Ladakh terra della solitudine
Il nostro viaggio ,dopo una sosta a Delhi, ha interessato in parte anche il Kasmir terra piu’ verdeggiante. Tre settimane di tempo ci hanno permesso di visitare con attenzione queste zone e fare un trekking di una decina di giorni nella Markha valley coronando cosi’ il desiderio di sperimentare una escursione anche in alta quota.
Il gruppo era costituito da tre persone :Giorgio,Luca e Rosanna.
Per la realizzazione del viaggio ci siamo avvalsi della collaborazione di una agenzia locale contattata direttamente via internet da Milano su indicazione di altri gruppi alpinistici che ci ha offerto un servizio eccellente in termini organizzativi con un buon rapporto tra prezzo e qualita’. Un ultimo suggerimento : chi volesse affrontare questa esperienza dovrebbe comunque essere preparato ad accettare di vivere in un contesto ove le condizioni logistiche,igieniche e alimentari sono sensibilmente differenti dalle nostre. Ottima salute e tanto spirito di adattamento sono quindi necessari.
Il viaggio si e’ realizzato dal 19 Agosto al 10 Settembre 2006. Vaccinazioni consigliate : tifo,epatite A, epatite B e antitetanica.
Primo giorno Si parte da Milano Linate con volo KLM via Amsterdam –Delhi ove si atterra alle 23 circa ora locale.
La sistemazione logistica e’ in un vecchio albergo situato in zona centrale ove accedendo al bagno ci si rende subito conto delle abitudini igieniche dei clienti locali che preferiscono l’utilizzo della mano sinistra a quello della carta igienica…Sembra che sia una grande offesa usare questa mano per salutare una persona .
La forte umidita’e il rumoroso impianto di climatizzazione impediscono un sonno tranquillo.
Secondo giorno Dopo il breakfast consumato nel ristorante cinese dell’Hotel ,si decide di fare una breve passeggiata nei dintorni in attesa dell’auto che ci verra’ a prendere per portarci nuovamente in aeroporto.
La prima impressione che si riceve su Delhi e’ quella di una citta’ molto caotica e trafficata .E’ difficile poter camminare senza essere disturbati : autisti di tuk-tuk (micro-taxi locali) che offrono passaggi ad ogni angolo delle strade,procacciatori d’affari ,mendicanti e zingari che chiedono l’elemosina.
Il caldo e’ abbastanza intenso e la condizione di disagio e’ ulteriormente aggravata dalla forte umidita’.
Nei dintorni di Connaught Place , molti edifici rispecchiano lo stile coloniale inglese vittoriano : bianchi palazzi, strutturalmente bassi e sorretti da porticati con colonne che si allineano lungo le strade.
Le condizioni di vita degli oltre 12 milioni di abitanti che vivono in citta’ sono percepite dai rifiuti abbandonati sui marciapiedi , dal contesto dei fatiscenti negozi e dai trasporti pubblici disastrati affollati all’inverosimile.
Nonostante la giornata festiva il traffico e’ intensissimo e trasmette l’impressione che la vita si svolga prevalentemente sulle strade piuttosto che nelle abitazioni.
Nei pressi di un piccolo giardino, una sorpresa: alcune scimmiette sugli alberi, saltando da un ramo all’altro ci offrono il primo quadro veramente allegro di questa grande citta’che sta risvegliandosi.
Nel primo pomeriggio,un volo della Spice-Jet ci trasporta direttamente a Srinagar ,il centro piu’ importante del Kashmir noto per la sua splendida produzione di tappeti di seta e per le morbide pashmine .
Arrivando in questa cittadina, si ha la percezione di entrare in un luogo “blindato” considerando l’elevato numero di militari che presidiano strade , incroci e l’aeroporto dove il percorso si snoda attraverso numerosi check-points . Il timore di attentati, la presenza di culture religiose diverse (buddisti,mussulmani,induisti ) nonche’la vicinanza con il contiguo Pakistan e la Cina ha indotto l’India ha tenere strettamente sotto controllo quest’area con la conseguenza di scoraggiare la presenza dei turisti piu’ timorosi . In realta’ il clima che si vive, nonostante la forte militarizzazione, e’ di grande tranquillita’ interrotta solo dal suono del clacson delle autovetture.
Raggiunte le sponde del lago Dal, ci attende la piacevolissima sorpresa di salire sopra una variopinta imbarcazione a forma di gondola (chiamata schikara) e corredata di comodissimi cuscini Un abile rematore dotato di una lunga pagaia con pala a forma di cuore ,ci conduce alla nostra house-boat , una sorta di piccolo alberghetto galleggiante dotato di sala da pranzo,camere e servizi igienici.
La sistemazione permette un perfetto isolamento dai rumori e la splendida visione dei fiori di loto. Quando mi siedo a guardare il panorama dal patio d’ingresso, vivo una sensazione di pace e ho l’impressione di impersonare anche un “vip” sdraiato sulla poppa della sua mirabolante imbarcazione. Nel tardo pomeriggio, la stessa schikara ci porta ad assaporare le bellezze di questo lago scoprendo nuovi angoli nascosti tra canali ,case galleggianti e palafitte immerse nell’acqua . Appena ci stacchiamo dalla house boat una nuvola di altre imbarcazioni spuntate come d’incanto si affiancano alla nostra per offrirci ogni sorta di merce : fiori ,collane,pashmine ,semi,ortaggi,spezie e anche cartoline.
Di tanto in tanto negozietti volanti adagiati su terrapieni si affacciano sui canali.
Tutt’intorno ,un’isola costruita su prati galleggianti (floating grasses) su cui vengono coltivati prodotti orticoli tra distese di fiori di loto.Un ambiente davvero unico nel suo genere, difficile da descrivere senza poterlo vedere .
Durante la cena abbiamo il piacere di conoscere altri quattro italiani,un uomo e tre donne alloggiati sulla stessa house boat. Sono da pochissimo tempo nel Kashmir ma sembrano sapere tutto su abitudini,luoghi,alimentazione e costi.Credo che prima di partire abbiano trascorso mesi e mesi a documentarsi su internet . Il loro portavoce ,subito identificato con il nome di “sapientino”rimane pero’ un po’ deluso quando gli facciamo sapere che il nostro biglietto aereo per arrivare a Delhi acquistato in una semplice agenzia gestita da cinesi, e’ costato sensibilmente meno rispetto al loro, prenotato via internet dopo laboriosissime ricerche.
Sono ansioso di assaggiare per la prima volta le specialita’ladakhiane, una sorprendente unione di colori,aromi e sapori ma quelle servite in tavola non sono certo da dieta ospedaliera : la piu’ “delicata” mi fa sudare terribilmente lasciandomi sfuggire qualche lacrima dagli occhi e obbligandomi soffiare il naso. Stavo dimenticando di trovarmi nella terra delle spezie piccanti…E cosi’ mi nasce il timore di dovermi alimentare per il futuro solo con riso in bianco e patate bollite . Al cuoco che mi chiede se ho gradito le pietanze nascondo il mio imbarazzo con una bugia chiedendogli pero’ di prepare per il futuro le ricette un “filino” meno saporite.
Dopo cena, una splendida stellata chiude questa entusiasmante giornata.
Terzo giorno La ipotizzata tranquillita’del luogo e’ interrotta improvvisamente alle quattro e mezza della notte quando la voce non certo pavarottiana di un mujadin dall’alto del minareto della vicina moschea, ci sveglia di soprassalto.Il disturbo viene comunque accettato senza molte lamentele perche’ il programma della mattinata e’ quello di visitare il mercato galleggiante che si tiene ogni giorno all’alba . Qualche pensiero e preoccupazione nasce pero’ pensando alle mattine successive…
Con la nostra schikara ,quando la prima luce del mattino comincia a specchiarsi sul lago,raggiungiamo il luogo delle contrattazioni gia’ affollato da altre numerose imbarcazioni affiancate l’una all’altra.
Moltissimi gli alimenti scambiati o venduti: rape ,cornetti ,peperoncini,zucchine e corolle dei fiori di loto; queste ultime , al loro interno nascondono dei gustosi semi dal sapore di nocciola.
Ci sono donne che vendono montagne di alghe raccolte nei bassi fondali del lago e molto utili a rafforzare la struttura dei prati galleggianti su cui crescono gli ortaggi.In agguato,stazionano anche i consueti venditori ambulanti che in equilibrio critico sulle loro imbarcazioni cercano di farsi una breccia per raggiungere quelle dei pochi turisti presenti.
Passa il tempo e improvvisamente comincia a scendere qualche goccia d’acqua che suggerisce ai meno coraggiosi come noi, il rientro anticipato onde evitare l’esperienza di docce non programmate.
