La Tanzania in quattro tappe
Prima tappa a Dar Es Salaam
Atterriamo a Dar Es Salaam all’alba, assonnati dopo le lunghe ore di volo. Zaino in spalla e mappa in mano ci inoltriamo nella città: un enorme agglomerato di case basse e strade trafficate, che in alcune zone si mischiano a baracche e strade quasi sterrate. Dar non offre molto da visitare, ma può essere interessante osservare la vita nelle strade piene di botteghe e bancarelle, magari fermandosi per acquistare le coloratissime stoffe e i kanga al mercato di Mnazi Mmoja. Alla sera la città sprofonda nel buio: le strade sono poco illuminate, tanto che ci viene sconsigliato di uscire a piedi di sera, soprattutto durante i frequenti black out. Per non mettere alla prova la nostra buona sorte, andiamo fuori a cena in taxi, dato che nel nostro modesto hotel il ristorante è chiuso durante il Ramadan. Siamo ansiosi di spostarci a sud dove ci attende il safari.
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Seconda tappa nel Selous Game Reserve
Quando lasciamo la strada principale e ci dirigiamo verso il Selous, iniziamo ad attraversare i villaggi con le case di fango e legno; i bambini camminano lungo la strada, le donne riempiono i secchi colorati alle pompe d’acqua: siamo nell’Africa che ogni occidentale si immagina vedendo i documentari. Ma qui è tutto a portata di mano e ci tuffiamo nell’avventura con lo stupore e la curiosità di un bambino. Inoltrarsi lungo queste strade di terra rossa, verso il cuore del più grande parco nazionale d’Africa, è un piacere per cui da solo varrebbe il viaggio in Tanzania. Il Selous infatti si rivela un’ottima scelta per il nostro safari: è meno frequentato dei parchi a nord, più economico (nonostante i prezzi siano comunque alti) e non ha nulla da invidiare alla fauna dei parchi settentrionali. Il lodge che ci ospita è stato un ottimo compromesso tra risparmio e comodità: costa un po’ di più dei campi tendati, ma offre una vista spettacolare sul fiume Rufiji, cibo ottimo e una guida eccezionale. Non si tratta di aspetti di poco conto, perché hanno trasformato i giorni trascorsi nel Selous in un’esperienza indimenticabile: le albe e i tramonti spettacolari, con una vista immensa davanti a noi e gli ippopotami che emergono appena nelle acque del Rufiji… E poi gli animali: gazzelle, impala, giraffe, elefanti, leoni, coccodrilli, ippopotami, bufali, zebre, scimmie e un’infinità di specie di uccelli! La simpatica guida ha reso speciali questi incontri con la fauna locale, raccontandoci le abitudini, i comportamenti, le stranezze di ogni specie, oltre che con la descrizione delle piante e degli usi medicinali di ogni frutto, foglia o radice. Infine ci aspetta il safari in barca sul Rufiji, che permette di cambiare prospettiva e scoprire il parco nazionale dall’acqua: semplicemente splendido. Lasciamo il Selous con dispiacere, ma con gli occhi pieni di immagini preziose e già un bel bagaglio di ricordi e racconti emozionanti, come il pasto delle leonesse e l’incontro ravvicinato con un’elefantessa.
Terza tappa a Kilwa Masoko
Riusciamo miracolosamente a trovare posto accucciati nel corridoio dell’unico autobus che va a sud, verso Kilwa Masoko, affrontando ore di strada dissestata, dove ogni buca si fa sentire, mentre siamo appollaiati sui secchielli che fungono da sedili improvvisati. L’autobus va a rilento per i continui lavori sulla strada, la maggior parte è sterrata; infine arriviamo a Kilwa, cittadina che sembra più che altro un villaggio, affacciata sull’Oceano Indiano. Le case sono di terra rossa e legno, a volte intonacate, coi tetti di paglia. I bambini scorrazzano in giro, curiosi e sorridenti verso questa strana combriccola di bianchi. Ci avviamo lungo le strade polverose, sotto un sole cocente, desiderosi di raggiungere subito l’azzurro della baia davanti a noi. Il primo incontro col mare è fantastico, anche se siamo nella bizzarra situazione di essere “sotto scorta”: il proprietario dell’hotel, fa accompagnare da un masai i suoi ospiti che vanno in spiaggia, “per ragioni di sicurezza”, dice. Sembra infatti che ci siano state rapine, anche se ora, sotto il sole e coi piedi a mollo nell’acqua cristallina, sembra incredibile che questo luogo tranquillo possa essere pericoloso. Il giorno seguente andiamo in barca a visitare le bellissime rovine di Kilwa Kisiwani, un villaggio di pescatori sull’isoletta di fronte a Kilwa Masoko, dove conosciamo la storia degli arabi omaniti e dei sultani attraverso i resti della Grande Moschea, del forte e di altri antichi edifici. Abbiamo anche il nostro primo incontro con i baobab, i bellissimi giganti, che, a seconda delle leggende, venivano usati come prigioni, come case, come fonte di medicamenti. A questo punto, sazi di natura e di storia, siamo pronti per iniziare l’esplorazione delle isole.
