Lago lemano agosto 2007
Giovedì 16 agosto Partiamo a metà mattinata, con molta calma da Mergozzo, o meglio dalla frazione di Bettola dove abitiamo. Affrontiamo il Sempione dopo aver percorso tutta la Valdossola, la valle modellata dal fiume Toce. Percorrendo l’ex statale, ormai declassata a vantaggio della superstrada che ricalca appunto il corso del Toce, incontriamo Premosello Chiovenda e poi la medievale Vogogna con il suo castello recentemente restaurato che la domina, qui è dove la valle forma come una curva per puntare verso nord; ora c’è Villadossola orrenda città postindustriale, degno di nota il Villaggio Sisma creato per gli operai dell’acciaieria omonima e dopo poco chilometri arriviamo a Domodossola nota a tutti se non altro per la D di Domodossola, non si usa altra città per fare lo spelling. Tutto sommato niente di bello in questa valle, eccezionali sono però le valli a cui trasversalmente si può accedere, la Valle Anzasca che porta al Monterosa, quelle di Antrona e Vigezzo che porta verso il Ticino e le Valli Formazza con le cascate più alte d’Europa dove nasce il Toce e Antigorio. A Domodossola riusciamo a farci cambiare la lampadina dell’anabbagliante sinistro della nostra Twingo, la macchina che ci permetterà di affrontare il nostro viaggio. Mentre percorriamo le strade periferiche di Domodossola intorno alla ferrovia, guardiamo verso il Sempione, il cielo è completamente nero, sembra che lassù non c’aspetti nulla di buono. Invece quando raggiungiamo l’ospizio dei frati sulla sommità del passo riusciamo a bucare le nuvole e inaspettatamente intravediamo alcuni raggi di sole. Una foto di rito in cima, dove la vegetazione è rarefatta per via dell’altezza, con un primo piano della nostra Renault Twingo. Avremmo dovuto usare la più potente e spaziosa PT Cruiser, ma per via dell’assicurazione scaduta, non ho potuto ritirare quella rinnovata perché ad Agosto in Italia si ferma il mondo, abbiamo allora optato per la piccola Renault di mia moglie. Alla resa dei conti la Twingo invece si rivelerà ottima, il consumo è irrisorio; la nostra è la più base che c’è, non ha l’aria condizionata né il servosterzo ma è comodissima. Naturalmente sto parlando della Twingo prima serie, questa ne è l’ultima versione: quella nuova attualmente in commercio e appena presentata è una macchina totalmente anonima, che non merita di mantenere lo stesso nome. Internamente la nostra Renault è spaziosissima e io che sono alto centottantaquattro centimetri, nel posto anteriore del passeggero posso accavallare le gambe, cosa impossibile nelle altre auto. Unico vero neo è la tenuta di strada, non so dire se sia il nostro modello, ma le sospensioni sullo sconnesso tendono ad irrigidirsi e a saltellare facendo scodare l’auto nelle curve, e a volte nei tratti di strada con pendenze trasversali (tipo le strade di montagna) la macchina ha delle reazioni anomale e imprevedibili. Diciamo che è una macchina perfetta per la città e per le andature moderate, come la utilizzeremo noi.
Ci gettiamo ora a capofitto nella valle dove in fondo ci aspetta Briga, la città nata sulle sponde del Rodano che qui ha quel tipico colore grigio dei fiumi che nascono dai ghiacciai. Il Rodano si presenta gonfio e possente per tagliare imperiosamente in due la città. La ferrovia internazionale, probabilmente per preservarsi dalle esondazioni del minaccioso fiume, si è arrampicata a metà costa e ci affianca sulla destra con i suoi treni merci dai numerosi vagoni colorati che non riesco neanche a contare da quanti sono: probabilmente sono gli stessi che passano davanti a casa nostra a Bettola.