Nella houseboat un piacevole spuntino-break offre l’opportunita’ di far allontanare la perturbazione; un’altra schikara ci traghetta poi sulla sponda opposta del lago ove una una jeep attende per portarci a visitare i giardini Moghul, una stirpe di imperatori che scelsero il Kashmir come sede estiva della loro corte. Essi appaiono come delle vere oasi nel calore secco del deserto. Vi si trova sempre dell’acqua ; alcuni canali formano talvolta cascatelle e fontane che rinfrescano i viali riscaldati dal sole.Tutt’intorno aiuole fiorite contribuiscono a creare un clima di grande pace e tranquillita’offrendo talvolta anche dei piacevoli panorami sul lago antistante. Poiche’ la storia di Srinagar e’ legata oltre che ai suoi giardini anche ai luoghi religiosi,nel pomeriggio decidiamo di salire a piedi sulla collina ove e’ collocato un tempio antichissimo dedicato a Shiva, il dio distruttore.
In prossimita’ della vetta un inaspettato controllo militare seguito da una attenta perquisizione, ci obbliga lasciare macchina fotografica e zainetto in custodia agli stessi soldati. Superato un ultimo tratto di sentiero, la struttura appare ai nostri occhi in realta’ un po’ deludente sotto il profilo architettonico e turistico. Un ulteriore elemento di negativita’ ,del tutto personale ,si aggiunge quando salendo a piedi scalzi gli ultimi gradini del tempio la mia testa va a urtare violentemente contro una pesante campana di bronzo trasformandomi in “batacchio” risvegliando tutta la struttura religiosa gestita da monaci . La dolorosa disavventura viene pero’ prontamente compensata dalla splendida vista su Srinagar,il lago e le sue house boats.
Alla sera ,a cena , scambiamo le nostre impressioni turistiche con gli amici italiani di ritorno da una escursione fatta lungo il fiume emissario del lago. Il vissuto di questa esperienza e’ talmente entusiasmante che questa volta decidiamo di dare fiducia a “sapientino” e a modificare il nostro programma per il giorno successivo che prevedeva la visita a piedi della vecchia citta’.
Quarto giorno La sveglia , aiutata dal nostro amico “mujaidin” , e’ fatta anzitempo anche perche’ l’attesa suscitata dalle descrizioni della sera precedente e’ davvero grande. Inoltre la decisione in estremis di modificare il programma crea qualche ritardo di natura organizzativa. A mattinata inoltrata finalmente arriva la nostra imbarcazione spinta da quattro rematori . Sembra infatti che il percorso sia lungo e faticoso . Caricate le stoviglie e un vecchio fornello, finalmente si parte navigando inizialmente un tratto di lago e successivamente un canale che ci porta ad attraversare la citta’ vecchia . Ci fermiamo per un breve rifornimento di viveri nei pressi di una banchina dove e’ ormeggiata un’altra imbarcazione governata da un uomo che trasporta dei coni gelato. In questa zona avviene il primo impatto sgradevole dell’escursione sia per il colore dell’acqua che i pittori definirebbero “terra d’ombra bruciata”,sia per il contesto ambientale fatto di “catapecchie” e muraglioni da cui alcune tubazioni fanno sgorgare acqua non certo sorgiva . Lo stomaco si stringe e nella mia mente comincia ad alimentarsi una certa proccupazione quando uno schizzo d’acqua cadendo inavvertitamente su una gamba , provoca un’eritema che sparira’ solo dopo qualche giorno.Fortunatamente la sosta e’ breve e ci allontaniamo da questo luogo per proseguire il nostro viaggio lungo il canale ove le fatiscenti costruzioni lasciano gradualmente il posto a una vegetazione talmente rigogliosa da ricordare una foresta tropicale. Qui il paesaggio e’ veramente fantastico e scioccante perche’ il quadro della nostra giungla e’ incorniciato dalla presenza di numerosissime aquile che volano tra l’intrecciarsi delle piante sopra le nostre teste. Non mancano gli aironi ,le paperette e i martin pescatore dalle piume color cobalto. L’atmosfera e’ cosi’ magica che mi sarei aspettato di vedere anche qualche coccodrillo.
Il canale si apre poi in una laguna ove l’acqua torna ad essere trasparente specchiando il colore di immense distese di fiori di loto sorrette da foglie gigantesche. La vegetazione si intensifica trasformandosi in praticelli galleggianti e offrendo davvero la visione di un paradiso terreste se non fosse per la presenza di rifiuti plastici che deturpano questa oasi galleggiante della natura . E’ un vero peccato che luoghi di una simile bellezza finiscano per venire rovinati dall’incuria dell’uomo. Ad un tratto la nostra laguna si stringe sino a raggiungere un ponte dove il passaggio e’ impedito dalla presenza di una vegetazione galleggiante talmente fitta da obbligarci a scendere.
La barca viene trascinata a forza dai nostri quattro marinai che tra imprecazioni e risate riescono a superare con grande fatica questo primo ostacolo. Riprendiamo il nostro viaggio seguendo un canale piu’ ampio e dove il colore dell’acqua ritorna ad imbrunire per l’avvicinarsi di alcune abitazioni che anticipano il passaggio attraverso delle “chiuse” leonardesche costruite per superare il dislivello del corso d’acqua . Sull’altra sponda una piccola fabbrica di tessuti di pregio attira la nostra attenzione .L’attesa dell’apertura delle “paratie”ci permette infatti di osservare il lavaggio a mano dei semilavorati che vengono sbattuti con forza contro le pietre e successivamente sciacquati nel fiume. Considerando il colore dell’acqua mi chiedo se questo faticoso trattamento abbia come obiettivo effettivamente il lavaggio o la colorazione dei capi. In qualcuno di noi comincia a scemare anche l’entusiasmo e l’attrazione per famose pashmine della cui produzione il Kashmir e’ cosi’ tanto orgoglioso.
Superate delle piccole rapide che si aprono sotto un altro ponticello, sembra che le difficolta’ di percorso siano terminate anche perche’successivamente il canale si trasforma in vero fiume le cui sponde offrono l’alternativa di percorrere anche un tratto a piedi , a superamento dei disagi creati dalla forzata immobilita’ sulla schikara. Qui il paesaggio si fa meno affascinante perche’ riprendiamo a navigare in un contesto naturalistico piu’ tradizionale. L’ombra di alcuni cedri offre l’opportunita’ per un attracco e la sosta per il pranzo consumato sulla barca su cui e’ stata allestita una cucina volante. A pochi metri un’altra imbarcazione leggermente piu’ grande della nostra, raccoglie nuovamente la nostra attenzione . Una famiglia con due bambini piccoli vive al riparo di una tenda sporca in un contesto di massima poverta’e scarsissima igiene .Non possiamo fare altro che avvicinarci per lasciare ai bimbi una manciata di caramelle allungate su una pala di un remo .
Una visione che da sola ci trasmette da una parte molta tenerezza nel vedere il volto sorridente del bambino, dall’altra un grande sentimento di pieta’per una situazione che non avremmo mai voluto incontrare.
Con questa immagine negli occhi riprendiamo il nostro lungo viaggio di ritorno con un po’ di malessere ma con la soddisfazione di aver vissuto una esperienza tra le piu’ significative di tutto il nostro viaggio in India.
Quinto giorno Oggi dobbiamo partire per Leh ,capoluogo del Ladakh. Il percorso e’ lungo circa 400 chilometri ma impiegheremo tre giorni per arrivare. Le strade in questa area sono infatti molto tortuose,dissestate e con un pessimo fondo: bastano talvolta delle semplici piogge per creare frane e interruzioni che possono durare giorni. Vogliamo inoltre fermarci a visitare alcuni dei piu’ bei monasteri che si trovano lungo il tragitto.
Prima della partenza ci viene presentato il “driver” che condividera’ con noi queste giornate: capelli scuri,carnagione olivastra, baffetti da sparviero. Parla con difficolta’ la lingua inglese e come i thailandesi sostituisce nella pronuncia la lettera “f” con la “p” e cosi’ quando gli chiedo a quale distanza si trova il primo paese che incontreremo , mi risponde “pipty” in luogo di “fifty”.
Strada facendo continuo a dimenticarmi il suo nome ,cosi’,considerata la sua guida spavalda , lo chiamo Schumacher ma lui non sa neanche chi sia.