Quarta tappa a Zanzibar
Dopo alcuni vani tentativi di raggiungere l’isola di Mafia (l’aereo aveva un prezzo esorbitante e sull’isola non c’era disponibilità di alloggio nella fascia di prezzo medio-bassa), decidiamo di puntare subito su Zanzibar via terra. Ripartiamo con l’autobus, senza neanche riuscire a contrattare il prezzo del biglietto! Siamo diretti di nuovo a Dar, dove prenderemo il traghetto, che si rivela moderno e rapido. Arrivati a Zanzibar, a Stone Town, ci rendiamo conto in breve che tutti i turisti occidentali sono qui. Dopo parecchi giorni in cui ci eravamo abituati ad essere praticamente i soli ospiti degli hotel, ci troviamo nella difficile situazione di non riuscire a trovare posto da nessuna parte. Di solito non prenotiamo in anticipo gli hotel, per essere liberi di spostarci quando vogliamo e accogliere anche gli imprevisti e i cambi di programma, ma in questo caso forse sarebbe stata utile una prenotazione. Zanzibar è decisamente molto più mussulmana della Tanzania continentale, tanto che, essendo il Ramadan, per un paio d’ore al tramonto le strade sono deserte: tutti gli abitanti sono in casa, in famiglia, quando è l’ora di rompere il digiuno. Più tardi le vie si animano e la gente passeggia, chiacchiera e compra il cibo dalle bancarelle nei giardini di Forodhani. Bisogna solo fare attenzione al pesce: alcuni di noi ne hanno ricavato un’intossicazione alimentare! Molto interessante la visita alle piantagioni per conoscere la produzione di spezie locale, noi l’abbiamo fatta con uno dei numerosi tour che vengono proposti. Anche questa volta siamo stati fortunati, trovando persone simpatiche e preparate, che ci hanno fatto trascorrere una giornata unica, di cui conservo anche il ricordo in cucina, nel ripiano delle spezie, che si è così arricchito di nuovi sapori. Da provare assolutamente il “riso pilau”. Lasciamo Stone Town per raggiungere il nord dell’isola e goderci il mare di Kendwa. Qui la sabbia bianca, le sfumature del mare, il tepore del sole, non possono che spingerti a desiderare di fermare il tempo almeno per un po’. Andiamo alla scoperta di questo mare paradisiaco in barca, fermandoci di tanto in tanto a fare snorkeling ed assaporando momenti preziosi, tra l’acqua, il vento e il sole. Dopo pochi giorni ritorna la smania di esplorare e partiamo per il sud dell’isola. Ci sistemiamo a Jambiani, in un delizioso hotel sulla spiaggia, fatto di capanne sparse nella vegetazione, tra piante grasse e alberi da frutto. Qui la bassa marea rende più difficile godere del mare, a meno di prendere una barca, magari facendosi accompagnare da un pescatore fino alla barriera corallina. La vicinanza alla Jozani Forest ci permette anche di visitare il parco e conoscere la vegetazione rigogliosa, addentrandoci anche tra le mangrovie, oltre che avvicinando le piccole scimmie rosse, per nulla spaventate dalla nostra presenza. Si avvicina ormai il momento del rientro e, ripassando brevemente da Stone Town, le vie commerciali ci tentano per l’acquisto di un bao, un gioco in legno tipico dell’Africa Orientale: ormai conosciamo le regole base e avremo bisogno di allenarci anche in Italia, sognando di poter di nuovo giocare con le persone che incontreremo nel prossimo viaggio in Africa.