Lasciata Briga raggiungiamo Visp e poi Sion la prima città dove si parla francese. La strada è un po’ noiosa, come da programma evitiamo l’autostrada e dobbiamo rispettare i limiti delle strade urbane, perché è noto che i poliziotti svizzeri non perdonano. Il tempo per questo non sembra passare mai, su questi rettilinei deserti bisogna osservare il limite di settanta e a volte di sessanta chilometri orari: pare di essere fermi. Raggiunta Sion ci fermiamo per mangiare, ne approfittiamo per visitare il luogo. Oltre al castello che la guarda dall’alto la città non sembra offrire nulla di più. Queste città svizzere, Sion, Visp o Briga, appaiono come dei non-posti, potrebbero benissimo essere città canadesi o statunitensi, perché no Britanniche; sono perfette, con la segnaletica precisa e in ordine, ma molto impersonali.
Sion è contornata da vigneti a perdita d’occhio, a tratti anche terrazzati, più avanti poi la valle si allarga ancora di più, c’è anche un’enorme elica per lo sfruttamento dell’energia eolica che fa apparire il paesaggio come futuribile. Attraversiamo Martigny e a Villeneuve finalmente vediamo per la prima volta il lago di Ginevra che loro non chiamano così, ma solo Lemano. Alla nostra sinistra, a metà montagna, un’alta ciminiera fumante, segnala la presenza di un sito industriale in una posizione così anomala. Ci fermiamo dopo poco a Montreux che assomiglia a una piccola Montecarlo. Piove a dirotto, per questo rimaniamo per poco. Il lago pare immenso rispetto al nostro lago Maggiore, sembra di vedere il mare in un fiordo nordico: se guardiamo verso Ginevra appare smisurato. Risaliamo in macchina e ci portiamo a Vevey dove per fortuna ha smesso di piovere. Cerchiamo una sistemazione per la notte e la troviamo sulle alture, dove ci porta la statale per Friburgo; salendo abbiamo potuto osservare lo splendido panorama del lago dall’alto. Il paesino che ci accoglie è perso nella verde vegetazione che assomiglia molto alla campagna inglese, si chiama Attalens. Rimane di fronte a una strana struttura che dovrebbe essere un punto panoramico di osservazione, il Mont Pelerin. Ci sistemiamo nella nostra camera e alla sera scendiamo a Vevey per cenare. Ci dirigiamo verso la vielle ville che è bellissima e caratteristica. Rispetto a Montreux, Vevey è molto più a misura d’uomo, non ci sono quel senso di mancanza di spazio e oppressione che si avvertono lì; piuttosto qui si sente la presenza della Nestlé come quella di un grande fratello, ovunque palazzi con il suo marchio, quella che poi dovrebbe essere la sede occupa una buona fetta della città proprio fronte lago. Ceniamo in un simpatico locale che si affaccia sul lago e prima che faccia buio, un arcobaleno apparso in direzione di Montreux, disegna uno splendido arco sul lago, da costa a costa. Quando rincasiamo lascio il finestrino leggermente socchiuso, ed ecco un altro difetto della Twingo, l’aria fredda a coltello mi colpisce sulla tempia e mi coglie una sorta di malore, faccio guidare Anna perché mi sembra di avere il mal di mare.
Venerdì 1° agosto La colazione che prendiamo presso il nostro albergo è ottima. Stamattina andiamo a Losanna. Sulla strada, attraversando l’abitato di Pully leggiamo l’indicazione che recita che oggi è giorno di mercato, così ci fermiamo. Posteggiamo in riva al lago e cerchiamo di raggiungerlo. Costeggiamo il lago su di un cammino pedonale per parecchio tempo, poi torniamo sui nostri passi: del mercato non ne sa niente nessuno; eppure avevano anche chiuso la strada per l’occasione. Infatti una ragione c’era per la disinformazione della gente, quando finalmente lo troviamo, nella parte alta del paese, scopriamo che è composto di sole quattro bancarelle, arroccate intorno alla chiesa ed al municipio che sono tutt’uno. Passeggiando poi nel centro, scopriamo, per via dei numerosi pannelli informativi e opuscoli, che in paese sono molto orgogliosi delle vigne che lambiscono l’abitato: non voglio immaginare l’infimo sapore del vino che produrranno.