Lasciamo il lago Dal seguendo una strada inizialmente asfaltata ma poco scorrevole per gli ostacoli creati dalle numerose mandrie di pecore che invadono spesso la sede stradale. Ci fermiamo dopo un centinaio di chilometri a Sonmarg un piccolo villaggio alpino adagiato su un pianoro illuminato dalla luce di un ghiacciaio. Siamo gia’ a 2000 metri e cominciamo ad assaporare il clima offerto dalle montagne di cui tutta questa zona va fiera. La presenza di un paio di alberghetti e un posto di blocco che controlla l’afflusso dei veicoli ci suggeriscono di fare una sosta-the’, un’abitudine che ci accompagnera’ spesso durante i futuri percorsi. Riprendiamo il viaggio e dopo alcuni chilometri , la strada diventa sterrata, stretta ,sempre piu’sconnessa e franosa. Quando ci inerpichiamo su infiniti tornanti scavati nel fianco della montagna, si modifica la mia valutazione iniziale sulla prudenza del nostro Schumacher impegnato in alcuni spericolati sorpassi. I camion “Tata”ansimano e ruggiscono nell’affrontare la salita e il nostro “driver” li supera quasi sempre in curva per guadagnare qualche centimetro di spazio suonando disperatamente per farsi sentire da eventuali autoveicoli provenienti in senso contrario. Siamo tutti tesi anche perche’lo strapiombo sul ciglio della strada ,ovviamente senza protezione , non darebbe scampo in caso di incidente . Nel silenzio che accompagna questo tratto , intuisco perche’ il mio amico Luca che si trova seduto accanto all’autista, tiene la cintura di sicurezza slacciata… Con molto sollievo arriviamo al termine dei tornanti ove lo strapiombo diminuisce fino ad annullarsi raggiungendo finalmente lo Zoji-la (“la”in lingua locale significa “valico”) che con i suoi 3500 metri ci offre l’occasione per scattare una foto ricordo.
La discesa e’ molto lenta perche ‘i numerosi posti di controllo militare ci obbligano a continue soste. Siamo infatti molto vicini al confine con il Pakistan , Paese entrato in conflitto con l’India alcuni anni orsono.Il percorso e’ anche ostacolato da rallentamenti causati dalle numerose colonne di mezzi militari che incrociamo nella zona.
Attraversiamo un piccolo villaggio di nome Drass noto per la bassa temperatura raggiunta durante l’inverno (-52°!) e dopo una cinquantina di chilometri , nel tardo pomeriggio, arriviamo a Kargil un tempo importante cittadina carovaniera da cui si dirama la strada verso la valle dello Zanskar.
Nei pressi del nostro albergo si sta giocando una partita a “polo” uno sport in cui gli indiani eccellono. Purtroppo arriviamo quando l’incontro e’gia’ terminato e la gente sta defluendo . Lungo il terrapieno antistante, alcuni tendoni presidiati da soldati mettono in mostra le armi moderne dell’esercito, iniziativa che forse serve per suscitare interesse all’arruolamento. Fallito il tentativo di assistere all’incontro sportivo, una lunga passeggiata nel centro del villaggio affollato di negozi, ci permette di entrare in contatto con la vita quotidiana degli abitanti e concludere questa giornata spericolata.
Sesto giorno Si riparte di buon ora da Kargil per raggiungere Ulay-Topko,nuova sosta intermedia del nostro viaggio verso Leh.
Il percorso inizialmente in salita e poi a mezza costa permette di ammirare i colori delle diverse fasce di arenaria lungo un paesaggio che diventera’ in seguito via via sempre piu’ monotono. Scorrono i chilometri e finalmente in prossimita’ di un antico villaggio di nome Mulbekh visitiamo il primo monastero (“gompa”).
La struttura e’ piccolissima e si trova proprio lungo la strada. All’ingresso incontriamo un giovane monaco che nella sua veste arancione ci chiede di versare un modesto obolo. Esaminando gli accessori del suo abbigliamento ci sorprende nel vedere che sulla fronte calza, con la disinvoltura di una star del cinema ,un paio di occhiali da sole firmati “Armani”.Istintivamente ipotizzo che il turismo e gli oboli abbiano creato le condizioni per sviluppare un nuovo business , poi riflettendo sullo stato di poverta’ in cui vivono questi religiosi,preferisco pensare a un regalo di qualche turista di passaggio… All’interno,alcune raffigurazioni di divinita’ sono disegnate sulle pareti con colori vivacissimi; all’esterno,sul retro, una colossale statua di Budda scolpita nella roccia testimonia il brillante passato religioso di questa valle.
Sul versante opposto,collocato sull’estremita’ di uno sperone roccioso, si staglia un altro monastero molto piu’grande e sembra promettere una vista fantastica sulle montagne circostanti. Poiche’ non riusciamo a nascondere la nostra curiosita’, il monaco si offre di accompagnarci ma purtroppo il trasferimento si interrompe quando “Schumacher” improvvisamente si rifiuta di continuare comunicandoci che il percorso richiede troppo tempo.Rimaniamo contrariati e delusi ma dobbiamo accettare la decisione .
Dopo Mulbekh , la strada si addentra in un paesaggio con monti sempre piu’alti offrendo scorci su grandi guglie di arenaria e enormi dossi sabbiosi fino a raggiungere il secondo valico del nostro viaggio, il “Namika –la” a 3700 metri di altezza.
La discesa offre un panorama splendido anche se lo sguardo e’ maggiormente attratto dalle condizioni stradali.Piccoli corsi d’acqua erodono progressivamente il terreno e obbligano a continui rallentamenti; sussulti e salti sembrano non aver mai fine e richiamano alla mente le attrazioni piu’spericolate dei gettonati parchi di divertimento europei. Come nella giornata precedente la strada e’ sinuosa e stretta e quasi sempre le auto e camion si incrociano con difficolta’. Talvolta mucchi di sassi allineati sul ciglio con funzioni di protezione sembrano trasmettere un minimo di tranquillita’ che ben presto viene pero’ cancellata dai numerosi cartelli stradali che ricordano rischi e pericoli. Si affrontano nuovi tornanti fino ad arrivare al valico Fotu-la che con i 4100 metri rappresenta il punto piu’ alto del percorso Srinagar-Leh.Una piccola costruzione in pietra,alcune bandierine colorate e un segnale in muratura ricordano l’altezza raggiunta da questa strada.
Dopo la rituale foto scattata in questo luogo battuto dal vento, un lunga discesa porta verso il fondo valle dove in lontananza appare il monastero di Lamayuru ,forse il piu’ importante di tutto il Ladakh.Anche in questo caso dobbiamo convincere il nostro frettoloso autista a fermarsi per visitare questo gioiello religioso.
Siamo fortunati perche’ quando entriamo nella sala del culto (Dukang) e’ in corso una cerimonia. Dei quattrocento monaci che qui risiedevano ai tempi del maggior splendore del convento ne sono rimasti una decina. Avvolti nel loro semplice abbigliamento di colore rosso-giallo sono inginocchiati con le gambe incrociate su dei tappeti a sfondo rosso .Leggono preghiere con litanie monocordi e muovono le mani ritmicamente; poi ad un tratto interrompono per bere dell’acqua e riprendono la cerimonia suonando strumenti musicali accompagnati dal battito di tamburi. La singolare musica viene talvolta interrotta dal monaco-priore con uno squillo di campanelle. Tutt’intorno odore d’incenso. Il significato della cerimonia sfugge alla comprensione ma suscita un grande senso di pace e un invito alla meditazione. Appesi alle colonne steli di stoffa (chiamati tangke) brillano per la vivacità dei colori e si intrecciano tra loro riflettendo la poca luce che entra nella penombra .
Sullo sfondo una vetrina con statue di numerose divinita’ si contrappone a una parete con vecchi volumi raccolti in una libreria.
Lasciamo il luogo con l’impressione di aver vissuto un’altra esperienza davvero unica e in pochi chilometri raggiungiamo il micro villaggio di nome Ulay-Topko ove ci attende un accogliente campo tendato molto ben organizzato e dotato di un ottimo centro massaggi ayurvedico che non vediamo l’ora di sperimentare in attesa della cena.
Settimo giorno Oggi verra’ dedicato tutto il tempo alla visita dei monasteri piu’ belli dislocati nei dintorni del percorso che conduce verso Leh. Questi luoghi di solitudine,come tutti i monasteri sorgono generalmente in luoghi appartati e solitari.Essi esprimono sempre un fascino particolare e suggestivo,talvolta si celano in localita’ recondite per apparire improvvisamente ad una svolta della strada . Quello di Ridzong e’ disteso in un anfiteatro morenico lungo il pendio di una valle brulla e desolata.
All’arrivo un offerta e un dono per i bambini della scuola e poi la consueta visita.
All’interno due templi con il loro luogo di culto;all’esterno,il complesso delle abitazioni dei monaci che si affaccia su questa valle senza vegetazione. Verso sud una catena di alte vette chiude il panorama.
