

Si parte! Questa volta viene con noi anche Piero che si è stancato dei “no” di Gianna e allora siamo in tre. Fa freddo, sono le 5 del mattino e siamo diretti a Malpensa.

Partiamo alle 10,15 con volo Emirates per Dubai, dove arriveremo 6 ore dopo e da dove partiremo – con un intervallo di altre sei ore – con un fantastico A380 su due piani – per Bangkok. Arrivati nella capitale Thailandese dovremo affrontare un altro volo, questa volta con un ATR 72, alla volta di Luang Prabang, dove arriveremo alle 12 del 4 febbraio 2015. per i vaggi aerei, compresi quelli interni, abbiamo speso circa 450 €.

Mercoledì 4 febbraio

Siamo arrivati a Luang Prabang dove ci accoglie la guida locale Monsieur Phayvone, un piccolino taciturno che parla un francese un po’ così così, all’orientale, diciamo, così come gli orientali parlano inglese, che ci conduce all’albergo, un bellissimo hotel su una collina dominante la città e che ci delizia di un bellissimo panorama, e poi a pranzo al ristorante The View Pavillon situato in una deliziosa casa coloniale di fronte ad un bellissimo e coloratissimo Vat. Mangiamo discretamente, la onnipresente zuppa, riso e quant’altro, e poi ho i primi problemi intestinali così me ne torno in albergo mentre i due uomini vanno con la guida alla visita della città. Visiteranno la collina di Phousi Hill e alcuni templi, uno con l’impronta del Buddha.

In albergo per fortuna mi riprendo, ingurgito il solito antibiotico intestinale e sto meglio. L’albergo è il Luang Prabang Viweu Resort ed è incantevole. Sul terrazzino della camera si gode di un panorama stupendo e di bellissimi fiori.

Andiamo a cena al ristorante 3 Nagas, situato in una favolosa casa coloniale dove assaggiamo le alghe fritte che sono deliziose, servite con una specie di marmellata – ma lo scoprirò soltanto dopo – uno dei cui ingredienti, oltre al peperoncino, è la pelle di bufalo essiccata! Devo dire però molto buona. Solito riso e solite cose anche se c’è la tradizionale insalata di carne laotiana, la laap, poi ce ne torniamo in albergo stravolti.

Giovedì 5 febbraio

Prima colazione in hotel, molto buona, devo dire, e poi si parte per la visita al Palazzo Reale, neanche troppo sontuoso, anche se bello e ricco di storia e pezzi d’arredamento molto belli. Nei giardini incontriamo un gruppetto di 5/6 italiani che salutiamo.

Dopo la visita del palazzo reale ci imbarchiamo su una tipica imbarcazione e inizia la navigazione sul Mekong che qui è proprio maestoso. Visitiamo due villaggi, uno dove si produce il lao-lao, la tipica bevanda laotiana fatta con riso fermentato e l’altro dove artigianalmente viene prodotta una bellissima carta decorata con fiori e foglie.

Finalmente siamo alle Grotte di Pak Ou che raccoglie migliaia di statue raffiguranti Buddha e meta di pellegrinaggi. C’è una lunga scalinata che porta alla grotta superiore piena di donne e bambini che vendono frutta da offrire a Buddha. Mi fanno una pena immensa, questi bimbi, così piccoli e già costretti a guadagnarsi la pagnotta. Compriamo delle banane e – non visti – ce le mangiamo invece di offrirle a Buddha. Sarà stato sacrilegio? Ma Siddharta Ghoutama era così comprensivo che non credo se la sia presa.

Nel pomeriggio visitiamo vari templi, il Vat Visou, il That Makmo ed altri templi che sono incantevoli.

Per cena ci portano – sorpresa – al ristorante L’Elephant, che ha cucina francese! Delizia!

Poi a nanna perché siamo belli cotti.

