Lanzarote 4
La mattina seguente ci si doveva trovare alle 8.30, ma i nostri amici non avevano possibilità di uscire prima delle 9.30. Evidentemente la sera prima avevano fatto una riunione speciale, in cui i due partecipanti si astenevano dal voler metter piede fuori dall’hotel prima delle 9.30. Comprensibilmente. Erano in ferie e avrebbero voluto far più spiaggia che escursioni… ma non sapevano cosa li aspettava… Durante l’attesa abbiamo cercato un posto a Puerto del Carmen dove fare colazione… erano tutti tristemente chiusi… possibile che nessuno vendesse un caffè e una briosche prima delle 9.30? Possibile. Alle 9 e qualcosa ci siamo fermati in un posto (Universal) che non ci ispirava per nulla, ma la commessa molto gentilmente e rigorosamente in inglese/spagnolo ci ha fatti accomodare in un tavolino vicino ad una stufetta elettrica (sigh!) e ci ha fatto un caffè e latte (e lì abbiamo promesso fosse l’ultimo) con un mega croissant. Alle 9.30 “ritirammo” gli amici direzione Haria. La Cicerona ha deciso di andare ad Haria perché Pier gli ha detto che lì fanno un mercatino tipico. Il paese di Haria si trova in una sorta di “buca”, protetto dal vento e ricco di palme. Ho chiarito al marito e agli amici che si trattava di una tradizione, di piantare una palma per quando nasceva una bambina e due per quando nasceva un maschio. Il nostro amico ha borbottato “Fra un po’ decideranno piantare pini…”. Effettivamente faceva freschino anche questo sabato mattina. Ma almeno sembrava una bella giornata. Non c’erano nuvole in cielo. Visitate la decina di bancarelle, ordinate e un po’ scarne abbiamo fatto il punto della situazione, e prima di andare via abbiamo rifatto il giro e comprato un po’ di souvenirs. Il giorno dopo ci sarebbe stato il grande mercato a Teguise. Noi abbiamo comprato una collana con un ciondolo di lava e olivina per mia sorella e un quadretto decorato da Rafael con la sabbia di Lanzarote. L’abbiamo comprato per metterlo sulla cappa del caminetto. Carino! Alla Fundacion di C. Manrique avevo comprato una stampa di Manrique, questo non l’avevo detto. Vista la situazione ci sembrava opportuno comprare Viento. Rappresentava benissimo Lanzarote, e sullo sfondo delle persone raffigurate sotto il vento in primo piano, si vedeva un giardino con le classiche mezzelune di riparazione per le viti. Finito di visitare Haria ci siamo diretti ad Arrieta. Abbiamo parcheggiato in centro e pian piano passeggiando siamo andati al molo, dove sapevo c’era un ristorante tipico e dove si mangia pesce OTTIMO: El Charcon. Lì ho parlato con Ricardo e gli ho nominato Pier. Ci ha accolti calorosamente e ci ha accomodati fuori con vista mare. Abbiamo ordinato pesce a volontà e bevuto 2 bottiglie di Malvasia seco Yaiza. Ci ha portato Gamberi cotti sul sale, un’infinita paella, i Lapas con mojo verde e i calamaretti fritti. Ci siamo abbuffati di brutto e non ci siamo alzati da tavola prima delle 14.00. Dopo una breve passeggiata sul molo a spiare cosa tiravano su i pescatori dal molo siamo montati in macchina e abbiamo fatto rotta verso Jameos del Agua e Cueva de Los Verdes. Prima di tutto siamo andati a destra verso Jameos del Agua. Abbiamo fatto i biglietti e siamo entrati. Lo spettacolo era davvero grande. Ci aspettava una grotta aperta da entrambi i lati, come fosse una galleria, molto alta. Jameos sembra essere un termine in dialetto antico che indica la grotta la cui parte superiore è crollata. Sotto questa grotta c’è un laghetto di acqua limpidissima e calmissima. Ospita un’infinità di granchi albini e ciechi. Gli unici al mondo. Sono docili e si fanno fotografare facilmente. Dopo esserci rilassati un po’ in quell’ambiente unico, fra la natura dell’acqua, dei granchi, dei cactus e delle piante grasse siamo entrati in un’altra “stanza” all’aperto. C’era un’azzurrissima piscina fra la lava. Qui abbiamo fatto un’altra bella sosta. Il pesce di Ricardo non era ancora stato digerito molto… per dire il vero nemmeno il vino… A malincuore abbiamo lasciato anche quel Paradiso per andare a vedere la Casa de Los Vulcanes, dove mostravano in diversi modi la storia delle eruzioni, una