Quassu’si riesce a comprendere perche’ i monasteri buddisti siano considerati delle vere e proprie “dimore della solitudine”: dominate da un silenzio sconfinato dove il vento modula i suoi sibili e lo spirito puo’ concentrarsi sui significati piu’ importanti della vita.
Dopo il the’ offerto dai bambini della scuola in segno di ospitalita’, riprendiamo il viaggio per raggiungere Alchi.
Lasciamo il nostro mezzo nella piazzetta e seguendo un sentiero tra muretti di sasso, arriviamo al monastero che sfortunatamente troviamo ancora chiuso per l’ora di pausa .All’apertura,la visita.
Anche questo complesso appare come una fantastica testimonianza del passato e sicuramente un’altra delle meraviglie del mondo buddista.Il portico del tempio ove si trova la sala di culto e’ pericolante e instabile ma una volta varcato l’ingresso e abituati gli occhi alle lame di luce, appaiono tre inaspettate gigantesche statue di Budda .I piccoli disegni dipinti sul loro corpo appaiono ai nostri occhi come un microcosmo di rara bellezza. Queste immagini sembrano dipinte utilizzando l’intero spettro cromatico dei colori piu’ brillanti esistenti in natura.
All’esterno due asinelli,incuranti del rispetto per questo luogo sacro si aggirano tra i giardinetti cercando di saziare lo stomaco.
Usciamo dal complesso monastico seguendo un torrentello che riattraversando il villaggio ci fa riguadagnare la strada principale.
Riprendiamo il viaggio per raggiungere Likir il terzo e ultimo monastero collocato in una tra le piu’ belle vallette del paese e arroccato su uno sperone roccioso.
La struttura si presenta ai nostri occhi ben conservata ma la localizzazione dei templi appare un po’ disordinata.
Nel “dukang” le pareti sono ricoperte da minuziosi affreschi : le immagini delle divinita’,ora sorridenti,ora terrificanti corrono senza soluzione di continuita’ intorno alla sala. Mi colpiscono i colori violenti di alcuni disegni e i particolari macabri di divinita’dal viso truce che si presentano inghirlandate da teste recise.
Ci aggiriamo nei meandri del monastero e riusciamo ad entrare in altre piccole cappelle,stanze private e biblioteche.
All’esterno, su un lato del monastero improvvisamente appare una enorme statua di Budda dominante l’intero complesso conventuale ma che sembra completamente estranea all’armonica confusione del gompa.
Il viaggio continua e in pochi chilometri arriviamo finalmente a Leh ,il centro che rappresentera’ il punto focale per organizzare altre nostre escursioni alpinistiche e non.
In lontananza il palazzo reale con tutta la sua mole sovrasta l’abitato .E’ una struttura gigantesca disposta su piani successivi sorretti da mura altissime : poderosi contrafforti ne conferiscono un immagine quasi di fortezza. Ai suoi piedi si snodano le case con le strade su cui si affacciano negozi,ristoranti ,banche e agenzie che organizzano escursioni.
Numerosi sono gli stranieri che affollano i mercatini ove alcune donne accovacciate sui marciapiedi vendono generi alimentari e spezie. Scende la sera ,spente le luci dei negozi e scomparso il traffico delle auto ,sorprendentemente la cittadina si apre ad altri insoliti turisti : nuvole di cani,asini e mucche si aggirano lungo marciapiedi condividendo senza litigare il cibo e i rifiuti abbandonati davanti agli esercizi alimentari. Siamo davvero compiaciuti e incuriositi nel constatare la simpatica convivenza di questi animali cosi’ diversi nella razza ma cosi’ uniti nel perseguire il loro obiettivo comune .Ovviamente nessuno osa disturbarli.
Ottavo giorno La tradizionale visita dei negozietti occupa l’intera mattinata. Nei pressi del mercato alcuni esercizi commerciali piu’ simili a “garage” che a negozi, vendono generi alimentari . Uno di questi mi incuriosisce: in una macelleria collocata in una piccola baracca azzurra, l’esercente , sta tagliando dei pezzi di carne molliccia su un ceppo di legno che poggia sulla nuda terra. Tutt’intorno centinaia di mosche cercano di appoggiarsi e vincere la resistenza creata da un fil di fumo emanato da una minuscola candela.Dopo qualche minuto, il cliente ritira il cibo avvolto nella carta di un giornale stampato. La visione di questa scena mi fa immediatamente diventare vegetariano.
Nel primo pomeriggio decidiamo di visitare i dintorni di Leh tra cui un monastero,un castello e la vecchia residenza dei re del Ladakh.
La struttura conventuale e’ quella di Thikse collocata sulla cima di un dirupo roccioso con le abitazioni che si snodano ai suoi piedi. E’una delle piu’ ricche della regione perche’il ricavato della vendita dei biglietti d’ingresso, ha permesso il restauro di molte strutture e degli affreschi piu’ importanti.
All’interno di uno dei templi, colpisce una colossale statua di Budda alta 14 metri e in un altro, le raffigurazioni di terrificanti divinita’ da incubo notturno.
Lasciamo il complesso dopo aver visitato il “Gonkang”(sala che ospita le divinita’ protettrici) con le sue gigantesche statue monolitiche scolpite direttamente nella roccia .
Ci avviamo a raggiungere Shey ,un dirupo ove si staglia una vecchia fortezza del 1400 che fungeva da residenza estiva dei sovrani ladakhi e di cui rimane ben poco a parte l’occasione per fare una arrampicata tra i dirupi e scattare foto sulla valle sottostante.
Ridiscesi sulla strada non resta che riprendere l’auto per raggiungere il palazzo reale di Stok la vecchia capitale e ultima residenza dei re Ladakhi.
La dimora richiama quella di Leh con poderosi contrafforti,finestre e poggioli che sporgono dalla facciata.Contrariamente a quest’ultimo, il palazzo e’ ben conservato poiche’ ancora vi soggiorna saltuariamente la discendenza della famiglia reale.
Saliti alcuni scalini fino al portale d’ingresso , un guardiano e’ in paziente attesa per accompagnarci a vedere le sale interne, alcune destinate a ospitare il museo e altre adibite ad appartamento reale. Durante la visita ci colpiscono alcune fotografie d’epoca che ritraggono la famiglia reggente in differenti momenti della loro vita.
Nel museo sono raccolti oggetti e vestiti appartenenti ai sovrani: curiose collezioni di cappelli, una collana della regina ricca di coralli e turchesi e antichi vestiti. Una vetrina mette in mostra le scarpe reali dalla foggia molto strana con punte arcuate . In una sala adiacente,un museo naturalistico con animali impagliati.
Rinchiuse le stanze con delle chiavi medioevali ,il guardiano si commiata e noi abbandoniamo la residenza ripercorrendo la valle dell’Indo .
Nono giorno E’ arrivato il grande momento di partire per affrontare l’esperienza di un trekking in alta montagna : percorreremo la valle del fiume Markha .
In Italia ci eravamo preparati a dovere : allenamenti in quota,visite mediche,vaccinazioni,indumenti tecnici e medicinali per affrontare ogni situazione di emergenza.Unica preoccupazione, quella di non avere un medico al seguito: la completa assenza di comunicazioni non ci dara’ la possibilita’ di chiedere soccorso. Parallela a quella di Leh, la valle ha offerto per secoli un rifugio naturale ai sovrani del Ladakh in fuga davanti alle invasioni.
L’area e’ scarsamente popolata,i castelli ridotti a cumuli di rovine e la natura dei luoghi e’ caratterizzata da un contesto selvaggio e desolato e dalla presenza di due alti valichi che offrono pero’un panorama davvero fantastico.
Alla mattina una jeep ci accompagna nei pressi della localita’ di nome Spituk ove sono ad attenderci una guida ,un cuoco,uno stalliere e cinque cavalli: serviranno per il trasporto dei viveri e di tutto l’equipaggiamento necessario a sopravvivere nei prossimi 10 giorni . Il nome della guida Rigzin Tsewang e’ difficilissimo da pronunciare e cosi’ con il suo consenso, concordiamo di chiamarlo semplicemente Riggi.
Noi, con Riggi ,viaggeremo separatamente dalle “salmerie”, notoriamente piu’ veloci.
Ci troviamo gia’ a 3700 metri e il primo tratto di sentiero per lo piu’ pianeggiante viene superato agevolmente seguendo una cengia arida e sassosa lungo la sponda sinistra del fiume Indo.
In lontananza alcune imbarcazioni stanno praticando il rafting .