Raggiungiamo velocemente Losanna, una città molto grande, di chiara origine medievale, a giudicare dal suo sviluppo concentrico, abbarbicata su di un’altura come una signora d’altri tempi in piedi sulla sedia alla vista di un topo nella sua cucina. Splendida la cattedrale gotica, non più cattolica ma protestante, che domina l’abitato del centro storico. Da lì in posizione di preminenza, osserviamo dall’alto i lavori di ristrutturazione proprio sotto la cattedrale. Si sta risistemando parte del centro e come in ogni ristrutturazione qui in Svizzera non si dimentica di realizzare nuovi numerosi posteggi sia in silos che sotterranei, cosicché il problema di dove lasciare la macchina qui non sussiste: chiaramente bisogna sempre pagare.
Guardando la cartina ci aspettavamo che Losanna fosse sul lago, invece il centro ne è molto distante. Camminiamo per ore e infine siamo distrutti. Recuperiamo la macchina per dirigerci a Ginevra. Ci fermiamo però subito, poco fuori da Losanna per riposarci in riva al lago. Troviamo uno splendido posto, c’è un delizioso prato verde in riva al lago con parco giochi annesso. Ci addormentiamo cullati dal rumore delle leggere onde che si scontrano sulla riva, decido poi di fare il bagno. Assaggio l’acqua, penso: magari è salata visto l’ampiezza del lago, ma mi sono fatto troppo impressionare dalle dimensioni: è dolce! L’acqua è ghiacciata, riesco a stento a immergermi. Dopo parecchia strada arriviamo a Ginevra che ad una prima occhiata troviamo regale, ma abbiamo la priorità di trovare una sistemazione per la notte, sono oramai le sette e trenta. Attraversiamo Ginevra percorrendo il lungolago, e nella ricerca passiamo anche il confine e arriviamo in territorio francese. Gli svizzeri nei confronti della Francia non praticano nessun controllo doganale e la postazione degli agenti è deserta, come abbandonata; invece nei confronti dell’Italia i controlli sono tuttora abbastanza rigorosi: forse non si fidano proprio degli italiani. Comunque non troviamo niente, la zona fuori da Ginevra pur essendo sempre sul lago è molto rurale: grandi spazi verdi e pochi villaggi scarsamente abitati. La riva del lago è poco sfruttata e non c’è una strada litoranea, i pochi alberghi in piccoli centri medievali sono chiusi o al completo, con prezzi molto elevati. Finalmente a Sciez, un centro anonimo né industriale né turistico, un posto di passaggio, troviamo una camera appena dignitosa in una sorta di motel. Siamo a trenta chilometri da Ginevra e domani mattina contiamo di tornarci. Ceniamo a Thonon poco più in su, in direzione di Evian. E’ una città densamente abitata, ricca di attività commerciali, un po’ meglio è la parte sul lago, ma niente di speciale. Sabato 18 agosto Ci alziamo di buon’ora e dopo una colazione tutto sommato accettabile, lasciamo il nostro motel a bordo della strada. Ritorniamo a Ginevra che avevamo potuto vedere solo all’imbrunire. Raggiungiamo la città relativamente presto, non sono neanche le dieci e rispetto a ieri sera la città pare ancora addormentata. Sarà perché essendo sabato i numerosi uffici di cui quelli delle multinazionali e degli organismi internazionali che qui hanno le loro sedi, oggi sono chiusi o forse perché i pochi abitanti del centro o i visitatori che vengono da fuori tardano a svegliarsi.