collezione di pietre laviche, di sabbia ecc. C’erano dei monitor che facevano vedere i vulcani in eruzione, quelli che avevano avuto attività molto e poco tempo fa, ecc. C’erano dei bambini cinesi che schiacciavano tutti i tasti e facevano un rumore pazzesco. Volevamo picchiarli, ma poi abbiamo visto i genitori che li lasciavano fare indisturbati, così pensammo di picchiare loro… Poi ci siamo trattenuti e ci siamo allontanati per andare a vedere l’auditorium. Purtroppo non era possibile entrare fin sul palco, ma dall’alto si vedeva tutto benissimo ugualmente. Era incredibile il silenzio che c’era lì dentro… fino a quando non ci hanno raggiunti i cinesini… Così un po’ irritati siamo usciti a fare ancora un po’ di siesta, e ci siamo presi gli unici 5 minuti di sole caldo della settimana. Visita ai bagni in stile tropicale, con le palme e grandi vasche di cactus e poi direzione Cueva de Los Verdes. Ci siamo arrivati in un attimo. Andammo a fare i biglietti e il bigliettaio ci consegna una guida in spagnolo e una in inglese. Ci fa capire che di lì a 5 minuti ci sarebbe stata la guida, che parlava in spagnolo e inglese naturalmente. Scendiamo nella piazzola sottostante che faceva da sala d’attesa con un bel giardino tutt’attorno e vediamo i fatidici cinesi che avevamo sperato di non ritrovare. La guida seguente sarebbe stata fra 40 minuti… abbiamo deciso di sopportare. Appena riuniti tutti quanti appena dentro la grotta, si notarono subito gli animi inquieti di tutti i partecipanti. I cinesi erano davvero disinteressati e rumorosi. Ascoltando con attenzione si sarebbe potuto capire fra spagnolo e inglese, cosa la guida dicesse… solo che loro erano davvero rumorosi… così dal buio della grotta si sentì urlare un paio di “Quiet please” e un pochino si sono calmati. Abbiamo visitato la grotta, illuminata e con un sottofondo di musica new age curata da Jesus Soto. Non sto a descrivere tutti i particolari, ma la grotta merita davvero di essere vista. E’ ricca di sorprese geologiche, sia dal punto di vista dei colori che delle forme. Di questa grotta abbiamo un bellissimo ricordo. Los Verdes, come ci ha ricordato anche la guida, non deriva dal fatto che la grotta sia verde, ma dal fatto che il terreno soprastante era di proprietà di dei certi contadini che di cognome facevano Verdes. Usciti dalla grotta siamo andati alla macchina e abbiamo seguito con l’occhio i cinesi. Loro hanno girato a destra, noi dovevamo andare a sinistra per vedere Mirador del Rio… cominciarono a volare le prime scommesse… Giunti a Mirador del Rio abbiamo fatto il biglietto, visto che incluso c’era una consumazione gratis ed eravamo assetati (di cose analcoliche, tipo succo d’arancia). L’entrata dava subito nel bar, che aveva una vetrata che offriva uno spettacolo incredibile. Il panorama presentava tutta l’isola de La Graciosa. Era davvero bella. Ancora una volta, peccato che mancasse la luce del sole, che non ne metteva in risalto i colori. I mare era mosso, ma l’isola dava senso di quiete. Dall’interno del bar siamo saliti al piano superiore. Di fronte a noi c’era l’oceano con l’isola de La Graciosa. Dietro a noi il Monte Corona che sovrastava su tutti i vulcani. Ho scrutato il pezzo di oceano fra la nostra costa e l’isola de La Graciosa. Sembrava davvero un fiume! Il bello è che sulla nostra costa si notavano una serie di saline. Sembrava tutto così chiaro e ordinato… Al tramonto poi, siamo ritornati a casa. Siamo passati a fare un po’ di spesa per fare della pastasciutta… (OCCHIO! Tomate Frite non è passata di pomodoro… ma chetkup!!!). Alla sera passeggiatina per Puerto del Carmen e verso mezzanotte in branda. Il giorno seguente ci aspettava il mercato di Teguise.