La traccia di sentiero si addentra successivamente in una valle ove dopo numerosi attraversamenti del ruscello, si arriva ai prati che ospiteranno il nostro primo campo base di nome Zinchen. Abbiamo la sorpresa di veder montata al centro del prato una “tenda ristoro’’ dove scambiamo qualche parola con degli escursionisti inglesi. Le tende ristoro,ne incontreremo molte durante il nostro percorso,sono a forma circolare e utilizzano come riparo i paracadute dismessi dall’esercito indiano. Al loro interno e’ possibile ristorarsi con delle bevande calde (in genere del the’) e fredde, comprare biscotti o cioccolata,talvolta anche dormire.
All’esterno i nostri cavalli finalmente riescono a liberarsi dai pesanti fardelli e curiosamente si rotolano con piacere sulla schiena “autostrigliandosi” . Viene montata anche una “tenda toilette” abusivamente utilizzata “in notturna” anche dagli altri escursionisti che nell’oscurita’ la raggiungono come se fossero delle ” lucciole”. La scarsa presenza di una vegetazione circostante non lascia d’altronde alternative ad altri gruppi meno attrezzati. Alla sera il cuoco ,di cui in seguito apprezzeremo molto la cucina, prepara delle ottime specialita’ ladakhiane . Ovviamente cerco di tenere strettamente sotto controllo l’uso della sua mano sinistra…
Decimo giorno Lenta la risalita nella valle ,ora costeggiando le pareti,ora camminando lungo il greto del torrente fino ad arrivare in una zona piu’ aperta ove l’occhio inizia ad intravvedere alte cime e nevai . Siamo in una localita’ di nome Rumbak ove la tenda ristoro ci offre un buon the’ All’esterno un gruppo di escursionisti sono preoccupati per un incidente occorso ad un loro compagno. Dopo una breve sosta , decidono di lasciare il luogo avviandosi lungo una vallata che porta verso il valico dello Stok-La .
Anche noi riprendiamo il cammino attraverso pascoli e ghiaioni fino al campo base di Yurutse ove ci accampiamo a quota 4400 metri .
L’amico Luca e Rosanna arrivano stremati confessando di aver esaurito tutte le sue forze .
Il sole tramonta alle nostre spalle ed esalta ancor di piu’ le venature ocra delle montagne circostanti.
La cena e’ fissata per le 18.30 prima che cali la luce .Il cuoco ci prepara con sorpresa una discreta pizza . L’alternativa ad altri piatti conditi con peperoncino e’ rappresentata dalle zuppette liofilizzate portate dall’Italia . Un’altra preoccupazione nasce per l’acqua che deve essere prelevata dal torrente e scaldata prima di essere bevuta. L’ebollizione a questa altezza avviene a 85 gradi e non garantisce una sicura sterilizzazione.
Il tempo per consumare la cena e’abbastanza breve e soffriamo di dover andare a dormire secondo gli orari delle “galline”: la precoce oscurita’ e l’assenza di “botte di vita” non ci offrono alternative. La sveglia per la mattina e’ fissata alle ore 6 e gli orari saranno sempre gli stessi per tutta la durata del trekking.
Undicesimo giorno La giornata si preannuncia molto impegnativa perche’ oggi l’obiettivo e’ quello di raggiungere il valico del GandaLa a 4950 metri. Iniziamo il percorso da soli,la guida ci raggiungera’ in seguito.Lungo il pendio vediamo per la prima volta uno Yak , una sorta di enorme bue selvatico dalle grandi corna e dalla lunga coda. Strada facendo incontriamo anche numerose marmotte e le “blu sheeps”, animali simili ai nostri caprioli. Gli incontri sono provvidenziali perche’ distolgono l’attenzione dalla fatica ulteriormente aggravata dalle difficolta’ respiratorie, dal peso degli zaini,dal mal di testa e dalla ripidita’ del sentiero. La pendenza e’infatti molto piu’ rilevante di quella affrontata nei giorni precedenti e si cammina molto lentamente ; purtroppo tutto lo sforzo profuso non trova una adeguata ricompensa perche’ in vetta, un peggioramento delle condizioni atmosferiche impedisce di gustare pienamente il panorama tanto atteso.Ci accontentiamo di una tazza di the’e della foto ricordo.
La discesa e’lunghissima e all’inizio molto ripida. Il cammino costeggia campi recintati e filari di salici piangenti lungo il greto del torrente per infilarsi poi in una stretta gola .
Una spianata precede l’arrivo a Skyu ove ci accolgono alcune case in sasso, la consueta tenda per il the’ e un grande spiazzo che ospitera’ le nostre casette di tela nei pressi di un torrentello. Il tempo continua a mantenersi molto nuvoloso.
Dodicesimo giorno Dopo una notte di pioggia , un caldo sole accompagna il nostro risveglio.
Il percorso oggi si preannuncia lungo e Riggi ci invita a camminare rapidamente per arrivare nei punti in cui dovremo piu’ volte guadare il torrente prima che aumenti il suo volume per il disgelo. Dopo l’oasi di Skyu , le tracce del sentiero si perdono e le indicazioni della nostra guida diventano fondamentali.
Dopo un iniziale tratto pianeggiante si affronta un continuo saliscendi che ci conduce al greto del torrente tra pareti di arenaria e alte guglie. Il paesaggio e’ sempre piu’ arido e monotono. Dopo circa tre ore affrontiamo il primo guado, superato senza molte difficolta’. Altri tre escursionisti di origine israeliana, arrivati qualche minuto dopo , rischiano invece di essere travolti dalla corrente.
Percorriamo altre spianate guadando nuovamente il corso d’acqua che scorre tra montagne dai colori cangianti: rocce dal grigio cupo ,al vermiglione, al rosso intenso, al violetto.
A 3900 metri raggiungiamo la localita’ Marka ove un ultimo guadoda accesso al luogo ove posizioneremo le tende. Gli israeliani arrivati in ritardo,hanno la consueta difficolta’ ad attraversare il corso d’acqua.
Di fronte al campo alcune case e un piccolo monastero aggrappati su un rilievo roccioso dominano. La valle. Il villaggio e’ il piu’ ampio di tutta l’area :una trentina di abitazioni in tutto. Calata la sera decidiamo di visitare l’abitato ma l’oscurita’ piu’completa impedisce ogni visione nonostante la luce delle torce. Candele illuminano qualche finestra trasmettendo l’immagine di un piccolo“presepe” abbandonato.
Dodicesimo giorno Anche oggi la giornata si apre con un bel sole.
Come nel giorno precedente , il percorso si snoda prevalentemente nel fondo valle per poi affrontare una serie di spostamenti che portano ora sulla destra ,ora sulla sinistra del torrente. Si cammina alternativamente su ciottoli e su fondi sabbiosi.Sulla sponda opposta della valle alcune “blue sheeps”pascolano tranquillamente incuranti della nostra presenza. Numerosi muretti sacri (cosi’detti muri mani”) e chorten (piccoli monumenti religiosi) affiancano il sentiero. Recenti piogge hanno completamente fatto franare la traccia originaria costruita sul pendio della valle obbligando a un piu’ faticoso itinerario e a poco agevoli guadi . Nel punto in cui il corso d’acqua scorre tra pareti rocciose senza lasciare spazio per proseguire, saliamo un irto pendio entrando in una valle che scorre parallela al fiume.
Le rocce affiancano il sentiero e ad una attenta osservazione svelano una cresta fortificata : e’un castello ove si rifugiavano i sovrani del Ladakh quando la loro terra era invasa.Scendendo e volgendo le spalle ,rimaniamo affascinati da questa guglia rocciosa con il suo maniero arroccato sulla sommita’. Poco oltre ci accoglie il campo base dello Kang Yatze che prende nome dalla montagna innevata che con i suoi 6500 metri domina il fondo della valle.
Tredicesimo giorno Il tempo e’cambiato e ampie distese di nuvole coprono l’area ove ci troviamo.
Oggi si devono superare solo 500 metri di dislivello e il percorso non e’ lungo. Dopo qualche ora, il paesaggio,in genere abbastanza monotono, ci permette di ammirare affascinanti creazioni rocciose simili a sculture :rossi pilastri a forma di cuneo si ergono verso il cielo e tengono sulla loro punta dei pericolanti enormi massi.
Salendo il crinale ,un inaspettato laghetto a 4200 metri addolcisce l’arido panorama.Nei pressi, una donna ladakhiana con il suo bambino preparano del the’ sotto una tenda.
Il sentiero continua a salire offrendo a tratti nuovi scorci sullo Kang Yatze, la montagna piu’ alta della zona. Lo sguardo continua a spaziare sul versante opposto della valle coronata da cime innevate mentre il torrente scorre molto piu’in basso scavandosi il passaggio nell’altopiano.Siamo ormai giunti all’alpe di Nimaling cioe’il “posto al sole”. Il sole pero’non lo si vede e anzi ,una leggera nebbia avvolge l’ampia conca prativa adagiata a 4700 metri.