Venerdì 6 febbraio

Stamattina ci svegliamo all’alba per assistere al Tak Bat, ovvero la questua dei monaci, rito antichissimo che vede centinaia di monaci in fila che ricevono cibo dai fedeli. E’ una bella cerimonia, anche se non vi ritroviamo il patos che avevamo avuto in Birmania. La guida mi dice che tra pochi giorni ci sarà la festa dei bonzi e che a Luang Prabang ce ne sono più di duemila.

Dopo torniamo in hotel per la colazione e poi partiamo per Ban Phong Van dove visitiamo una tipica fattoria che produce riso biologico e poi il villaggio di Na Quang, della minoranza Hmong, dopo di che proseguiamo per le cascate di Kuang Si, spettacolari davvero, in quanto l’acqua cade sopra numerose stratificazioni calcaree che spesso hanno forma circolare e formano delle piscine naturali molto belle. Peccato che non sia affatto caldo e non si possa fare il bagno, anche se alcuni ragazzi lo fanno. E’ comunque una bellissima esperienza, il luogo è incantevole, vi è anche un’area protetta per gli orsi, ce ne sono quattro e a vederli da lontano sono pure belli.

Abbiamo il pranzo pic nic in riva alla cascate, ed è una vera delizia godere di questo bel posto.

Torniamo abbastanza presto per cui ci facciamo lasciare in centro invece che in albergo e visitiamo Luang Prabang che io non avevo ancora visto. E’ una città molto bella, a misura d’uomo, dichiarata dall’Unesco patrimonio dell’umanità grazie alla suggestiva combinazione tra le bellezze naturali, il fascino degli antichi templi e palazzi e la ben curata architettura coloniale.

La città si trova in una pianura circondata da montagne a circa 300 metri s.l.m.

Nel 1707 dopo anni di lotte fra varie fazioni nobiliari il regno di Lan Xang si frazionò e Luang Prabang divenne la capitale della parte settentrionale che dovette sottostare a vari invasioni. Nel 1893 la Francia tolse il controllo dei regni ai siamesi e riunificò il Laos inserendolo nella colonia dell’Indocina Francese. Il governo della provincia di Luang Prabang fu affidato al locale sovrano e quando il Laos conquistò l’indipendenza il re divenne capo di stato del neonato Regno del Laos. La residenza del re rimase a Luang Prabang anche se la capitale ormai era diventata Vientiane, e ciò fino al 1975 anno in cui il regno fu rovesciato dai comunisti del Pathet Lao.

Visitiamo dei posti veramente suggestivi e attraversiamo anche il ponte di bambù che è una vera attrazione e che viene ricostruito ogni anno dopo la stagione delle piogge per riunire una parte all’altra della città che è attraversata sia dal Mekong che dal Nahm Khan.

Stasera si cena al Tamnac Lao con verdure fritte e buona zuppa, anche se noi speravamo di bissare l’Elephant…

Sabato 7 febbraio

Oggi si parte per Van Vieng. Il percorso stradale che ci attende è di circa 250 km e ci impiegheremo almeno 6 ore. Ci inerpichiamo su per le montagne e vediamo alcuni villaggi abitati da minoranze etniche minori che vivono in condizioni veramente miserevoli. Le case sono per lo più in legno con tetto in lamiera, non hanno acqua, solo l’elettricità. I bambini ci fanno una gran pena, sono sporchi e vestiti in maniera improponibile, dono caramelle e vafer ripieni di cioccolato.

Saliamo per vari passi, scavalcando grandi monti su una strada tortuosissima e ci fermiamo in cima ad un picco al ristorante Phieng Fath dove insieme all’immancabile riso “gustiamo” verdure e carne in salsa rossa dolce e carne e verdure bianche che immancabilmente lasciamo nel piatto. La cucina laotiana, quasi come tutte le cucine orientali, si basa soprattutto sul riso, sulla salsa di pesce fermentato e sulla citronella, con i risultati che ben conosciamo. Pazienza.