Non vi ho raccontato che siamo andari a vedere una sera anche lo spettacolo del carnevale. Ci aspettavamo qualcosa di molto più particolare. In realtà si trattava di gruppi di ragazzi di una serie di paesi dell’isola che si esibivano in balli e canti. Faceva un freddo cane, ma siamo rimasti a vederli tutti. Alcuni erano carini… altri facevano troppo ridere! Ci siamo svegliati la domenica mattina con una pioggia scrosciante. Il mercato di Teguise si andava a far friggere… Siamo rimasti a letto ancora un po’. Ci siamo mossi verso le 10.00. Arrivati a Teguise aveva appena smesso di piovere forte. Abbiamo lasciato per scaramanzia l’ombrello in macchina e ci siamo avventurati in città. Abbiamo parcheggiato parecchio lontani, era pieno di macchine. Tutti i turisti che sospettavamo nei giorni precedenti, non ci fossero… evidentemente si erano dati appuntamento in piazza a Teguise per il mercato. In realtà non ci è piaciuto molto questo mercato. Se l’avessi saputo (ma è giusto provare per credere) sarei andata a vedere Teguise in un altro momento. Le bancarelle erano tutte di africani, in sostanza dei nostri vù cumprà, che vendevano cinture, occhiali, magliette e borse di false firme. Il mercatino di Haria meritava 100 volte di più anche se c’erano 100 bancarelle in meno. Alla fine siamo tornati ad entrare in un negozio della fondazione di Cesar Manrique e abbiamo visitato Tierra. Un negozio che offre materiale di origine artigianale, un po’ caro per i miei gusti, ma c’è davvero tanta bella roba da prendere. Ci siamo allontanati da quel brulicare di gente, fra l’altro cominciava anche a piovere. Non ricordavamo più da che parte abbiamo messo la macchina così abbiamo girato un po’ per nulla… Faceva molto freddo… eravamo vestiti con maglioni e giacche pesanti… il nostro amico anche questa volta ha avuto la battuta più bella: “qua se non nevica si rovinano la stagione…”. Durante il ritorno ci siamo fermati a vistare il Museo al Campesino. Aveva cominciato a piovere molto e la Cicerona era un po’ in difficoltà… non sapevo dove portarli… Visto che era mezzogiorno siamo entrati direttamente nel ristorante. Qui ci siamo trovati più in difficoltà che negli altri posti. Dai menù non riuscivamo a capire cosa ci offrivano, neanche cercando di mescolare l’inglese allo spagnolo. Non volevamo mangiare ancora gamberi e polipetti fritti. Mio marito ha ordinato una bistecca ai ferri (che poi era una tagliata e lui odia le carni al sangue), poi abbiamo ordinato la paella (che era più una zuppa che altro) e non ricordo bene cos’altro ancora. Ricordo il vino: un altro Malvasia seco, il Bermejo. Era davvero ottimo. Di questo ristorante posso dire che siamo rimasti contenti del posto… avendo saputo cos’era meglio mangiare saremmo stati più contenti, ma pazienza. Nel frattempo aveva smesso di piovere, siamo saliti a visitare il museo, che consisteva in una serie di stanzette dedicate agli artigiani del posto. C’era il calzolaio, la signora che lavorava al telaio, quello che faceva le sedie, quello che faceva i cesti. Poi abbiamo visto e registrato il posto dove vendevano vino. Abbiamo riconosciuto quelli che abbiamo bevuto e ci siamo allontanati. Che facciamo? Ho proposto, visto la tregua del tempo, di andare a vedere come fossero le spiagge di Famara e La Santa. Sapevo che erano famose per esser ventose, e questo mi sembrava il giorno giusto per avere lo spettacolo maggiore… In effetti appena scesi dalla macchina, a momenti non volavamo via. Ho messo la zavorra al marito (visto che è magro magro) e ci siamo avventurati più vicino al mare. C’erano moltissimo surfisti, ma nessuno in piedi. Tirava un vento fortissimo e il mare era molto agitato. Erano bravi a tirarsi in piedi per pochi secondi… facevamo fatica a star su noi che eravamo sulla terra ferma. Di tanto in tanto arrivava una ventata di sabbia… siamo scappati in macchina con le orecchie, le tasche e i capelli pieni di sabbia bianca e nera… ma lo spettacolo delle onde della spiaggia di Famara è stato bello da vedere. Poi siamo andati a vedere La Santa. Tirava meno vento ma cominciava di nuovo a piovere. Abbiamo fatto giusto in tempo a scattare 2 foto che siamo dovuti scappar via di nuovo. Siamo rientrati in casa un po’ sconsolati. Pensavamo di vedere il sole e di scaldarci un pochino… e invece il tempo non migliorava… anzi… peggiorava. Il giorno dopo era San Valentino. Ci siamo alzati dal letto mezz’ora dopo (eh beh!). Pioveva (naturalmente), così la Cicerona ha proposto, anche se gli amici non erano propensi nei giorni precedenti, di fare il giro in