In lontananza, alla base del pendio ,una piccola costruzione in sasso presumibilmente abitata da qualche pastore, appare come una immagine evanescente. Ci aspettavamo una sosta rilassante e distensiva ma le condizioni climatiche non sono certo delle migliori. Sul far della sera , il freddo si fa piu’ pungente e comincia anche a nevicare . Trascorriamo la notte al gelo avvolti nei nostri sacchi a pelo con la consolazione che la temperatura ci aiutera’ a rallentare , almeno per la notte, l’invecchiamento del nostro corpo.
Quattordicesimo giorno Ci svegliamo sotto una coltre di nebbia ma fortunatamente non nevica piu’. Rosanna, soffrendo un po’ il “mal di montagna” dovuta all’altezza (AMS) , ha difficolta’ a riprendere il cammino. Le cime d’intorno sono tutte imbiancate e cominciamo a salire con una pendenza inizialmente dolce,poi sempre piu’ ripida e segnalata da ometti di pietra. Il sentiero e’facile ma si cammina con molta fatica e grande dispnea dovuta alla carenza di ossigeno. Occorre dare fondo a tutte le nostre risorse fisiche ed energetiche per superare i 400 metri di dislivello che separano dal valico .
In vetta, il KongmaruLa con i suoi 5150 metri ,il punto in assoluto piu’ alto toccato dal nostro percorso,ci accoglie con una distesa di bandierine colorate al vento, simbolo di devozione e preghiera.
La visibilita’ continua ad essere scarsa e altri escursionisti con le loro giacche a vento, assomigliano piu’ a dei fantasmi colorati che a degli alpinisti. Il clima tradisce anche questa volta le nostre aspettative impedendo di ammirare tutto il panorama sulle vette circostanti e in particolare la catena Himalayana .
La discesa si snoda lungo un ripido pendio attraversando poi strette gole,guadi e passaggi obbligati .Le forti piogge delle settimane precedenti hanno interrotto il percorso originale e obbligano a seguire ancora una volta il greto del fiume con un impegno fisico non indifferente.
Nel primo pomeriggio la pioggia intensa aumenta ulteriormente il disagio accompagnandoci sino alla localita’ Shang Sudmo, una piccola oasi verde ove e’ previsto il pernottamento. Il tempo continua ad essere inclemente e Riggi ci suggerisce di dormire in una guesthouse. La gioia intensa di poter stare all’asciutto si trasforma presto in delusione quando visioniamo i locali assegnati: tappeti polverosi fungono da letto e una toilette ricavata nel buco del pavimento scoraggia il suo utilizzo. La disponibilita’un prodotto antiparassitario e il tessuto impermeabile del sacco a pelo a difesa delle gocce d’acqua che scendono dal soffitto, ci aiutano a superare la notte.
Quindicesimo giorno Dopo un sonno infastidito dal rumore cadenzato della pioggia , la giornata si apre con un cielo meno cupo. Alla partenza ,assaporiamo una nuova emozione : quella di attraversare il torrente sul dorso di un cavallo precedentemente sellato.
L’esperienza non e’ facile perche’ le staffe sono posizionate molto in alto e ostacolano la spinta necessaria per salire . Al secondo tentativo ,il cavallo intuisce tutta la mia completa incompetenza e fugge disperato sperando di evitare un nuovo tentativo. La presenza dello stalliere si dimostra poi provvidenziale per superare il momento di difficolta’che offre spettacolo e risate ai presenti.
Superato il guado, iniziamo a camminare sul greto e poi lungo una strada sterrata in alcuni punti completamente franata. In breve raggiungiamo la localita’ “Marteseland” dove altri gruppi di escursionisti si fermano rimanendo in attesa del mezzo motorizzato che li trasportera’ a Leh.
Noi decidiamo di proseguire e raggiungere l’abitato di “Hemis” l’ultima sosta del nostro viaggio che ci permettera’ di visitare il bellissimo monastero omonimo,il piu’ grande di tutto il Ladakh.
Il villaggio e’collocato all’ingresso di una piccola valle e si compone di una cinquantina di case addossate alla roccia. Piu’in alto il complesso conventuale riccamente decorato.Visitiamo i luoghi di culto e le sale collocate lungo un dedalo di corridoi; il suono ritmico di alcuni tamburi aleggia in tutto il monastero rendendo l’atmosfera molto solenne.Tutto sembra invitare alla spiritualita’ e al raccoglimento . Dall’alto una vista bellissima sull’intera struttura .
Lasciamo il monastero e il villaggio nel tardo pomeriggio; vi torneremo alla sera per rilassarci e sorseggiare una birra nell’unico locale del luogo,un’abitudine che avevamo perso nei giorni di isolamento.
Al ritorno ,una visione fantastica : le pareti della montagna opposta al campo tendato sono illuminate dalla luna creando dei giochi di luce .Bianche pareti rocciose intervallate verticalmente da zone d’ombra, trasmettono la sensazione di essere di fronte a lunghe striature innevate. Non potevamo chiudere la nostra escursione alpinistica in modo migliore… Sedicesimo giorno Dopo i saluti e la foto ricordo scattata con il gruppo dei nostri accompagnatori , una jeep ci riaccompagna a Leh dove e’ in corso una serie di festeggiamenti che dureranno 15 giorni.
Nel monastero la musica accompagna la danza di alcune ragazze avvolte in vestiti ricamati e dai colori scintillanti.Sulla loro testa grandi cappelli neri pelosi sorreggono le immagini macabre di teschi sorridenti e teli bianchi mascherano parte del viso. Le danzatrici si muovono ritmicamente mentre un cerimoniere dalla tonaca nera consegna le sciarpe destinate ad avvolgere le loro spalle. Alcuni monaci seduti sulle gradinate dell’anfiteatro snocciolano dei rosari di legno alimentando l’atmosfera religiosa della danza tra il completo silenzio degli spettatori.
Trascorriamo il resto del pomeriggio a scorazzare nel bazar ove si vende dell’abbigliamento sportivo “taroccato”. Ci siamo accorti infatti che moltissime persone in citta’ indossano giacche a vento di prestigiose marche . Purtroppo quasi tutte le taglie disponibili sono piccole e quindi presumibilmente confezionate per la popolazione locale . Rientrando all’albergo, un venditore ,nel suo negozio, ci offre dell’ottimo the’ del Kasmir mostrandoci dei meravigliosi tappeti di seta che per i colori cangianti sembrano maneggiati da un illusionista. Come in tutti paesi asiatici anche nel Ladakh la contrattazione e’ d’obbligo e rappresenta un’ottima palestra commerciale per tutti.
La gentile ospitalita’ del negoziante, verra’ancora utilizzata in futuro per trascorrere dei distensivi “happy hours” completamente gratuiti…
Diciassettesimo giorno Oggi si parte per la valle di Nubra, un tempo attraversata da carovane provenienti dalla Cina e dirette a Leh. A causa della vicinanza con il Tibet (Cina) e il Pakistan,due Paesi con cui l’India ha sempre avuto dei difficili rapporti, la zona venne chiusa ai turisti per diversi anni.La speranza e’quella di vedere un luogo abbastanza unico ,visitare qualche monastero buddista e ammirare le bellezze di una valle circondata da alte catene montuose.
L’area e’ caratterizzata anche dalla presenza di ampi ghiacciai ,tra cui il piu’ lungo ,il Siachen si snoda per 70 chilometri e fu teatro di duri scontri con il Pakistan. Il percorso prevede di salire fino al Kardung-la che con i suoi 5600 metri e’il valico stradale piu’ alto al mondo aperto al transito degli autoveicoli .
La strada,inizialmente asfaltata, sale gradualmente per ampi tornanti inerpicandosi successivamente lungo pendii da brivido che non lasciano alternative: mantenersi sul ciglio della strada senza alcuna protezione o viaggiare costeggiando pareti di roccia franosa . Sassi grossolani sono infatti disseminati sul terreno e incutono un po’ di timore.Fortunatamente la strada e’a senso alternato:alla mattina il transito da Leh , nel pomeriggio il senso contrario.La tensione e’ comunque allentata dal panorama che si apre in lontananza sulla catena del Karakorum .
Sul valico imbiancato di neve ,un cartello indica l’altezza raggiunta e offre lo spunto per una bevanda calda consumata nella caffetteria piu’ alta al mondo.Lo sguardo spazia tra alte vette immacolate.