Cominciamo a scendere e nel bel mezzo di una curva ci si ferma: un camion con relativo articolato si è piantato in mezzo alla strada. Per fortuna noi viaggiamo su un piccolo mini van e riusciamo ad aggirare l’intoppo ma dietro di noi ci sono pullman, auto e altri camion che non so quando riusciranno a passare e questa è l’unica strada, la Route 13, che porta a Vientiane.

Quando Dio vuole raggiungiamo finalmente Vang Vieng, che al di là del fatto di essere una cittadina prettamente turistica, offre panorami incantevoli.

Alloggiamo al Silver Nagas, con belle camere con vista sul fiume. Lasciamo i bagagli in albergo e per prima cosa andiamo a visitare la grotta di Tham Chang che anticamente era utilizzata come rifugio contro i predoni. Per raggiungerla, naturalmente, dobbiamo percorrere una ripida escalier che conta 149 gradini. La vita è fatta a scale, si sa. La guida mi dice che durante la guerra del Viet Nam la città di Vang Vien è stata più volte bombardata e che le grotte offrivano rifugio.

Ci lanciamo poi in una corsa sul fiume Nam Song con moto lancia, incrociando tanti sballati e fumati che sono a bagno su camere d’aria. L’atmosfera è molto da “figli dei fiori” ma si sta molto bene. Ceniamo in ristorante cinese, il Sanasey Vanvieng con una discreta pizza, rifacendoci del pasto di mezzogiorno, e ce ne torniamo in hotel passeggiando per la cittadina che è piena di gioventù.

Domenica 8 febbraio

Si parte per Vientiane con un percorso di circa 160 km per il quale impiegheremo più di tre ore.

Sostiamo in vari villaggi di pescatori con pesce in bella mostra che non ci dice nulla di buono e che ci limitiamo a fotografare. Per pranzo arriviamo comunque nella capitale del Laos che è tutta in fermento, ci sono costruzioni nuove ad ogni angolo, stanno costruendo un centro commerciale enorme, si stanno proprio occidentalizzando.

Prendiamo alloggio al Lao Plaza Hotel che è un cinque stelle fantastico e andiamo a pranzo in un ristorante che offre anche piatti occidentali. Che buffo vederci mangiare lasagne al forno… ma era l’unica cosa che ci andasse!

Nel pomeriggio giriamo per la città che non è molto interessante, a parte il Vat Sisaket, il tempio più antico della città e che conserva migliaia di statuette in miniatura di Buddha, il Vat Ho Prakeo, una volta tempio reale che anticamente custodiva ill Buddha di Smeraldo che è stato trafugato dai siamesi e ora è in bella mostra a Bangkok.

Il That Luang Stupa, costruito al re Sethathirat nel 1566 è molto bello, nei suoi giardini stanno festeggiando tre matrimoni che fotografiamo, e poi ci rechiamo al Parco Chao Anouvong e al Patousay, l’arco di trionfo costruito nel 1958 sullo stile dell’arco di trionfo di Parigi. Saliamo sulla cima per osservare una gran bel paesaggio.

Si cena al Kualao Restaurant, in una gran bella casa coloniale con spettacolo di musica e danza tradizionale. La cena non è male, la zuppa è buona (ovvero senza troppa citronella) il pesce fritto non immangiabile, così fatto a bocconcini. L’involtino di foglia di cavolo ripiena di carne decisamente buono, il dolce ottimo.

Lunedì 9 febbraio

Peccato, perdiamo la colazione al Lao Plaza in quanto alle 5 siamo già verso l’aeroporto per volare per Pakse, nel sud del paese.

Il volo dura circa 1 ora e arriviamo a Pakse da dove partiamo per la zona nord ovvero il Boloven Plateau che si affaccia sulla valle del Mekong. Ma prima la guida ci fa visitare il mercato di Pakse che è immenso e pieno di roba, dal cibo ai vestiti. Mi incuriosisce un catino pieno di roba indefinibile e la guida mi dice che sono formiche rosse che servono per la zuppa di pesce…

L’altopiano è stato formato da un antico vulcano ed è celebre per le sue piantagioni di the e caffè e nella cui aerea si trovano innumerevoli cascate.