macchina a vedere la strada del vino. Siamo andati su fino a Mozaga, abbiamo passato il museo Al Campesino e abbiamo girato a sinistra. Ci siamo diretti verso Uga. Avendo girato dopo e non prima del Campesino abbiamo saltato la cantina (bodega) de El Grifo (ma ci siamo tornati alla sera dopo aver accompagnato a casa i nostri amici stanchi…). Abbiamo visitato la prima cantina (non ricordo il nome, iniziava per S), c’era una comitiva in corriera e c’era un sacco di gente. Abbiamo assaggiato il Moscatel (gratuitamente), ma non ci è piaciuto molto. Siamo scappati da quella marea di gente, cercando di anticiparli alla cantina successiva, che era quella di La Geria. Qui abbiamo fatto un’altra sosta. Abbiamo scambiato due parole con la signora dietro il banco relativamente al tempo, abbiamo assaggiato (ancora gratuitamente) il Malvasia dolce e ce ne siamo andati. Neanche questo era molto gustoso. Correndo e ammirando il paesaggio coltivato fra la lava siamo arrivati a Uga. Abbiamo visto gli allevamenti di dromedari (pensavamo li avessero portati al caldo… e invece…), e ci siamo diretti verso la famosissima Playa Blanca. Il paesaggio ci ha lasciati con la bocca amara. Ovunque c’erano cantieri aperti. Le strade erano tutte rovinate. Centinaia di casette in costruzione, alberghi e fondamenta che spuntavano ovunque. Tristemente abbiamo letto su di un muro di una casa (chiaramente tipica) in inglese e in spagnolo “Qui avevamo una spiaggia”. C’erano credo 3 o 4 file di casette e alberghi fra questa casa e il mare… Abbiamo visto Playa Papagayo… e assomigliava alle cartoline solo per dove era messa, fra le pareti del vulcano… non era per niente bianca e per niente pulita… era piena di residui di costruzioni… Non siamo neanche entrati per vedere le altre 4 spiagge… forse abbiamo sbagliato (a parte che il tempo non ce l’avrebbe permesso), ma di Playa Blanca siamo rimasti molto delusi. Prima di ritornare a casa abbiamo voluto dare un’occhiata al faro di Punta de Pechigera. Siamo scesi dalla macchina, il cielo era ancora molto nuvoloso. Ci siamo avvicinati al bordo degli scogli e ci siamo impanatati le scarpe… Il faro era tutto scarabocchiato da writers allo sbaraglio, ma almeno il panorama era carino. Un po’ malinconici per la giornata buia e con poche emozioni, ci siamo diretti verso il porto di Puerto del Carmen. I nostri amici veneziani si sono lustrati gli occhi su di alcune costosissime barche. Almeno loro si sono un po’ divertiti… io e mio marito non ne capiamo nulla… perciò li abbiamo lasciati girare… Qui al porto ho fotografato il cartello di divieto di balneazione… sembrava la copertina delle nostre vacanze a Lanzarote… Magari la faccio davvero. Rientrati a casa abbiamo lasciato i nostri amici all’albergo e noi siamo tornati a visitare la cantina de El Grifo. Orami siamo arrivati al momento della chiusura. In breve abbiamo visitato il museo della più antica cantina dell’isola (1775) e abbiamo comprato una bottiglia di Malvasia dolce e una di Brut, senza nemmeno assaggiarli perché ci hanno letteralmente scopato fuori. Abbiamo fatto un giro a piedi… e di nuovo a letto.
Questo nuovo giorno è martedì, ormai le speranze che il tempo migliorasse erano molto fievoli. Mancava solo questo ed un altro giorno e ci mancava ancora di visitare il parco nazionale del Timanfaya. Mi alzo quasi rassegnata ad un’altra giornata di pioggia. Mi avvicino alla finestra del salotto e la luce che ne filtra attraverso la tenda colorata non è molto forte. Già fra me e me pensavo a quanto fosse freddo lì fuori. Non pioveva, ma il cielo era nuvoloso. “Tanto Pier ha detto che di mattina ci sono sempre le nuvole… e se ci sono al nord la giornata poi è bella…” il fatto è che le nuvole non erano solo al nord! Non lo sono mai state solo al nord! Esco di casa solo con la maglietta a maniche corte, quasi per sfidare il tempo e… che sorpresa! Non c’era vento e la temperatura era buona! Sveglio il marito, chiamo gli amici e concordiamo la gita al Timanfaya. Non potevamo rischiare di vederlo il giorno seguente con la pioggia magari… Siamo andati a fare colazione con due mega briosche e un succo d’arancia (la macchina si è rotta nel fare la seconda, così ce la siamo dovuta dividere) al bar Dolomite caffè italiano… Non ci siamo fidati di prendere un Capuccino… Finita la colazione ci siamo trovati con gli amici con direzione Yaiza e via verso il Timanfaya. Attraversiamo distese di lava immense. Non c’era da stupirsi che quel posto fosse stato oggetto di riprese in ambito spaziale. La curiosità era che guardando la lava verso la direzione in cui andavamo, verso nord, la si vedeva nera, se mi voltavo a guardare indietro era color verde oliva chiaro. Dev’essere stato per merito di una sorta di muschio, o forse per colpa delle piogge? Arriviamo, dopo un po’ di strada tutta uguale, in una piazzola di sosta, dove ci sono pullman e auto. Parcheggiamo e scendiamo. C’erano dei guardiani che guidavano alcuni dromedari e facevano scendere le persone. Abbiamo fatto alcune foto a questi poveri animali da soma accucciati a terra, altre foto le abbiamo fatte ai biscioni di dromedari carichi che scendevano ai vulcani e poi ci siamo preoccupati di informarci dove si prendeva il pullman. Al bar ci hanno detto in inglese/spagnolo che si doveva proseguire per un altro paio di chilometri. Sapevo che Pier mi aveva detto di presentarmi prestino per evitare code… erano già le 10 e mezza e avevo paura di trovare un gran traffico. In realtà per strada non c’era nessuno e percorsi i 2 chilometri abbiamo visto sulla sinistra un casello con una barra. Non c’era scritto da nessuna parte che per di qua si andava col pullman. Abbiamo pagato il biglietto, ritirato la guida in italiano e abbiamo fatto un altro bel pezzo di strada in macchina, con calma, guardando il paesaggio. Forse il giro ce lo dobbiamo fare noi in macchina? Boh! Dopo un po’ siamo arrivati in un altro piazzale, c’era un po’ di gente, un guardiano che ci indica dove parcheggiare e che ci invia al pullman “primero”. Dove c’erano i pullman un altro guardiano ci ha mandati a salire sul “secondero” perché il “primero” era ancora vuoto. Abbiamo trovato gli ultimi 4 posti (2 a 2) vicino al finestrino e siamo immediatamente partiti. Aspettavano noi! Intanto comincio a leggere due righe in italiano della guida e comprendo che si tratta della storia dell’eruzione. Documentata da scritti storici e diari di sacerdoti del tempo. Cominciamo la corsa fra mari di lava in tutte le salse. A ciotoli, a colate onduleggianti, a sassi, a polvere. E di tutti i colori, dal nero, al giallo, al rosso. Peccato che il tempo fosse ancora così incerto, così nuvoloso che ne smorzasse i colori, ma almeno faceva un po’ più caldo e il giubbotto non era necessario. C’era una leggera nebbiolina che rendeva tutto più misterioso. Sostiamo di fronte a un cono aperto, così innocuo ma terribilmente minaccioso. Intanto la guida parlava in spagnolo e rileggeva quello che io avevo appena letto in italiano. Capivo cosa dicevano, mi sfuggiva solo qualche frase. Intanto scattavo foto di qua e di là, in cerca di un soggetto suggestivo che rendesse l’idea del paesaggio che vedevamo, pensando ai parenti a casa che poi mi chiedevano cos’era questo e cos’era quello. Noi non abbiamo mai visto altri vulcani in vita nostra, fatta eccezione per me e io marito che abbiamo visto il Vesuvio. Ma quello è un vulcano di tutt’altra fattura. Seguivano le stesse letture, con musica lirica in sottofondo, in inglese e poi in tedesco. Aspettavamo l’italiano, ma quello non l’hanno letto. Gli italiani si arrangiano con lo spagnolo e con l’inglese. Mio marito che parla italiano e dialetto veneto, vedevo che durante la lettura in spagnolo seguiva la guida in italiano. Almeno non si lamentava del fatto che in italiano non parlano mai. Dopo numerosi punti di visualizzazione di panorami di tutti i tipi siamo ritornati al piazzale di partenza. Siamo scesi e abbiamo perlustrato la zona. C’erano già guardiani che appoggiavano la paglia su una forca appena dentro una buca. Mi ha detto che c’erano 250°C. La paglia dopo poco cominciava a fumare e poi prendeva fuoco da sola, senza che fosse appoggiata a nulla. Appena sopra un altro guardiano faceva una dimostrazione con dell’acqua. Ci avviciniamo e