Superato il Kardung-La, la strada scende attraversando piccoli villaggi fino a raggiungere nel fondovalle il centro abitato di Kalsar a 3500 metri dove una sosta ci permette di gustare un piatto di “nnodles”: una pasta svizzera preconfezionata condita con peperoncino . In realta’ si ha l’impressione di mangiare questa spezia condita con un po’ di pasta ;dopo pranzo infatti i foruncoli cominciano a spuntare un po’ dappertutto…
Ripreso il viaggio , la valle assume un aspetto aspro e desertico fino alla confluenza dei due fiumi Shyok e Nubra dove ,ad un bivio, la strada si sposta sul versante destro sino a raggiungere il monastero di Samur adagiato sul pendio della montagna .Dopo la visita ,si rientra per raggiungere Diskit ,il piu grosso insediamento della zona.
L’oasi e’ immersa in un giardino (un po’ trascurato) di poppi . La sistemazione e’nel miglior albergo del villaggio: raggiunta la camera , la visione delle lenzuola del letto mi induce a dormire nel sacco a pelo; nel bagno i servizi igienici funzionano a secchiate d’acqua e l’apertura del rubinetto del lavandino fa allagare il pavimento. Il sifone della doccia con tubature ovviamente tutte a vista e’ collocato al centro del soffitto e completa il quadro di una vera e propria piscina. Per fortuna la cena e’ ottima : ormai la mia lingua si e’ assuefatta al sapore del peperoncino.
Diciottesimo giorno In una decina di minuti saliamo al monastero del villaggio con una strada che si inerpica su un alto dirupo roccioso dove e’ stato costruito questo luogo di culto: ci troviamo davanti ad una fortezza . La parte frontale e’stata costruita a gradinate e come un faro illumina la valle sottostante ; sul retro,uno strapiombo si immerge in una stretta gola dove rumoreggia un torrente. E’tutto un susseguirsi di vicoletti , gradini e abitazioni che sembrano spuntare improvvisamente una dall’altra.Un monaco esce dal suo micro-locale per raggiungere una fontanella : non parla inglese e saluta con un sorriso. Le scalinate conducono alle due sale di culto piu’ importanti addobbati con le tradizionali “tanghe” dai colori vivacissimi: il verde smeraldo,il blue turchese e l’arancione sembrano fuochi d’artificio illuminanti il cielo nelle notti d’estate.
All’esterno,il panorama sulla valle offre l’immagine di un arido deserto di sabbia e rocce, interrotto solo in lontananza da una piccola oasi verde.
Quando lasciamo l’eremo,un altro monacosaluta sorridendoci ancora .
In auto raggiungiamo una piccolissima localita’ chiamata Hundar, il punto piu’ estremo oltre il quale non sono piu’ ammessi i turisti.
Un piccolo fatiscente monastero e un ponte segnalano l’inizio di un’ampia zona militarizzata . L’asprezza del luogo e’ interrotta solo dalla presenza di una grande “campana” di preghiera color rosso fiammante.
Sulla strada del ritorno,incontriamo una zona di dune e sabbia che ricordano il deserto africano nonostante la visione sia turbata dalle cime innevate che si stagliano sullo sfondo. Alcuni cammelli selvatici vagano tranquillamente nelle vicinanze di un corso d’acqua.
Dirigiamo verso il Kardung-la ripercorrendo la stessa strada che all’andata aveva creato tante tensioni.Fortunatamente la presenza di numerose marmotte che affollano i tratti del pendio e alcuni Yak con le loro preziose code aiutano a distogliere l’attenzione dalla pericolosa salita fino a raggiungere il valico oltre il quale una lunga discesa ci accompagna successivamente a Leh.
Diciannovesimo giorno Per la giornata odierna abbiamo programmato di fare una nuova esperienza : praticare il rafting sul fiume Indo. In breve tempo siamo accompagnati al punto di partenza dove assistiamo ai preparativi per la navigazione. Appoggiati sul terreno , un grosso canotto di gomma e alcuni piccoli kayak . Non avendo specificato all’agenzia organizzatrice il tipo di imbarcazione ,mi sopravviene il timore di dover salire su uno di quei minuscoli gusci di noce che non offrono il massimo della sicurezza e distensione. Fortunatamente ci viene data assicurazione che la nostra imbarcazione sara’ quella dimensionalmente piu’ grande: la condivideremo con una coppia di australiani , due ragazze israeliane,due indiani e l’istruttore,una decina di persone in tutto. Dopo un rapido corso “da giovani marmotte” per imparare i segreti del rafting, saliamo sull’imbarcazione e ci allontaniamo rapidamente dalla riva. Bardati di casco e salvagente assomigliamo piu’ a degli astronauti che a dei naviganti . Sapendo che l’abito non fa il monaco, confidiamo nelle migliori capacita’ remiere degli altri compagni di avventura che sicuramente devono aver compreso le istruzioni trasmesse in lingua inglese meglio di noi.Qualche dubbio mi assale pero’ quando vedo un collega che “pagaia” buttando acqua dentro il canotto. Ho l’impressione di appartenere piu’ ad “un’armata brancaleone nautica”che ad una equipe olimpica.
La preoccupazione poi cresce con l’avvicinarsi delle prime rapide, quando il nostro istruttore si butta in acqua simulando il comportamento da tenere in caso di caduta.Fortunatamente le sue capacita’ di risalita sono simili a quelle di un “pesce-gatto” e ci permettono di affrontare le iniziali difficolta’ con una certa tranquillita’ e il conforto psicologico della sua presenza .
Superate le prime anse del fiume ,entriamo nelle strette gole che si snodano a serpentina. Il paesaggio diventa sempre di piu’ affascinante perche’ costeggiamo delle zone completamente deserte e dove lo sguardo fatica a raggiungere il cielo racchiuso tra pareti rocciose che si riversano a picco nel fiume. Al primo tratto un po’ impegnativo ,tra onde e scogli,una valanga d’acqua si riversa nell’imbarcazione tra le urla di tutto il gruppo . Comincio a capire perche’ l’istruttore alla partenza ci aveva fatto lasciare sulla jeep tutti gli oggetti personali che avevamo portato con noi. Siamo completamente fradici e confidiamo nel calore del sole per asciugarci .L’acqua penetrata nell’imbarcazione , fortunatamente comincia a defluire allontanando il pensiero di dover navigare nei successivi minuti immersi in una piccola piscina.Qualche grosso scoglio affiorante in mezzo al fiume ci terrorizza ma i comandi remieri e le virate di timone del nostro istruttore ci fanno evitare il peggio .Ci rincuora inoltre il fatto di non essere soli ad affrontare l’avventura : cinque o sei degli “arditi” partiti con noi ,ci seguono a distanza con i loro kayak e qualcuno riesce ad avvicinarsi alla nostra imbarcazione per scambiare qualche parola e risata.
Altre ondate si infrangono contro il canotto ma ormai l’incontro-scontro con le bordate d’acqua comincia a diventare una abitudine quasi divertente cosi’ come quella di considerare i nostri vestiti come dei costumi da bagno.
Verso l’ora di pranzo raggiungiamo la confluenza con il fiume Zanskar dove il letto diventa piu’ ampio e la corrente piu’ dolce dandoci ormai la sensazione che la parte piu’ impegnativa sia terminata. In prossimita’ di una piccola oasi verde adagiata sulla sponda ,una spiaggetta ci segnala la presenza di un attracco e conseguentemente la fine della nostra lunga remata.
Un simpatico pic-nic,quattro chiacchere con i nostri compagni di avventura e qualche foto ricordo anticipano il rientro a Leh nel tardo pomeriggio.
Ventesimo giorno Termina il soggiorno in Ladakh e un aereo ci riporta a Delhi per trascorrere le ultime ore in India. All’arrivo un’auto ci attende per accompagnarci a vedere la citta’e fare un tuffo nel passato: Jama Masjid (moschea),la tomba di Humayun (mausoleo)e il Qutb Minar sono le piu’ importanti attrazioni di Delhi. Decidiamo di tralasciare la visita del Red Fort ,una suggestiva testimonianza dei potenti imperatori Moghul : ne vedremo uno analogo il giorno successivo, ad Agra, dove il complesso monumentale e’ meglio conservato.