A Pakse abbiamo trovato la nuova guida, Monsieur Thammanoune che è molto più brillante del suo predecessore. Il suo francese è più comprensibile e si dilunga di più in spiegazioni e ci porta anche in luoghi non previsti dal programma.

Sull’altopiano vivono diverse minoranze etniche che credono ancora nell’animismo e compiono sacrifici di animali una volta all’anno prima della stagione delle piogge per ingraziarsi un buon raccolto e salute.

Le condizioni di vita di questa gente sono a dir poco miserevoli, i bimbi sono mezzi nudi, sporchi, col moccio appiccicato sotto il naso, fanno veramente pena. Distribuisco caramelle, acqua, a due bambine che ce le chiedono come fosse un bene prezioso, e penne. Peccato ne avessi solo due di penne in quanto le altre erano rimaste nella valigia a Pakse. Provo veramente una grande stretta al cuore.

Dopo aver dato un dolcino ad un bimbo nudo, su permesso dei presenti, mi viene offerto, dagli stessi uomini, del lao lao che stavano bevendo da una bottiglia: rifiuto gentilmente.

Una bimba si mette in bocca una caramella con la carta… Mario gliela sfascia… terribile.

Visitiamo diverse cascate, la più impressionante quella di Tad Fane per la cui visita occorre scendere 207 spaventosi gradini più altri 91 invece normali. La fatica è tanta, anche perché non vorremmo rimediare qualche frattura in questo paese che non ha ospedali decenti, per cui l’attenzione che poniamo ai nostri passi è davvero notevole.

Andiamo a pranzo in un luogo delizioso, vicino ad una cascata, con giardino rigoglioso pieno di fiori e prati stupendi: è il Sinouk Garden Cafè e Resort dove seduti all’aperto mangiamo spaghetti al ragù… ci sarebbe da ridere se non fosse quasi tragico. Comunque il caffè è buonissimo.

Beviamo sempre la birra laotiana, la famosa beerlao che è davvero buona.

Verso sera siamo di nuovo a Pakse nel nostro albergo, il Champasak grand hotel che ha grandi camere e bella vista sul Mekong, anche se laterale, ma le camere sono piuttosto trascurate. Scegliamo di cenare al ristorante in riva al fiume: ci portano di tutto e di più, ma il gusto è talmente asiatico da non piacerci per nulla.

A letto presto anche stasera.

Martedì 10 febbraio

Partiamo per la regione del Siphandone, ovvero delle 4000 isole: qui il Mekong toglie davvero il fiato, in questa stagione è largo 10 kilometri, mentre nella stagione delle piogge ben 14.

Ci rechiamo però prima al Vat Phou, tempio pre angkorkiano, molto bello e molto faticoso, tutto in salita con gradini incredibili. E’ stato inserito nella lista dell’Unesco per la sua bellezza. Questa regione, che ora è Laos, negli anni passati è stata contesa anche dai vietnamiti e dai cambogiani. Pare infatti che la denominazione di Champasak derivi da Champa, ovvero gli antichi abitanti del sud del Viet Nam che abbiamo già conosciuto a Phan Thiet. Il tempio è stato comunque costruito da Hindu Khmer, cioè cambogiani, e venera Vishnu, Shiva e Kala, dio indiano del tempo, anche se ora il tempio è stato convertito in buddista. Gran bell’esperienza.

Dopo aver visitato il sito visitiamo anche il museo e poi ci rechiamo a pranzo al Dochampa Restaurant dove “gustiamo” le solite cose… al termine del quale partiamo per Ban Khiet Ngong dove proseguiremo a dorso d’elefante… terribile, mai avuto tanta paura in vita mia!

Ci fanno salire sulla torretta per sederci su una scomodissima cesta in vimini sul dorso del bestione che mi lascerà dolori in tutta la schiena e per un’ora e mezza tribolo le pene dell’inferno. Per fortuna il supplizio termina e ci rechiamo nel nostro albergo all’isola di Khong, il Senesothxuen Hotel, che è una caratteristica casa coloniale in riva al Mekong, con bel giardino, belle camere anche se più spartane rispetto agli alberghi fino ad ora frequentati.