Tramite le dritte ricevute da una sorta di ufficio turistico allestito all’uscita delle stazione ferroviaria, dove ci accoglie una ragazza, una specie di punkabestia, che parla un francese per me incomprensibile (per fortuna che Anna ha dimestichezza con questi personaggi), apprendiamo che oggi è giorno di mercato delle pulci. Lo percorriamo tutto, ma purtroppo la merce esposta è la solita che si trova nei mercatini anche da noi. All’entrata di Ginevra ci aveva accolto l’altissimo getto di acqua simbolo della città, che sembra partire dalle viscere del lago, che ieri o non avevamo notato o era spento (difficile, non ci saremo accorti). Passeggiamo nella vielle ville, (il centro storico, in francese lo chiamano così), dove pranziamo in un locale che si vanta di essere tra i più vecchi della città. Dalla veranda, dov’è sistemato il nostro tavolo, vedo le mura di una chiesa e una giostra dalla foggia antica, colorata e piena di bimbi festanti: il paesaggio riempie i miei occhi, mentre alla mia pancia ci pensa una splendida insalata con crostoni, pezzi di lardo affumicato, condita con la vinaigrette, come solo nei paesi di cultura francese sanno fare. Ah dimenticavo, niente di meglio che un buon sidro per annaffiare il tutto, peccato che sia tedesco.
La città è maestosa con vialoni ricchi di attività commerciali, su tutte le oreficerie con le marche sfavillanti degli orologi più prestigiosi, Ginevra ne è la patria. Per strada si incontrano molti arabi con le donne col capo coperto come ne avevamo visti numerosi a Losanna e soprattutto a Montreux. Sono ricchissimi e immagino molto facoltosi, vestiti solo di abiti firmati, ma assolutamente privi di gusto nelle loro scelte, prediligono ciò che è più vistoso.
I numerosi ponti che percorriamo attraversano un Rodano che si affranca dal giogo del lago riprendendosi la sua libertà, l’abbiamo seguito da Briga e ora lo lasciamo libero di attraversare la Francia, bagnare Lione e gettarsi nel Mediterraneo nei pressi di Marsiglia.
Riprendiamo la nostra macchina custodita in un posteggio sotterraneo, non c’è altra scelta qui. Siamo senza spiccioli, un signore con la Porche dietro noi, infastidito per l’attesa, ci regala i Franchi necessari, sottolineando tutto con un “Allez-y”, che sta a dire: spicciatevi. Una volta fuori ci dirigiamo verso Evian, giriamo il lago e ora siamo sulla costa francese, alla nostra sinistra la sponda svizzera. Una volta arrivati decidiamo subito di cercare la sistemazione per la notte: non vogliamo fare la fine di ieri sera. La troviamo subito, appena fuori da Evian, a Celleneuve, proprio di fronte al lago, con Losanna dall’altra parte che ci guarda. Decido subito di fare un bagno nel lago, oggi pomeriggio lo trovo di una temperatura ideale. Per la sera andiamo a Evian, una cittadina molto particolare e graziosa, c’è un casinò e molti palazzi sontuosi. Nella vecchia città, la sede dell’Evian, l’acqua nota in tutto il mondo, spicca per la sua altezza e il suo stile: l’entrata è formata da un alto padiglione dalla copertura trasparente. Dopo aver cenato passiamo la sera ad osservare i numerosi spettacoli di strada nella città vecchia. La notte dal balcone del nostro albergo la vista è stupenda, si vedono le luci di Losanna tutta illuminata, quelle di Vevey con il punto di osservazione del monte Pellerin un pochino più in alto e i battelli illuminati che solcano il lago.