ci mettiamo in cerchio. Getta un po’ di acqua nella buca e ne esce un po’ di vapore. Poi versa tutto il secchio nel buco e questo scoppia in un geyser forte e rumoroso da farmi prendere uno spavento e scattare la foto che ormai il vapore se n’era già andato! Con sorpresa abbiamo raccolto da terra un po’ di sassolini ed erano caldi! Talmente caldi da scottarci le dita. Era stupendo! Abbiamo assistito al altre dimostrazioni e poi siamo entrati nel ristorante. Qualcuno ha fatto tappa in bagno, io e mio marito siamo entrati in una stanza dentro la quale c’era una profonda buca naturale con sopra una griglia dove cuocevano al calore del vulcano: pollo, una specie di zucca e salsicce. Era tutto fantasticamente irreale. Ora era troppo presto per mangiare, non volevano proseguire in altre visite, ma in spiaggia non era lo stesso il caso di andare. Così siamo andati a vedere il Centro del Visitantes. Durante la discesa ci siamo resi conto della fortuna che abbiamo avuto nell’entrare immediatamente nel parco senza fare coda. Prima, al casello e dopo il casello c’era una coda infinita di auto che aspettavano di entrare. Evidentemente avevano visto che la giornata reggeva e tutti quelli che due giorni prima erano al mercato di Teguise si sono buttati a visitare il parco del Timanfaya. Al centro del Visitantes Abbiamo visionato altri tipi di monitoraggio, ancora pietre e cose del genere. Poi siamo tornati a El Golfo. Ho detto agli amici che lì c’era un posto dove si mangia bene il pesce consigliatomi da Pier e non gli è servito altro. Ci siamo diretti verso il paese e direttamente al Mar Azul. Abbiamo dato un’occhiata al mare e siamo saliti al piano di sopra. Il vento cominciava a rifarsi sentire. Il cameriere era l’unico dell’isola a parlare italiano e ci sentivamo quasi a casa. Abbiamo preso ancora gamberi sul sale (veramente ottimi), calamaretti fritti e una frittura mista. Ci siamo abbuffati accompagnando il tutto con un buon Marvasia seco Al Campesino. Anche qui abbiamo pagato intorno ai 20-22 € a testa, ma ci siamo abbuffati veramente. C’è voluta più di un’ora di passeggiata sulla spiaggia scogliosa del mare lì di fronte, con scatti di foto ad un granchio impaurito, al mare, agli scogli e cercando l’attimo dello spruzzo di acqua che sale sopra gli scogli. Poi ci siamo messi a cercare l’olivina fra la sabbia, si trova molto facilmente! Ormai sazi nell’animo e nel corpo ci siamo diretti a vedere le saline del Janubio. Abbiamo costeggiato il mare fino al punto panoramico. Siamo entrati nel piazzale e abbiamo fatto ancora foto. Le saline erano tutte in ordine e di colori che andavano dal rosa al nocciola. Trasmetteva quiete, si stava bene in quel posto. Il tempo era ancora sereno e faceva un calduccio che da giorni aspettavamo. Mi girava per la testa l’idea di fare il bagno il giorno seguente. Se si fosse alzata la temperatura ancora di qualche grado avremmo potuto togliere anche il maglioncino e fare i temerari… vedremo. I nostri amici erano stanchi della giornata passata. Partendo dalla premessa che loro sarebbero voluti stare sotto l’ombrellone a poltrire e a passare le vacanze in completa tranquillità, il fatto di averli scarrozzati per ben 5 giorni in giro tutto il giorno con noi era anche troppo. Quindi quando mi dissero che il Jardin di Cactus non era nei loro interessi non ci siamo arrabbiati. Li abbiamo lasciati verso le cinque di sera in hotel e dopo siamo partiti per andare a vederlo da soli. Abbiamo pagato l’entrata con una consumazione gratis (altro succo d’arancia dissetante) e abbiamo ammirato le molteplici forme e razze di cactus del mondo. Abbiamo fotografato i più curiosi esemplari e in alcuni casi delle combinazioni “particolari” uomo-cactus (il richiamo era irresistibile!). Perlustrazione su al mulino a vento, altre foto e caccia a olivina fra i cactus. Alla fine guardavamo più di olivina che di cactus… Erano già le sei di sera… e anche qui ci hanno scopati fuori. Siamo tornati a casa… abbiamo fatto la pastasciutta e riscaldato la pancetta col chetkup… ho spento l’acqua della pastasciutta, ho mandato il marito a comprare altra pancetta e pomodoro