Ma ci aspetta una sorpresa: la nostra guida ci ha fatto preparare una cena occidentale! Mangiamo un ottimo minestrone di verdure passate con crostini di pane, una entrecote scaloppata con patatine fritte e verdure al burro veramente fantastiche! Non abbiamo parole dalla felicità!

Dormiamo divinamente, sazi e soddisfatti, e prima di andare a letto parliamo un po’ con la proprietaria, una signora vietnamita che vive tra Parigi e Hong Kong molto gentile con la quale colloquiamo un po’ in francese e un po’ in inglese.

Mercoledì 11 febbraio

Dopo una splendida colazione nel giardino, ci imbarchiamo su una lancia per visitare le isole di Done Det e Done Khone. Il viaggio in barca è rilassante, i panorami sono splendidi. Più si scende a sud più fa caldo.

Sbarcati facciamo una passeggiata lungo l’antica strada ferrata costruita dai francesi nel 1897 per evitare le rapide durante il trasporto delle merci verso la Cambogia, poi visitiamo le cascate di Sumphamith veramente fantastiche e quindi ci rechiamo a pranzo nel ristorante previsto che è chiuso, per cui cambiamo ristorante e troviamo il Phapheng restaurant dove mangiamo le solite cose…

Dopo pranzo ci aspettano le cascate di Phapheng che dire favolose è dire poco: sono incredibilmente belle e possenti. Meravigliose.

Rientriamo quindi a Pakse nello stesso albergo. Cena a base di omelette e topo che passeggia per la sala da pranzo…

A letto, quindi, domani ci aspetta una lunga giornata.

Giovedì 12 febbraio

Prima colazione molto striminzita e poi partenza per la visita ad una pagoda e ad una statua dorata di Buddha posta su una collina sopra la città. Entrambe le escursioni non erano previste ma la nostra guida è un uomo d’azione.

Prendiamo quindi l’auto e cominciamo il viaggio di ritorno prendendo la strada per la Thailandia.

Arriveremo pertanto a Ubon Ratchathani dove incontreremo la guida tailandese. Qui ci accomiatiamo dai nostri compagni di viaggio laotiani, raccattiamo le valigie e con la nuova guida ci inoltriamo in un tunnel sotterraneo che ci conduce in Thailandia.

Sbucati fuori la nostra guida ci presenta l’autista che carica le valigie su un mini van e poi ci porta a mangiare in un baracchino per strada dove tra noodle soupe e fried noodle preferiamo questi ultimi. Che dire? Il tutto sembra uscito da una avventura alla Antony Bourdain… mangio quel che posso del piatto e poi si rientra in auto.

Si percorre quindi una lunga strada che ci condurrà all’aeroporto di Ubon Ratchatani dove arriviamo alle 14,30. e qui la guida ci saluta dicendoci di fare il chek in alle 16,20, il che avviene puntualmente. Peccato che il luogo pulluli di zanzare.

Alle 18,30 ci imbarchiamo per Bankok su un Boing 777 dove atterriamo dopo circa 50 minuti di volo.

A Bangkok sosteremo per ben 6 ore, pertanto abbiamo tutto il tempo di fare il chek in e di far partire le valigie per Milano.

Decolliamo in orario e a bordo ci servono la colazione, poi cerchiamo un po’ di dormire.

Finalmente siamo a Dubai dove gironzoliamo per l’aeroporto che è mastodontico e alle 9,10 del 13 febbraio decolliamo per l’Italia, dove arriveremo sei ore dopo.

Con tutti i fusi arriviamo a Malpensa che sono circa le 11,40 del 13 febbraio, dopo di che non ci resta che aspettare le valigie, prendere il mini van del Travel, recuperare la nostra auto e tornare a casa stanchi, ma come si suol dire, felici.



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