Dirigiamo subito verso moschea percorrendo strade che ci fanno percepire una realta’ molto dissimile da quella vissuta nel primo giorno di arrivo in India. Attraversiamo ampi viali affiancati da ordinatissimi giardini e da belle costruzioni che ospitano le ambasciate straniere. Un edificio monumentale ospita la residenza ufficiale del presidente dello Stato e in lontananza l’Indian Gate, un arco trionfale alto una quarantina di metri commemora i soldati indiani deceduti durante la prima guerra mondiale . Nei pressi della nostra meta, l’ordine lascia il posto al caos ,al traffico,alle bancarelle e all’inverosimile affollamento che mettono a dura prova le capacita’ di guida e parcheggio del nostro autista . Quando arriviamo a destinazione ,scendendo dal pulmino, improvvisamente un indiano seduto con le gambe incrociate solleva il coperchio di un cestino, comincia a suonare il flauto e un serpente a sonagli lentamente si inalza nella sua usuale posizione arcuata e ci fa sobbalzare all’indietro. Avevo pensato che simili scene si potessero vedere solo nei film… Arriviamo alla moschea purtroppo durante l’intervallo di chiusura e siamo costretti a invertire l’ordine delle nostre visite dirigendoci verso la Humayun tomb un’area che raccoglie alcuni edifici circondati da geometrici giardini : li attraversiamo nella speranza di lenire il disagio di un’afa sempre piu’opprimente.Siamo quasi alla meta’ di Settembre e non oso pensare al clima che puo’ aver accompagnato le visite fatte nel mese precedente .
Alla nostra destra si alza una tomba ottagonale in arenaria rossa e dopo aver attraversato altri giardini, ci appare un edificio a pianta quadrata sormontato da una cupola. Alti ingressi ad arco lasciano penetrare la luce che illumina gli interni e tutti gli elementi architettonici . All’esterno , scoiattoli corrono lungo le mura di cinta e alcuni pappagalli volano tra gli edifici donando al luogo una atmosfera molto distensiva.
Dopo la visita,ritorniamo alla moschea,la piu’grande dell’India, dove siamo invitati, per segno di rispetto, a toglierci le scarpe e a indossare dei veli colorati per coprirci le gambe: la nostra immagine e’ forse piu’ sobria ma molto buffa.
Il luogo di culto e’collocato prevalentemente su un’area aperta protetta da lunghe stuoie molto utili ad evitare l’arrostimento dei piedi .In alto ,dei teli provvidenziali coprono coloro che sono inginocchiati per la recita delle preghiere.
Decidiamo di “scalare” il minareto alto una quarantina di metri da cui il panorama spazia su una immensa distesa di case incollate l’una all’altra che sembrano non aver mai fine.
Lasciamo questo luogo di culto per andarne a visitare un altro ,il Qutb Minar ; all’ingresso un’attenta perquisizione sequestra tutte le caramelle che ha nella borsa Luca e cosi’ siamo costretti a distribuirle a tutti i visitatori presenti ,piacevolmente sorpresi dal gentile omaggio:sembra che all’interno sia consentito portare solo la macchina fotografica e una bottiglietta d’acqua. Ci accoglie una torre alta 70 metri sorprendentemente elaborata e chiusa al pubblico.L’imponente costruzione celebra la diffusione dell’Islam in India. Anche tutti gli altri importanti edifici del complesso risalgono all’avvento della dominazione islamica e sono considerati dei capolavori dell’antica architettura Afgana.
Nel cortile una colonna di ferro risale a 2000 anni orsono e la leggenda suggerisce di abbracciarla volgendole le spalle per ingraziarsi la buona sorte: gesto ormai impossibile perché la colonna e’ protetta da una cinta impenetrabile. Il rientro in albergo avviene riattraversando la citta’ che nelle ore serali si presenta con uno scenario sempre piu’ caotico.La circolazione è ulteriormente ostacolata dalla presenza di qualche mucca che tranquillamente passeggia in mezzo alle strade affollate di automezzi.
Durante il viaggio di ritorno ripenso a coloro che nelle citta’italiane si lamentano per i disagi creati dal traffico ma probabilmente non hanno mai sperimentato quelli di Delhi… Ventunesimo giorno Oggi e’ l’ultimo giorno della nostra permanenza e andremo ad Agra per inebriarci con la bellezza del Taj Mahal uno spettacolare monumento all’amore costruito in marmo bianco e pietre preziose.
All’alba partiamo con il nostro autista :dobbiamo percorrere solo 200 chilometri ma il suggerimento e’ quello di partire molto il presto per evitare i consueti problemi di traffico . Sperimentiamo per la prima volta il percorso su una autostrada indiana abbastanza ampia ma poco scorrevole . In alcuni tratti abbiamo l’impressione di trovarci di fronte alla visione di un film con molti protagonisti interessanti : camion fermi con i loro autisti sdraiati sull’asfalto all’ombra del loro mezzo, carretti trainati da cammelli,biciclette che trasportano sul retro carichi immensi, pedoni,riscio’,tuk-tuk stipati di passeggeri,trattori che viaggiano tranquillamente contromano. Non manca ovviamente la fauna : scimmie e poi mucche e buoi che passeggiano lungo lo spartitraffico con la massima serenita’. Ad una sosta si avvicinano i venditori di spezie , gioielli e altre mercanzie: uno di questi apre un sacco di juta e prende un serpentello in mano per offrirlo in vendita . Nessuno lo acquista e sconsolato si rivolge ad altre vetture .
Dopo oltre 5 ore di viaggio , alla periferia di Agra , il pulmino si ferma e raccoglie una simpatica guida turistica che ci accompagnera’ per la visita. Raggiungiamo finalmente il Tajmahal ma dobbiamo percorrere l’ultimo tratto di strada utilizzando dei veicoli che si muovono con l’energia elettrica per evitare possibili inquinamenti al complesso monumentale.
Oltre il portale d’ingresso, la costruzione con tutto il suo candore, si staglia contro il cielo e si specchia nell’acqua di una fontana creando dei giochi di luce fantastici .L’idea era nata da un imperatore Moghul a ricordo della propria moglie : un monumento eretto in segno del suo grande amore.
All’esterno quattro minareti hanno funzione decorativa .Ai lati una moschea di arenaria rossa e un analogo edificio che ha la funzione di rispettare la simmetria del complesso.
D’ora in poi,in segno di rispetto,dovremo camminare calzando dei copriscarpe di plastica azzurra come quelle che si utilizzano in camera operatoria.
La parte alta della struttura è chiusa al pubblico, per evitare ,ci spiega la guida, decisioni suicide di innamorati delusi.
L’interno si presenta abbastanza buio e accoglie due monumenti funebri protetti da grate;occorre l’utilizzo di una pila per osservare le gemme e la preziosita’ dei materiali infissi nelle pareti della sala ottogonale.
La parte che apprezziamo maggiormente e’ comunque quella esterna perche’ il marmo bianco sotto il sole si accende di splendidi riflessi dorati. E’ con questa immagine indimenticabile che lasciamo il TajMahal per raggiungere l’Agra Fort prima di rientrare a Delhi.
La costruzione ,tutta in arenaria rossa,si trova sulle sponde del fiume ed e’ visitabile solo per la parte non adibita all’uso militare.
Il complesso e’ avvolto da una doppia cerchia di mura titaniche che racchiudono una cittadella fatta di edifici molto ben conservati. Di fronte al cortile si trovano le ampie stanze dell’harem e nei pressi, un enorme palazzo in arenaria rossa che sfoggia dei bellissimi elementi architettonici. Dalla costruzione prospiciente il fiume abbiamo l’occasione per rimirare ancora una volta il TajMahal che si erge in lontananza .
Il tempo e’ tiranno e dobbiamo lasciare Agra anzitempo per rientrare a Delhi ove abbiamo l’appuntamento con l’aereo che ci riportera’ in Italia.
Il lungo tragitto di ritorno rappresenta un’occasione per trarre una sintesi e fare alcune riflessioni sull’esperienza vissuta nelle tre settimane di viaggio.
Il pensiero corre ai meravigliosi monasteri del Ladakh, alle preghiere nel vento,alla sinfonia dei colori nelle sale di culto,alla serenita’ dei monaci, ai fiori di loto di Srinagar , alla soddisfazione di essere riuscito a raggiungere altezze inimmaginabili e non ultima l’immagine del TajMahal.
Per chi ha visitato per la prima volta l’India come me, l’esperienza ha messo pero’sicuramente a dura prova le capacita’ di ambientamento non solo fisico ma anche mentale : la poverta’sconvolgente, l’affollamento,l’inquinamento ambientale e fluviale, le condizioni igieniche,il clima disagevole di alcune zone, hanno rappresentato delle sfide difficili da accettare. Forse dovevo aspettarmi l’inimmaginabile : l’India ricompensa solo chi si sa adattare . Non so se ritornero’ ancora in questo Paese ma poco mi importa : so solo che l’esperienza fatta e la conoscenza di un’altra grande cultura aiutera’sicuramente ad arricchire la mia vita e capire meglio il meraviglioso Paese in cui vivo.
Bertolani Giorgio bertolani.Giorgio@libero.It