fresco stavolta. Quand’era arrivato mi era passata la fame. In ogni caso era la seconda pastasciutta che ci facevamo col sale delle saline del Janubio! Poi siamo usciti a fare una partita a biliardo (uno a uno) e a bere una birra in un locale dove suonavano dal vivo e stanchi morti siamo andati a letto. Ci aspettava solo un altro giorno! La mattina seguente mi sono alzata con l’idea di fare il bagno. Sono uscita, c’era il sole! Sono rientrata, ho messo il costume, svegliato il marito e siamo andati a far colazione al solito bar Dolomite. La macchina delle spremute era ancora rotta. Così io ho rinunciato e mio marito si è azzardato a prendere un capuccino, che poi non era proprio male. Le solite due paste con la cioccolata e incontro con gli amici, zaino con asciugamani in spalla e via in spiaggia! Non c’era molto vento, ma la temperatura non era così calda come speravamo. Era più o meno come quella del giorno precedente sul Timanfaya. Mi son messa lo stesso in maniche corte sfidando la temperatura incerta, mi son arrotolata i pantaloni e sono andata a mettere i piedi in acqua. Era gelida, ma dopo un po’ ci si abituava. Verso mezzogiorno avrei voluto fare il bagno, ma i miei compagni mi deridevano offrendosi volontari per farmi le foto. In acqua non c’era nessuno, erano tutti fuori, quasi tutti vestiti e i primi corridori si erano già accaparrati lo spazio dentro la mezzaluna di pietra per ripararsi dal vento. Bambini e adulti giocavano con quella sabbia scura, che dalle nostre parti assume quel colore dopo la pioggia. Faceva freddo solo a guardarla, ma una volta messi i piedi sopra ci si rendeva conto che era asciutta. Solo poco sotto era bagnata dalle numerose piogge precedenti. Abbiamo passeggiato in direzione Arrecife per vedere se riuscivamo a cogliere l’atterraggio di un aereo. Ma una volta oltrepassata l’ultima parte di spiaggia che ci impediva la visuale non si son fatti vivi altri aerei nel giro di 20 minuti. E fino a quel momento ne atterrava uno ogni 5-10 minuti. Vabbè. La temperatura invece di alzarsi si abbassava, il vento invece di abbassarsi si alzava. Ci siamo ridiretti verso la spiaggia dell’hotel. Quasi verso mezzogiorno abbiamo steso gli asciugamani per terra e ci siamo sdraiati. Lì eravamo piuttosto riparati dal vento, così io e l’amica, in attesa dell’amico che era andato a cambiarsi, ci siamo tolte pantaloni e maglietta per “prendere il sole”. Il cielo deve averci viste perché non più di 10 minuti dopo, proprio nel mentre che stava scendendo l’amico dall’hotel sono arrivati due nuvoloni che han cominciato a scaricarci addosso secchiate di acqua. Addio bagno, addio giornata di sole. Anche l’ultimo giorno ha voluto piovere. Prossima tappa? La Cicerona non sapeva più cosa inventarsi. Gli amici hanno proposto un’altra pizza alla pizzeria Napoletana. La proposta è stata accettata all’unanime, anche se il nome di Ricardo (aria, arietta, Arrieta e Haria) sono stati nominati numerose volte. El Charcon è stato il posto di cui siamo stati maggiormente soddisfatti a livello culinario. Alla Pizzeria Napoletana mancava Fran (l’unico a saper fare il caffè all’italiana), ma c’era un altro cameriere simpaticissimo, che scherzava e chissà perché aveva preso di mira me. Abbiamo parlato col pappagallo e ci siamo gustati un’ottima pizza. Nel frattempo il cielo si era di nuovo rabbuiato e un altro violento acquazzone si è versato sulle strade. Dopo una settimana di piogge le strade presentavano buche profonde ovunque, nei supermercati fra gli scaffali c’erano secchi a raccogliere le gocce di acqua che entravano, e i tombini sputavano fuori le fognature per la troppa acqua presa. Non ci potevamo credere… se piove che si può fare? Abbiamo rischiato di farci fare il caffè da questo cameriere, ma nel cercare di imitare Fran ha fatto un caffè extraristretto e un po’ bruciato. Pazienza. Dopo il conto e la mancia abbiamo mandato mio marito a prendere la macchina e abbiamo deciso di andare al museo al Campesino per comprare il vino. Giunti lì la pioggia aveva dato un po’ di tregua e sembrava volesse uscire nuovamente il sole. Noi abbiamo comprato un Vega di