La Settimana Santa a Siviglia

La proverbiale bellezza di Siviglia è celebrata da un famoso adagio che recita: “Quien no ha visto Sevilla, no ha visto maravilla”. Ma ad attirarci nella città andalusa, in questo inizio di primavera, non sono solo le sue “meraviglie” artistiche o la mitezza del clima mediterraneo, ma le celebrazioni della Semana Santa. Venerdì Santo...
Scritto da: Rosanna1
la settimana santa a siviglia
Viaggiatori: in coppia
La proverbiale bellezza di Siviglia è celebrata da un famoso adagio che recita: “Quien no ha visto Sevilla, no ha visto maravilla”. Ma ad attirarci nella città andalusa, in questo inizio di primavera, non sono solo le sue “meraviglie” artistiche o la mitezza del clima mediterraneo, ma le celebrazioni della Semana Santa.

Venerdì Santo L’aereo dell’Iberia atterra a mezzogiorno e, dopo aver ritirato l’auto a noleggio, ci immettiamo nel traffico della tangenziale. E’ venerdì santo e siamo nel vivo della Settimana santa che richiama una folla di turisti e pellegrini. L’albergo più comodo che siamo riusciti a trovare è l’hotel La Motilla, a una decina di minuti dal centro. L’aria primaverile profuma di zagare. Cascate di fiori, svettanti palme e un cielo azzurro fanno da sfondo all’animato Paseo Cristobal Colon che fiancheggia il Guadalquivir. Durante la Semana Santa, la città mostra la sua anima religiosa intrisa dello spirito della Controriforma ma ricca anche di retaggi medioevali e di sfarzo barocco. Siviglia diventa un immenso teatro di una rappresentazione religiosa che non ha eguali per intensità in tutto il mondo cristiano. Prima che sfilino le cofradias, le confraternite religiose, abbiamo ancora tempo per ammirare la Torre dell’Oro, così chiamata per gli azuleios dorati che la ricoprivano e che apparteneva al sistema di difesa eretto degli arabi. Nella zona intorno alla settecentesca Arena della Maestranza ci sono un’infinità di localini tappezzati con foto di toreri e manifesti di vecchie corride. Dai soffitti penzolano una quantità di invitanti salami e prosciutti appesi a stagionare. Si dice che Siviglia abbia inventato la ronda de Tapas, una sorta di aperitivo itinerante che si consuma in queste caratteristiche taverne, dove il vino è accompagnato da un’infinità di piccoli assaggi: polpettine di carne, pesce fritto, formaggi e salumi. Una volta i bicchieri di vino erano serviti coperti da una fetta di formaggio o prosciutto, e il nome “tapa” deriva proprio dal verbo tapar che vuol dire coprire. La gente per le strade fa capannello davanti ai locali con il bicchiere in mano e le chiacchiere si mescolano nell’aria tiepida assecondando quell’abitudine tutta mediterranea di vivere la città. Affidandoci ad una segnalazione letta su un giornale decidiamo di fermarci a tapear all’Infanta Sevilla in Via Arfe nella zona Arenal, ma sia il pescado in umido, che le crochetas al casera non sono all’altezza della fama. Con il passare delle ore l’atmosfera si anima. Nell’aria c’è un senso di attesa, quasi di eccitazione. Consultiamo la mappa per dare un senso logico al nostro percorso ma poi decidiamo di girare senza meta. La città vecchia ruota intorno alla piazza del Trionfo su cui si affacciano la monumentale cattedrale tardo gotica e la famosa Giralda. Ma visitare Siviglia significa anche perdersi nell’incanto dei suoi giardini e delle suggestive viuzze del Barrio di Santa Cruz che, ai tempi della dominazione araba, era l’antico ghetto. Qui è rimasta intatta l’atmosfera dei quieti villaggi andalusi. Le case, imbiancate a calce hanno grate in ferro battuto, balconcini fioriti, patii e fontane. Quando arriviamo a calle Valflora da dove alle 16,30 partirà la confraternita de “La Carretera” riusciamo con fatica a ritagliarci uno spazio tra la gente. Le processioni, che dall’alba a notte inoltrata si snodano per il cuore di Siviglia, rispettano un orario stabilito e tutte le 58 confraternite religiose, che si distinguono per la diversità delle tuniche, seguono lo stesso itinerario. I cortei dalle chiese di quartiere, passando attraverso calle De Los Sierpes, arrivano tutte alla Cattedrale. Le transenne chiudono la parte finale del percorso, le tribune incominciano a riempirsi di gente. Un servizio d’ordine controlla le entrate e per sedersi si paga il biglietto, come per qualsiasi altro spettacolo.

Crocifissi e pasos, i carri processionali, veri tesori liturgici di Siviglia usciti dall’ombra delle chiese sfilano per l’intera settimana per le strade mostrando il trionfo di preziosi ceselli d’oro e d’argento alla gente ammassata ai bordi delle vie, affacciata alle finestre addobbate. Come vuole la tradizione gli uomini vestono un completo blu scuro mentre poche donne sfoggiano ancora le eleganti mantiglie, preziosi veli di pizzo nero agganciati ad un alto pettine di tartaruga. Ad un tratto il rullo funebre dei tamburi, che rimbomba cupo nello stomaco, si mescola al suono dolente delle trombe. L’arrivo del corteo è salutato da un composto silenzio e dal ripetersi degli scatti degli obiettivi fotografici. Il sole illumina la croce d’argento seguita dai nazarenos, i penitenti, che sfilano lentamente a piedi nudi coperti da lunghe tuniche con mantelli e cappucci appuntiti e che riportano il nostro pensiero ai tempi funesti dell’inquisizione. Con l’arrivo dell’imponente paso, l’emozione aumenta. Questi capolavori d’arte barocca, custoditi gelosamente nei silenzi delle singole chiese, fuori nelle strade vibrano di una commossa sacralità. La portantina con le statue di Cristo, la Madonna e i Santi, ornata di fiori e ceri, è sorretta dai costaleros, invisibili e stoici portatori che, nascosti sotto i paramenti, sostengono sul capo una cinquanta di chili a testa. Camminano guidati dai comandi del capataz, che sta all’esterno, davanti al paso, e procedono a piccoli passi con un movimento oscillatorio che segue il ritmo della musica. Durante il percorso, che dura almeno quattro ore, il cambio è frequente e quando le loro facce sbucano da sotto il paso, appaiono stravolte e bagnate di sudore. Un paio di bambini, ancora ignari del loro futuro ruolo da penitenti, sfilano insieme con gli adulti, con il visino scoperto e lo sguardo distratto. Siviglia, durante il Seicento, il secolo d’oro, grazie ai tesori che arrivavano dalle Americhe, si riempì di chiese e monasteri che in questi giorni profumano d’incenso, di fiori e brulicano di curiosi e devoti. Mentre attendiamo l’inizio di un’altra processione, quasi per caso, finiamo davanti alla chiesetta di San José. Dal portale dischiuso lo sguardo va dritto al gigantesco retablo d’oro, un trionfo del gusto barocco sommerso da una profusione di gigli rosa che satura l’aria con un dolce profumo di confetto. La processione del “El Cachorro” è un bagno di folla. Questa volta i penitenti indossano tuniche nere e manti bianchi ma è nel viso delle Madonne che chiudono le processioni che si legge tutto il dolore del mondo, espresso con quella teatralità barocca che ancora emoziona. Le processioni continueranno sino all’alba della domenica, ma quando suoneranno i rintocchi delle campane a festa per il Cristo risorto noi saremo a Jerez dove la Pasqua lontana dai riflettori sembra riappropriarsi del mistico fervore religioso andaluso.



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