Domenica 19 agosto Comunque qui in Francia, dopo tanta Svizzera, si respira tutta un’altra aria. Tutto è anche qui ordinato e lindo, ma ci sono quel tocco di imprevedibilità e di cuore tipico mediterraneo che non guastano e fanno sembrare la bellezza del luogo non fine a se stessa ma molto più a misura d’uomo. Facciamo colazione e poi verso le nove e mezza partiamo alla volta di Martigny per poi percorrere il traforo del Gran San Bernardo e tornare dalle Valle d’Aosta in Italia. Lasciamo velocemente la Francia per tornare in Svizzera, lasciamo poi anche il lago per costeggiare nuovamente il Rodano a ritroso, che dopo l’opera dei ghiacciai ha modellato questa splendida valle e questo magnifico lago. Il verde della vegetazione si alterna a piccoli e ordinati borghi tipicamente svizzeri, raggiungiamo infine Martigny e prendiamo per il Gran San Bernardo. La strada che scala il passo è veloce e a tratti anche a due corsie per senso di marcia. La percorriamo a buona andatura. Una volta raggiunto il traforo, poco prima del passo, paghiamo il pedaggio, sui trenta Franchi, per attraversare il tunnel che ci porterà nuovamente in Italia. Viaggiamo nel tunnel che pare lunghissimo, con un limite di ottanta chilometri all’ora che mi pare eccessivo per un tunnel e sbuchiamo in Valle d’Aosta. Etroubles, Gignod e in un attimo siamo giù ad Aosta, proprio davanti all’ospedale. Ci dirigiamo verso il centro, posteggiamo e ci inoltriamo tra le viuzze intorno alle mura all’interno della mia conosciuta città natale. In questo periodo ad Aosta si respira l’aria degli ultimi giorni delle vacanze prima dell’inizio della scuola, proprio come quando ero bambino in questa città di frontiera. C’è molta gente a spasso, chi vestito da improbabile alpinista chi da estemporaneo bagnante da mare adriatico, tutti si mischiamo eterogeneamente con gli indigeni anche loro molto variegati e multietnici; di valdostani doc oramai ce ne sono ancora pochi e forse è meglio così. Ci rilassiamo sui tavolini posti a lato della rue, osservando i passanti e assaporando un aperitivo: è già passato mezzogiorno. Ripercorriamo i nostri passi rincontrando Piazza Chanoux, il teatro romano e le mura, riprendiamo così la macchina. Salutiamo l’Arco di Augusto e il ponte senza fiume che si dice deviato da Sant’Orso.
Per la prima volta in questo viaggio prendiamo l’autostrada, il nastro di asfalto leggermente in discesa nel giro di mezz’ora ci porta fuori dalla Vallée, l’ultimo paese è Pont St. Martin. Ci ha accompagnato l’impetuosa Dora Baltea e tutt’intorno i numerosi castelli, tra i più belli quello di Fenis e la fortezza di Bard appena restaurata. Dopo Ivrea, nella pianura, incrociamo la Torino-Milano. Inizia il caldo, finora era stato nuvoloso e ventilato; intorno campi coltivati intensivamente e scempi vari in cemento armato tra cui la terza corsia e l’alta velocità. Non c’è traffico, nonostante sia uno dei giorni col bollino rosso per via del controesodo, che forse non esiste più se non nella cronaca di poveri giornalisti annoiati per via del mortorio ferragostano. Il cielo verso nord è nero, nasconde il Monte Rosa e non promette niente di buono. A Borgomanero inizia a piovere, ora l’autostrada punta ad Est e incontriamo il Lago Maggiore e la Rocca di Angera che con quella di Arona distrutta da Napoleone bloccava l’accesso al lago; ora tra i vari tunnel scavati nella base del Mottarone, là in fondo intravediamo le isole Borromee, Verbania e la sponda Lombarda. Passiamo accanto al Montorfano, appunto solo nella pianura alluvionale del Toce e finalmente siamo a casa: uscita Mergozzo dell’autostrada che nel frattempo è diventata superstrada e siamo arrivati. Piove a dirotto, l’estate pare finita: non pensiamoci, non voglio fare l’allarmista.
Epilogo Abbiamo percorso tutta la Valdossola risalendo il fiume Toce come dei salmoni, poi l’abbiamo lasciato a Domodossola e abbiamo attraversato le Alpi sul passo del Sempione. Ci siamo poi fatti dal Rodano sino a dove forma il lago Lemano per poi perderlo, confuso nello specchio dell’enorme lago, e ritrovarlo a Ginevra. L’abbiamo abbandonato che puntava verso Sud, noi siamo tornati a ritroso costeggiando la sponda francese del lago, (prima avevamo fatto quella svizzera), abbiamo ritrovato il Rodano e l’abbiamo definitivamente lasciato per attraversare nuovamente le Alpi con il traforo del Gran San Bernardo. Siamo scesi ad Aosta. Abbiamo aggirato il Monte Rosa seguendo la Dora Baltea, poi la Pianura Padana. Abbiamo doppiato il Mottarone, sulla destra il Lago Maggiore e poi il Toce sino a casa.