Yuco Tinto, un Bermejos e un Moscatel del Timanfaya premiato numerose volte in diversi concorsi. Ci siamo goduti i giochi di luce fra le nuvole e abbiamo visionato le stanze che durante la nostra precedente visita erano chiuse (calzolaio, telaio). Al ritorno siamo andati a vedere Puerto Calero, per lustrare un altro po’ gli occhi dei nostri amici. Noi eravamo sempre increduli che certe barche potessero costare tutto quel patrimonio. Abbiamo passeggiato sul porto e curiosato nei negozietti lì intorno. Fatta sera siamo riusciti a scorgere il sole che tramontava fra le nuvole. E altre 2 foto colorate si sono aggiunte alla mia collezione. Stanchi siamo montati in macchina e siamo andati a casa a preparare le valigie. A casa abbiamo fatto un po’ di pulizie e ci siamo preparati, cercando di non dimenticare i souvenirs per nessuno, le cartoline erano state spedite, i documenti c’erano, i soldi erano finiti… vabbè. Il giorno seguente ci si sarebbe dovuti alzare prima del solito. L’appuntamento era per le 8 a prendere gli amici. Dovevamo essere alle 9 in aereoporto e ci siamo presi comodi per ovviare a certi disguidi. Dovevamo riconsegnare la macchina, ma curiosamente e sospettosamente i proprietari non volevano venire a vedere e confermare che la macchina era nello stesso identico (meglio) stato in cui ce l’avevano consegnata. Abbiamo litigato un poco per via del fatto che non ci avevano avvertito che si sarebbero succhiati 600 € dal conto della carta di credito. Bene, cose che succedono. Entriamo in aereoporto in anticipo, guardiamo sul monitor e… sorpresa! Alle 11 non era indicata la partenza di nessun aereo diretto a Milano (non dobbiamo più partire o arrivare il giorno 17…) Cosa più grave mancava il baldacchino di Eurofly. Andiamo in uno degli altri e chiediamo. La signorina che parlava solo spagnolo, continuava a guardare il monitor e a scuotere la testa. Non trovava il volo. Bene! Sentivamo profumo di altro viaggio gratis… Siamo andati all’ufficio informazioni e la ragazza ci ha confermato che quel volo non era previsto. Ha cercato di contattare Eurofly ma non rispondeva. Ha chiamato il responsabile Eurofly dell’aereoporto il quale ha promesso (a vanvera) che si sarebbe fatto vedere. Dopo un’ora di attesa siamo andati ancora a reclamare. Il responsabile (?!?) ha detto alla signorina di riferirci di rivolgerci ad un’agenzia di viaggi italiana per farci avere informazioni. Eh?!? Abbiamo mantenuto la calma, ma l’amico cominciava a scaldarsi. Ha chiamato a casa la figlia, la quale ha chiamato Eurofly e gli hanno comunicato che eravamo stati dirottati nuovamente su Iberia, nuovamente con scalo a Madrid, nuovamente con arrivo a Linate (noi la macchina l’avevamo messa a Malpensa col costo di 80 € per agevolarci, ora ci dovevamo organizzare con un altro taxi perché l’orario di arrivo era dopo la fine della corsa delle navette). La partenza era per le 15.45, così abbiamo speso un patrimonio per mangiare 2 panini e bere due schifosi succhi di frutta. Nel mentre abbiamo buttato giù una bozza di lettera di reclamo per Eurofly… Il dubbio rimane per il fatto che i nostri erano biglietti omaggio, non credo ci rimborsino gran che… ci attaccheremo al fatto che non ci hanno avvertito in nessun modo della cancellazione del volo e del dirottamento verso un’altra compagnia. Stanchi morti abbiamo fatto il check in e abbiamo girato i negozi all’interno dell’aereoporto. Giunta l’ora siamo ripartiti lasciando a terra quella stupenda isola e tutte le sue meraviglie. Io e mio marito abbiamo già espresso il desiderio di ritornarci col sole, per vedere quello che ci è parso troppo grigio per colpa del tempo, e per fare un po’ di spiaggia. Atterrati e ripartiti da Madrid abbiamo fatto un altro sonnellino. Giunti a Milano la temperatura era notevolmente più bassa, abbiamo raccolto una signora che era caduta dalle scale rovesciando tutto il contenuto della borsa e quasi spezzandosi una gamba, abbiamo ritirato i bagagli e siamo andati a cercare il taxista che ci riportasse alla macchina. Siamo arrivati a casa alle 4 della mattina e alle 8.30 ero già in ufficio ad avvisarvi che ero TORNATA!